Capitolo 11 - Il pilastro della casa

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Mi tremava la gamba da diversi minuti, così come la mano, senza controllo.

Mi sentivo iperattiva, non riuscivo a restare ferma. Tutti i bicchieri erano sistemati come se avessi usato un righello per misurare le distanze, nessuna cartaccia in giro, neanche le lattine che Adrian si limitava a piegare e buttare sul secchio senza assicurarsi di averci preso; nessuna mollica di pane per terra o sul tavolo, i piatti puliti, ogni barattolo chiuso e al suo posto.

Le camere non erano mai state più ordinate. Avevo obbligato tutti a passarci meno tempo possibile dopo averle sistemate. Lenzuola pulite, tutti i vestiti piegati, vetri senza ditate, nessuna macchia sul pavimento...

Passai di stanza in stanza per controllare che tutto rimanesse come lo avevo lasciato. Appena vidi un paio di calzini sporchi per terra, chiaramente di Adrian, lo cercai e glieli lanciai addosso obbligandolo a metterli nella cesta dei panni sporchi.

"Diventi odiosa quando devono tornare i nostri..." commentò infastidito dal mio atteggiamento. Ma nessuno capiva realmente tutto il lavoro e la dedizione che ci mettevo. Per me era quasi una missione da portare a termine perfezionando ogni dettaglio.

Senza ribattere, continuai con la millesima perlustrazione della casa.

Sembrava che a nessuno dei miei fratelli importasse veramente del ritorno dei nostri genitori.
Potevo comprenderlo nel caso dei gemelli, ancora troppo piccoli per rendersene conto, ma Adrian ne parlava solo se li nominavo io ed era per la maggior parte delle volte scocciato.

Avevo la convinzione che Ariele fosse diventato abbastanza adulto da non sentire la loro mancanza, per quanto assurdo da pensare per un figlio.

Ma neppure Agnese e Amelia si lamentavano spesso della loro assenza.

Perché dovevo sempre fare la differenza? Ero per caso una condanna?

Il vestito azzurro indossato sembrava quasi fuori luogo paragonato al pigiama di Amelia o al costume da bagno di Adri. Come se non avessero entrambi una pila di vestiti piegati tra cui scegliere!

Da giorni ormai io e Dante continuavamo a comportarci da amici... Certo, se per amici si intende dormire ogni tanto insieme e risvegliarsi abbracciati, oppure andare a svegliare l'altro per fare colazione insieme.

Qualcosa sicuramente non tornava, ma noi stavamo bene. Lui mi alleggeriva la mente caricata da troppe responsabilità e mi piaceva credere che io alleggerivo la sua, incasinata.

Quel giorno feci un'eccezione, mi ero alzata senza andare da lui. Quando si svegliò e mi vide in piedi se la prese.

"Quindi hai già mangiato?" domandò con gli occhi ancora assonnati.

"Sì, mi servivano energie... ma se vuoi, ti preparo qualcosa" tentai di farmi perdonare.

Si imbronciò ancora di più. "No. Mi è passata la fame."

Avevo sbagliato, me ne rendevo conto. Entrambi ci tenevamo a fare colazione insieme, ma ero così in pensiero che non gli avevo dato troppo peso.

Iniziai ad elencare mentalmente tutte le attività che volevo fare per ricordarmele: mostrare le foto, far vedere i cambiamenti della casa, il muro dove segnavo l'altezza dei gemelli ogni mese...

Avevo già preparato il dolce, mentre la lasagna la misi in forno proprio in quel momento, un'ora esatta prima del loro arrivo.

Per evitare di combinare qualche pasticcio a causa dell'agitazione, mi sedetti sul divano. Dante mi raggiunse poco dopo e si mise a debita distanza su un angolo. Dopo delle lunghe occhiate che mi lanciava, disse "Stai facendo tremare la casa, te ne sei resa conto?"

Grugnii. Si riferiva chiaramente al mio comportamento. "Sì lo so, è solo che sono in pensiero. Voglio che tutto sia perfetto!"

"Non lo sarà mai" affermò subito con convinzione. "Voglio dire, non è che tu non sia in grado di rendere tutto perfetto, ma proprio perché tu vuoi che lo sia, non lo sarà. Qualcosa andrà storto, perché non sempre... Sì, beh okay, hai capito no?"

Risi nel vederlo in difficoltà e per un attimo dimenticai tutto ciò che mi appesantiva.

"Ho capito ho capito" lo tranquillizzai.

