Capitolo 19: Volto

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OCTAVIA

Indietreggiai spontaneamente, come trascinata da un antico istinto animale, rovesciando qualcosa a terra che produsse un lieve rumore metallico. Mi arrestai guardando a terra per vedere cosa avessi colpito, non comprendendo ancora cosa stesse succedendo. Ebbi giusto il tempo di mettere a fuoco la scodella del pranzo che lo schianto delle sbarre della mia cella mi fece sussultare.

Tra le aspre spire del fumo, una mano emerse, spalancata come le fauci di una tigre, afferrandomi per i vestiti. Bastò una singola strattonata e fui fuori dalla mia prigione. Nuovamente libera, ma stretta tra le mani di uno sconosciuto.

Socchiusi gli occhi, cercando di riconoscere i lineamenti della persona di fronte a me, ma quel che vidi fu solo lo sfumato contorno di una maschera. Un lupo.

Ebbi l'istinto di toccarla, giusto per esser certa che fosse reale.

«Chi sei? Cosa...?» sussurrai tra le labbra, con la mano incerta ancora sospesa a mezz'aria.

Non un singolo centimetro del suo viso era stato lasciato scoperto, eppure c'era qualcosa in lui, nelle sue movenze fluide, nella sua stretta, che aveva un ché di familiare. Non rispose ma, al contrario, si piegò dandomi le spalle e iniziando ad armeggiare con qualcosa che teneva in vita.

Io continuai a fissarlo. Ero come incantata. Mai mi era successo qualcosa del genere, tanto che per un istante credetti di star sognando (o che in quella zuppa avessero messo un potente allucinogeno, cosa che del resto avevo sempre sospettato).

«Cosa stai aspettando? Un invito firmato dal re in persona? Scappa!»

La voce di Alec, concisa e reale, mi riportò finalmente al presente. Mi voltai nella sua direzione, cercando di individuarlo tra le coltri di fumo. Lui stava lì, a meno di un metro da me, con le braccia sporgenti oltre le barre di metallo, come il suo solito. Cercai di riprendermi, chiusi la bocca, che mi accorsi solo in quel momento di tenere aperta, e ricambiai il suo sguardo con il più deciso che riuscii ad indossare, glielo dovevo.

Accennai un con la testa e, senza aggiungere altro, mi voltai in direzione della porta, iniziando a correre. Tenevo le braccia protese in avanti, sperando di non sbattere contro alcuna parete o, peggio, alcuna guardia. Avevo perso il contatto visivo col mio liberatore, cosa di cui non sapevo se essere felice o meno.

Stavo per oltrepassare la porta della prigione quando le mie gambe inciamparono su qualcosa riverso a terra. Non avevo ancora le forze di resistere a un simile urto e per questo, in meno di un secondo, mi ritrovai con le ginocchia a terra, aggrovigliata a un corpo immobile: la guardia delle prigioni.

Qualcosa di caldo e denso inumidì la mia mano; la sollevai per scoprirla scarlatta del sangue del soldato. La strusciai a terra cercando di pulirla il più possibile e fu allora che notai, proprio lì accanto al corpo, una scatola di ferro, che subito identificai come il contenitore delle chiavi delle celle. Cosa ci faceva lì a terra? Forse era caduta dal bancone nel momento in cui il ragazzo in maschera aveva fatto la sua comparsa.

Con un colpo di reni mi ci lanciai sopra, rotolando in parte sul corpo della guardia a cui tanto, pensai, peggio di così non poteva andare. Raccolsi le poche chiavi che si erano rovesciate a terra, rimettendole all'interno del contenitore. Essendo più pesante di quanto pensassi, la afferrai ai bordi con entrambe le mani e la sospinsi in avanti, facendola scivolare lungo il pavimento. La seguii con lo sguardo fino a quando non scomparve nel fumo, sperando che arrivasse dritta dritta in fronte alla cella di Alec, o comunque di qualche altro prigioniero.

Stavo già per rialzarmi quando una stretta, la sua stretta, mi precedette, sollevandomi con facilità.

