Capitolo 1: Onde

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OCTAVIA

Qualcosa mi solleticò il viso. Qualcosa di leggero, delicato. Erano passi di danza quelli che sfioravano il mio volto. Erano fate, fate di aria che volteggiavano attorno a me.

Brezza, pensai.

Brezza marina, mi corressi, quando una fresca ondata di spuma mi bagnò il volto con fini goccioline.

Sollevai le palpebre e il bagliore del sole, alto nel cielo, per poco non mi accecò.

Alzai un braccio, facendomi ombra col palmo della mano.

Confusa. Ecco, quella era l'unica parola al mondo in grado di descrivere il mio stato in quel momento.

Mi feci forza. Alzai il busto, poggiando tutto il peso del mio corpo sul braccio ancora libero.

Qualcosa sotto di me scricchiolò non appena mi mossi. 

Legno.

Mi trovavo su una barca.

Sola, su una barca non più lunga di due metri e mezzo.

Posai entrambe le braccia sul bordo, fissando incredula il mare. L'azzurra distesa sembrava arrivare fin dove l'occhio di un uomo poteva guardare.

Cercai di capire dove mi trovassi e, soprattutto, cosa fosse successo, ma neanche un piccolo indizio riuscì ad aiutarmi nell'impresa.

Il ritmo costante delle onde mi cullava dolcemente, interrotto, di tanto in tanto, da scosse un poco più forti. 

Un'altra spruzzata di spuma mi bagnò la guancia sinistra.

Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo, cercando come sempre di farmi avvolgere dagli odori che mi circondavano. Il minimo indispensabile per rilassare i nervi e alleggerire la tensione.

Eppure nulla. Quella volta, neanche il più lieve degli aromi riuscì a stuzzicarmi il naso.

Qualcosa decisamente non tornava e dovevo capire "cosa", prima che fosse troppo tardi.

Mi alzai in piedi a scrutare l'orizzonte, ma le infinite sfumature di blu che il mare regalava erano le uniche immagini a riflettersi nelle mie iridi.

Un'onda, più forte delle altre, mi fece perdere l'equilibrio. 

Caddi in ginocchio, ammortizzando con le mani il botto.

Posai entrambi i palmi sulle cosce e, facendo forza, mi sollevai.

Un'altra onda minacciò di farmi cadere nuovamente, ma, questa volta, mi aggrappai forte al bordo della barca. 

Guardai verso l'orizzonte: nubi si addensavano nel cielo mentre un vento caldo e incalzante mi scompigliava i capelli.

«Qui si mette male» mi dissi, mentre le onde si alzavano sempre più imponenti.

Devo rimanere concentrata,  continuavo a ripetermi, ma dentro di me sapevo che c'era ben poco che io potessi fare per cambiare la situazione. 

Non c'era nulla su quella barca che mi avrebbe permesso di fronteggiare una tempesta: niente remi, niente vele, neanche un secchio per gettare l'acqua imbarcata.

Potrei gridare.

Potrei chiedere aiuto.

I pensieri più improbabili si accumulavano tanto velocemente, quanto le onde minacciavano di toccare il cielo.

Potrei cercare di scappare.

Potrei accendere un fuoco.

Sollevai lo sguardo: le onde erano ormai a pochi metri da me.

Non posso fare nulla, conclusi.

***

Un getto d'acqua mi svegliò tanto bruscamente, quanto uno schiaffo in pieno viso.

Mi sollevai sui gomiti con una certa difficoltà, boccheggiando alla ricerca disperata di aria. L'acqua mi aveva invaso naso e gola, impedendomi di respirare.

Fu solo quando cercai di asciugarmi le lacrime, che involontariamente mi avevano rigato le guance, che compresi come mai mi fosse risultato difficile, poco prima, sollevarmi sui gomiti: i miei polsi erano legati.

Prigioniera.

Qualcosa mi solleticó le caviglie. Qualcosa di caldo e umido.

Strizzai le palpebre, cercando di mettere a fuoco quell'immagine, ma gli occhi non si erano ancora abituati alla realtà.

Una macchia rosastra ai miei piedi si mosse, emettendo un grugnito.

Un maiale?

Urtai qualcosa col gomito che emise un tintinnante rumore metallico.

