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Alis

Lunedì

Mi sentivo persa, se qualcosa andava per il verso giusto, altro andava per quello sbagliato. Volevo bene a Nathan, ma avevo l'impressione che se lo perdonassi una seconda volta, avrebbe commesso lo stesso errore; avevo bisogno di tempo per pensare, per capire come agire.
Ogni volta mi venivano mille dubbi a cui non trovavo soluzione e non capivo cosa non andava. La mia prima ipotesi riguardava il giorno passato con Matthew. Non avevo risposto alle chiamate di Nate, mi ero completamente dimenticata della nostra serata. Probabilmente si sentiva trascurato e credeva che Matthew mi tenesse lontana da lui. Avevo promesso a Nathan di non abbandonarlo, aveva già perso Lena, ed era un promessa che avevo intenzione di mantenere. Mi stavo solo allontanando per un po', non definitivamente.

Sul corridoio della scuola incrociai il suo sguardo, mi guardava per capire cosa pensassi di lui. Nemmeno io lo sapevo, gli volevo ancora bene, volevo solo che capisse quali fossero i suoi limiti. Era difficile per me stargli lontano, stavo imponendo dei limiti anche a me stessa.

Durante il weekend avevo sfruttato quel tempo per riflettere sulla mia persona arrivando alla conclusione che non mi capivo. Mi sembrava di non avere personalità, di non avere obbiettivi, di fare scelte non ragionate, trascurare le persone, dare troppa importanza ad altre...
Non sapevo cosa fare perché avevo l'impressione che avrei comunque sbagliato.

"Alis, tutto bene?" chiese Matthew raggiungendomi.

"Sì, perché questa domanda?"

"Avevi rallentato il passo, mi era sembrato strano" spiegò. Abbassai istintivamente il viso verso le scarpe come per constatare le sue parole, ma in realtà quel gesto non era molto sensato, siccome ci eravamo fermati.

"Stavo pensando... ma non è successo nulla" e forzai un sorriso per tranquillizzarlo.

"Allora oggi usciamo e parliamo meglio" decise di sua sponte, quella volta sorrisi per mio volere. Avrei voluto abbracciarlo, mi faceva sentire bene con poco e non sapevo come ringraziarlo. "Vado dai ragazzi, vuoi venire?"

I Kings erano nel solito angolo del corridoio a chiacchierare. Quella proposta mi aveva un po' scombussolata, di solito andava nella loro direzione da solo lasciandomi in mezzo al corridoio per la mia strada. Invece quella volta mi aveva chiesto di accompagnarlo, di andare con lui. Nonostante ciò, rifiutai e fui io ad andarmene verso la classe per prima.
Lì trovai Michael seduto, appena mi vide mi salutò. Era strano che si trovasse in aula a quell'ora, solitamente aspettava insieme ad Ashley il suono della campanella prima di dividersi.

"È rimasta a casa a dormire, ieri sera abbiamo visto un'intera serie fino a notte tarda. Io riesco a stare in piedi, ma lei ha bisogno di almeno dieci ore per riposare," disse, "o almeno queste sono le sue parole."

"Sarebbe disposta a lasciarti pur di dormire!" scherzai conquistandomi il suo sguardo omicida.

"Non so quali altri fisse io non conosca, quella ragazza mi stupisce ogni giorno." Non seppi replicare, così la conversazione finì lì per il momento. Riprese poi chiedendomi come fosse andato il weekend. All'inizio mentii, ma riuscì a capirlo data la mia incompetenza, perciò fui costretta a raccontare la verità. C'era abbastanza tempo per farlo, gli altri studenti entravano in classe, mentre l'insegnante non era ancora arrivato.

"Dovresti perdonarlo. È tuo amico, sono sicuro che non voleva ferirti. Probabilmente non si è reso conto del suo errore, ma poi se n'è pentito" commentò. Si era schierato dalla parte di Nathan con molta facilità e non era perché Matt non gli andava a genio, Michael non aveva mai avuto problemi con le mie amicizie.

"Non lo so. Continuo a volergli bene, non ho rotto il rapporto. Mi sono solo allontanata... anche se ultimamente ho dubbi su tutte le mosse che faccio."