Lui iniziò a correre verso le scale uscendo fuori dalla nuvola di fumo ed io feci lo stesso, cercando di star dietro al suo passo. L'improvvisa nitidezza della vita reale quasi mi diede fastidio e per una frazione di secondo mi sentii come abbagliata da un camion in piena notte.

Già dall'imbocco della seconda rampa la mia vista era tornata perfettamente funzionante, peccato che le mie gambe già avevano cominciato a cedere a passi alterni. Ma più loro gridavano di non aver forze a sufficienza, più io mi opponevo, ordinandogli di resistere, e lì dove la mia volontà faceva cilecca, accorreva sempre lui, il ragazzo, pronto a sorreggermi quel tanto che bastava per non farmi capitombolare.

«Hai un piano?» domandai, non appena raggiungemmo il piano terra, allontanandoci dalle scale centrali.

Tuttavia l'unica risposta che ottenni fu il sollevamento della sua mano che levò a livello della mia bocca, tenendo il palmo e le dita ben distese, come a dire "Sta zitta e aspetta". Io di tutta risposta la scostai di scatto, un po' irritata.

Lui non sembrò farci troppo caso e muovendo sempre la stessa mano mi indicò un corridoio in lontananza. Un gruppo di guardie si stava muovendo in nostra direzione senza troppa fretta.

«Dobbiamo per forza prendere anche noi quella direzione» sussurró da dietro la maschera con voce ovattata, indicando proprio il punto da cui provenivano i soldati «Cammina lentamente» aggiunse, coprendosi il capo col cappuccio della felpa che indossava.

Imboccammo lo stesso loro corridoio, precedendoli e dandogli le spalle. Pochi metri e un corridoio sulla destra sarebbe stato la nostra salvezza. Almeno momentaneamente.

«Avete sentito? Esce fumo dalle prigioni!»

Non mi voltai, ma dalla voce trafelata doveva trattarsi di una guardia che appena aveva raggiunto il gruppo da cui ci stavamo allontanando.

«Fumo? Un attacco?» chiese qualcuno.

«Un'evasione?» qualcun altro.

«Non si sa ancora nulla ma qualcuno sta già andando a controllare. Voi avete visto qualcosa?» domandò il primo.

Non udii risposta, forse avevano semplicemente scosso la testa. Noi nel frattempo eravamo quasi giunti alla svolta, quando la voce della prima guardia si volse in nostra direzione.

«E voi?»

Ovviamente non demmo risposta.

«Ehi, voi due!» continuò, questa volta in tono più marcato.

Sentii strattonarmi e senza dirci una parola i nostri passi divennero corsa. Girammo l'angolo prendendo il primo corridoio a destra e, prima di raggiungere la svolta successiva, mi sentii tirare nuovamente, scomparendo dalla scena come nel migliore dei trucchi di prestigio, ma senza nuvola di fumo.

Ci misi qualche attimo a realizzare che il ragazzo aveva intercettato una parete laterale, una di quelle piatte, incastonate alle pareti, che solitamente si mimetizzano come camaleonti nella foresta. Lui aveva richiuso immediatamente la parete, accostando l'orecchio alla porta e ascoltando i movimenti delle guardie che nel frattempo avevano preso a rincorrerci. Udimmo i loro passi avvicinarsi sempre più per poi allontanarsi progressivamente, una volta superato il nostro nascondiglio.

Se c'era qualcosa di palese era che il ragazzo doveva conoscere a menadito il posto, il ché non faceva che rafforzare i miei sospetti sulla sua identità.

Diedi un rapido sguardo alla stanza, si trattava di un semplice ripostiglio, o forse una lavanderia, ma non ne ero certa.

«Andiamo, prima che tornino sui loro passi!» mi disse, anzi ordinò, aprendo una porta che fino a quel momento non avevo notato.

Non attese una mia risposta, ma passò oltre, scomparendo nella stanza adiacente. Stavo per seguirlo quando udii un colpo sordo provenire dall'altro lato della parete. Mi guardai attorno, afferrando la prima cosa che trovai a portata di mano: un detersivo.

Mi affacciai con cautela, trattenendo il respiro, espirando poi sollevata nel constatare che non era stato il mio compagno di fuga a stramazzare al suolo ma che anzi era stato lui a colpire una guardia, probabilmente già presente nella stanza al suo arrivo.

