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Alis

Mercoledì

"Carol, se non è un fastidio, puoi restare" disse papà. Erano tutti seduti sui divani a parlare di come lui e nonno avevano passato la settimana e a cercare di convincere Carol a rimanere. Lei credeva che ormai fosse un disturbo, ma papà le stava spiegando il contrario; era stata molto d'aiuto in casa e anche lei aveva bisogno di un lavoro.

"Non è un fastidio, ma per voi potrei essere un disturbo", all'inizio il suo compito era pulire, dare una mano a nonna e tenerle compagnia per una settimana, fin quando sarebbe tornato papà. E ora che il suo compito era stato eseguito, credeva che noi la trattenessimo solo per compassione.

"Carol, fallo per me: resta" supplicò nonna.

"Rose... per te farei di tutto", nutrivano un grande affetto l'una per l'altra. Non era una risposta concreta, ma lo sarebbe stata qualche minuto dopo. Io ascoltavo la conversazione aspettando un po' prima di andare a scuola, avevo ancora abbastanza tempo.

"Quindi? Hai deciso di continuare?" chiese papà.

"Sì, va bene."

"Alis, vuoi che ti accompagni io a scuola?" si rivolse poi a me.

"Prendo lo zaino e andiamo."

Fuori tirava un po' di vento, sarebbe stato piacevole se non fosse accompagnato dall'aria fredda della stagione. Ebbi un brivido e cercai di riscaldarmi con le mie stesse mani ed entrai in macchina.

"Oggi è più freddo del solito" notai.

"Non noto differenze, sono stato in montagna ed era esattamente così il tempo se non peggio!" rise leggermente e accompagnai la sua risata spontanea con la mia.

"Ho una buona notizia" enunciò arrivato alla rotonda, gli occhi mi caddero sull'orologio al polso sinistro, lo metteva spesso, ormai faceva parte di lui!

"Cosa aspetti a dirmela?"

"Potrei diventare direttore dell'agenzia per la quale lavoro!" Non avevo mai ben capito realmente quale fosse il suo lavoro... quindi non riuscivo ad essere emozionata per la posizione che probabilmente avrebbe raggiunto.
"Non sei molto entusiasta."

"Scusa papà, è che ero troppo presa a capire quale fosse il tuo lavoro... me l'hai spiegato spesso quand'ero piccola, ma non ci capivo mai niente" risi imbarazzata ricordando quei tempi.

"Lavoro in un'agenzia di marketing, abbiamo un continuo flusso di clienti in cerca di aiuto per le loro aziende..." continuò a spiegare, ma mi bastò sapere la tipologia di agenzia di cui si trattava, avrei fatto poi ricerche per conto mio!

"Interessante," finsi di aver compreso, "sono felice per te, come sempre, ma posso sapere come mai riuscirai a diventare capo?"

"Il capo attuale tra pochi mesi andrà in pensione e mi ha chiamato più volte nel suo ufficio per dirmi che non conosceva nessun altro in grado di sostituirlo meglio di me. Ormai sono anni che lavoro lì e sono diventato un lavoratore di fiducia! In più, quest'uomo non aveva eredi, ha sempre mostrato un certo affetto per me, che andava oltre il lavoro."

"Non ho dubbi a riguardo, sei stato sempre un uomo eccellente. Non hai fallito in nessun caso" rivelai fiera di lui. Forse perché stava riflettendo sulle mie parole, forse perché ci credeva poco o forse perché eravamo arrivati al cancello della scuola, non aggiunse altro.

"Ci vediamo papà."

"Certo, ti terrò aggiornata!" fece l'occhiolino e si allontanò. Sorrisi come un ebete, perché papà mi lasciava sempre quel non so che di spensieratezza.

"Bellissima", la spensieratezza svanì e la causa prese il nome di Alan.

"Cosa c'è?" chiesi.

"Andiamo in classe insieme?", feci spallucce, ci sarei dovuta andare comunque, quindi la strada che avremmo preso sarebbe stata la stessa.