"Una volta" iniziò "i miei erano usciti a cena. Non lo facevano spesso, perciò ero felice perché avevo l'impressione che andasse tutto bene. Mi avevano lasciato con questa amica di mamma e io le avevo proposto di preparare un dolce per quando sarebbero tornati dalla cena. Non c'era il burro, ma lo abbiamo sostituito con l'olio. L'impasto sembrava giusto, sì insomma la consistenza... ma una volta pronto, beh, faceva schifo. Eppure non è stato questo il problema... poteva ancora andare tutto in modo perfetto, ma i miei decisero di tornare a casa separatamente. Mia mamma tornò in lacrime, papà non lo so... tardi."

Lo ascoltai con attenzione. Mi interessavano quei piccoli dettagli della sua vita che decideva di condividere con me così, d'improvviso.

"Quindi va così da quando sei piccolo?" chiesi.

Annuì.

"In tutto questo tempo non hanno pensato che la soluzione migliore, per loro, ma soprattutto per te, fosse lasciarsi?" continuai.

"Non lo so" disse. "Ma c'entra anche qui la storia dell'imperfezione no? Ognuno ha i suoi difetti e bla bla" fece con aria annoiata, o forse più delusa e scoraggiata.

Il campanello suonò nel bel mezzo del silenzio.

"Sono loro!" esclamai euforica, ma anche spaventata, ma anche felice, ma anche nervosa e agitata, nostalgica, impaziente...

Dante mi guardò incoraggiandomi ad aprire la porta.

"Ada" disse mamma appena mi vide e sorrise. Papà era dietro di lei.

E subito mi sentii di nuovo bambina. Tornai ad avere le treccine che mi faceva mamma la mattina appena mi svegliavo e addosso la maglia gigante di papà che usavo come vestito.

"Ada, non ti siamo mancati?" mi sbloccò papà. A quel punto tornarono i capelli sciolti e il vestito azzurro di prima.

Abbracciai prima mamma, poi inglobai papà nell'abbraccio e feci del mio meglio per trattenere le lacrime di gioia.

Dopo un tempo interminabile, i miei genitori fecero per entrare in casa. Si fermarono nel vedere Dante, chiaramente un viso non familiare.

"Salve, piacere sono Dante" e allungò la mano per stringerla a loro.

"Stefano."

"Speranza" sorrise mia mamma.

Amelia seguita da Agnese arrivò in fondo alle scale, poi si avvicinò per salutarli.

"Quanto siete cresciute!" commentò mamma.

Nel frattempo andai a chiamare i gemelli che stavano giocando in camera. Feci attenzione a non inciampare sulle scale per l'entusiasmo.

Li presi in braccio entrambi, per poi realizzare che fossero troppo pesanti e rimetterli giù.

"Andiamo, sono venuti mamma e papà" dissi loro.

Mi seguirono e raggiungemmo gli altri in salotto.

"Andrea!" esclamò mamma e lo abbracciò. "Ali vieni qui amore."

I gemelli si fecero abbracciare, ma sembravano quasi spaesati. E io non capivo.

Guardai Dante, non sapevo perché, ma appena incrociai il suo sguardo mi sentii subito più serena.

Dopo poco notai Adrian scendere le scale con estrema lentezza. Almeno si era degnato di indossare una maglietta, pensai.

"Ciao Adri, anche tu ti sei fatto muscoloso eh?" scherzò mamma dandogli un bacio sulla guancia obbligandolo ad abbassarsi un po'. Adrian impassibile.

Abbracciò anche papà rimanendo però distaccato, quasi infastidito.

Quando fu Ariele a salutarli, sembrò tutto molto formale, senza emozioni.

Forse era una mia impressione, ma sentivo che qualcosa non andava e io ero l'unica a non capire cosa.

Decisi di andare a controllare le lasagne in forno e preparare la tavola, ma prima sussurrai ad Agnese: "Puoi andare a prendere gli album che ho lasciato sul mio letto?"

Lei annuì così io mi diressi in cucina. Spensi il forno e lo aprii facendo attenzione che il vapore non mi venisse completamente addosso.

Misi un guanto per non bruciarmi e tirai fuori la teglia. Poi presi tovaglioli, posate, piatti e iniziai a posizionarli in tavola.

"Ti do una mano" disse Dante appena entrò in cucina.

Lo ringraziai pensierosa.

"Allora, come ti senti?" continuò.

Ci pensai un attimo. "Credo bene..." Qualcosa mi metteva in dubbio. "Sì, cioè, ancora non lo so."

Avrei voluto mostrare le foto ai nostri genitori prima di pranzare, ma i gemelli erano affamati, così dovetti pazientare un altro po'.

Tutti si sedettero, io senza accorgermene rimasi in piedi come se avessi dovuto controllare che tutto fosse al suo posto. Dante mi tirò leggermente il braccio invitandomi a sedermi sulla sedia vuota vicino a lui e fu lì che realizzai di essere l'unica in piedi.

"Allora... cosa ci raccontate?" chiese mamma dopo aver assaggiato la lasagna. Il suo viso era raggiante, allegro. "Siete cresciuti tutti così tanto... Come va con la scuola?"

