𝒟𝒪𝒟𝐼𝒞𝐼

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LAETITIA

"Chiudo gli occhi e
poi incrocio le braccia
mettimi nella terra,
lasciami sognare con le stelle
gettami in una scatola
senza ossigeno,
mi hai dato la chiave e
poi hai chiuso ogni serratura"
-The Neighborhood

𝑀𝒶𝓂𝓂𝒶 e papà vennero in soccorso a mia sorella e tentarono anch'essi di farmi calmare. Gradualmente riuscii a placarmi e il pianto divenne sempre più flebile. Le emozioni si affievolirono fino a diventare quasi impercettibili. E dopo qualche minuto svanirono del tutto, lasciando spazio a un grande e gelido vuoto.

Mamma mi accarezzava il viso e papà mi stringeva le spalle. Non avevo nemmeno notato di essere tornata a sedermi sulla sedia, in tre erano riusciti a rialzarmi, ma scossa com'ero non ci avevo neanche fatto caso. Mi parlavano, facevano domande, scambiavano informazioni, ma io non li ascoltavo. Fissavo un punto indefinito davanti a me con un volto impassibile. Alcune lacrime continuavano a percorrere il mio viso ma come tutto il resto, non le sentivo. In quel momento non reagivo a nessuno stimolo, ero completamente in uno stato di stasi. Kenneth si chinò a raccogliere il cellulare caduto sul pavimento e attraverso lo schermo graffiato, lesse dall'inizio alla fine il suo messaggio. Al termine della lettura, alzò gli occhi verso di me e mi guardò con uno sguardo carico di compassione e dolore. Forse aveva intuito ciò che stavo provando in quel momento, ma posso dire che probabilmente non aveva nemmeno idea di come mi sentissi davvero.

Mi svegliai di colpo e impiegai alcuni minuti per rendermi conto di trovarmi nella mia camera. Il cuore batteva veloce e l'affanno mi assaliva mentre mi dimenavo nel letto, liberandomi dalle lenzuola. Il caldo era opprimente, la sudorazione rendeva il pigiama appiccicoso sulla pelle umida. La testa rimbombava e le orecchie sembravano ovattate come se un velo fosse posato sui timpani. La nausea si fece sempre più intensa, tanto che sentii il bisogno di stringere le coperte tra le dita cercando di trattenere il vomito. Deglutii, scrutando intorno per capire l'ora. Le tenue luci dell'alba filtravano attraverso le tende, offrendo una pallida illuminazione alla stanza sufficiente per distinguere gli oggetti circostanti. Ero sola fisicamente nel vasto letto ma accompagnata dal mio peggior nemico: il silenzio. La città era dormiente e nell'aria regnava un'assoluta quiete, rotta solo dal fruscio delle foglie mosse dal vento. Mi sentii frustrata: silenzio, lo detestavo profondamente; era il momento in cui ogni pensiero risaliva in superficie ed io facevo di tutto per evitarlo, cercando disperatamente di tenermi occupata per non dare spazio ai ricordi.

Lì mi trovavo, fronteggiando il mio avversario mentre la mente si divertiva a giocare con me, sfruttando quel momento di vulnerabilità per colpire. Il battito del cuore accelerò quando alcuni ricordi mi assalirono all'improvviso. Il suo sorriso, le sue parole, il sapore dei suoi baci: tutto era così vivido, così tangibile da infliggermi un dolore ancora più profondo. Inghiottii un groppo che si era formato in gola, impedendo che mi soffocasse e ritornai con la mente all'ultimo nostro momento di felicità. In quell'istante, avrei dato qualsiasi cosa pur di prolungarlo all'infinito, desiderando di morire tra le sue braccia e raggiungere il paradiso prima ancora di esalare l'ultimo respiro.

Lo sguardo era fisso su un punto indefinito nel cielo ma non vi prestavo attenzione, sembrava quasi che dormissi con gli occhi aperti. Le persone intorno ridevano e ballavano, mentre rumori assordanti e odori di fumo e alcool mi circondavano, ma io restavo indifferente. Mi svegliai dal torpore per afferrare un altro sorso da un bicchiere a caso sul tavolo, rientrando lentamente nella realtà, quando Hailey me lo sfilò di mano.
-Laetitia, credo che tu abbia bevuto abbastanza per stasera- disse. -Sei ubriaca.-
Non abbastanza.
Anche se ubriaca, quel senso di vuoto fastidioso nel petto persisteva, ma sapevo che nessuno mi avrebbe compresa se avessi provato a spiegarlo. Vidi un ragazzo fissarmi da lontano e io ricambiai lo sguardo, cercando di capire chi fosse. Forse aveva intuito la mia condizione e si avvicinò abbastanza per permettermi di riconoscerlo.
Lui.

