Capitolo 8: Partita

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LYDIA

Mi svegliai che il sole era già alto nel cielo. Non mi servì aprire gli occhi per saperlo, il tipico rosa che si intravede da dietro le palpebre, quando si accende la luce, bastò a confermarmelo. Provai a girarmi su di un fianco, portandomi il braccio sopra gli occhi, nella speranza di riuscire a riaddormentarmi, tuttavia non sembrò funzionare.

Rassegnata, spostai nuovamente il braccio e, aiutandomi con le braccia, cercai di mettermi a sedere. Rimasi in quella posizione un paio di minuti poi, emettendo un sonoro sbadiglio, mi strofinai gli occhi col dorso della mano nel vano tentativo di svegliarmi.

Mi era toccato l'ultimo turno di guardia e, sapendo che non ci saremmo mossi ancora per qualche ora, quando tutti si erano alzati ne avevo approfittato per riposare ancora un po'.

Mi alzai, stiracchiandomi, e mi avvicinai allo zaino di Hika, dove tenevamo le nostre ultime scorte, estraendone una galletta.

Alle mie spalle potevo sentire Chris e April chiacchierare.

«Tre!» aveva esclamato con fierezza il ragazzo.

«Cinque!» aveva risposto, in tono di sfida, l'altra.

«Ma due dei tuoi sono troppo piccoli per valere!» sentii replicare il ragazzo.

Ero decisamente ancora troppo assonnata per sperare di capire di cosa stessero parlando. Quell'assenza di caffè su Ddaear Arall stava iniziando a manifestare i suoi gravi effetti.

Ilan giaceva ancora disteso, non molto distante da me. Il petto si alzava e si abbassava regolarmente, in maniera del tutto naturale.

Sembra quasi che stia dormendo, pensai tra me e me.

Chris sosteneva di averlo visto svegliarsi, durante il suo turno, il che mi aveva tranquillizzata non poco. Tuttavia, per tutto il tempo della mia guardia, non aveva mai aperto gli occhi.

Mi misi seduta sollevando le ginocchia davanti a me ed iniziai a sbocconcellare passivamente la mia galletta, mentre i miei occhi rivivevano scene della sera prima.

Trovare le informazioni lasciateci da Gomer e riuscire a organizzare un piano di salvataggio per Octavia, erano stati questi gli argomenti principali della serata.

Il tempo era nostro nemico e sapevamo che non saremmo potuti rimanere, accampati lì, ancora a lungo; ci avrebbero potuti scoprire in ogni istante.

«È mai possibile che ogni volta che ti lascio sola dieci minuti, ti ritrovo sempre a pensar per la trippa?» rise una voce alle mie spalle.

«Non te l'hanno mai detto che la colazione è il pasto più importante della giornata?» risposi.

«E dire che ero convinto che a mezzo giorno fosse ora di pranzo» controbatté ironico.

«Direi che dipende dalle situazioni, non trovi?» risposi, voltandomi e sorridendoli.

Spezzai con le mani ciò che restava della galletta e, mentre mi portavo una mano alla bocca, posai l'altra sul ginocchio sollevato.

«Ah sì? Ad esempio?» mi chiese sollevando un angolo della bocca.

«Ad esempio,» iniziai facendogli il verso «In tutti quei casi in cui si va a dormire più tardi del normale, come... Ahi!» urlai, ritraendo velocemente la mano posata sul ginocchio.

Qualcosa mi aveva pizzicato e, vedendo le piccole alette rosse posarsi a terra e beccare la galletta caduta, capii immediatamente di cosa si trattasse.

«Brutto, non si fa!»

Una voce femminile riecheggiò alle spalle di Chris. Sembrava giovane, eppure ero certa che non si trattasse di April.

Guardai il mio compagno. I suoi occhi brillavano come fari nella tempesta.

«Alika» sussurrò.

Non fece neanche in tempo a voltarsi che due braccia gli si gettarono al collo, avvolgendolo in un abbraccio.

I tratti del suo viso si nascondevano dietro la bionda chioma, che ondeggiava delicata sulle note del vento. La riconobbi immediatamente, nonostante, nell'inpeto dell'abbraccio, avesse affondato il suo volto dietro la spalla del ragazzo. Era la stessa ragazza che lo aveva abbracciato alla Base, il giorno in cui ero arrivata su Ddaear Arall.

«Di' la verità, non pensavi ci saremmo riusciti» rise lei.

«Con una palla al piede come te? È praticamente un miracolo!» la schernì lui.

«Ehi!» disse lei, respingendolo scherzosamente «Sei sempre simpatico come una gomma da masticare sotto le scarpe.»

Qualcuno sopraggiunse alle mie spalle, sottraendomi al rassicurante tempore del sole.

«Divieni di volta in volta più bella» una voce accompagnò l'ombra appena arrivata.

