Capitolo 13: Ricerca

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OCTAVIA

Dovevo decidere cosa fare. Mi si presentava davanti agli occhi la possibilità di scappare e sperare in una fuga da Aer quantomeno dignitosa.

Ma fuggire era veramente ciò a cui dovevo puntare? E se quella fosse stata l'unica possibilità di avvicinarsi alle informazioni possedute dalla famiglia Levian? Se io, in quel momento, fossi stata la chiave per il recupero delle informazioni necessarie a liberare Au Maite? Avrei veramente dovuto gettare al vento quell'occasione?

La risposta era semplice: no.

Ma altrettanto facile non era sopprimere il mio istinto sopravvivenza e reprimere il grido di ogni fibra del mio corpo che m'implorava di restituirle la libertà.

Diedi un rapido sguardo al ragazzo a guardia delle prigioni: le gambe distese e la testa reclinata all'indietro, in una posizione che avrebbe fatto venire il torcicollo solo a guardarlo. Il sottile russare, che accompagnava ogni suo respiro, era lo stesso con cui mi si era presentato la prima volta che lo avevo incontrato.

Evadere non sarà troppo complesso, pensai, osservando le sue labbra fremere passive ad ogni nuovo russio.

Ma una volta uscita, orientarmi sarà praticamente impossibile, rimuginai, cercando di ricordare il percorso fatto con Zane dall'ingresso sino alle prigioni.

Inoltre, ammesso e non concesso che fossi riuscita a ricordarmi la strada percorsa poco tempo prima, come avrei fatto a trovare gli alloggi? E, ancor peggio, come avrei fatto a riconoscere quella di Kimaris Levian?

Mi rigirai la chiave tra le mani, fissandola intensamente, come se quel pezzo metallico potesse, in qualche modo, darmi le risposte che stavo cercando.

«Io non starei a rifletterci troppo, ragazza.»

Una voce mi strappò ai pensieri, facendomi sussultare.

Cercai di nascondere velocemente la chiave all'interno della manica e mi voltai, scoprendo che chi era stato a parlare non era altri che il mio vicino di cella.

Ci manca solo che la guardia si svegli, pensai, incenerendolo con lo sguardo.

«Tranquilla, non si sveglierà» mi assicurò con voce calma «Sto iniziando a sospettare che quel ragazzo soffra di narcolessia, in effetti» osservò poi, scrutando il ragazzo con sguardo dubbioso.

Distolsi lo sguardo, posandolo a terra. Avevo già tanti problemi da risolvere e, di certo, fare nuove amicizie non rientrava nella mia lista delle priorità.

«Non sei un tipo molto loquace, eh?» continuò imperterrito, sedendosi a terra ed appoggiando la schiena contro la parete «Tranquilla, non ho intenzione di spifferare il tuo asso nella manica» aggiunse, posando un braccio sulle ginocchia e voltando lo sguardo.

Mi parve quasi di sentire la chiave bruciare all'interno della manica, come se la consapevolezza di essere stata scoperta l'avesse fatta divenire incandescente.

«Tuttavia, per quanto possano essere un branco di idioti, prima o poi si accorgeranno della sua mancanza» affermò, accompagnando la frase con un cenno eloquente del capo.

«Saranno pure un branco di idioti, ma intanto loro sono lì fuori e noi qui dentro» intervenne, ironica, una voce esterna.

L'ultima cosa che volevo era che tutti i presenti s'impicciassero degli affari miei.

«Chiudi il becco Gerlin» tagliò corto l'uomo «E tu smettila di stare a preoccuparti; quello lì non si sveglierebbe neanche con merich nell'orecchio» mi canzonò, notando, probabilmente, il mio sguardo ancora preoccupato.

Come se sapessi cos'è un merich.

«Dico solo» continuò, incurante del fatto che non gli avessi mai risposto «Che nel momento in cui ti ritroverai ad usarla, potresti ricordarti chi è che ti ha permesso di ottenerla.»