Mi fece un cenno con la testa indicandomi di raggiungerlo ed io lo seguii con lo sguardo finché lo vidi entrare nei bagni. Provai ad alzarmi e fingendo di voler vomitare mi avviai nella sua direzione aggrappandomi a qualsiasi cosa fosse vicina. Lungo il cammino, un gruppo di persone mi salutò e risposi distrattamente, concentrata solo sull'obiettivo di non perderlo di vista. Arrivai barcollando alla porta del bagno e la spalancai, trovandolo appoggiato ai lavandini con le braccia conserte. -Laetitia- disse. Gli sorrisi, ma presa da un improvviso giramento di testa, afferrai il bordo di ceramica del lavandino accanto a me. Il ragazzo si avvicinò e mi prese per il fianco. -Signorina, sai che non dovresti bere alla tua età- ironizzò vantandosi di essere più grande di me.

-Zitto- risposi irritata e lui rise di me, compiaciuto. Mi fissò negli occhi alzandomi il mento con due dita. Le sue iridi castano scuro sembravano ancora più profonde in quel momento, forse a causa dell'alcol o delle luci soffuse del bagno. Riflettei un'istante e non mi accorsi neppure del momento in cui le sue labbra si posarono sulle mie fino a quando, spingendo con violenza la lingua, cercò di penetrare nella mia bocca. Stanca e stordita glielo permisi e cominciò a baciarmi con passione. Mi prese per i fianchi e mi fece sedere sul bordo del lavandino. Una ragazza entrò nel bagno senza nemmeno notarci e si diresse al gabinetto per vomitare. Sentivo appena la musica ovattata provenire dall'esterno della stanza, sovrastata dai versi sgraziati della ragazza che suotava anche l'anima e dei nostri baci feroci.

Mi aprì le gambe e avvicinò il suo bacino al mio, sentendo l'eccitazione pulsare tra le cosce. -Che serata del cazzo- dissi all'improvviso e lui si allontanò da me guardandomi con curiosità. -Credo di aver smaltito un po' di alcol, ma sono ancora rincoglionita-aggiunsi. Mi massaggiai le tempie, sentendo il mal di testa intensificarsi e la nausea montare. -Ho notato- rispose con un lieve sorriso, avvicinando la bocca al mio orecchio. -Non puoi nemmeno immaginare quanto mi sei mancata.- A quelle parole sentii un bruciore diffondersi dal capo ai piedi, l'eccitazione pulsava nelle vene. Strinsi le gambe che cominciarono a tremare per non mostrarmi totalmente vulnerabile all'effetto che mi faceva, ma lui si accorse del tentativo. Arretrò di qualche passo e si passò una mano tra i folti capelli castani. -Sei ubriaca, non voglio che tu faccia qualcosa solo per l'alcol.-

E quindi? Da quando si preoccupava se fossi ubriaca o meno? -Ma voglio- implorai con gli occhi. Lui scosse la testa lentamente senza smettere di fissarmi. -Scopami- sussurrai e il ragazzo si avvicinò lentamente,
lasciando le sue labbra scivolare sul mio collo fino all'orecchio, provocandomi brividi di piacere.
-So già che me ne pentirò... spogliati- mormorò e in un'istante il mio vestitino giaceva sul pavimento. -E ora?- Quando si rese conto del mio gesto, mi guardò sbigottito. -Dio Laetitia, non puoi essere seria- disse osservando il mio corpo avvolto solo dall'intimo nero. Una scintilla illuminò i suoi occhi scuri mentre si avvicinava ancora di più a me. -Perché no?-Mormorai e lui si allontanò di colpo. -Cazzo, non hai idea di quanto sia difficile resistere-, confessò tormentandosi i capelli. Cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza, mentre io emisi una risatina. -Sei carino in questo stato- lo provocai ed egli mi fulminò con lo sguardo.
-Laetitia, ma perché cazzo ti ubriachi?-

