Capitolo 4 - Scusa

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"Sei passata da tè caldo a freddo?" constatò Luca.

"Non è tè, è caffè!" precisai mettendo i cubetti di ghiaccio nel bicchiere di vetro. "Dovresti assaggiare."

"Mmh non mi ispira." Fece una faccia che più che disgustata, sembrava scettica.

Presi una cannuccia e iniziai a sorseggiare. In estate era decisamente una bevanda perfetta e rinfrescante!

"Quindi che dicevi prima?"

Ci pensai un attimo. Mi servivano sempre un paio di secondi per riprendere il discorso. "Ah sì. Dicevo, ieri Agnese si è sentita male. Ti avevo raccontato di come si sente quando percepisce emozioni negative, no? Ecco, uno di quei simpatici amici di Adrian ha pensato che urlare fosse l'unico modo per gioire della sua vittoria. Agnese è corsa in camera sua. Si può essere più bambini di così? Intendo Dante, non Agnese ovviamente."

Ripensarci mi faceva risalire il nervoso.

"Sai cosa? Ti servirebbe una bella vacanza lontano da tutti per rilassarti."

"Non credo sia una buona idea... Hai visto com'è andata ieri. Se non ci fossi stata io, cosa sarebbe successo?"

"Ti farei la stessa domanda."

Iniziai a muovere il bicchiere circolarmente facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio.

"Ada, sto aspettando una risposta" disse serio.

"Non lo so. Forse Agnese non sarebbe riuscita a dormire. O avrebbe iniziato a piangere da sola. O avrebbe smesso di rivolgere la parola a tutti. Non so come funzionano i traumi! Ma posso evitare determinate situazioni." Almeno credevo.

Tornai a respirare normalmente. Entrare in quei temi non faceva altro che agitarmi e iniziavo a parlare velocemente.

"Non puoi, Ada. Non hai superpoteri. Sei riuscita a evitare che la tazza si rompesse?"

"No, ma che c'entra questo adesso?"

"Che stai trovando scuse per non venire al mare con me. Non ti importa abbastanza di me da lasciare i tuoi fratelli a casa per un singolo giorno!" Sembrava... arrabbiato?

"Perché non mi capisci? Semplicemente non riesco. Mi importa di te."

"Non lo so, sono stufo Ada. Vorrei trascorrere delle normali vacanze con la mia migliore amica, senza dover fare le pulizie o aiutare in cucina per stare con lei." Quindi era questo a pesargli?

"È il mio compito. E se..."

Sbuffò. "Non è vero, sei tu a pensarlo."

Non era la prima volta che ne discutevamo. Ciò che mi sorprendeva era che non riusciva a capirmi a pieno. Forse esageravo, ma non riuscivo ad agire in modo diverso. In quella casa, io mantenevo l'equilibrio.

Solitamente il discorso dopo poco terminava, per volere di uno o dell'altro. In quel caso fu diverso. Luca non aveva intenzione di stare in silenzio, voleva arrivare a una soluzione.

"Da quando è iniziata l'estate, sono già successe molte cose. Alisia si è ammalata, Amelia continua a lamentarsi, Agnese per poco non iniziava a piangere... Come se non bastasse, quel Dante continua a venire qui e a rovinare sempre tutto!"

"Continui a nominarlo, ma a me non interessa niente di lui! Tuo fratello ha detto che non ci sarebbero stati problemi se fossi venuta al mare. Ho atteso che me ne riparlassi, ma non lo hai fatto. So che mi vuoi bene e che vuoi sempre stare dietro ai bisogni degli altri, ma questa volta stai trascurando i miei."

Non proferii parola, rimasi impalata.

"Non importa, me ne vado" e sbatté la porta alle sue spalle. Tutto ciò che feci fu seguirlo rimanendo in silenzio e guardandolo andare via, pietrificata.

"Ha sbattuto la porta" commentai con un filo di voce quando Adrian mi venne accanto. Non lo aveva mai fatto. Mi sentivo ferita e delusa. E tutto ciò a cui riuscivo a pensare era alla tazza e alla sfortuna a cui ero destinata.

Non parlai per tutto il giorno, non riuscivo a metabolizzare. E tutto ciò che facevo era scaricare le mie emozioni lavando i piatti. Non erano mai stati così lucidi prima di allora.