"Non devi, viviamo tutti queste fasi dove ci sembra di non trovare il senso delle cose. Concentrati su ciò che vuoi, essere sua amica o non parlarci per un po'? Non so quanto possa essere valida la seconda opzione, in fondo non cambierebbe niente, ma questo è un mio pensiero, la decisione è tua."

Sentii l'ultima parola a stento a causa del rumore causato dalle sedie dei miei compagni di banco che ogni mattina si alzavano con la voglia di scombussolare le giornate altrui. Lo stridio mi fece voltare verso di loro con una faccia irritata, ma riuscii a calmarmi.

"Buongiorno cara Alis" fece Alan sedendosi, "come va?"

"Mi avete solo stordito un po', ma ora i miei timpani stanno bene."

"Vuoi?" e allungò la mano con della cioccolata.

"Cosa sei, un fornitore di schifezze?"

"Sì, qualcosa di simile." Prima che potessi prenderne un pezzo, Dan afferrò tutta la tavoletta e iniziò a mangiarla.

"Fa niente, ne ho un'altra" disse Alan prontamente frugando nella tasca dello zaino con a malapena due libri all'interno. Sia lui che Dan non avevano un forte interesse per la scuola, erano molti i fattori a farlo dedurre, a partire dall'atteggiamento.

Durante la lezione, iniziata in ritardo, a Dan arrivò un messaggio. Lo lesse e notai una rabbia repentina nei suoi occhi, non capivo il motivo, ma speravo non facesse passi falsi. Ormai ero abituata a certi suoi comportamenti, non li concepivo, ma li prevedevo. Si alzò dalla sedia con uno scatto senza curarsi dei presenti e si diresse verso la porta, mentre l'insegnante lo richiamava inutilmente. Ormai era già uscito e nessuno poteva sapere cosa gli passasse per la testa e cosa avrebbe voluto fare. Alan era piuttosto tranquillo, cosa poteva importargli dei guai in cui si cacciava Dan?

"Alis per cortesia, vai a chiamarlo mentre noi continuiamo la lezione e cerca di riportarlo in classe" chiese il professore sospirando. Annuii e mi fiondai fuori dall'aula, guardai in tutte le direzioni e lo vidi andare precipitoso e determinato verso una persona che non riuscii a mettere a fuoco. Cercai di chiamare il suo nome, ma non si voltò, continuai comunque a seguirlo. Avrei gridato per farlo fermare, - non sapevo cosa avrebbe potuto fare, era capace di iniziare una rissa dal nulla, avevo timore che potesse ferire qualcuno - ma tutti nell'istituto avrebbero potuto sentirmi.

"Devi dire a Melanie di smetterla!" urlò a quella figura, era una ragazza. "Non ho bisogno di soldi e soprattutto di lei! Scegliesse qualcun altro per quel ruolo di merda, se l'ho lasciata è perché non deve ronzarmi intorno!" Quel tono di Dan lo odiavo, perché mostrava la parte peggiore di sé, era come se non comprendesse i suoi gesti e fosse guidato dall'impulso. "Hai capito? Devi riferirgli le stesse parole che ti ho appena detto!"

Arrivai finalmente da lui e riconobbi la ragazza, era Mila. Riuscii a capire il contesto. Probabilmente la ragazza dai capelli neri gli aveva inviato un messaggio per chiedergli nuovamente del ruolo per la serie, la determinazione la accomunava a Dan per certi versi. Era uscito nel corridoio per andare a cercarla, non c'era nessun altro se non Mila e, facendo parte delle Sparks, si era rivolto a lei che non era altro che una vittima in quel momento che doveva subirsi l'ira di quel ragazzo. Eppure lei mi stupì perché non sembrò intimorita affatto, il suo viso era calmo proprio come le altre volte che l'avevo inquadrata.

"Non riferirò nulla, dovresti parlarle in faccia, non sono un'assistente, tantomeno un'interlocutrice. E comunque dovresti abituarti alle persone, non puoi semplicemente scaricarle per non averle più attorno. Devi sapere che la vita è così, nessuno decide chi eliminare."

