ᴘʀᴏʟᴏɢᴏ

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24 Dicembre

Quella notte era gelida, il freddo quasi piacevole se ci si rannicchiava davanti al caminetto. Fuori l'oscurità si faceva avanti durante le tarde ore del pomeriggio. Sembravano le nove di sera, ma in realtà aspettavamo ancora di cenare. Io specialmente aspettavo impaziente quella cena, la cena della vigilia, quella che avrebbe dato inizio alla mia festa preferita: il Natale.

Avevo sempre amato scartare i regali. Li consideravo dei futuri ricordi di chi me li regalava, non dei semplici oggetti. Per me ogni pacco era speciale a modo suo e aveva un suo unico valore, tanto che riempivo la mia stanza di giocattoli inutili e persino la carta dei pacchetti era sistemata dentro a delle scatole.

"Alis tesoro..." disse mia nonna avvicinandosi e accarezzandomi la guancia con le sue mani calde. Le sue dita appoggiate sul mio viso facevano ricadere un filo dei tanti anni dolorosi che aveva passato sulla mia gioventù.

Nonna Rose era la più gentile al mondo, non avevo mai litigato con lei. E quello rafforzava il nostro affetto, pensare di non essere mai state in conflitto.

Le sorrisi, perché sapevo che quel gesto l'avrebbe resa felice in un attimo. E in effetti sorrise anche lei.

"Mi aiuti ad apparecchiare?" chiese gentilmente.

Lo facevo spesso insieme a nonna. Era il nostro momento: apparecchiare la tavola. Ci dividevamo i ruoli sempre, a seconda di ciò che riuscivamo a fare. Per esempio, io non riuscivo ad arrivare alle mensole in cui erano appoggiati i bicchieri, ero ancora piccola e non bastava alzarmi sulle punte, così lo faceva nonna.

"Va bene" le risposi alzandomi piano piano dal pavimento per andare ad aiutarla. Subito sentii la nostalgia del calore del caminetto.

Raggiungemmo la cucina ed iniziammo ad apparecchiare l'enorme tavolo di legno. Presi la tovaglia da due estremità e nonna dalle due estremità opposte. La alzammo in aria e la facemmo ricadere lentamente sulla superficie del tavolo.

Il compito dei bicchieri e dei piatti spettava a nonna Rose, mentre io mi occupavo dei tovaglioli e delle posate.
Nessun centrotavola. Preferivamo di gran lunga gli antipasti ai fiori! I vasi occupavano il loro posto negli angoli della sala. In casa c'erano diversi spazi dedicati ai fiori: i corridoi, l'entrata ed altri posti che altrimenti verrebbero trascurati e lasciati vuoti.

"Finito" esclamai fiera sotto gli occhi lucidi di nonna. "Aspettiamo solo papà, mamma e gli zii" continuai speranzosa.

Papà era andato a lavoro, mentre mamma era in viaggio da una settimana. Mi ero addormentata quando era dovuta partire la sera per lavoro, cosicché non avevo potuto salutarla. Non ero riuscita nemmeno a parlarle, il telefono era sempre occupato. E un po' mi dispiaceva, perché prima di partire non stava molto bene. Aveva la febbre alta, così mi disse papà. Andavo in camera sua a darle un bacio quando potevo, sentivo che quel gesto poteva farla sentire meglio, un po' come faceva sentire meglio nonna.
Quando partì, ci rimasi male. Aspettavo che anche lei ricambiasse i miei baci, ma ero riuscita a perdonarla nei giorni in cui non c'era, perché sapevo che sarebbe ritornata presto ad abbracciarmi.

Il campanello suonò.
Il nostro campanello era il migliore. A mio parere era l'unico sopportabile in tutto il mondo. Al posto di un suono assordante e ripetitivo, avevamo impostato una serie di canzoncine. Idea del mio fantastico nonno, Rand. In quel momento stava sicuramente dormendo in qualche stanza.

Dall'altra parte della porta c'erano zia Shevon e zio Jack con mia cugina Ashley. Salutai quest'ultima abbracciandola, mio zio e mia zia mi diedero due baci sulla fronte.

Aspettammo papà seduti sui divani a chiacchierare e arrivò dopo poco tempo. Corsi ad abbracciarlo, mi prese in braccio e mi fece fare un giro con le gambe in aria. Era tutto perfetto. Sentivo l'adrenalina scorrermi nelle vene, una grinta mai sentita prima, l'entusiasmo al limite.

Ci sedemmo a tavola, per non rischiare di tardare troppo. Mi misi a parlare con Ashley, l'unica coetanea presente in sala, ma non mi dimenticavo di mamma, anzi aspettavo impaziente che il campanello suonasse. Pensai che l'aereo stesse ritardando, quindi non ne feci un dramma e continuai a mangiare tranquillamente.

La cucina di nonna era buonissima. I suoi genitori erano italiani, quindi cucinavano gli stessi piatti di nonna. Preparava spesso la pizza e non sbagliava mai, le veniva sempre soffice e buonissima, al contrario dei ristoranti americani.