Spostai lo sguardo, mettendo a fuoco, seppur ancora con qualche difficoltà, una ciotola di ferro riversa a terra, o meglio, su di me.

Che fosse stata quella la causa del mio incubo? 

Non sarebbe stata la prima volta che adattavo un sogno a quello che stavo vivendo.

E quindi, se l'acqua che era contenuta al suo interno rappresentava il mare, le folate calde di vento che mi avevano carezzato il viso erano... 

Scossi la testa schifata al solo pensiero che quell'animalaccio mi avesse alitato in faccia per tutto il tempo.

Mi guardai intorno, cercando di capire dove mi trovassi.

Il soffitto e le pareti erano fatte interamente di legno; sicuramente una carrozza, a giudicare dalle continue scosse che mi facevano oscillare passivamente.

Cercai di focalizzarmi su cosa fosse successo. Gli ultimi ricordi che avevo riguardavano la nostra fuga da Ynda. Poi, il vuoto più totale.

Mi portai le mani agli occhi, cercando un filo logico che collegasse tutti i punti. Spinsi più forte i palmi sino a farmi male.

Perché non riuscivo a ricordare nulla?

Più cercavo una risposta, più mille dubbi mi assalivano. E più confusione provavo, più cresceva l'odio nei miei confronti.

Il respiro caldo dell'animale tornò a inumidirmi una caviglia. Riaprii gli occhi, allontanandolo con un calcio.

Uno scossone più violento dei precedenti mi fece sobbalzare. Sbattei la testa contro una delle pareti in legno, per poi ricadere con tutto il peso del mio corpo sul coccige.

Una fitta di dolore mi percorse le ossa arrivando sino al cervello. Strinsi le labbra, sforzandomi di trattenere un grido di dolore.

Sforzo del tutto inutile dato il verso, più acuto di una sirena, che quel maiale emise.

Sentii la carrozza rallentare sempre di più, fino a fermarsi del tutto.

Un unico, netto tonfo mi fece capire che qualcuno era saltato dal posto di guida e si stava dirigendo proprio lì dietro.

Afferrai automaticamente la scodella di ferro, nascondendola dietro la schiena, e mi distesi a terra fingendomi ancora svenuta.

Lo sportello sul fondo si aprì.

Riuscivo a percepire la presenza di qualcuno avvicinarsi, ma non mossi un solo muscolo fin quando non fui certa che fosse piegato su di me, sentendo i suoi capelli sfiorarmi il naso.

Aprii gli occhi e, ruotando su di un fianco, cercai di colpirlo alla testa con tutta la forza che i polsi legati mi permettevano di usare.

Speravo di farlo svenire, o quanto meno di stordirlo.

Ma nulla di tutto ciò accadde.

Le mie braccia non arrivarono neanche lontanamente a sfiorarlo che la sua mano mi bloccò con un unico movimento.

«Questa» disse, strappandomi la ciotola di mano «la prendo io.»

Il tono era calmo e privo di ogni emozione.

Il suo viso stava a non più di dieci centimetri dal mio. Pelle chiara, capelli corvini e due monete dorate incastonate negli occhi.

Zane.

Come un'onda infranta sugli scogli, così il ricordo di ogni momento precedente alla cattura si abbatté su di me: il turno di guardia, Ilan... Tutto.

Un impeto di rabbia mi inondò dalla testa ai piedi. Mi spinsi in avanti col busto, dandogli una testata sulla mascella.

Con uno scatto, il ragazzo si ritrasse indietro e, facendo leva sul braccio che ancora mi stringeva i polsi, mi scaraventò a terra.

Sbattei la schiena tanto violentemente da privarmi del respiro, mentre un velo di pece mi obnubilò la vista per qualche secondo.

Sfocatamente, lo vidi asciugarsi col dorso della mano un rivolo di sangue che gli colava dal labbro inferiore. 

I suoi lineamenti si distorsero in un'espressione di rabbia.

«Ti conviene non provare a rifarlo una seconda volta» mi minacciò, mollando la presa su di me e avviandosi verso l'esterno.

Provai a rialzarmi immediatamente, cercando di accumulare tutte le forze che evidentemente non avevo.