Passarono le ore e non riuscivo a smettere di sistemare la casa, a partire dai cuscini del divano, fino ai giochi dei gemelli lasciati sparsi per il salotto. Poi passai a spolverare i mobili anche se non c'era nemmeno un granello di polvere.

Amelia mi era passata accanto, ma non ne avevo percepito la presenza. Dopo qualche minuto, ad avvicinarsi fu Agnese. La sua vicinanza alleggerì la tensione per qualche secondo.

"Tieni" e mi passò un ghiacciolo. Agnese sapeva che mangiavo spesso gelati o ghiaccioli, perché mi tiravano su il morale.

"Grazie" sussurrai come se non avessi le forze per dire altro. E non erano le pulizie ad aver prosciugato le mie energie: era timore. Avevo paura che fosse successo l'irrimediabile.

Se n'era solo andato. Probabilmente il giorno successivo avremmo parlato normalmente come eravamo soliti fare, ma sentivo che quella volta era diverso. La delusione nei suoi occhi, la frustrazione che trapelava dalle sue parole me lo facevano credere. Perché era così difficile staccarmi dalla routine?

Per non starmene con le mani in mano, divorata dall'agonia, decisi di preparare una crostata. Pensai di aver seguito la ricetta passo dopo passo ma il risultato fu un flop totale. Questo non fece che aumentare la mia agitazione e il mio malumore.

Decisi di inviare un messaggio a Luca. Ne seguì un altro. E poi un altro ancora, giusto per raggiungere la perfezione e avere un po' di fortuna inviandone tre. Nonostante la lunga attesa, non mi aveva risposto.

Adrian entrò in cucina. "Sorellina, cos'hai preparato di buono?"

Si avvicinò alla crostata, ne tagliò una fetta minuscola (probabilmente per diffidenza) e assaggiò. Nemmeno guardai la sua espressione, potei solo immaginare dai versi che emise.

"Cosa è andato storto questa volta?" Si riferiva all'impasto, ma non sapeva che era tutto il giorno che reprimevo emozioni negative e bastava poco per liberarle. Lo stress era sicuramente il motivo per cui quel dolce aveva un gusto orribile!

"Tutto, tutto è andato storto! Luca non mi rivolge parola e non risponde ai miei messaggi. Io lo conosco, questo non è mai successo prima! Lui è il mio unico amico, o almeno lo era fino ad ora..."

"Non essere drammatica, risolverete." Non riusciva a capire quanto per me la situazione fosse grave. "Non avevi altre amiche?"

"No. Non parlo con nessuno da quando è iniziato il liceo. Luca per me è importante e rischio di perderlo per colpa..." Tempismo perfetto: il campanello suonò.

Rimasi in cucina, fu Adrian ad aprire la porta. Cercai di sbollire il nervosismo. Per smettere di pensare, tentai di concentrarmi a deglutire la crostata. Quando Adrian tornò, mi diede la notizia che fece traboccare la goccia dal vaso.

"È Dante. Rimane a dormire da noi per qualche giorno. Senti Ada, non..." Troppo tardi per ascoltare le sue spiegazioni. Con la rabbia e lo stress che mi ribollivano nel sangue, mi diressi da lui. Nonna non mi stava aiutando con la maledizione. Ciò significava che lo sarei diventata io, io sarei stata la sua maledizione!

"Tu!" dissi appena lo vidi. Strabuzzò gli occhi verso la mia direzione. Dopo l'espressione di sorpresa, ne seguì una infastidita. "Per colpa tua Luca non mi parla più! E come se non bastasse, hai la faccia tosta di venire a dormire a casa nostra!"

"Cosa ho fatto questa volta? Chi è Luca?" chiese confuso.

"Mi hai rotto la tazza e ora è successo tutto questo. Sei un egoista e un arrogante!" Quel poco che era rimasto dell'Ada razionale stava probabilmente ridendo. Era l'agitazione, la paura, la tristezza a farmi parlare. Mi sentivo sola perché credevo di aver perso Luca e lui prima di allora era sempre stato al mio fianco.

Dante smise di rivolgersi a me e guardò Adrian alle mie spalle. "Se sono un disturbo, posso andare da Diego o da Enea. Adri, puoi dirmelo, veramente."

"Sì, lo sei" lo anticipai io e me ne pentii subito. Forse Dante sembrava solo la valvola di sfogo perfetta e riuscivo a liberare tutta la rabbia mista alla tristezza.
Sentivo di poter scoppiare da un momento all'altro e avevo paura di mostrarmi debole.