"Adri è stato bocciato" rispose Amelia con indifferenza. Ogni volta che qualcuno le faceva un torto (e in quel caso non sapevo quale fosse), doveva vendicarsi in qualche modo. Mai mettersi contro Amelia, in nessun caso!

"Oh" fece mamma. Adrian si limitò a fulminare nostra sorella con lo sguardo. "Come mai?"

"È successo e basta" disse Adrian e subito mise in bocca un pezzo enorme di lasagna come se la volesse finire in un boccone.

"Cerca di recuperare quest'anno. È un peccato perdere tutto questo tempo" commentò papà. Adrian non ribatté.

"Tuo padre ha ragione. Non ti stiamo dicendo di essere un'eccellenza, ma con un po' di impegno puoi farcela" continuò mamma. E capii subito dalle parole usate che Adrian avrebbe sbottato.

"Finito il liceo poi puoi pensare al tuo futuro, al lavoro... con il tempo sarà tutto più complicato, avrai più responsabilità..." aggiunse papà.

"Che ne sapete voi di impegno? Non ci siete tutto l'anno e ora volete dirmi cosa fare della mia vita? Se volete parlare di futuro e lavoro, per quello c'è Ariele. Io passo" disse Adrian nervoso. Percepii una certa rabbia, ma comunque seppe moderare i toni. Fui quasi certa che lo aveva fatto per me, perché finito di parlare mi guardò per un secondo come se volesse controllare la mia reazione, assicurarsi che fossi tranquilla.

Ci fu un breve silenzio.

"Beh Ari, come va l'università?" chiese mamma.

Ariele rispose in modo fin troppo dettagliato, elencando gli esami in vista e quelli che aveva già dato con tanto di esito. Era il suo modo di fare, raccontare tutto per filo e per segno se le veniva posta una domanda. Appena iniziava a parlare, aggiungeva sempre più informazioni.

Non mi accorsi di star ascoltando la conversazione con estrema attenzione fin quando Dante sbatté piano la sua forchetta contro la mia distraendomi. Lo guardai con aria interrogativa.

"Non hai ancora mangiato niente, che ti prende?" mi chiese.

Abbassai lo sguardo sul mio piatto, poi lo rialzai su di lui. "È vero. È che sono tesa..."

"Se qualcosa non va nel verso giusto, non è colpa tua. Capito Ada? Ficcatelo in testa... e mangia." Inaspettatamente prese una bruschetta e la portò vicino alle mie labbra. Senza aspettare che aprissi la bocca, la avvicinò come per costringermi a mangiarla.

Lo spinsi via e ridendo iniziai a masticare la bruschetta.

Ariele aveva smesso di parlare, Agnese e Amelia si alternavano per raccontare alcune delle loro esperienze.

Da lontano, siccome si trovavano dall'altra parte del tavolo, notai i gemelli giocare con il cibo. Mi alzai e andai da loro.

"Hey, quante volte vi ho detto che non si gioca con il cibo? Andrea, se schiacci le patate poi non le mangi e vanno buttate. Alisia, stessa cosa con tutta quella maionese. Non è mica tempera con cui puoi colorare la tovaglia in questo modo" dissi. Fortunatamente quando c'era da fare una ramanzina, loro mi ascoltavano. "Se non avete più fame, andate a lavare le mani e giocare di là."

Tornai al mio posto. I gemelli rimasero seduti qualche altro minuto, Andrea continuò a mangiare le patatine, anche quelle schiacciate che di solito abbandonava sul piatto, mentre Alisia prese un cucchiaino per finire tutta la maionese che si era versata. Feci una faccia disgustata e smisi di guardarli.

"Dante, ti chiami così giusto?" domandò mamma tornando a guardare nella nostra direzione. "Tu sei il fidanzato di Ada?"

Dante mi guardò. Io lo guardai. Poi ci girammo verso mia mamma.

"No no, è un amico di Adrian" risposi io al posto suo.

"Oh" fece lei.

"Tu hai finito gli studi?" chiese papà.

"No... purtroppo no."  Dante guardò mio fratello per cercare uno sguardo complice.

"Comunque ragazzi" cambiò argomento mamma "io e papà resteremo per poco."

Adrian senza ricevere altre spiegazioni si alzò e se ne andò. Dante ebbe l'istinto di seguirlo ma capì che fosse meglio restare seduto e da una parte mi sentii sollevata.

"Di solito restate sempre poco" feci notare io.

"Sì lo sappiamo, ma questa volta ancora meno. Staremo qui circa tre giorni" specificò lei senza spiegare oltre. Mi sentivo presa in giro.