"Alis!" chiamò Matthew avvicinandosi; ormai appena arrivavo nel cortile della scuola, c'era sempre qualcuno pronto a venirmi incontro.

"Cosa c'è?" ripetei, più dolcemente.

"Niente, volevo solo venire più vicino..." sorrise, "ricordati di oggi."

Detto questo, fulminò Alan con lo sguardo e si allontanò. Mi voltai verso quest'ultimo, anche lui in quel momento non sembrava disporre di una grande simpatia. Scossi la testa, non volevo aver a che fare con quel problema se mai lo fosse stato. Continuai la mia strada e arrivai finalmente in classe.

"Senti..." ammiccò, "ma tu e Matthew siete molto legati?"

La domanda mi stupì... nemmeno io sapevo quanto eravamo legati. Ero affezionata a lui, ma era un affetto strano. Non risposi, lasciai nell'aria un filo sospeso. Lui probabilmente si dimenticò della domanda oppure non era interessato abbastanza della risposta.

Mi sedetti in mezzo ai due banchi, quello di Dan era ancora vuoto mentre Alan si sedette dopo di me. Sistemai i libri sotto il suo sguardo insistente, guardava incuriosito come se stesse aspettando che io finissi.

"Vuoi qualcosa?" chiesi così io.

"Prima non mi hai risposto", bene, allora gli interessava eccome. Ostinato come pareva, cercai di trovare una risposta adeguata che potesse prima chiarire me e poi lui.

"Siamo legati" mi limitai a dire.

"Quindi non molto" insistette speranzoso. Sbuffai infastidita, qual era il problema? Voleva provarci? Perché non mi andava giù la cosa, con una persona ci provi se sei innamorato o se hai un briciolo di ammirazione o desiderio, non dal nulla. In più non credevo molto nelle mie qualità che Ashley mi aveva sempre sottolineato di avere; se qualcuno mi avesse rivelato di provare qualcosa, non ci avrei creduto, lasciando correre il discorso come se non fosse mai stato aperto.

"Perché a volte parli e altre no? Il tuo silenzio mi mette in soggezione" disse scocciato giocherellando con un pezzo di plastica.

"E a me mettono in soggezione le tue parole."

"Visto? A volte reagisci e altre no."

"Perché non voglio parlare, il silenzio lo fa al posto mio. Significa tante cose, prima di tutto che il discorso non mi interessa e non voglio affrontarlo. Faccio un semplice esempio: quando parla Dan," mi fermai un secondo, "insomma, non fa altro che fare battute e punzecchiarmi. Il silenzio si spiega da solo."

"Anche io faccio battute."

"Infatti non ti rispondo sempre", sembrò pensarci su ed effettivamente le mie parole tornavano.

"Ci sei oggi alla partita di calcio?"

"Penso di sì" Aron sarebbe dovuto passare il pomeriggio, ma non sapevo se ci fossero cambi di programma.

A tal proposito, a ricreazione, raggiunsi i Kings. C'erano tutti, nessuna eccezione... sempre se esisteva qualcun altro non ancora uscito fuori. Alla fine i membri, anche ex membri del gruppo, spuntavano fuori come problemi, quando meno te li aspettavi.

"Sei la prima che passerò a prendere" fece Aron dopo aver parlato della partita. Se non ricordavo male, in campo giocavano Matthew, Lucas e Dan; insomma, metà gruppo a calcio e metà gruppo a basket. Solo Alan era un punto interrogativo.

Appena lo chiamai si girò immediatamente verso di me, volevo togliermi la curiosità: "Tu pratichi qualche sport?"

"No, ma se proprio vuoi posso diventare campione di qualsiasi sport."

Scossi la testa senza parole: "Sceglierei il più difficile solo per vedere cosa combini."

"Mettimi alla prova" ammiccò avvicinandosi. Matthew bloccò l'avvicinamento appoggiando la sua mano sull'addome di Alan e guardandolo male. Quel gesto mi stupì e volevo saperne la causa.