"No, Dante. Rimani. E il discorso è chiuso. Ada, non interferire." E fu lì che crollai e il pianto ebbe la meglio. Mi sentivo così patetica, ma sapevo che prima o poi sarebbe successo.

"Ada" pronunciò Adrian come per consolarmi, ma alzai la mano per far capire che stavo bene, avevo solo bisogno di sfogarmi e tirare fuori tutte le lacrime.

Amelia si avvicinò a noi senza notare il mio stato d'animo. "Ada, ho fame."

Il tempo era trascorso così in fretta che non mi ero accorta che il sole era già tramontato. L'instabilità del momento non fece che aumentare i miei sensi di colpa.

"Ho un'idea," affermò Dante, "perché non ordiniamo la pizza?"

"Sì!" esclamò euforica Amelia. "La voglio con i funghi!"

"Ma nemmeno la mangi!" fece Adri, scocciato, perché consapevole di essere costretto a cambiare il gusto.

"Sì che la mangio, ma te ne lascio un pezzo, perché sei il mio fratellone preferito!" E fece l'occhiolino. "Ma non dirlo ad Ariele" aggiunse poi sussurrando.

Decisi di allontanarmi e uscire in giardino per prendere una boccata d'aria e riflettere. Fuori tirava un leggero vento. Mi sedetti sull'erba fresca.

Osservai lo schermo del mio telefono. Controllai le notifiche, poi tentai nuovamente di scrivere a Luca. Solo un messaggio.
Mi sdraiai e rimasi a guardare il cielo per un tempo indefinito. Provai a chiamarlo e restai ad ascoltare gli squilli a vuoto.

"Lascialo perdere," disse Adrian raggiungendomi e prendendomi il telefono dalle mani, "quel ragazzo non mi piaceva."

"A te non piace nessuno."

"Dai vieni a mangiare. La pizza è arrivata da un pezzo" cambiò discorso.

"Ora non mi va."

"Va bene, puoi mangiare più tardi, ma devi scusarti con Dante."

"Cosa? Non ci penso proprio."

"Hai esagerato e sai di non essere così." Sì, sapevo che non era da me arrabbiarmi o prendermela con le persone.

"Perché avrei esagerato?" domandai però, intuendo che ci fosse qualcosa sotto.

"Devi prenderti le tue responsabilità e devi smetterla di credere nel destino, o giuro che prima o poi ti sequestro il diario della nonna!" C'era sicuramente altro, così decisi di contraddirlo ancora.

"Non mi hai convinta."

"Senti Ada, Dante starà un po' da noi, non ti darà fastidio." Ne dubitavo. "Ma ne ha bisogno. A casa non sta passando un momento facile. I suoi litigano da sempre e ora vogliono divorziare. Non ha fratelli. Dante è irascibile, non riesce a stare in quella casa circondato da urla, rabbia e contrasti. Sono stato io a proporgli di venire da noi, perché noi sappiamo cosa significa essere una famiglia. Ed ero certo che tu lo avresti fatto sentire parte della nostra."

Riuscii a dimenticarmi dei pensieri precedenti per i nuovi sensi di colpa che mi salirono. Il mio impegno per mantenere l'equilibrio era andato perso e tutto per una semplice tazza rotta. Iniziai a immaginare lo stato d'animo di Dante, che era rimasto solo. E tutto ciò che avevo fatto era distruggerlo ancora di più.

"Non parli? Ti ho convinta?"

"Mmh forse." Vidi un leggero sorriso stamparsi sul suo volto.

Prima di rientrare in casa mi fece notare di avere ancora il mio telefono in mano. "Questo lo tengo io."

Non mi lamentai oltre. In fondo Luca non rispondeva, non reagiva nemmeno chiudendo le chiamate, non dava segni. Il telefono non mi serviva.

Mi alzai dal prato e andai nella direzione della porta d'ingresso. Già da lontano notai una sagoma seduta sugli scalini ed era Dante. Occasione perfetta, pensai. Ma mi sentivo così infantile per il comportamento avuto che temetti di non trovare il coraggio di parlargli.

Mi sedetti silenziosamente accanto a lui. Non aprì bocca, rimase immobile, pensieroso, a godersi il venticello. Non sentivo nemmeno il suo respiro a differenza del mio, segno dell'agitazione impregnata nel mio corpo.

"Scusa." Sfoggiai tutto il coraggio di cui l'istinto aveva avuto traccia. Nonostante la parola tremolante, sentii finalmente una sensazione di libertà.