Fece per andarsene, ma Dan le si pose davanti fermandola con il suo corpo possente, sentii io stessa la tensione, ma Mila non sembrava tesa né infastidita, come se per lei quella situazione avesse senso o come se giustificasse in qualche modo quel comportamento.

"Io invece posso deciderlo, quindi fammi il favore di andare da Melanie e parlarle. La prossima volta che mi chiede di accettare la proposta, me la prenderò con te" continuò con lo stesso tono duro.

"Non mi sorprende, te la stai già prendendo con me. Anche se è mia cugina, prenditi le tue responsabilità ed esponi i tuoi problemi a lei. Se posso, me ne vado", lo diceva normalmente senza arroganza o provocazione, non erano nel suo intento. Voleva semplicemente proseguire la sua strada lungo il corridoio.

Dan nel suo silenzio la fece passare, stava pensando a qualcosa, di colpo la sua rabbia svanì dalla distrazione. Prima che se ne andasse, salutai Mila scusandomi da parte di Dan.

"Non sei tu a doverti scusare, le persone devono prendere atto delle loro decisioni" disse giustamente.

Lui stava ancora riflettendo, mi stupii, pensavo si sarebbe arrabbiato maggiormente, invece fece finta di prendersela appena si accorse della mia presenza. Farfugliò qualche battuta non formulata su Mila, per intendere la sua rabbia, ma era chiaro che non ce l'aveva con lei, era solamente confuso. Chiunque se la sarebbe presa, gli avrebbe urlato contro, mentre Mila era stata capace di rispondere a modo senza bisogno di alterare la sua voce, era rimasta se stessa.

"Torniamo in classe" consigliai e con ripugnanza dovette seguirmi.

L'insegnante non chiese spiegazioni e fortunatamente la campanella suonò appena varcammo la porta. Nemmeno Alan sembrava interessato dall'accaduto, mentre Mike era curioso. Spiegai tutto in pochi minuti appena Dan uscì e la sua reazione fu tale e quale alla mia, anche lui era rimasto sorpreso dalla pacatezza e razionalità di Mila.

Dirigendomi poi alle macchinette, vidi proprio lei non accompagnata dal resto delle Sparks. Mi avvicinai con l'intenzione di parlarle.

"Come va?" iniziai.

"Bene" rispose confusa.

"Mi dispiace per prima, per come Dan ti ha urlato addosso senza motivo."

"C'è sempre un motivo dietro alle nostre azioni, non possiamo cancellarle rendendoci conto degli errori commessi, perché nel momento in cui si agisce, lo si fa con coscienza." Parlò senza un filo di rabbia o fastidio, era completamente neutra.

"Sicura? È stato ingiusto."

"Forse, ma non preoccuparti, in fondo non mi ha fatto niente. Era arrabbiato, dovrebbe imparare a contenere certe emozioni, e posso capire che Melanie risulta esageratamente testarda e determinata. E questo...", si fermò per ricordare il nome," Dan, dovrebbe parlare con lei e affrontare direttamente il problema" concluse. L'ascoltai comprendendo il suo pensiero sapendo però che non avrei mai reagito come lei. Quella sua rabbia l'avrebbe trasmessa a me indebolendomi e ferendomi. Se non avessi conosciuto Dan, anche il suo rivolgersi a Mila mi avrebbe fatto un certo effetto.

Le chiesi di uscire in cortile per continuare a parlare, acconsentì dopo un attimo di incertezza. Lungo il corridoio, vidi in lontananza Mike in compagnia di Justin, era alquanto strano. Appena uno dei due si accorse di me, la loro precedente conversazione iniziò a farsi più dinamica e finirono per allontanarsi. Qualcosa mi diceva che fosse stata la mia presenza a rendere quella scena movimentata. Accantonai il pensiero arrivando finalmente fuori, ci sedemmo sul prato.

"Quindi Melanie è tua cugina?" domandai per saperne di più.

"Sì, è la leader delle Sparks, la ragazza alta che si è rivolta a Dan pochi giorni fa." Notai come imponeva dei limiti al suo discorso, pensava tanto alle parole da dire, poi si fermava alle prime lasciando solo l'essenza della risposta. Non sapevo come farle capire che poteva fidarsi di me e raccontare tutto ciò che le passava per la mente.
"Hai provato a leggere i classici?" cambiò discorso probabilmente per non dare spazio all'imbarazzo.