"Certo che hai combinato un bel casino" sussurò Aron alle mie orecchie.

"Cosa intendi?"

"Non vedi Matt e Alan? Una volta andavano d'accordo, mentre ora la presenza dell'altro li infastidisce. A me queste scene fanno solo divertire..."

"E dove entro in scena io?" non aveva ancora spiegato cosa c'entravo io e che casino avevo potuto combinare.

"Qui, in quello che ti ho detto. Non guardarmi storto, è la verità. Quei due vogliono una sola cosa..." lo interruppi subito gesticolando con le mani e intimando di non continuare.
Le sue parole mi fecero pensare, ero veramente io la causa che tanto desideravo conoscere? Che stupidaggine! Chi mai può rovinare un'amicizia per contendersi qualcosa o in quel caso, qualcuno?
Più ci riflettevo e più mi sembrava irragionevole, impossibile. Io ero una conoscente, come per Matthew anche per Alan, lui specialmente.

Scossi la testa per cacciare quei pensieri dalla testa, speravo che nessuno mi avesse visto, ma le mie speranze ovviamente erano vane, Aron si era messo a ridere.

"Di cosa stavate parlando?", Matthew si avvicinò.

"Nulla" risposi subito imbarazzata.

"Di quanto Alan sia cotto di lei!" sorrise Aron, poteva risparmiarsela. Matt lo guardò male, poi rivolse uno sguardo a me.

"Beh Alan è arrivato tardi..." borbottò infastidito mandandomi il cervello in confusione.

"Non è di tuo possesso" si intromise Alan, mi chiedevo come avesse fatto a sentirlo.
Ci fu una gara di sguardi tra i due, se avessero avuto dei poteri, si sarebbero inceneriti entrambi sul posto.

"Sei arrivato tardi" ripeté Matt ringhiando aggrappandosi a quella scusa. Quando avevano intenzione di smetterla? Non li sopportavo affatto.

"Smettetela" intimò Aron prima che la discussione continuasse. Ero completamente d'accordo con le sue parole, ma in fondo era stato lui a far partire tutto.

Alan si allontanò insieme a Thomas, mentre noi rimanemmo lì fino al suono della campanella. Matthew mi salutò cercando di sorridermi, ma la sua rabbia era evidente. Non sapevo più cosa pensare, non riuscivo a credere che la causa di quel trambusto fossi io... e continuavo a convincermi di questo. Arrivai in classe con l'umore caduto. Dan e Alan erano già entrati stranamente e stavano in silenzio entrambi come se non ci fosse la presenza dell'altro.
Mi feci piccola piccola quando mi sedetti in mezzo ai loro banchi, mi sentivo un po' a disagio.

Dan continuava a guardarmi male, io mi sentivo sempre peggio, mi sentivo di troppo. Non sapevo spiegare se le mie sensazioni fossero sensate o meno.
Non riuscivo più nemmeno a dirgli di smetterla di fissarmi, mi limitai a non guardarlo nemmeno io e concentrarmi sulla lezione appena iniziata.

Ormai erano molte le lezioni che comprendevo a stento, un po' perché mi annoiavano, un po' perché pensavo troppo e un po' perché avevo vicino due compagni di classe che non me lo permettevano.
Avevo però la fortuna di andare bene a scuola aldilà di quello, mi bastava leggere un argomento una volta per capirlo, memorizzarlo era un altro conto. Ma non ero preoccupata del mio andamento, ero certa che avrei passato l'anno e fortunatamente avevo scelto la strada giusta ovvero dare attenzioni alla scuola. Mia nonna stava meglio e, ora che vivevamo insieme, passare il tempo con lei era più semplice.

All'ultima ora, Dan uscì dalla scuola lasciando me e Alan da soli, sicuramente quello era l'ultimo dei suoi problemi. Chissà cosa doveva fare o se usciva prima solo perché si annoiava.

"Perché è uscito?" non riuscii a tenere la bocca chiusa.