A quel punto si girò e mi guardò con aria interrogativa. "Scusa, che hai detto?"

"Lo fai apposta? Come fai a non sentire?" Era stato difficile dirlo una volta e mi stava chiedendo di ripetere. Come potevo stare calma?

"No, ho sentito. Ma non ho capito perché l'hai detto" spiegò.

"Allora perché chiedi di ripetere, se ciò che vuoi sapere è il motivo?" Fece spallucce. "Non importa, lasciamo stare."

"Non hai risposto comunque."

Ecco arrivato il momento ancora più complicato: ammettere gli sbagli. "Ti ho attribuito colpe che non avevi. Sì insomma, la tazza l'hai rotta tu, ma non ha a che fare con ciò che è accaduto successivamente. Mi dispiace per come mi sono rivolta a te, soprattutto in un momento del genere. Non pensavo."

"E cosa pensavi?"

"Che la tua vita fosse perfetta." Sorrise, un sorriso colmo di amarezza. "E che per questo sei così arrogante e menefreghista."

"Deve essere necessariamente visto come un difetto? Meglio non fregarsene delle cavolate, piuttosto che arrabbiarsi per una tazza."

Lo guardai male. Stava procedendo così bene il discorso, almeno fino a quando non mi aveva offesa.

"Va bene, io torno dentro." Anche se volevo rimanere lì fuori a godermi la pace e la tranquillità.

Non disse nulla. Dopo essermi avvicinata alla porta di casa però, attirò la mia attenzione.

"Non hai dei momenti in cui senti il bisogno dei tuoi genitori?" Quella domanda improvvisa mi stupì. Sembrava che la custodisse da tempo dentro di sé e che aspettasse solo il momento o la persona giusta a cui porla.

Guardai il cielo. Solo una stella era visibile, o forse due. "Ogni tanto. Ogni tanto sì."

In realtà ne avevo sempre bisogno. Di papà che mi accarezzasse i capelli prima di andare a dormire, mi sorridesse per ogni piccolo successo, mi guardasse con occhi sinceri. Di mamma che preparasse i suoi piatti speciali, mi aiutasse a decidere i capi da indossare per un evento importante, sapesse darmi i consigli perfetti. Ne avevo bisogno. Ma ero abituata a nascondere i miei bisogni, a dimenticarli, per rispettare quelli altrui. Così fingevo che mi bastassero i pochi giorni in cui rientravano a casa.

"Mmh" mugugnò. "Adrian mi ha raccontato dei vostri. Sono spesso assenti per lavoro, ma almeno ci sono, credo."

Aspettavo solo che tornassero per passare un po' di tempo tutti assieme. C'era tanto da dire, ma poco tempo per farlo. Per questo motivo, quando possibile, scattavo foto su foto con la mia polaroid, per custodirle e mostrarle in un secondo momento.

Anche mamma adorava i ricordi e, a seguito dei numerosi voli, aveva un bagaglio pieno di esperienze da portare a casa.
L'azione di papà era differente e affascinava Adrian e i più piccoli, perché aggiungeva dettagli inventati che rendevano il suo lavoro più entusiasmante di quanto già non fosse.

"Deve essere proprio figo avere un padre bodyguard" commentò. Rimasi in silenzio. Lo era. Quando ne parlava, gli scintillavano gli occhi, proprio come a mamma, quando riportava le cartoline e descriveva i posti visitati.

"Tu e Adrian parlate tanto, ma non ti avevo mai visto prima di quest'estate."

Proprio in quel momento, mio fratello fece sbucare la testa fuori dalla porta principale socchiusa. Tirò fuori anche il braccio e in mano teneva un asciugamano che lanciò a Dante.

"Tieni, puoi andare a farti la doccia. Ti sentirai meglio" e l'amico annuì.

Adrian sparì dalla nostra vista e Dante si alzò dagli scalini per dirigersi in bagno, ma non prima di sussurrare: "È rimasta la pizza. Vai a mangiare prima che si freddi."

Notai sul volto un'aria malinconica e mi salì un grande senso di dispiacere. 
Seguii il suo consiglio e addentai due tranci di pizza.

Poi andai a controllare la situazione in casa. Agnese e Amelia stavano guardando la tv. I loro visi erano pallidi, entrambe le bocche aperte, vigili e in attesa di prepararsi al peggio. Diedi un'occhiata allo schermo per qualche secondo e constatai che non si trattava di cartoni, quanto di un film horror.