"Sì, volevo distrarmi così ne ho preso uno dallo scaffale, ma ciò non mi ha portato da nessuna parte. Proverò con altri generi..."

"Magari attirano di più la tua attenzione. Io preferisco impormi degli obbiettivi e i classici mi mettono molto alla prova. Con il tempo la mia concentrazione aumenta, quindi in qualche modo leggere mi è utile."

"Cosa vorresti fare in futuro?" azzardai incuriosita creando un vuoto di silenzio.

"Il futuro è un presente che mi aspetta. Oggi è il futuro della me bambina, il presente della me adolescente e il passato della me adulta. Non voglio progettare ciò che verrà, non ho sogni né desideri concreti. Magari sono dentro di me nascosti, in quel caso aspetterò che escano. Fino ad allora continuerò a riflettere..." Come se si fosse accorta di aver detto troppo, si fermò e si scusò.

"Sentiti libera di raccontare ciò che vuoi, mi piace ascoltarti", sorrisi per rassicurarla.

"Le persone tendono a parlare più che ascoltare, perché disinteressate dai discorsi altrui. Spesso tengo i pensieri per me per paura di annoiare, almeno fin quando qualcuno non mi fa le domande e potrei parlare all'infinito però riesco a bloccarmi" e così fece di nuovo.
"Tu invece cosa vorresti fare in futuro?"

"Non ne ho la minima idea e questo un po' mi spaventa" confessai.

"Non devi essere spaventata, sapere o non sapere cosa vorremmo fare del futuro ci porterebbe comunque in un'unica direzione. Avere un'idea ci rende solo più consapevoli, ma nessuno garantisce che i nostri piani vadano a buon fine."

"Da qualcosa dovrò pur partire, finito il liceo non so quale università frequentare."

"Ispirati al passato, un episodio che ti è rimasto impresso, pensa a ciò che avresti fatto e ai tuoi interessi. Mia madre ha capito di voler diventare una cantante ripensando a lei da piccola che canticchiava le vecchie canzoni di suo nonno, era così legata a lui da riconoscere la forza che lui le aveva dato per affrontare una strada del genere." Il suo consiglio mi fece riflettere e ci pensai per tutto il pomeriggio, anche una volta fuori casa.

Ripensavo a tutte le ricerche fatte da piccola per capire cosa fosse la Miocardite e tutte le altre malattie sconosciute. Avevo iniziato a nutrire dell'interesse per la medicina; avevo sentito il bisogno di aiutare le persone in difficoltà ma non sapevo come fare. Solo che la medicina sembrava un campo troppo lontano a me. Non era un caso, ormai non mi capivo abbastanza da sapere quali fossero i miei interessi.

"Perché sei così pensierosa e taciturna?" chiese Matthew riprendendo il discorso iniziato a scuola. Eravamo in macchina, non sapevo dove avrebbe voluto fermarsi.

"Non è normale esserlo a volte?"

"Sì, ma c'è sempre un motivo dietro. Qual è il tuo?"

Dovetti accelerare il pensiero per trovare le parole giuste. "Pochi giorni fa stavo riflettendo su me stessa... Non riesco a capire la mia personalità, se sono una persona positiva o negativa, altruista o egoista, che si infastidisce facilmente o che lascia correre... Mi sento incoerente e persa, lo sono sempre stata forse, ma me ne rendo conto solo ora."

Arrivammo a un parcheggio, quello del parco in cui eravamo venuti per vedere le stelle. Quel ricordo mi fece venire uno strano trambusto nello stomaco. Mi guardò come per trasmettermi i suoi pensieri e spiegarmi che eravamo tornati lì per parlare, solo noi due, in mezzo al verde.

Prima di uscire, commentò la mia risposta: "Ci sentiamo tutti un po' persi, soprattutto chi ha perso qualcosa nella vita. Anche io ho dei momenti in cui non mi riconosco. Devi scegliere tu chi essere e costruirti la tua persona. Vorresti essere una persona positiva o negativa? Sei tu a decidere. Ci sono momenti di grande dolore e il nostro essere smarrisce, non ci capiamo più. Quindi dobbiamo ritrovarci."