Di colpo mi feci seria. Perché mi ubriacavo? Perché erano giorni che ogni sera mi riducevo in quello stato? -Per dimenticarmi anche per un attimo di come mi fai sentire e delle innumerevoli cazzate che fai.- Confessai senza pensare. Si avvicinò lentamente a me e mi passò una mano tra i capelli castani. -E per ignorare il fatto che io, per te, sono solo una puttana qualunque.-
Stanca, appoggiai la fronte contro la sua. Mi guardò seriamente e provai un profondo senso di amarezza e sconforto, seguito dalla voglia di ironizzare ancora una volta sulle situazioni in cui mi cacciavo per colpa sua. E sul fatto che mi stava facendo perdere la testa e a me andava bene così, nonostante mi ferisse.
-Voglio scoparti- biascicai e mi strinse le cosce con forza come se lottasse contro se stesso. Allargò le mie gambe e prese l'elastico delle mutandine tra le dita, giocandoci per un po'. Sospirai impaziente sul suo collo e lui sorrise, infilò due dita sotto il tessuto facendomi sobbalzare al contatto della sua pelle fredda sulla mia calda.
Toccò esattamente dove desideravo e iniziò a baciare il mio collo
lentamente, lasciando scie di saliva.
-Sei già così bagnata per me?-

Chiusi gli occhi -per favore, non fermarti.- Fece scivolare il dito medio nella mia piccola apertura e gemetti dal piacere. Posò una mano sulla mia bocca per attenuare i miei gemiti, mentre io gli succhiavo e mordicchiavo con vigore le dita sotto il suo sguardo eccitato. Le luci illuminavano le piccole goccioline di sudore che gli rigavano la fronte e poi mi strinse quella stessa mano attorno alla gola. -Cazzo-, sussurrai mentre accelerava il ritmo introducendo tre dita.
Ondeggiai i fianchi verso le sue dita che trovarono il punto che mi faceva impazzire, lasciando andare la testa all'indietro in estasi. Si avvicinò al mio orecchio e posò un bacio appena sotto di esso. -Sei bellissima in questo stato, vorrei vederti gemere mentre ti scopo forte.- I miei respiri si approfondirono mentre i movimenti del bacino diventavano più frenetici, ero sull'orlo dell'estasi e lui lo percepì. Accelerò il ritmo ancora di più e sentii le pareti interne contrarsi sempre. Dopo qualche altro gemito, il mio corpo si irrigidì completamente e raggiunsi il culmine del piacere sulle sue dita. Mi baciò con foga mentre gemetti nella sua bocca, facendolo ghignare soddistatto.

Stringendo le gambe mi appoggiai con la schiena contro il vetro dello specchio e chiusi gli occhi. Cercai di calmare il mio respiro, ma la testa girava così forte da farmi venire i conati di vomito... e infatti. Mi alzai rapidamente dal lavandino su cui ero seduta e mi chinai ai piedi del primo gabinetto libero, svuotando lo stomaco. Lui raccolse il mio vestito ancora sul pavimento e lo portò nel bagno.
-Ecco cosa provoca l'alcol in quantità eccessiva- commentò.
Tentò di spostarmi i capelli ma lo respinsi bruscamente con la mano.
Mi guardò perplesso. -Tutto bene?-
Appoggiai i gomiti sul bordo del gabinetto e mi massaggiai le tempie.
-Sì, smettila di preoccuparti.-
-E cosa dovrei fare?-
-Niente- conclusi irritata, voltandomi per strappargli il vestito dalle mani.
-Ma è normale che mi preoccupi... tengo a te, Laetitia.- Ero sull'orlo di una risata isterica ma riuscii a mantenere il controllo e a restare seria. Purtroppo, non riuscii a trattenere un sorriso amaro. Si accigliò di fronte alla mia espressione. -Non mi credi?- chiese.

-Le tue azioni parlano chiaro- risposi alzandomi dal pavimento freddo e indossando il vestito con un movimento rapido.
-Capisco... va bene- disse deluso dalle mie parole e fu allora che scoppiai in una risata sarcastica. Che cosa si aspettava? Era stato assente per due settimane per poi ricomparire a una festa a caso. Eppure eravamo fidanzati il che rendeva la situazione ancora più preoccupante. Ma lo amavo, lo amavo follemente e gli avrei permesso di comportarsi come voleva... e la consapevolezza mi distruggeva. Tuttavia riflettevo: se la me sobria avesse visto cosa facevo con lui da ubriaca, come mi comportavo e come mettevo da parte il mio orgoglio e il buonsenso per lui, mi avrebbe colpita e anche ripetutamente. Perché in quel modo gli stavo dando esattamente ciò che voleva, nel suo modo più perverso.