"Hei!" Presi il telecomando e cambiai subito canale, ma non abbastanza in fretta da evitare una scena di sangue. Le urla furono inevitabili. "Chi vi ha dato il permesso di guardarlo?"

Credevo che la decisione fosse stata la loro, invece risposero in coro: "Adrian!"

Infuriata, andai a cercarlo. Nel farlo però, sentii dei lamenti provenire dalla stanza dei gemelli. Stavano litigando e Alisia era in procinto di piangere.

"Andri, Ali, che succede?" Mi avvicinai cercando di separarli leggermente per impedire loro di aggredirsi. Alisia puntò con l'indice Andrea lasciando intendere che le avesse rubato il gioco che lui teneva in mano.

"Avete altre macchinine. Scegline una tra quelle" e le indicai, "e giocate insieme. Guarda, io scelgo questa blu. A te piace il rosa, no? Prendi questa, sono sicura che ti piace più di quella gialla che ha Andrea."

Alisia la osservò. Non sentii più nessun verso lagnoso. Rimasi un po' a giocare con loro per distrarli e, una volta distratti, li lasciai continuare da soli.

Non rimaneva che occuparmi di Adrian! Non potevo credere al fatto che fosse più grande di me, ma dovessi riprenderlo come un bambino!

"Adrian!" esclamai dopo aver spalancato la porta di camera sua. Si trovava sul suo letto con il telefono in mano. "Come ti viene in mente di lasciare Agnese e Amelia guardare un film horror? Spaventano anche me, figurati due della loro età!"

"Ada" mi richiamò, ma lasciai perdere continuando a fargli la predica.

"Amelia questa notte non riuscirà sicuramente a dormire e Agnese non ha un carattere abbastanza forte da tollerare determinate scene."

"Ada" ripeté.

Avevo finito di dire quello che c'era da dire. "Che c'è?"

Spostò lo sguardo verso un angolo della camera, vicino all'armadio. "La prossima volta bussa."

Confusa, mi sporsi leggermente per vedere cosa fosse successo. Mi aspettò un sorriso imbarazzato di Dante, avvolto dall'asciugamano e con i capelli bagnati. Ero talmente furiosa che non mi interessò più di tanto. Ero abituata a vedere Adrian uscire in mutande dal bagno. Finché erano coperti, andava bene.

Sbuffai. "Hai sentito almeno cosa ti ho detto?"

"Sì sì." Odiavo quel genere di risposta.

"Cavolo, il peggio è che non posso nemmeno metterti in punizione. Quando inizierai ad essere più maturo?"

"Quando non avrò una sorella che si comporta da mamma." Quel commentò mi lasciò senza parole. Mi sentii infastidita e ciò che aumentò quella sensazione fu la risata di Dante.

Rimasi a bocca aperta, delusa. Scossi semplicemente il capo e uscii dalla stanza. Mi fermai qualche secondo, vicino alla camera di Ariele, così decisi di entrare.

Stava studiando. Aveva una lampada con la luce puntata sui libri. Sosteneva che fosse un metodo per mantenere la concentrazione e non lasciare che la confusione della stanza lo distraesse. In realtà Ari era un maniaco della perfezione. A distrarlo era proprio questa mania.

Accesi la luce, detestavo quell'effetto: un filo di illuminazione e tutto intorno buio totale. Non lo avrei disturbato per molto.

Sospese lo studio e mi sorrise rilassandomi con quel semplice gesto. In fondo a me bastava poco. "Giornata dura eh?"

"Come mi capisci" e lo abbracciai.

"So come ti senti Ada. E sai che non devi necessariamente stare dietro a tutto. Possiamo trovare una soluzione insieme."

"No, siamo grandi Ari. Ce la facciamo così" troncai il discorso sul nascere.

Anche lui sembrò distrarsi. "La posizione di questa scrivania mi disturba, non pensi sia meglio spostarla? Magari dovrei cambiare completamente la distribuzione della stanza. Sapevo che avrei dovuto scegliere quella di Adrian. È più piccola, ma lo spazio può essere sfruttato al meglio..."

"Sai cosa?" e spensi la luce. "Ti lascio studiare che è meglio."

Lasciò da parte i suoi progetti e, mentre chiudevo la porta con cautela, lo sentii ripetere a voce alta. La stanza, per suo volere, era insonorizzata, perciò appena fui fuori, assaporai il silenzio, anche se per un tempo brevissimo. Difatti subito dopo raggiunsi i gemelli.