Il ragazzo in maschera se ne stava lì, accucciato sulla guardia svenuta, tastandolo in cerca di qualcosa di utile da potergli sottrarre. Proprio per questo io fui l'unica ad accorgersi di un secondo soldato che, sbucato da dietro un carrello ricolmo di panni, aveva fatto cadere gli indumenti che portava sottobraccio e si stava avvicinando alle spalle del ragazzo, afferrando un coltello dalla cinta che teneva in vita.

Non ricordo neppure cosa pensai quando mi mossi. Fu un attimo e, sbucando fuori dalla porta, dietro la quale ancora mi stavo nascondendo, svitai il tappo del detersivo e pronunciai un "Ehi" che richiamò non solo la sua attenzione, ma anche quella del ragazzo con la maschera. Non appena la guardia ebbe voltato lo sguardo verso di me gli lanciai contro il contenuto della boccia, colpendolo sugli occhi. Il ragazzo si coprì il viso con entrambe le mani e io ne approfittai per dargli un pugno allo stomaco, facendolo piegare in due. Fulmineo il mio compagno gli fu sopra, colpendolo col gomito tra le scapole, facendolo crollare definitivamente a terra.

Non ci fu il tempo per alcuna spiegazioni. Lui si accucciò, strappando di mano il coltello alla guardia e me lo pose dal manico. Io lo afferrai, pur non avendo idea di come usarlo, ed in un batter d'occhii riprendemmo a correre.

Una serie di corridoi iniziò ad alternarsi in maniera pressoché infinita, dato il numero di varianti che fummo costretti ad affrontare per evitare vari gruppi di guardie che più passava il tempo, più cominciavano ad aumentare, alcune dirigendosi verso le prigioni altre andando nelle più disparate direzioni.

Quando giungemmo all'atrio solo alcuni soldati ci separavano dall'uscita. La luce dell'esterno filtrava dall'anta della porta di ferro che, come il giorno del mio arrivo, era semiaperta, per consentire l'entrata e l'uscita dei soldati del Regno. In un angolo vidi il ragazzo addetto al riconoscimento dei nuovi arrivati, Aric, nascosto dietro il suo fedele bancone, ma tutte le altre persone in nero non sembravano avere intenzione di tirarsi indietro. Il mio compagno si avventò diretto verso due di esse armate entrambe di spada. Senza difficoltà evitò il primo fendente, muovendosi fluidamente di lato e, afferrando il braccio proteso in avanti dello stesso, lo torse all'indietro facendogli mollare l'arma e scaraventando poi il suo corpo contro la seconda figura.

Avrei voluto continuare a fissarli, ma altri soldati si mossero in mia direzione. Di getto lanciai il contenuto rimanente della bottiglia a terra, sperando in qualche modo che i miei avversari ci scivolassero sopra ma ovviamente, non trovandoci in un fumetto, ciò non avvenne. Non appena il primo mi fu addosso tentai di oppormi fisicamente, ma non ci volle molto a capire che avrei perso in partenza: ragazza debole e denutrita contro ragazzo alto ed allenato. Con gli occhi cercai qualcosa con cui potermi far valere fin quando, guardando a terra, non mi accorsi che il ragazzo era a piedi scalzi.

Ma perché mai?

Fu inevitabile non domandarselo mentre già sollevavo la gamba e subito la riabbassavo pestandogli le dita. Non riuscì a trattenersi dal gridare e, inevitabilmente, allentò la presa. Ne approfittai e, torcendo il polso, scalfii l'avambraccio del mio nemico, ferendolo superficialmente, ma quel tanto che bastava per riuscire a slacciarmi dalla sua presa.

Una ragazza mi si parava di fronte, interponendosi tra me e l'uscita. Tentai di colpirla col pugnale ad un fianco, ma ella l'evitò facilmente, afferrandomi il braccio esattamente nello stesso modo in cui, poco prima, il ragazzo in maschera aveva fermato il soldato. Immaginai si trattasse di una tecnica insegnata proprio alle guardie del Regno e per questo mi voltai prima che la mia avversaria riuscisse a torcermelo dietro la schiena. Ci trovammo l'una di fronte all'altra e, afferrandoci anche il secondo braccio, iniziammo a respingerci in attesa di scoprire chi fosse riuscita a resistere di più.

