Capitolo 3: Tyma

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OCTAVIA

Dopo quel breve incontro Zane non si era più fermato.Rinchiusa in quel carro, non riuscivo ad avere una precisa cognizione del tempo. Saranno passate ore da quando mi ero svegliata, tante ore e, considerando anche il tempo in cui ero rimasta svenuta, non mi sarei stupita di aver percorso chilometri nel frattempo.

Il maiale ronfava ai miei piedi. Era già la terza volta che si svegliava e si riaddormentava, e per me rappresentava l'unico mezzo per misurare lo scorrere del tempo.
Fatta eccezione per le volte in cui mi si era avvicinato, sbavandomi col suo grugno umido, non era stata una pessima compagnia. Avevo fatto molti viaggi in autobus con esemplari peggiori di lui. Persino il suo fetore non sembrava più darmi fastidio, probabilmente perché io stessa avevo iniziato a puzzare come lui.

Mi sfiorai con le dita la fronte nel punto in cui, qualche ora prima, avevo dato la testata al ragazzo.
Se applicavo una leggera pressione, un dolore acuto mi pervadeva. Sicuramente si sarebbe formato un livido, ma ne era valsa la pena. L'unico rimpianto era quello di non avergliela data più forte.

Gli angoli della bocca mi si incurvarono, pensando alle facce compiaciute che Ilan e Chris avrebbero fatto se avessero visto la scena. Avevo cercato in ogni modo di non pensarci, ma ormai era diventato praticamente impossibile.

Cosa stavano facendo i miei compagni? Stavano bene? Mi stavano cercando? Ero certa che sarebbero stati in grado di trovarmi.

Ma lo avrebbero fatto? Non ne ero certa.

Tutto dipendeva da dove mi stava portando Zane. Se stavamo andando in direzione opposta a Goeden Fawr sarebbe stato illogico venirmi a cercare. Io stessa mi sarei opposta.

Scossi la testa, come se quel gesto potesse aiutarmi a rimuovere ogni pensiero. Sapevo che sarebbe finita così. Per questo avevo evitato di meditarci fino ad allora. Un pensiero ne conseguiva immediatamente un'altro, poi un'altro e un'altro ancora.

Le cose da fare erano tre. In primo luogo dovevo capire dove ci stavamo dirigendo, in modo da orientarmi. Avevo visto la mappa di Ddaear Arall e, sebbene non mi ci fossi soffermata troppo, mi ero fatta un'idea della sua disposizione spaziale. In secondo luogo dovevo trovare il modo di fuggire e, infine, ritornare a Ynda.

Difficile? Sì.

Impossibile? No.

Il mio istruttore di tiro con l'arco mi diceva sempre:"Non voglio mai sentirti dire Non ce la faccio, ma sempre e solo Ci provo".

Il mio arco!

Non ci avevo riflettuto fino ad allora. Sicuramente Zane lo aveva lasciato lì dove mi aveva rapita.

I miei pensieri furono interrotti da un rumore greve, mentre un raggio di luce mi inondò in pieno viso, accecandomi.

Mi ero immersa così tanto nei pensieri da non essermi accorta che il carro si fosse fermato.

Strizzai gli occhi, riducendoli a due fessure, mentre col corpo arretrai, avvicinandomi il più possibile alla parete. Era stato un gesto di paura incondizionata, che fu subito seguito da una ripresa dell'autocontrollo guidata dall'orgoglio e dal mio rifiuto per la sottomissione. Raddrizzai la schiena e sollevai il mento, sforzandomi di riaprire gli occhi il più possibile.

La figura di Zane si stagliava controluce sul fondo del carro.

«Cosa vuoi?» gli chiesi, cercando di non dare alcuna sfumatura al tono della mia voce.

Lui non sembrò neanche aver sentito le mie parole. Prese il maiale, che emise subito un acuto grido di disappunto, e si voltò.

«Ehi!»

Niente.