Notai che si erano scambiati le macchinine. Andrea aveva in mano quella rosa e Alisia la gialla.

"È ora di dormire!" Presi i pigiami sotto i loro cuscini e li aiutai a cambiarsi.

"La storia!" esclamò euforica Alisia, già pronta sul letto.

I gemelli sembravano abbastanza svegli, quindi mi toccava raccontare una storia che fosse veramente per bambini. Non avevo il quadernino a portata di mano, decisi di inventarla sul momento.

"Allora, state bene attenti. Questa è la storia di un pulcino..."

"Mi piacciono i pulcini!" mi interruppe Alisia.

"Ma io preferisco le tartarughe!" brontolò Andri.

"Ehi. I patti sono che dovete ascoltare senza fare domande, va bene?" Annuirono silenziosamente iniziando a rispettare la mia richiesta. "Quindi... Il pulcino viveva con i genitori, ma non avendo fratelli, si annoiava sempre. Così un giorno decise di uscire dal pollaio e andare alla ricerca di qualche amico. Passando vicino a un laghetto, vide alcuni pesci. Quando uno di loro fece un salto fuori dall'acqua, il pulcino lo chiamò per attirare la sua attenzione. Gli chiese, Vuoi diventare mio amico? Ma il pesce non era d'accordo. I pulcini sono amici dei pulcini, non dei pesci!, aveva detto. Così il pulcino continuò la sua ricerca. Si avvicinò a un pollaio e vide dei pulcini giocare. Posso unirmi?, aveva chiesto. Ma iniziarono a prenderlo in giro. Il pulcino non sapeva dove andare, non ricordava nemmeno la strada per tornare a casa. Impaurito, iniziò a piangere. Ad un certo punto, si avvicinò una tartaruga. Ti sei perso?, gli domandò. Il pulcino rispose di sì. La tartaruga gli diede una caramella per farlo stare meglio, poi lo portò dalla sua famiglia dove lo accolsero calorosamente. Il pulcino stava così bene con loro che non volle più tornare a casa."

Non sapevo come terminare la storia, ma decisi che fosse abbastanza.

"Ma i pulcini non mangiano caramelle..." farfugliò Ali, assonnata.

"Vorrei una tartaruga..." borbottò Andrea, "...sono così gentili..."

Sorrisi e mi rannicchiai sul letto di Alisia per assicurarmi che non si svegliassero. La stanchezza, però, prese anche me e non mi accorsi di essermi addormentata finché non fu Agnese a svegliarmi.

"Ada." Mi scosse leggermente e mi svegliai subito, ancora nello stato di veglia. "Puoi dormire con me e Ami?"

"Certo" le sorrisi per rassicurarla. In fondo me lo immaginavo.

Quando mi alzai e feci per uscire dalla stanza, notai qualcuno lì fuori. Amelia e Dante stavano aspettando. Corrucciai il viso.

"Tu che ci fai qui?"

"Ero sceso a bere dell'acqua e mi hanno chiesto di accompagnarle fino a qui" spiegò. Amelia gli stava tenendo la mano.

"Ah!" sbuffai. "Tutto merito di Adrian!"

"Se vuoi, lo sistemo io" e fece l'occhiolino.

"Cos'è? Credi forse che voglia essere una tua complice? Scordatelo."

"Ma come, credevo che con le tue scuse avessimo risolto" mi stuzzicò. Spalancai la bocca sconcertata.

"A proposito di scuse..." Stava veramente per chiedermi scusa? "Credo che il pesce avrebbe dovuto scusarsi con il pulcino, è stato crudele da parte sua."

Fece un sorriso beffardo, probabilmente si stava godendo la mia espressione basita e seccata al contempo.
Come potevo farlo sentire parte della famiglia se lui era così... irritante?

__________
Autrice
Mi sto divertendo a scrivere questi capitoli e spero anche voi nel leggerli.
Ora sono curiosa di sapere se vi ritrovate in qualche personaggio.

Anche a voi come Ada capita di ricoprire un ruolo di cui sentite la mancanza?
Anche voi come Dante non riuscite a ricambiare un bel gesto con uno altrettanto positivo?

Sarà forse diffidenza? O sfiducia? O abitudine? Lo scoprirete leggendo! Intanto diamo il via alle analisi e alle supposizioni!

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