Quanto desiderai avere il mio arco in quel momento, non riesco nemmeno a descriverlo. Ma non lo avevo e l'unica arma che potevo stringere tra le mani era quella lama, indubbiamente affilata, ma non sufficientemente utile.

D'un tratto mi accorsi che dietro di lei si stendeva la chiazza di detersivo che poco prima avevo inutilmente lanciato a terra e decisi di dargli una seconda opportunità. Raccolsi tutte le energie che mi erano rimaste e la feci arretrare di qualche passo, quel tanto che bastava per farla capitare sopra il liquido.

I piedi della ragazza persero la salda presa e sfruttando quell'attimo, sgusciai via e, come una falena attratta dalla luce della lanterna, mi diressi in direzione della porta.

Il ragazzo in maschera non rientrava nel mio campo visivo, ma non ebbi neanche il tempo di cercarlo con lo sguardo che l'anta di metallo iniziò a muoversi, prima lentamente, accompagnata da uno spettrale stridio, poi sempre più velocemente. Ripensai al mio primissimo tentativo di fuga e subito ricollegai il suo movimento al dominio di un Rheol di Metallo. Mi gettai letteralmente contro di essa, protendendo in avanti il braccio, riuscendo a interporre l'arma che ancora tenevo stretta in pugno, tra le due ampie porte. Lo spiraglio lasciato era minimo, ma impediva la chiusura completa del portone con la spranga di ferro che, come la mia esperienza insegnava, era facilmente controllabile a distanza da un Rheol.

Sorrisi soddisfatta guardando il pugnale, almeno fino a quando non intravidi la lama iniziare a ripiegarsi a ricciolo all'indietro, lentamente, come per gioco. Bastò ancora un poco e l'arma smise di frapporsi fisicamente alla chiusura delle ante che fu sancita da un sordo boato.

«Ma guarda un po' chi abbiamo di nuovo qui» cinguettò una voce maschile, afferrandomi per i capelli e sollevandomi come se fossi priva di peso «L'avevo detto che mi sarei dovuto occupare io di te» continuò, prendendo il mio mento tra le sue dita e costringendomi a guardarlo.

Kyle. Coi biondi boccoli raccolti anche quella volta con un elastico, si stagliava d'innanzi a me, forte e spavaldo come lo ricordavo.

«Possibile che tu non faccia altro che scappare? Sei diventata il maggior oggetto di gossip qui, lo sapevi?» continuò, quasi divertito «Ma in fondo bisognava aspettarselo, del resto non sei una ragazza come le altre, no?»

Quell'ultima sua frase mi tolse il fiato più di quanto la sua stretta non stesse già facendo. Fissai le sue labbra, sicura che avrebbe aggiunto dell'altro, e lo avrebbe fatto, se qualcosa, anzi, qualcuno, non lo avesse colpito al collo.

Crollò, momentaneamente, lasciandomi intravedere dietro di sé la figura del suo aggressore: Alec. Un sorriso spontaneo espresse tutto il sollievo che neanche avrei mai pensato di poter provare. Dietro di lui altri uomini, prigionieri, giunsero all'ingresso.

Nel frattempo Kyle si era ripreso e, aiutandosi con le braccia, si era sollevato da terra.

Alec mi prese per il polso, facendomi allontanare quanto possibile da lui. Già pensai di dover trovare un modo per affrontarlo quando il mio compagno mascherato gli apparve alle spalle, facendogli volgere tutta la sua attenzione su di lui.

«E quindi non sei una ragazza come le altre, eh?» ripeté il mio vicino di cella, imitando Kyle «Io l'avevo sempre sospettato» continuò, ammiccandomi.

«Così dicono» gli risposi, facendo poi un cenno con la testa ad indicare la porta: dovevamo trovare il modo di aprirla.