Mi sporsi spontaneamente in avanti, a squadrare la guardia appisolata all'ingresso. La scatola, contenente le chiavi delle altre celle, si trovava posata sul banco, esattamente d'innanzi a lui. Anche se avessi voluto, non avrei mai potuto recuperare la chiave giusta per liberarlo senza fare rumore. Senza contare il fatto che, con grande probabilità, anche gli altri prigionieri avrebbero potuto fare allora la stessa richiesta, rischiando di mandare il mio piano in fumo.

«Non sono nato ieri ragazza, sono consapevole che tu non possa farlo nell'immediato. Mi sembrava solo di dovere fartelo presente. Sono sempre stato convinto che tutto, nella vita, torni prima o poi.»

«Questo è poco, ma sicuro» mi lasciai sfuggire.

Se, in qualche modo, fossimo veramente riusciti a far cessare quella guerra, saremmo stati in grado di liberare non solo lui, ma qualsiasi prigioniero del Regno.

«Ad ogni modo» aggiunse, avvicinandosi un poco «Io sono Alec.»

Voltai il capo, guardandolo in faccia per la prima volta da quando era iniziato il suo monologo.

«E dimmi, Alec» iniziai, in tono interrogativo «E se tu non volessi fuggire? Se tu stessi cercando i dormitori, magari quelli dei tenenti o, meglio, dei generali?»

***

"Se stessi cercando i dormitori, ragazza, io andrei in alto, molto in alto. Più sali, più hai probabilità di trovare le stanze dei pezzi grossi".

Mi ripetevo incessantemente le parole dell'uomo, mentre regolari respiri affannati accompagnavano ogni passo della mia corsa.

Uscire di cella, come previsto, era stato semplice. Un singolo giro di novanta gradi e la porta si era aperta senza alcun intoppo. Avevo dato un ultimo sguardo ad Alec e poi mi ero voltata, oltrepassando in un attimo l'ingresso della prigione, con passo svelto e felpato.

Presi un'altra svolta e mi trovai di fronte una rampa di scale.

"Più sali, più hai probabilità di trovare le stanze dei pezzi grossi", mi ripetei nuovamente.

Infilai le scale e, salendo i gradini due a due, mi ritrovai in un batter d'occhi al piano terra. Per un istante fui tentata di uscire. L'ingresso non era distante. Ancora qualche secondo ed avrei ceduto al mio istinto di autoconservazione. Proprio per questo, invece, abbassai il capo ed iniziai a correre, prendendo una direzione a caso e cercando altre scale.

Voci confuse giunsero alle mie orecchie, costringendomi ad invertire immediatamente senso di marcia.

Non saranno, purtroppo, tutti imbecilli come il ragazzo di guardia, pensai, pregando con tutta me stessa di non essere scoperta.

Senza neanche sapere come, ero riuscita a trovare una nuova rampa da salire. Quell'edificio era grande, veramente grande. Molto più di quanto non mi fosse apparso al primo impatto. Corridoi si susseguivano senza alcuna interruzione; ad ogni svolta, nuove pareti grigie si aprivano davanti a me.

Improvvisamente, una porta sulla destra si aprì di scatto, costringendomi ad interrompere bruscamente la corsa, per evitare di finirci contro. Il mio naso ne sfiorava il legno, leggermente scricchiolante, mentre ogni singolo muscolo del mio corpo era teso come una corda di violino.

Un ragazzo ne uscì immediatamente dopo, voltandosi in direzione opposta alla mia e richiudendosi svogliatamente la porta alle spalle.

Trattenni il fiato, fissandolo trascinarsi lentamente fino alla fine del corridoio, per poi vederlo svoltare alla fine di esso, senza mai voltarsi indietro neanche una volta. Rimasi immobile ancora per qualche secondo. Ricordandomi di dover riprendere a respirare, solo quando i polmoni iniziarono a gridare di dolore.

Non mi aveva vista! Ancora non ci potevo credere.