-Hai già detto questo in passato e poi...-
-e poi sono stato un coglione, lo so, hai ragione. Avete tutti ragione, tutti quanti.- Sistemai le bretelle del vestito e lo guardai dritto negli occhi. -Siamo fidanzati e tu ti comporti come se non lo fossimo, come se non ti importasse veramente di me. Me lo fai credere solo a tratti, quando torni per scusarti.-
Fece un passo deciso verso di me, cancellando ogni distanza e mi prese il viso tra le mani.
-Mi importa, mi importa davvero. Devi credermi, anche se sono un coglione, io ci tengo a questa relazione.-

Dopo un po', mi condusse all'esterno per respirare aria fresca. Era seduto su una sedia di vimini mentre io ero in piedi con la sua giacca sulle spalle, osservando il cielo notturno. Eran quasi le due e tutto il gruppo era già rientrato da un po'. Avevo risposto ai loro messaggi assicurando loro che stavo bene, che ero in compagnia di amici e che ci saremmo rivisti l'indomani al solito orario.
Kenneth era seduto dall'altra parte del locale al tavolo dei suoi compagni di nuoto ed entrambi aspettavamo che l'autista venisse a prenderci. Il ragazzo calciava silenziosamente qualche foglia ai suoi piedi, immerso nei suoi pensieri.
Io, invece, ero semplicemente affranta e sopraffatta dai miei pensieri. Il post-sbornia stava iniziando a colpirmi e la testa mi girava in modo assurdo, quindi pregai mentalmente l'autista di sbrigarsi.
E, come se avessi evocato la sua presenza con la mente, l'auto si parcheggiò sul marciapiede poco più avanti.

Il ragazzo non aveva alzato lo sguardo e non sembrava nemmeno accorgersi di me, così iniziai a fare piccoli e lenti passi verso l'automobile.
-Notte- dissi senza voltarmi e continuai a camminare.
Il ragazzo sobbalzò sulla sedia. -Cosa? Vai a casa?-
-Già.-
-Te ne vai così?-
Mi fermai sul posto sentendo il suo sguardo penetrante sulla mia schiena. Mi chiesi perché fossi lì, ferma, incapace di andare avanti.
-Non vuoi, vero?- Domandò quasi avesse letto nei miei pensieri.
Volevo? La risposta era semplice.
-No.-
Non volevo tornare a casa, non volevo dormire, non volevo tornare sobria perché avrei ricominciato a pensare a lui. E a tutti gli errori che avevo commesso nella nostra relazione, portandolo a comportarsi in quel modo.
Al tempo non ero consapevole che certe persone erano semplicemente persone di merda per natura e che il loro comportamento non era una conseguenza delle mie azioni.
Erano fatti così e basta. Non riuscivo ad accettarlo. L'avevo idealizzato troppo e avevo sviluppato un'immagine distorta di lui nella mia mente, pensando che il suo carattere di merda fosse una reazione ai miei errori.
E impazzivo incapace di capire cosa stessi sbagliando.

Si alzò e mi afferrò il braccio, senza farmi voltare verso di lui. -Allora resta- sussurrò appoggiando la fronte contro la mia nuca. -Resta, cazzo.- Mi sfilai dalla sua presa in malo modo e lo guardai dritto negli occhi. -Perché? Perché vuoi che io resti?- Gridai irritata dal suo atteggiamento. -Perché ti voglio qui- urlò di rimando. -Perché ti voglio, Laetitia- restai interdetta per qualche istante di fronte a quella confessione così inaspettata, ma mi ripresi subito scuotendo la testa. -Non devi, non vuoi, tu... mi mandi in confusione. Ti comporti male, sparisci per settimane e ricompari così... io non so come comportarmi. So che...-
-che?- Mi interruppe, prendendomi il viso tra le mani. Cercai di parlare, combattendo le mie insicurezze e cercai di aprirmi. Speravo che quella confessione avrebbe portato a un litigio ma succedeva sempre così ogni volta che gli parlavo delle cose che mi facevano stare male.
-So che sbaglio in qualcosa, altrimenti non ti comporteresti così. Meriti altro, non io...- era un bastardo ma io di certo non ero una brava fidanzata. -Non me ne frega un cazzo di ciò che merito, voglio ciò che voglio.-