«Sto parlando con te!» insistetti, ma l'unica risposta che ottenni fu la violenta chiusura della porta.

Se c'era una cosa che sopportavo meno del dover fare domande era il non ricevere risposta, come se la mia voce fosse vento tra le montagne.
Impotente. Mi sentivo del tutto impotente.

Un impeto di rabbia mi colse improvvisamente: dovevo scaricarmi.
Sbattei di scatto il dorso della mano contro la parete in legno. Sentii le nocche bruciare, ma non mi importò. Lo feci una seconda volta e una terza fino a quando non vidi il sangue sgorgare da esse. Solo allora mi fermai, fissando le nocche come fossero qualcosa di a sé stante, staccate dal mio corpo.

Feci un lungo respiro e chinai la schiena in modo da raggomitolarmi, con le braccia che avvolgevano le ginocchia. La rabbia stava già scemando, sostituita da un profondo senso di vergogna.
Come avevo fatto a perdere il controllo così facilmente?

"Chi non controlla i propri sensi è come chi naviga su un vascello senza timone e che quindi è destinato a infrangersi in mille pezzi non appena incontrerà il primo scoglio", mi ripetei, citando mentalmente Gandhi. Mi sarebbe stato molto utile avere solo un centesimo del suo autocontrollo ed equilibrio interiore.

Delle voci sommesse catturarono la mia attenzione. Tesi l'orecchio, ma non riuscii a decifrare neanche una parola.

Una lieve oscillazione mi fece capire che Zane era risalito sul carro e poco dopo il mezzo riprese a muoversi, accompagnato dal costante cigolio delle ruote.

Il maiale non aveva più fatto ritorno.

Alzai la testa, scostandomi i capelli da davanti il viso e desiderando ardentemente di potermi fare una coda alta. Le mani legate mi limitavano qualsiasi movimento e, soprattutto, mi impedivano di sfilare l'elastico dal polso.

Riappoggiai tutto il peso del corpo alla parete mentre con la lingua mi inumidivo le labbra secche e screpolate. Non bevevo da ore e l'arsura bruciava in gola come peperoncino piccante.

Non passò molto tempo prima che il carro si fermasse un'altra volta. Il consueto tonfo mi fece capire che il ragazzo era sceso dal posto di guida e che, con ogni probabilità, si stava dirigendo dietro. Mi preparai evitando di farmi cogliere una seconda volta impreparata.

Quando Zane aprì il retro del carro mi trovò seduta tranquilla, lo sguardo in avanti e una mano intenta a giocare una ciocca di capelli.

Lui non ne sembrò particolarmente sorpreso. Entrò e richiuse immediatamente la via di fuga.

«Hai fame?» mi chiese.

Incredibile, si era sforzato di parlarmi.

«Secondo te?» risposi retoricamente.

Avevo la bocca completamente impastata e in realtà più che fame provavo una tremenda sete.

«Ascoltami bene, adesso ti slegherò i polsi, così che non debba essere costretto a imboccarti come una bambina di due anni.»

Fece una pausa.

«Molto umano da parte tu» replicai sarcastica, ma subito mi troncò la frase senza che potessi aggiungere altro.

«Dunque, ti prego, non provare a fuggire o ad attaccarmi perché sono piuttosto stanco e preferirei evitare qualsiasi perdita di tempo» continuò con tono quasi annoiato «Tanto non riusciresti a scappare. Tu non sai dove ci troviamo né dove andare. Sei a piedi, non sei armata e non sapresti guidare un grawnffrwyth neanche se ci provassi. Scappa e la cena la rivedi domani sera» fece due passi in avanti «Quindi vedi di fare un favore a tutti e due: non ti muove.»

Il fatto che mi stesse proponendo di lasciarmi libera mi lasciò non poco interdetta. Veramente credeva di essere così invincibile? Anche perché, obbiettivamente, sarei riuscita a mangiare anche coi polsi legati, seppur con qualche difficoltà. Mi stava forse testando?