Scossi la testa, cercando, in qualche modo, di ritornare padrona del mio corpo e della mia mente. Fissai la porta sulla mia destra, spostando lo sguardo nel punto in cui il ragazzo era scomparso per poi riportandolo nuovamente sulla porta. Forse ce l'avevo fatta, forse ero riuscita a trovare i dormitori.

Esultai mentalmente per un attimo, poi la consapevolezza di non avere la più pallida idea di quale stanza controllare mi travolse imponente, strappandomi quell'esile sorriso.

Se fossi un generale, dove avrei le mie stanze? iniziai a pensare, Se fossi un generale...

Voltai il capo, massaggiandomi le tempie. Dovevo trovare un modo per poterle identificare, ma quale?

Aumentai la pressione esercitata sulle tempie, sperando che potesse portarmi da qualche parte. Poi, qualcosa rientrò nel mio campo visivo, catturando la mia attenzione. Qualcosa di piccolo, qualcosa di scuro.

Abbandonai le mani lungo i fianchi e mi avvicinai a quella che si rivelò essere una macchia sul pavimento in legno del corridoio, una macchia di sangue per la precisione.

Il ricordo della ferita alla gamba di Zane riemerse improvvisa nella mia mente. Rividi la smorfia di dolore contorcergli il volto e la sua mano sfiorare la gamba, tingendosi di un intenso colore scarlatto.

Sollevai il capo, acuendo la vista alla ricerca di una nuova traccia, che non tardò ad arrivare. Una seconda macchia spiccava a terra, a poco più di tre metri di distanza.

Sperando di aver preso la direzione giusta, iniziai a seguire la scia di sangue che il ragazzo aveva lasciato dietro di sé, un po' come Pollicino aveva fatto coi sassolini per trovare la strada di casa. Le gocce si alternavano in maniera pressoché regolare, disegnando un percorso facile da seguire. Un passo dopo l'altro, una svolta dopo l'altra, quasi fosse un gioco, una mappa da leggere. Poi, un'ultima macchia ruppe la magia, costringendomi a sollevare lo sguardo.

E adesso?

Mi guardai intorno, sperando di intravedere una nuova traccia, magari più distante delle altre. Ma nulla.

Mi passai una mano tra i capelli, piegando la testa di lato, e allora lo vidi. Un segno rossastro tinteggiava leggermente la maniglia di una delle porte.

Bingo.

Afferrai il manico e l'abbassai molto lentamente, evitando accuratamente di fare un qualsiasi rumore.

La probabilità che lui si trovi lì dentro è cinquanta e cinquanta, prendi coraggio e gioca la tua carta, mi imposi, aprendo, con una netta spinta, la porta.

Una folata di vento mi colse in pieno volto, facendomi spuntare la pelle d'oca, ma, per il resto, nulla sembrava muoversi all'interno di quella stanza. Mi richiusi velocemente la porta alle spalle ed andai ad accostare la finestra lasciata spalancata.

Le mie mani tremavano e questo non andava bene. Espirai rumorosamente, cercando di rimanere il più lucida possibile. Afferrai l'elastico, che tenevo sempre al polso sinistro, e mi legai i capelli in una coda di cavallo.

Non era la stanza di Zane quella che stavo cercando, ma può essere comunque un buon punto di partenza, mi consolai velocemente.

Diedi un rapido sguardo attorno, cercando di capire quale potesse essere il metodo più rapido ed efficace di ricerca adatto alla mia situazione. La stanza era piuttosto grande e del tutto impersonale. Scaffali e mobili tenuti in perfetto ordine, come se nessuno li avesse toccati e spostati da lungo tempo.

Solamente una sacca, riposta ai piedi del letto ed aperta, stonava col resto del quadro. Con ogni probabilità, si trattava della roba che aveva con sé durante il viaggio e che aveva fatto scaricare. Parte dei vestiti, in essa contenuta, erano stati tolti e riversati casualmente sul letto, come fossero stati rimossi per la ricerca di qualcos'altro presente nella sacca. Decisi che quella sacca sarebbe stato l'ultimo posto dove sarei andata a controllare, considerando improbabile che si fosse portato delle informazioni super top secret a spasso per tutta Ddaear Arall.