Mi spinsi in avanti, un piede dopo l'altro. Ma non feci in tempo a raggiungere l'uscita, che il ragazzo aveva già richiuso lo sportello.

Battei le mani contro il muro in legno con tutta la forza che mi erano rimaste in corpo.

«Sei un'idiota!» urlai furiosa «Hai preso la persona sbagliata.»

«Impossibile.»

La sua voce oltre la parete era tornata calma e piatta.

«Io non sbaglio mai.»

Angolo autrice
Dear All
Chi di voi ci ha letto "Ddaear Arall"? Nessuno? Ok sono solo io sono la matta. Ma ieri spizzando la posta di mia madre (con lei accanto) ho letto questa frase e mi è preso un colpo perché pensavo le fosse arrivata una mail con la mia storia. Ci ho messo circa un minuto a realizzare cosa ci fosse effettivamente scritto. Io e i miei giri mentali...
Allora
Bene
Iniziamo
Ho tante tante cose da dirvi (Come sempre sapete di non dover leggere questi miei sproloqui degli angoli autrice, io li faccio perché mi piace chiacchierare con voi, ma leggeteli solo se volete farlo).
In primis devo chiedervi scusa per questo ritardo nella pubblicazione.
Ma cosa è successo?
Eh, bella domanda.
Questa settimana sono tornata a casa per studiare un po' prima di ritornare a Perugia per dare gli esami. Ho preso i libri, i vestiti, il computer MA (udite udite la furbizia) non il caricatore del computer.
Ma una come me che fa? Se ne accorge subito? Certo che no.
Una come me se ne accorge dopo aver scritto prologo e quasi tutto il capitolo 1.
E anzi, una come me non se ne accorge affatto.
Almeno finché il computer non si spegne mentre lei è fuori.
Una come me torna a casa salterellando, cerca il caricatore e solo dopo aver messo a soqquadro tutta casa si accorge di averlo lasciato a Perugia.
Ciò ci porta a:
1) Aver ritardato la pubblicazione (per fortuna, dovete sapere che durante i viaggi in macchina io mi invento i capitolo registrandomi, e poi li riascolto per scriverli, quindi almeno il prologo già lo avevo)
2) Aver pubblicato per la prima volta col cellulare (e per questo spero di non aver fatto un casino... non sono proprio un genio dell'informatica io)
3) Aver riscritto da capo questo capitolo. E come sempre penso di aver fatto un casino, perché inevitabilmente quando si riscrive uno stesso capitolo, questo verrà sempre peggio del primo tentativo. Spero comunque non sia risultato troppo brutto.

Parlando del capitolo in sé per sé:
- Che dire? Partire dallo spiegare il motivo di un così lungo pezzo iniziale incentrato sul sogno. Ammetto che forse mi è uscito più lungo di quanto volessi... ma sapete? Nei sogni non si può mentire neanche a sé stessi. Ed è solo viaggiando nel mondo onirico che si possono scoprire piccole sfaccettature nascoste nella vita reale, o veri e propri segreti incastonati nel cuore delle persone.
In più mi piaceva l'idea di associare quello che stava vivendo (il dondolio del carro, l'acqua della ciotola ecc) al sogno che stava facendo. A me succede spesso, sapete? Sono l'unica?
E poi mi faceva morire l'idea che paragonasse il respiro del maiale alla brezza marina.
- Finalmente sappiamo chi è il misterioso rapitore (anche se molti di voi già lo avevano scoperto)
- E il maiale? Ehhh mishtero (ma no, non è un elemento chiave)
Sapete? Non è stato per nulla facile fare questo capitolo. Mi veniva un sacco da scriverlo dal punto di vista di Lydia. Ma penso/spero alla fine di essermi ripresa.
Mi scuso ancora per tutto, veramente.
Un bacione grande grande.

TRIVIA
Hikari inizialmente doveva essere cieca. Mi piaceva l'idea che "vedesse io mondo" attraverso i piedi grazie al suo potere. Inoltre doveva essere una Rheol di Metallo o Terra.
Ma poi obiettivamente sarebbe stato praticamente plagio del personaggio di Toph in "La leggenda di Aang" e quindi ho accantonato l'idea.

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