"Lascialo fare, è sempre così. Fà di testa sua quando gli pare e piace" spiegò Alan, lo conosceva bene in fondo. E come non crederci? Lo vedevo con i miei stessi occhi che Dan faceva ciò che voleva e quando voleva e odiava essere contraddetto.

"Tu perché sei tornato in questa scuola? Mi è sembrato di capire che solo il quarto anno l'hai frequentato in un altro istituto..." mi incuriosii, per tutte le lezioni ero stata in silenzio, anche io avevo bisogno di parlare.

"Ti interessa così tanto?"

"Forse" era un forse utilizzato nel vero senso della parola, non sapevo nemmeno io se mi interessava saperlo veramente.

"I miei genitori volevano trasferirsi a Brooklyn e ho dovuto seguirli. Ora che ho diciotto anni sono tornato nel Bronx, non avrei mai voluto andarmene" rammentò.

"Io da piccola mi ero trasferita a Mahnattan" forse dovevo evitare di andare troppo nei dettagli.

"A Brooklyn c'è un ponte che collega i due distretti, ma non ho mai visitato Mahnattan."

"E ora dove vivi? Hai un lavoro?" chiesi.

"Vedo che ti interessano molto gli affari altrui."

"Sto solamente conversando, se non vuoi rispondere non lo fare!" sbottai, tutti continuavano a dirmi di non intromettermi nei loro affari, puntualmente erano sempre membri dei Kings.

"Non ho un lavoro. Vivo nella casa dei Kings." Non avevo mai sentito parlare di quella casa...

Non continuai e aspettai la fine delle lezioni per uscire finalmente dalla scuola. Decisi di prendere l'autobus con la speranza di incontrare Nathan, ma non lo trovai. Ero un po' dispiaciuta, avevo voglia di vederlo...

A casa, mi affrettai a fare qualche compito e rileggere gli argomenti svolti durante la settimana, dopo due ore mi stancai e tra uno sbadiglio e l'altro, chiusi il libro.
Mi preparai e aspettai lo squillo di Aron per scendere.

"Dove vai?" chiese nonna quando mi vide scendere le scale.

"Scusa nonna, mi sono completamente dimenticata di dirtelo! Vado ad una partita di calcio, mi accompagna Aron", aggrottò le sopracciglia, aspettava che le spiegassi chi fosse.
"È un... amico."

"Prima o poi li conoscerò, vai pure, non voglio trattenerti" sorrise. Carol spuntò fuori dalla cucina e restò sulla soglia della porta aspettando che noi finissimo di parlare.

"Vieni pure" e si avvicinò sedendosi sul divano. Quando uscii di casa, le sentii chiacchierare.

Fuori mi aspettava la macchina di Aron. Avevano tutti diciotto anni, mancavo solo io che avevo il compleanno a novembre, esattamente quel mese! Una settimana e sarebbe stato il mio compleanno! Non mi era venuto in mente prima ed era alquanto strano. In fondo cosa non era strano da quando ero tornata al Bronx?

Oltre ad Aron, all'interno dell'auto, non c'era nessun altro. Feci per aprire lo sportello posteriore, ma mi fece cenno di andare nei sedili anteriori.

"Non viene nessuno con noi?" chiesi.

"Alan, andiamo a prenderlo ora. Può benissimo andare dietro", lo ascoltai stupita e confusa. "Vediamo come cercherà di conquistarti questa volta."

"Ma di cosa parli?"

"Sai di cosa parlo" risposta scontata. Se intendeva ciò che mi aveva fatto notare quella mattina, allora sì, forse sapevo di cosa parlava. 

Dopo una decina di minuti si fermò vicino a un marciapiede dove Alan ci stava aspettando; girò intorno alla macchina e fece per entrare davanti, ma mi vide e indietreggiò sedendosi nei sedili posteriori.
Ci salutò e non indugiò oltre lasciando che nell'aria si formasse una nuvola di silenzio.

Ad Aron non sembrò infastidire, io allungai la mano verso la radio e cercai di accenderla riuscendoci. Andava bene qualsiasi cosa, anche le voci degli speaker radiofonici.