Iniziai dai libri, aprendoli e controllando cosa ci fosse dietro. Ceravo di tutto: fogli, documenti, simboli, qualsiasi cosa potesse anche solo rassomigliare ad un indizio. Eppure, tutto ciò che riuscii a trovare furono registri, appunti di spostamenti e nozioni su combattimenti e l'uso di armi. C'era persino un intero libro dedicato all'utilizzo di una lama sprovvista di impugnatura. Richiudendo l'ultimo libro dello scaffale, passai agli armadi. Ne aprii le ante e constatai che tutto il disordine, assente all'interno di quella stanza, era riverso all'interno di quei mobili.

Iniziai a tirare fuori ogni cosa contenuta, rovesciandola sul pavimento, fin quando uno scrigno di metallo non attirò la mia attenzione. Provai ad aprirlo ma, com'era immaginabile, il coperchio non si sollevò. Scrutai incerta la fessura della serratura, decisa a trovare la chiave che aprisse quel piccolo forziere. Lo posai a terra e mi portai una mano al mento.

Dove nasconderesti la chiave di qualcosa di molto personale? Mi domandai, guardandomi attorno.

Il mio sguardo cadde sul letto ed improvvisamente mi tornò in mente la spasmodica ossessione di mio fratello Zack di nascondere tutto ciò che rubava in casa, sotto il suo letto. Qualsiasi cosa non si trovasse più in giro, potevi stare certo di trovarla lì sotto. Sempre più convinta, mi avvicinai e, accucciandomi, controllai sotto di esso.

Ovviamente fu un buco nell'acqua, ma non mi diedi per vinta. Controllai tra le assi del letto, sotto il materasso e tra le coperte. Poi mi rialzai e, aggirando il comodino, passai a controllare la testiera del letto e il cuscino.

Fu esattamente in quel momento, mentre ero ancora intenta a cercare all'interno della federa, che la porta della stanza si aprì, facendo entrare uno Zane sovrappensiero. Guardava a terra, proprio per questo non si accorse immediatamente della mia presenza. Poi, con uno scatto, i suoi occhi passarono dagli oggetti riversi a terra, al letto per finire su di me.

«Tu!» esclamò, mentre il suo sguardo tramutava da un'espressione di stupore ad una piena di rabbia.

Lasciai cadere il cuscino, che ancora stringevo tra le mani, e mossi lentamente un passo di lato, quasi mi trovassi di fronte ad un tirannosauro dove poteva valere la regola del "Se non fai nessuno scatto inconsulto, non ti mangia".

Ma poi, non appena lo vidi in procinto di avanzare, mi mossi velocemente, afferrando dal comodino la prima cosa che trovai a portata di mano e lanciandogliela contro: un ritratto.

I riflessi del ragazzo furono repentini e, facendo un passo indietro, accostò la porta che aveva aperto poco prima, proteggendosi dietro di essa. La cornice andò a infrangersi contro la superficie in legno, frantumando il vetro che la proteggeva in mille schegge.

Quando la porta si aprì nuovamente e Zane notò i resti del ritratto riversi a terra, i suoi occhi dorati si accesero in una fiamma d'ira che mai gli avevo visto dipinta sul volto.

«Adesso basta!» ringhiò, sbattendo violentemente la porta dietro di sé.

Fece due passi in avanti ed io, per un istante, valutai seriamente la possibilità di gettarmi dalla finestra. Poi, ricordandomi di essere salita "In alto, molto in alto", accantonai l'idea, afferrando invece il bordo del comodino e ribaltandolo in avanti.

Il ragazzo si spostò di lato, facendosi solo sfiorare dal mobile, e riprese la corsa, distendendo in avanti le braccia.