Mi avvicinai a lui. -Non comportarti così e prenditi ciò che vuoi.-
-Dammi ciò che voglio allora.-
-Non te la farò mai così facile.-
-Non deve essere facile, deve valerne la pena- mormorò a poca distanza dal mio viso.
-Non riesco a fidarmi di te, dopo che ti sei comportato in quel modo.-
-Allora sarà una cosa progressiva.-
-Magari mi convincerò che tieni davvero a me.-
-Sarà meglio.- I suoi occhi erano completamente incatenati ai miei e feci per allontanarmi, ma mi afferrò per i fianchi e mi stampò un bacio. Arretrai, guardando il sorriso sinistro stampato sulla sua faccia e nel mentre sorridevo a mia volta.
Sorridevo ingenuamente, ignara del fatto che ancora una volta fosse riuscito a manipolare la situazione a suo vantaggio, facendomi sentire erroneamente colpevole mentre lui, in realtà, era l'artefice di tutto quel malessere dipingendosi come vittima della mia incapacità di essere una buona fidanzata.

Manipolatore del cazzo.
Mi alzai a sedere, passandomi le mani sul viso con frustrazione. Ero intrappolata nei ricordi, avviluppata da una sensazione di impotenza. Odiavo quella situazione. Odiavo il turbinio di domande senza risposta che mi contaminavano la mente. Odiavo come il suo sorriso rimanesse impresso nei pensieri, costante e irresistibile. L'immagine indelebile di noi due insieme, condividendo ogni aspetto della mia vita, mi tormentava. Gli avevo raccontato tutto aprendomi su ogni aspetto, pensando di averlo fatto con qualcuno che non mi avrebbe mai abbandonato. Ero quasi totalmente nuda, avevo indosso solo il reggiseno a causa della sera prima. Avevo preso del tempo per me stessa e giocato col clitoride e stanca morta ero andata a dormire in quel modo. Scostai le coperte e raccolsi le mutande dal pavimento, dirigendomi poi in bagno. Chiudendo la porta con delicatezza alle mie spalle per non disturbare gli altri, mi sciacquai il viso, eliminando residui di trucco e di ricordi. Asciugai il viso e mi scrutai allo specchio... ormai abituata a non vedere più lo splendore nei miei occhi come un tempo, la speranza era svanita e la ragazza fragile che ero, se ne era andata.

Eppure, nonostante tutto ciò, provavo disgusto per me stessa. Ero diventata ciò che non volevo essere, tutto ciò che disprezzavo negli altri. Il riflesso di quello che cercavo di non essere... ero diventata la sua copia al femminile.
Avevo passato così tanto tempo cercando di aggiustarlo che alla fine mi ero trasformata in qualcosa di simile a lui. E, in un certo senso, quella trasformazione non mi dispiaceva. Ero troppo sensibile, incline a legarmi facilmente a chiunque mostrasse anche solo un briciolo di interesse nei miei confronti. Mi abbandonavo completamente alla prima attenzione ricevuta. E quando se ne andavano, era devastante. Una ferita così profonda che mi riducevo in frammenti irreparabili pur di trattenerli con me. Anche quando capivo ormai che erano irrecuperabili, nonostante i miei sforzi, mi ostinavo fino alla fine. Fino a quando non si stancavano e decidevano di andarsene, lasciandomi con un vuoto nel petto.

Ed io glielo concedevo, trascinata dalla speranza e dalla mia stessa debolezza, incapace di lasciarli andare nonostante mi svuotassero di ogni residua energia. Col passare del tempo, la speranza svanì, portando con sé anche la luce nei miei occhi. Prima di lui, ricevevo sempre complimenti sulla bellezza e profondità dei miei occhi, sulla loro luminosità intrinseca. Spesso si diceva che "gli occhi sono lo specchio dell'anima" e compresi perché i miei, dopo di lui, non brillavano più: come avrebbero potuto, quando l'anima era ormai spenta?

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La professoressa fece il suo ingresso nell'aula e noi alunni ci alzammo in piedi come segno di rispetto.
-Buongiorno ragazzi!- Ci salutò con un sorriso caloroso. Io invece risposi con un sorriso finto, ma ormai ero così abituata a simularlo che sembrava naturale, senza destare alcun sospetto.
Era la penultima settimana di scuola prima delle vacanze estive e mi trovavo in quella classe solo per formalità. I miei voti mi avrebbero permesso di evitarla tranquillamente, ma volevo che tutti sapessero che nonostante tutto continuavo a frequentarla... per apparenza. Ormai la scuola non mi interessava più, mentalmente era già finita da tempo. Laramey accanto a me sospirò esausta e la guardai di sfuggita mentre si agitava sulla sedia. Era preoccupata perché doveva recuperare matematica o avrebbe dovuto studiare da sola durante l'estate.
Un cazzo di incubo in poche parole.