Era ormai tardi e avevamo tutti finito di mangiare il primo, il secondo e il dolce. Per poco più di mezz'ora eravamo rimasti sul divanetto davanti al camino a parlare quando gli zii decidettero di tornare a casa.

Una volta che la porta si chiuse, controllai l'ora nonostante non sapessi leggere l'orologio. Mi sembrava abbastanza tardi da farmi avanti. Sentivo la mancanza dentro divorarmi, una nostalgia pari all'entusiasmo provato precedentemente. Non avevo bisogno di sapere quanto tempo fosse passato, quel tempo ce l'avevo segnato dentro la mia mente. Non solo quel giorno, anche i precedenti.

"Perché mamma non è venuta?" mi rivolgei a mio padre che abbassò lo sguardo per un secondo per poi rialzarlo.

"Ci sarà qualche problema con l'aereo" disse con poca convinzione come se fosse una risposta pensata al momento. Iniziai a farmi qualche domanda, più che altro sentivo che qualcosa non andava.

"Ma i problemi si risolvono sempre... è passato troppo tempo ormai" notai. Papà non rispose. Vedevo lo sguardo complice di nonno, ma non sapevo la complicità in cosa consisteva. Ero sul punto di scoppiare a piangere come una figlia che sente il bisogno di rivedere la madre.

"Cos'è successo?" continuai. In quel momento provai un forte interesse verso gli aerei, volevo sapere tutto: come funzionavano, quando partivano, chi li pilotava...

"Alis, si sa che gli aerei a volte non partono nell'orario stabilito" cercò di giustificarsi.

"E perché non chiama?"

"Avrà qualche problema con il telefono..."

Nonna era entrata in salotto appena finito di lavare i piatti. Ci guardò con il suo viso dispiaciuto. Io continuavo a non capire. Era la verità?

"Ma gli aerei? Gli aerei quanto possono tardare?"

"Gli aerei possono tardare per qualche minuto, qualche ora... o persino per sempre. Come gli aereoplanini di carta. Spiccano il volo, volano per qualche secondo e poi cadono" fece dei versi strani e mosse la mano come un'onda per farmi capire la scena.

"L'aereo di mamma è caduto?" mi incuriosii; lui scosse il capo confondendomi. Non mi ero accorta di avere gli occhi lucidi, tutto ciò mi faceva impressione, ma io ascoltavo e ascoltavo.

"Anche le persone sono come gli aerei. Il pilota è il cuore, ma il pilota a volte perde il controllo. E sono secondi, minuti, ore... Ma poi l'aereo cade" sembrava la mia maestra, quando qualcuno faceva male ad un altro.
Iniziava con quei discorsi che io non capivo. La differenza era che alla maestra non facevo così tante domande, mi annoiavo e basta.

"E il cuore di mamma ha perso il controllo?" non sapevo nemmeno io cosa significasse quella frase, ma lo capii subito dopo. Certe volte i bambini comprendono più degli adulti.

"È caduto. Non ce la faceva a resistere, una volta perso il controllo non puoi più tornare indietro."

Le lacrime si fecero avanti. Avevo perso anche io il controllo. Non il mio pilota, ma la mia voglia di volare. Mi stava crollando qualcosa e forse erano le mie emozioni.
Restai lì per secondi, minuti, forse ore, come diceva papà, impalata a pensare ad un aereo. Che cade.

Era strano vivere quella situazione a quell'età così giovane, nella quale non ti rendi conto di ciò che accade realmente intorno a te, non ne comprendi la gravità. Io non la capivo perfettamente la gravità, la sentivo. Sentivo che era successo il peggio, eppure stentavo a crederci. Le conseguenze si riversavano su di me senza veramente spiegarmi che non si trattava solo di un momento, piuttosto di tutta la mia vita.

Corsi in camera mia e chiusi la porta a chiave, senza dare colpe a nessuno. Avevo sette anni, come potevo pretendere che mi dicessero la verità dall'inizio, soprattutto da persone buone come loro?

Saltai sopra il letto a pancia in giù e diedi sfogo a emozioni oscure che non pensavo di possedere, che nessuna bambina di sette anni avrebbe creduto di avere. Mi immaginavo sdraiata accanto a mamma. Cercavo di sentire il suo bacio sulla guancia, ma l'unica cosa umida erano le lacrime che creavano un'illusione. Piacevole o no, era un'illusione.

"Mamma, perché non hai detto al pilota di fermare l'aereo e aspettarmi? Volevo venire con te..." parlai nel silenzio della stanza e nel rumore dei singhiozzi.

Quella notte, la mia notte speciale, era stata rovinata. Non avevo mai avuto l'occasione di salutare per l'ultima volta mia madre che mi aveva lasciato senza una minima speranza di poterla rivedere. Quella speranza, di quella sera, fu bruciata, bruciando tutte le future speranze possibili per effetto domino...

La ciliegina sulla torta era che il giorno seguente sarebbe stato Natale: da quel giorno, il mio giorno peggiore.


ℳ𝒶𝒹 •𝒶𝓂

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