Dandomi una piccola spinta, mi gettai in avanti, facendo una capriola sopra il materasso ed usandolo come base d'appoggio. Mi alzai in piedi e saltai oltre il bordo del letto, riuscendo in tal modo ad oltrepassare il ragazzo e protendermi verso la porta. La fuga, ormai, era diventata il piano A.

Avevo già afferrato la maniglia, quando qualcosa di pesante mi avvolse le gambe, facendomi cadere. Riuscii a malapena a realizzare che si trattasse delle coperte del letto, che Zane mi fu subito sopra, schiacciandomi l'addome a terra. Tentai di far forza in modo da liberarmi, ma la presa del ragazzo era troppo forte.

«Lasciami!» gridai, roteando una spalla per cercare di allontanarlo «Tanto è inutile, cosa credi? I miei compagni non saranno mai così idioti da presentarsi qui per liberarmi, rischiando di mandare in fumo la loro unica possibilità di vittoria! Hai perso già in partenza!» continuai, liberando un braccio e piazzandoli una gomitata sullo stomaco.

«Sei tu a non aver capito nulla, ragazzina!» inveì, bloccandomi nuovamente il braccio «Ancora non hai capito che sei tu quella che tutti cercano? Che sei tu ad avere il Dono? Non mi importa nulla di quello che faranno o meno i tuoi compagni, che si ammazzino pure! Sei tu quella che voglio.»

Angolo Autrice
Ta daaaaan ! Sono pure riuscita a pubblicare in una settimana di tempo (più o meno)! Che poi, revisionando i primi capitoli e leggendone gli angoli autrice, ho scoperto che fino a (circa) il 17° capitolo ero riuscita a pubblicare ogni capitolo in meno di sette giorni! Bei tempi, quando ero ancora giovane e gagliarda ...
Come state? Io senza voce! Lunedì scorso sono riprese le lezioni e la gola stava così e così, poi è migliorata ed io ho pensato: "Evviva, una gioia"! Mai l'avessi fatto! Appena iniziato il weekend mi sono alzata completamente afona. Ora ho una voce che varia dal sussurrante al trans. Mi consolo pensando al fatto che Ariel, senza voce, è riuscita a rimorchiare quel gran pezzo di patato che è Eric!

Ma lo so, lo so che a tutti voi non interessa una ceppa di come sto, state tutti aspettando che faccia qualche commento al capitolo! Ebbene: sappiate che (per quanto possa sembrare un momento fallimentare, visto che Octavia è stata scoperta e di nuovo catturata) siamo arrivati ad un punto chiave dell'intera trilogia, per una serie di ragioni, molte delle quali verranno del tutto rivelate più avanti!
Ma, per ora: ecco svelato il mistero del rapimento di Octavia. Non è stato uno sbaglio, non è stata una trappola. Zane non attendeva che i nostri intrepidi eroi la andassero a salvare. Lui voleva proprio Octavia. Ma perché ne è così convinto? Credete che abbia ragione? E se così fosse... la nostra povera Lydia? Indifesa ed inutile.
Non aggiungerò altro, attenderò solo i vostri commenti.
*Si arma di casco e scudo*.
P.S. So che è orribile la parola "russio", ma l'alternativa proposta dalla Treccani era "russamento", ancora più cacofonico direi.

TRIVIA
Ecco il trivia che tutti stavate aspettando: perché "Pompelmi"? Perché hai deciso di dare quel nome orribile a quei poveri cinghiali: "Grawnffrwyth". Già fanno un lavoro faticoso, trasportando quei pesanti carri, perché hai voluto infliggergli quest'altra punizione?
Beh, dovevo decidere un nome da dargli, ma tutti i nomi correlati ai cinghiali o al trasporto non mi piacevano in versione gallese. Così (ero in salotto) ho alzato la testa ed ho chiesto, a bruciapelo, alle mie coinquiline: "Ditemi la prima parola che vi viene in mente". E Rita, l'illustratrice di casa, mi guarda, ridendo, e dice: "Pompelmo".
"Ed è così, ragazzi, che ho conosciuto vostra madr..." Ah no, ho sbagliato.

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