Poi cambiò discorso senza preoccuparsi di ciò che stavo pensando. Parlò dei suoi viaggi, ma dopo quello in Grecia, smisi di ascoltare.

Aspettai che tutti finissero di mangiare per poter sparecchiare. Mamma, papà e gli altri si spostarono in salotto, solo Dante rimase con me ad aiutarmi.

"Ti vedo pensierosa" constatò.

"Forse... sì, forse un po'."

"Vuoi dire qualcosa?"

"Non lo so... non credo." Ci riflettei un attimo. "È che mi sembra tutto così strano... diverso... confuso. Adrian che risponde male, se ne va... i miei che restano per soli tre giorni... Mi sono impegnata così tanto per questa famiglia e sembra che non saremo mai completamente uniti. Non so cosa credessi in realtà, forse che questa volta sarebbero rimasti... Ma va bene così, è giusto che inseguano i loro sogni."

"Sai che questo dovrebbe dirlo un genitore al figlio e non il contrario, vero?" pensò.

"Tu cosa pensi di questa situazione?" Volevo sapere il parere di una persona esterna che non fosse qualcuno dei miei fratelli. 

"Che dovresti parlarne con Adrian, chiedergli cosa ne pensa lui. Io ho un pensiero ma non voglio dirtelo ora."

"Va bene... dopo andrò da lui."

E lo feci, appena finii di sistemare la cucina. Prima di raggiungere Adri in camera, notai che Agnese stesse mostrando gli album fotografici ai nostri genitori cercando di spiegare loro i momenti catturati.

"Questa l'ha scattata Ada l'ultimo giorno di scuola" sentii Agnese dire. "Sono venuta con un occhio mezzo chiuso perché non sapevo che mi stesse scattando una foto!"

Arrivai di fronte alla stanza di mio fratello e bussai. Nessun suono. Bussai di nuovo. Poi una terza volta più forte e a quel punto Adrian si alzò per venirmi ad aprire direttamente la porta.

"Ti costava troppo abbassare la maniglia?" si lamentò lui.

"Non mi hai detto di entrare!" Alzai le braccia al cielo.

"Ero troppo nervoso per aprire bocca" disse.

"Immagino che tu lo sia ancora," feci io, "ma possiamo parlare un attimo?"

Annuì e mi fece cenno di sedermi sul letto.

"Cosa ne pensi? Sì intendo dei nostri che restano solo tre giorni... Non vedevo l'ora che venissero, ma loro non sembrano dispiaciuti di andarsene così presto..." Pronunciavo quelle parole con una certa confusione, non ero certa che avessero un senso.

"Penso che sono degli egoisti. Un anno intero senza vederli e non si preoccupano nemmeno di non sapere nulla su di noi. Ada, non è normale cavolo. Mi sono sempre trattenuto perché so che ci tieni e non volevo distruggere tutto, ma non è normale che in un anno intero ho ricevuto solo gli auguri per messaggio senza nemmeno una chiamata. Siamo sette figli e nessuno di noi ha parlato con loro per un anno." Se non avessi saputo il motivo della sua rabbia, avrei creduto che ce l'avesse con me.

Le uniche volte che ricevevo messaggi dai nostri genitori era per sapere i giorni che sarebbero venuti a casa. Adrian aveva ragione.
E io avevo fatto finta da tempo che non fosse così.

"Ada, lo so che hai cercato di essere il pilastro della casa e hai fatto troppo, ma non devi sostituirti a loro. Non è colpa tua, non è responsabilità tua. A loro non interesserà se non sarai tu a occuparti di tutto" continuò Adri.

"Credevo che questa volta sarebbe stato diverso" ammisi delusa. "Che facendo tutto sarebbero rimasti... Ma con quale logica? Mi sento una cretina!"

Adrian si avvicinò e mi abbracciò. Non era solito fare questi gesti affettuosi, anche avere una conversazione così seria non era nelle sue corde.

"Ada, lo so che hai bisogno di loro. Tutti noi ne abbiamo bisogno. Ma a loro non importa di quello che pensiamo e lo abbiamo realizzato tutti troppo tardi" disse. "Anzi, vorrei che se ne andassero ora. Non riesco a passare altri due giorni con loro pensando che li rivedrò dopo un'eternità."

In quel momento Dante entrò in stanza. "I vostri genitori vi stanno chiamando, dicono di voler passare del tempo insieme" ci informò.

"Oh e così vogliono stare insieme ora" borbottai dispiaciuta per tutte quelle speranze che mi ero costruita.

"Io non vengo" decise Adrian. Per lui era facile, ma tutto quel tempo trascorso a curare ogni minimo dettaglio iniziava a pesarmi.

Nonostante in quel momento stare lì con Adri sembrava la decisione migliore, non era la più giusta. Così mi alzai dal letto e insieme a Dante raggiunsi gli altri.

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