Fingendo rassegnazione sporsi in avanti i polsi, per farmeli slegare.

«Vedo che inizi a ragionare.»

Non dissi niente. Non perché non avessi niente da replicare, bensì perché la mia mente stava registrando ogni sua singola parola.

Dunque a guidare il carro ci sono quei cinghiali, non mi sembravano così difficili da guidare.

Per il resto, per quanto mi costasse ammetterlo, aveva ragione. Non avevo idea di dove mi trovassi, dunque scappare sarebbe stata una mossa del tutto irrazionale. Fuggire a piedi era impensabile; senza armi e senza scorte non sarei andata molto lontano. Non dovevo avere fretta, non troppa. Avrei trovato il modo di evadere, dovevo solo aspettare il momento giusto.

Mi massaggiai i polsi non appena Zane sciolse l'ultimo nodo. Le corde erano state strette a tal punto da avermi lasciato un segno violaceo sulla pelle.

Mi afferrò sgraziatamente il braccio e mi spinse fuori.

Era ancora giorno, anche se il sole si stava lentamente avvicinando all'orizzonte per lasciar spazio alla notte. Non era effettivamente ora di cena, ma considerando che non avevo né pranzato né, tanto meno, fatto colazione non ebbi nulla da ridire.

Mi trascinò a qualche metro di distanza dalla strada sterrata e mi costrinse a sedermi accanto a due sacchi poggiati a terra. Mollando la presa aggirò le due bisacce di stoffa, senza mai darmi le spalle, e si sedette di fronte a me. Si era messo più vicino al carro di quanto non lo fossi io, non a caso ovviamente.

Rimasi immobile a fissarlo, non sapendo bene che fare. Provavo una sensazione di scomodità indescrivibile. Non fisica, ma mentale.
Ero seduta di fronte al mio rapitore, pronta a cenarci insieme al tramonto come due vecchi amici.
Era una situazione surreale.

Mi guardai attorno, ma eravamo dispersi in mezzo al nulla. Guardai la strada sterrata su cui giaceva abbandonato il carro. Puntai lo sguardo nella direzione che avevamo preso ma non vidi nulla che potesse essere stato costruito da mano umana. Idem nella direzione opposta, fatta eccezione per una massa informe di colore grigiastro. Strizzai gli occhi, ma non riuscii a metterla a fuoco nulla.

«Per mangiare devi portarti alla bocca il cibo» mi disse Zane, lanciandomi un sacchetto più piccolo contenuto nelle borse di tela.

Lui, al contrario di me, non sembrava minimamente turbato dalla situazione generale.

Primo punto: cercare di capire dove ci troviamo e dove siamo diretti, mi ripetei mentalmente.

«Cos'è quello?» domandai, afferrando una borraccia d'acqua ed ignorando momentaneamente il cibo.

«Il luogo dove ho lasciato il maiale.»

Ecco dov'era finito.

«E quindi?» chiesi, dato che l'informazione era del tutto inutile.

«E quindi dove l'ho scambiato per avere cibo e acqua» mi rispose evasivo in tono quasi divertito, se comparato al normale tono neutro che utilizzava. Doveva aver capito il mio intento.

Il mio odio nei suoi confronti cresceva ogni minuto di più.

Stappai la borraccia e bevvi avidamente il liquido trasparente. L'acqua era piuttosto calda, ma non per questo meno dissetante. In quel momento il nettare degli dei non avrebbe retto paragoni.

Mi asciugai gli angoli della bocca col dorso della mano e richiusi la borraccia. Solo allora prestai attenzione al sacco che il ragazzo mi aveva lanciato. Slegai il laccio e lo aprii. Conteneva semi e frutta secca. Ne estrassi un dattero e lo portai alla bocca.

Sollevai lo sguardo e vidi Zane intento a capare dal suo sacco della carne secca. Continuai a fissarlo per un po', ma lui continuò a rimanere chino sul suo cibo.