Occupammo le stesse posizioni dell'ultima volta. Per un secondo il mondo intorno si spense e ripensai a quella notte. Il cielo si rivestì di un manto scuro macchiato da punti luminosi, le stelle. In particolare potevo ancora vedere la Cintura di Orione. Era proprio lì sopra di noi mentre mi spiegava il significato conferito. Il cielo sembrò toccare terra e prendere vita, le stelle si personificavano. Se Joan era Rigel, qual era la mia stella omologa?

"Sai perché ti ho portata qui?" Mi destai dalla fantasia e tornai alla realtà con un cielo limpido che celava quelle macchie di luce. Non ebbe bisogno della mia voce per continuare a parlare, era necessario un solo sguardo. "Mi sembra di ritornare al passato. Posso vivere finalmente la mia infanzia con quella bambina che se n'era andata, con la quale non avevo mai giocato. Questo posto è sempre stato nel mio cuore... e io ti ci ho portata. E poi ci siamo solo noi, circondati dal silenzio."

Avvicinò la sua mano alla mia, l'accarezzò e intrecciò l'indice a mò di ancora. Sentii l'elettricità partire dalla punta del dito e raggiungere tutto il corpo alimentandolo di una forte energia. Più pensavo a quel contatto e più mi faceva effetto.

"Puoi restare fino a tardi?" chiese improvvisamente.

"Cosa intendi?"

"Aspettiamo che arrivi il buio."

"Non so..." L'ultima volta avevo fatto preoccupare la mia famiglia tornando tardi, ma la voglia di restare con lui era troppo forte. Non c'era nemmeno bisogno di perdere tempo per pensarci che inviai immediatamente un messaggio per informarli che sarei rincasata la notte. Appena capì che sarei rimasta, sorrise e fu un ulteriore gesto che non mi fece pentire della mia scelta.

Così aspettammo che la luce sbiadisse e nell'attesa mi raccontò di tutte le volte in cui si era sentito una persona diversa, incluso il giorno del mio compleanno in cui era venuto ubriaco. Mentre ne parlava, la vergogna era evidente, ma cercavo di non fargliela pesare, perché lo capivo. La rabbia mascherava il suo vero carattere, ma ultimamente era ricorrente e aveva sempre paura che uscisse fuori da un momento all'altro. Gli era capitato spesso di urlare alla madre ogni volta che lei gli si rivolgeva in modo gentile come se tutto andasse bene e Matthew non sopportava quell'illusione, soprattutto se la creavano i suoi genitori. Alla fine però si pentiva e si scusava, la loro vita doveva andare avanti, non poteva farne una colpa se Joan non c'era più. Ci confrontammo sui nostri metodi per affrontare il dolore, ma fu chiaro che le nostre erano vie per sfuggire al dolore o per conviverci, senza affrontarlo definitivamente. Che fosse paura o non voler voltare pagina, ci facevamo entrambi mangiare dai ricordi. Lui beveva per sentirsi sollevato, mentre io mi chiudevo in me stessa. Sin da piccola la mia stanza era stato il mio rifugio, era quasi come se la mia anima se ne fosse andata insieme a mia madre. Avevo gettato degli anni della mia vita non sapendo come affrontare il dolore e ancora viveva nella mia mente. Sapere che c'era Matt mi confortava, sembrava potesse capire ciò che provavo e questo mi portava ad aprirmi, piuttosto che chiudermi per timore di risultare diversa.

"Questa è una scena della mia vita che vivrei ogni giorno, avere le stelle sopra di noi e te al mio fianco." Mi guardò come se ciò fosse un nonnulla, mentre  il mio sangue pompava nelle vene. Avevo bisogno ogni tanto di sentirmi certe parole, avevo bisogno di sentirmi importante. Pensare che lui facesse parte della mia infanzia rendeva tutto più vero, in qualche modo conosceva i miei aspetti reali e non solo ciò che mostravo. Gli avevo raccontato i miei dubbi, fragilità, la mia parte oscura e aveva saputo capirmi perché le mie sensazioni non gli erano estranee. Forse era da tempo che avevo bisogno di una persona che vivesse una situazione simile alla mia, con la quale potessi confrontarmi, perché erano tante le cose incomprese a cui non riuscivo a dare un senso. In qualche modo era stato capace a farmi pensare a lui quando guardavo le sue iridi blu, mentre mia madre diveniva solo un pensiero di paragone. Quegli occhi erano di Matthew Morris, non di mamma. Quegli occhi erano della persona che mi stava aiutando a uscire dal buio, non di un ricordo ormai sbiadito.