Arrivati al campo, prendemmo posto sugli spalti vicino a Thomas che si trovava già lì. Seduta accanto a lui c'era una ragazza mai vista prima. Subito pensai, è un membro anche lei?
Era bionda, occhi scuri dal colore indecifrabile e aveva qualcosa di familiare, nonostante fossi certa di non averla mai incontrata.
Mi sedetti tra Aron e Alan continuando a pensare a quella ragazza che mi salutò gentilmente. Come prima impressione, nulla di sbagliato.

"Perché sei venuta?" chiese Aron trattenendo il tono per non farlo risultare alto.

"Sono stato io a insistere, dobbiamo pur farla uscire un po'!" rispose Thomas al posto della ragazza.

"Sì, ma se la riconoscono? Non voglio che finisca nei guai..." rivolse uno sguardo che celava mille emozioni alla ragazza "...per colpa nostra."

"Aron, non preoccuparti. Non succederà nulla" non sembrava molto convinta. Preoccupato, continuò a guardarla come fosse stato appena colpito dalla freccia di cupido.

"Non me la presentate?" mi intromisi quando ormai si era creato il silenzio. Oltre ad Ashley, non avevo nessuna amica. Nei film, ma anche nella realtà, vedevo che tutte avevano una ragazza con cui confidarsi e parlare di tutto; io avevo solo mia cugina e non passavamo più molto tempo insieme, non quanto avrei voluto. Non gliene facevo una colpa, assolutamente, ma avevo bisogno anch'io di qualcuno, magari di una ragazza.

"Sono Lara" rispose lei sorridendomi con quel sorriso dalle mille sfaccettature, quel sorriso innocente e luminoso capace di scioglierti il cuore.

"Piacere, io sono Alis."

Forse era solo la mia immaginazione, ma anche lei sembrava felice di aver fatto la mia conoscenza. Lo vedevo nel suo sguardo, nel suo comportamento,  nel suo modo di parlare... o meglio, lo percepivo.

I giocatori iniziarono a entrare in campo e li osservai uno ad uno fin quando non vidi il sorriso dolce e allegro di Matt spuntare tra i tanti, seguito da Dan e Lucas.

Non fiatai per tutta la partita, osservai e basta, ricordandomi tutte le volte in cui le avevo viste solo ed esclusivamente su uno schermo. Ancora non conoscevo i termini di quello sport e nemmeno le regole... Non sapevo nemmeno cosa fosse un rigore! Ma forse era il non sapere a farmi incuriosire.

Notai qualcuno muoversi pochi metri più avanti e riconobbi Nathan. Avrei dovuto chiamarlo e farlo avvicinare? Dubbiosa, ci pensai un attimo. Ma invece di darmi una risposta, iniziai a farmi più domande, perché era lì?

"C'è Nathan" bisbigliò terrorizzata Lara additando debolmente verso la sua direzione; corrugai le sopracciglia confusa.

Aron si alzò e fece alzare anche lei: "Andiamocene, sapevo che non era una buona idea!"

Non mi intromisi, c'era qualcosa sotto, ma mi convincevo del fatto che prima o poi l'avrei scoperto. Se avessi chiesto a loro, non mi avrebbero dato risposta.
I due mi salutarono, lei cercò di farmi un ultimo sorriso, e si allontanarono nascondendosi tra la gente per quanto potevano. Ripensai a  come era sbiancata alla vista di Nathan e non riuscii più a seguire la palla che si muoveva da una parte all'altra del campo.
Se non fossi stata talmente confusa, lo avrei raggiunto, ma lo fece lui appena mi vide. Salì i pochi gradini che ci separavano e si sedette accanto a me facendo un semplice cenno agli altri.

"Anche lui deve ritornare nel momento peggiore..." farfugliò Alan, Aron lo zittì e continuammo ad osservare la partita senza nominare Lara.

ℳ𝒶𝒹 •𝒶𝓂

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