Spostai lo sguardo oltre di lui, verso il carro. Se mi fossi alzata il quel momento forse lo avrei colto alla sprovvista. Mi bastava invertire la rotta e raggiungere "il luogo dove aveva lasciato il maiale". Potevo farlo.

«Qual era il nostro patto?» la sua voce mi fece prendere un colpo «Io ti slego e tu non scappi.»

«Veramente,» dissi, riprendendomi in una frazione di secondo «mi chiedevo cosa fossero questi» cambiai argomento estraendo dal sacco i primi semi che ero riuscita ad agguantare.

L'avrà bevuta?

«Tyma» rispose.

Conoscevo i tyma, erano dei semplici semi di girasole. Li piantavamo anche a casa, nella nostra serra.

"Non fidarti di chi i tyma ti offre, per ogni seme alla bocca il cuore ti soffre", diceva sempre tua nonna
La voce di mio nonno mi ritornò in testa.
"E che cosa significa?" Gli chiedevo sempre. "Vuoi sapere la verità? Non l'ho mai capito tesoro." Mi rispondeva ogni volta, scoppiando in una grassa risata.

Tuttora non capivo il significato di quel detto, ma di certo non mi sarei mai fidata di quel ragazzo.

Angolo Autrice
Buontutto popolo di Wattpad!Ok si, dovevo uccidere quel maiale! Il programma lo prevedeva.
Una bella porchetta e sarebbe passata la paura.
E invece no, non ce l'ho fatta.
Ma perchè?
Stupido maiale...
Che poi ho pensato: ora faccio in modo che Octavia lo faccia fuggire. Ma poi ho pensato che si trattava di Octvavia, non di Lydia. E mentre la nostra roscia (come me del resto) ci avrebbe probabilmente chiacchierato e fatto amicizia fino a prendere a cuore la "causa maiale", invece Octavia se ne sarebbe amabilmente fatta una ragoine: se serviva per sopravvivere, il maiale doveva essere ucciso. Lascio a voi immaginare cosa se ne faranno del maiale i nuovi proprietari. (e la risposta sarà... prosciutto!) Perdonatemi se questi primi capitoli sono un po' lenti, ma come sempre la storia deve ingranare prima di prendere il via.

Quando ho scritto di Octavia che doveva aprire gli occhi sotto il sole ho riso per 10 minuti da sola pensando ad una mia amica che il giorno il cui c'era stata l'eclissi mi aveva detto "Eh, beata te che hai gli occhi marroni, noi che abbiamo le iridi azzurre siamo così delicati", ed un'altro mio compagno sempre dagli occhi azzurri (CiuffoBiondo per chi legge Dream On) "Eh già, hai proprio ragione, noi non potremmo guardare il sole, ma che ci vuoi fare? È il cruccio di avere degli occhi così limpidi". Lo so, non c'entra molto, ma che vi devo dire, mi è tonato in mente.
Ora mi trovo su un pullman, direzione: Bologna.
E al popolo? Giusto, non penso vi importi più di tanto... ma sappiate che è grazie a questo (interminabile) viaggio che è nato il capitolo 3.
Mentre la fine l'ho scritta al parco con la mia coinquilina fumettista (che tra l'altro ha fatto un bellissimo disegno ad acquerelli).

TRIVIA
Ieri stavo facendo un po' di pulizia nel computer, e nella cartella dove tengo i capitoli di Ddaear Arall c'era un documento chiamato "boh".
Lo apro e dentro ci trovo tutti i nomi che mi ero salvata prima di scegliere Au Maite.
Bene, ecco a voi come si sarebbe chiamata la nostra Dea dell'Armonia se non avessi scelto il Maori:
Tayra (curdo)
Maelewano (swaili)
Leyra (islandese)
Jituwa (hausa)
Maluhia o Honua (hawaiano)
Tabiat (yoruba)
Iseda (usbeco)

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