Frequentavo una scuola privata, riservata esclusivamente a una ristretta élite. Potete già intuire a chi mi riferisco. Figli di imprenditori, giovani celebrità, persino discendenti di reali o eredi al trono. In poche parole individui disposti a sborsare cifre considerevoli per un'istruzione comune, simile a quella offerta dalla scuola pubblica. L'unica differenza risiedeva nell'architettura, imponente e antica e nei servizi impeccabili offerti. E ovviamente nell'assoluta riservatezza. Tutti coloro che frequentavano l'Imperium High School desideravano ottenere il diploma senza essere disturbati da individui di "livello inferiore".

Ancora oggi mi chiedo come facesse Laramey a frequentare quella scuola. Essendo figlia di un medico, non possedeva le risorse finanziarie per sostenere le spese scolastiche. Non le chiesi mai del suo status, poiché non volevo intromettermi negli affari altrui, ma continuavo a riflettere sul fatto che avrebbe potuto optare per una scuola pubblica. Personalmente, mi sarebbe piaciuto essere al suo posto e frequentarla. Che tipo di persone immaginate frequentasse quella scuola? Probabilmente penserete "persone ricche" e la risposta è corretta, ma proprio perché erano ricche spesso avevano un carattere di merda. Ogni giorno dovevo sopportare individui altezzosi e disgustosi.

Tuttavia, nel corso di quei due mesi, le mie abilità di dissimulazione si erano affinate arrivando al punto di diventare amica di chiunque, fingendo di condividere il loro stile di vita solo per adeguarmi. Nonostante ciò, c'era comunque un piccolo gruppo che, non importa quanto mi sforzassi oh Dio... avrei voluto usarli come sacco da boxe per liberare tutta la rabbia repressa che covavo. Fin dal primo giorno, si erano adoperati al massimo per ostacolarmi e sembrava che ogni mia reazione alle provocazioni li divertisse. Da cosa fosse nato quel sentimento di ostilità? Ancora oggi non mi è chiaro, ma uno dei tanti motivi era legato a Hailey e al suo atteggiamento nettamente superiore. Ad esempio, un trio di ragazze faceva che parte del gruppo delle modelle più famose della città e avevano già partecipato a numerose sfilate di rilievo. Pur avendo una solida carriera nonostante la giovane età, ogni volta che condividevano la passerella con Hailey, questa riusciva sempre a primeggiare, gettando un'ombra sulle altre.

Da quando ero diventata popolare, soprattutto per la mia bellezza e per essere una stretta amica di Hailey, avevo alimentato il loro odio e contemporaneamente il mio ego. Adoravo vederle consumarsi per invidia nei miei confronti e diventare il fulcro di ogni loro conversazione. Parlavano di ciò che mai avrebbero potuto essere.
-Ignorale- consigliò Laramey fissandole con disapprovazione, mentre io le risposi con un sorriso sarcastico. -E perché mai? Mi piace godermi le loro espressioni di invidia mentre bruciano- replicai. La mia amica mi lanciò uno sguardo complice e il cellulare emise un trillo; lei lesse la notifica.
-Sabato passerai la serata con noi? La scuola è finita e non ci sono feste in programma, non hai scuse- disse.
Riposi i quaderni nello zaino che avevo sulle ginocchia, pensando a tutti gli impegni che avrei dovuto rimandare solo per accontentarli. -In realtà, Dorian ed io abbiamo degli impegni da sbrigare, ma prometto che cercherò di esserci- risposi. Laramey mi scrutò con un sorriso beffardo. -Certo, ma dovrai impegnarti per farlo, altrimenti Rajin se la prenderà! E poi non hai ancora parlato con il nuovo arrivato. Non sei curiosa?-

Deglutii e ponderai l'idea di fuggire dall'aula il più rapidamente possibile, trovando una scusa banale. Mi va a fuoco la casa, ci vediamo sabato.
Ma cercai di tenere il sangue freddo e mi schiarii la voce.
Oh fidati, ci ho parlato eccome.
-Hai ragione, ci sarò anche per lui.-

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