Iniziai a tirarla, ma era pesante e riuscii a schiuderla solo di qualche centimetro prima che il Rheol se ne accorgesse e, facendo un semplice movimento con le dita, la richiudesse con tanto di spranga. L'altro braccio pendeva lungo il corpo, rigato di sangue sgorgante da una ferita sulla spalla, infertagli dal suo nuovo avversario.

Il ragazzo mascherato pensò di cogliere quell'occasione di distrazione per colpire nuovamente il Rheol. Avanzò protendendo la sua lama che tuttavia non andò a segno, anzi, quello spostamento di posizione fu sfruttato da Kyle, che con un gancio, partito dal basso, riuscì a colpire l'avversario dritto in faccia, facendo volare la maschera a poco più di un metro di distanza da loro. Il ragazzo si coprì immediatamente il volto con una mano, nascondendosi al mondo il più possibile. Ma qualcosa, sì, qualcosa che io non avevo notato non sfuggì invece a Kyle. Infatti quest'ultimo, che già si era messo in posizione per sferrare un secondo colpo, si bloccò, come paralizzato, a fissare il volto del suo avversario con occhi sgomentati.

Feci un passo verso di loro, non sapendo neanche il perché, ma subito mi arrestai quando Kyle puntò il suo palmo nella mia direzione. Lo vidi piegare la testa con un'espressione di disprezzo dipinta sul volto e, mentre si mordeva il labbro inferiore fino a farselo sanguinare, mosse il polso con un semplice scatto. Proprio in quel momento la porta di metallo tornò nuovamente ad aprirsi. Poi, fingendo di provare un improvviso dolore lancinante alla spalla ferita, crollò a terra con un lamento.

Io lo fissai sbigottita fin quando non sentii afferrarmi una spalla. Il mio liberatore aveva nuovamente indosso la maschera e con delicatezza mi sospingeva verso l'uscita, mentre con la testa continuava a fissare il Rheol.

Pochi passi e fummo finalmente liberi. Mai mi sembrò di aver respirato aria più pura. Diedi un ultimo sguardo all'ingresso, cercando di distinguere Alec nel mezzo della battaglia che infuriava tra prigionieri e soldati, ma non ci riuscii.

Non potemmo attendere oltre, sempre di corsa il ragazzo mi condusse ad una locanda dove lo stavano aspettando con un tymor carico di sacche. Bastò un semplice scambio in denaro e già stavamo sfrecciando al di fuori delle mura di Aer in groppa al maestoso felino.

Angolo Autrice
Buonasera cari!
Finalmente torna un po' di azione in scena e la nostra Octavia ritorna libera dopo tanto tempo! Secondo il programma il capitolo sarebbe dovuto terminare con la descrizione della fuga (avevo scritto figa O.o) fino alla locanda e della presa del tymor e uscita da Aer, ma in pratica poi mi sarebbe uscito troppo troppo lungo (che già così è più lungo della media di quelli che pubblico) e quindi l'ho solo accennato.
Ricordate sempre che se avete dubbi, perplessità, critiche o insulti da lanciare, io sono qui, pronta a leggere tutti i vostri pareri!

Sono finalmente tornata a sciare, yeeeee! Sono la fanciulla più felice dell'universo.
Sapere che questa notte mi sono sognata il ragazzo con la maschera da lupo? Era così nitido nel mio sogno!

E prima di passare al Trivia, vorrei fare un annuncio: finalmente è stato pubblicato il nuovo progetto mio e di Viaggiatricedisogni. Lo trovate sul suo profilo, sotto il nome di BEHIND. "Behind è quello che sta dietro. Avete mai pensato, guardando una foto, a quell'attimo racchiuso tra il click e il flash? Il mondo per un attimo si ferma, e viene catturato. Se la pellicola intrappola i luoghi, noi intrappoliamo l'emozione." Una serie di storie brevi che per qualche istante vi catapulteranno in piccoli mondi nascosti dietro lo scatto! Spero veramente vi possa piacere!

TRIVIA (creep)
Ho scoperto (grazie a @Lice96) che Bridion, oltre ad essere un tenero uccellino messaggero, sulla Terra è anche un farmaco utilizzato per le iniezioni letali.

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