Come se fosse entrato nella mia mente, disse: "Guardami negli occhi."

Lo feci e gli chiesi il motivo di quella richiesta. Così rispose con tono pacato: "Ho bisogno di guardarti negli occhi quando pensi, per sentirmi coinvolto in qualche modo. Così posso pensare a cosa elabora la tua mente."

Sorrisi. "Nulla di che... pensavo a te."

Sorrise anche lui. "Sai che puoi condividere i tuoi pensieri a volte?"

"Magari un giorno, per ora li tengo per me." Non sembrava molto convinto, pareva volesse conoscere realmente i miei pensieri.

"Sai cosa penso invece io?"

"Racconta."

"Che mi manchi quando non sono con te."

"Anche tu" sussurrai involontariamente troppo presa dal momento. Se non fosse stato per il fatto che le sue parole mi trasportavano con lui, sarei rimasta in silenzio imbarazzata.

Sembrò contento, perché alzò un angolo delle labbra. Ancora potevo vederlo bene, per la luce fioca di un lampione vicino; il tempo scorreva lento e limpido, dando spazio a ogni momento. Avevo tutto ciò che mi serviva sintetizzato in un'unica parola: tranquillità.

"Hai paragonato qualche altra stella alle persone?" domandai curiosa. In realtà volevo che parlasse e non smettesse più, avevo bisogno della sua voce narrante.

"No, certe volte lascio da parte il me bambino per essere un po' più realistico e meno fantasioso."

"Perché? A me piace la tua fantasia."

"È bello essere bambini, ma non possiamo restare tali a vita. Bisogna distaccarci un po' da quel mondo, non esiste la perfezione, non siamo circondati solo da bene."

"In questo momento lo sono. Tornare bambini non significa fare finta che non esistano problemi, significa solo trovare delle soluzioni più creative. Da piccola mi capitava di uscire da sola di casa, venivano a cercarmi e io ero al solito posto. Avevo scoperto un giardino dove tenevano una gabbietta per uccelli, potevo arrivarci facilmente se mi mettevo in punta di piedi. Pensavo fossero rimasti intrappolati, feci il possibile per liberarli, così volarono via. Ero felice, almeno fin quando non scoprii che il giardino fosse privato. Disegnai su un foglio degli uccellini simili a quelli che avevo visto, li ritagliai e li misi nella gabbietta pensando di aver risolto la situazione. I padroni della casa vicina erano arrabbiati, ma non mi sgridarono, mi guardarono e sorrisero divertiti, non erano cattive persone." Farfugliai un pensiero: "Quella casa dovrebbe essere ancora lì vicino, ma non ricordo molto del giardino..." Poi ripresi il filo del discorso: "Facevo lo stesso con i quadri in casa caduti per merito mio. Disegnavo le figure nei fogli bianchi e li attaccavo sui muri con lo scotch, non mi dicevano nulla, anzi mi abbracciavano trovando le mie idee buffe, solo perché ero piccola. Mi piacerebbe tornare bambina per risolvere le situazioni con facilità."

Mi accarezzò i capelli arruffandoli un po', li sistemai solo quando ebbe spostato lo sguardo.

"Non hai tutti i torti... Con te mi sento bambino. Mi ricordi molto l'infanzia e dimentico i problemi." Succedeva anche a me, nemmeno badavo alle conseguenze delle mie azioni se ero con Matt. La nostra era stata una strana conoscenza, mai avrei immaginato saremmo finiti a guardare per la seconda volta il cielo e sentivo che non sarebbe stata l'ultima. E in quel silenzio, concluse: "Vorrei che tu fossi la mia Bellatrix."

ℳ𝒶𝒹 •𝒶𝓂

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