Voltai la testa e non potei fare a meno di sorridere ritrovandomi davanti il volto del mio vecchio compagno.

«Richie!» esclamai.

«Permette, milady?» mi chiese, porgendomi la mano.

Sentii le guance avvampare, ma subito dopo mi ricordai che era semplicemente il solito Richie. Aiutandomi con la sua mano mi alzai, contenta del fatto che non fosse cambiato di una virgola.

«Ray!»

Vidi Chris, con la coda dell'occhio, avvicinarsi a un altro ragazzo e salutarlo battendogli il pugno.

Ero certa di non averlo mai visto; carnagione scura, capelli corvini e due ossidiane al posto degli occhi.

La mezzaluna bianca che gli si formò, ricambiando il sorriso di Chris, creò un ammaliante contrasto, che mi lasciò incantata per qualche secondo.

Almeno fino a quando egli stesso non si voltò verso di me, protendendo una mano «Tu devi essere Lydia. Nicholas Raymond, al suo servizio.»

Mi accorsi solo in quel momento di avere la bocca semi aperta, in un'espressione che non doveva sembrare molto intelligente.

La richiusi immediatamente e, raddrizzando le spalle, ricambiai il suo sorriso gentile, stringendogli la mano.

«Lydia Wright» dissi, pur essendo certa che già sapesse anche il mio cognome «Lieta di conoscerti.»

Forse ho esagerato, sembrando troppo distaccata.

Feci per aggiungere altro, ma la voce di Richie mi precedette.

«E chi è questo fiore del deserto?» chiese con la sua voce più calda.

«Ehm, piacere, mi chiamo Hikari April» rispose, un po' impacciata, la mia compagna.

Il suo imbarazzo era chiaramente leggibile sulle sue gote, leggermente arrossate.

«Luce, eh? Un nome più che perfetto direi» disse, ammiccando «Ma come fate a incontrare ragazze 'sì tanto belle, voi due?»aggiunse, rivolto verso di Chris.

«A proposito, dov'è il lentigginoso?» chiese Alika, guardandosi intorno.

Chris si rabbuiò in un istante, ma la ragazza non sembrò accorgersene, continuando a scrutare oltre la spalla del ragazzo. Gli occhi, socchiusi in modo da acuire la vista, si spalancarono non appena trovò il fratello, disteso sulla sabbia.

«Possibile che stia sempre a dor...»iniziò, bloccandosi non appena vide le bende colorate di sangue che avvolgevano la testa del ragazzo.

Il sorriso le si spense e con uno slanciò si precipitò al fianco di Ilan. Lo scrutò attentamente un paio di secondi prima di posargli due dita sul collo, per sentirgli il battito, supposi.

Chinò la testa in avanti, chiudendo gli occhi e sussurrando parole che non riuscii a capire.

Rimasi incantata a fissarla, cercando di decifrare quella ragazza, come fosse un rebus da risolvere. Proprio per questo non potei fare a meno di sobbalzare non appena, di scatto, si voltò verso Chris. Le sopracciglia erano corrugate e gli occhi ridotti a due fessure.

«Cosa gli è successo?» chiese «Da quanto tempo è in queste condizioni?» aggiunse, alzando il tono della voce.

«Alika, lui... io...» iniziò Chris.

«Tu!» lo interruppe, alzandosi e puntandogli il dito contro «Me lo avevi promesso. Avevi promesso che sarebbe andato tutto bene, che non gli sarebbe successo niente!» la voce era alterata, ma era palese che la sua fosse più preoccupazione, che vera e propria rabbia nei confronti di Chris «Avevi promesso...» continuò, lasciando poi cadere la frase nel nulla.

«E tu credi ancora alle sue parole, dopo tutto questo tempo?» una debole voce fece girare tutti i presenti.

«Ilan!» le nostre voci si sovrapposero in un coro indistinto.

Ci avvicinammo a lui, accalcandoci in maniera piuttosto scomposta.

«Devo aver dormito proprio per un bel po'» disse, incurvando le labbra mentre osservava le sei paia di occhi che lo fissavano.

Le spalle si sollevarono, mentre il peso si distribuiva sui suoi gomiti.

Una mano gli si posò sul petto, respingendolo nuovamente a terra «Tu adesso rimani steso e ti riposi» disse la ragazza bionda, imperativa.

«Alika» sussurrò lui, mentre il suo viso si scioglieva in un sorriso.

La ragazza non riuscì a trattenersi un secondo di più e gli si gettò addosso, stringendolo in un abbraccio.

«Mi sei mancato, lentigginoso» farfugliò.

«Anche tu, sorellina» rispose, trattenendo un gemito e ricambiando l'abbraccio.

Per un attimo mi sentii rilassata, come se finalmente le cose avessero iniziato a girare per il verso giusto e ogni male fosse sparito dal mondo.

Ma questa bolla di vana illusione durò pochi secondi, scoppiando in miliardi di fini goccioline non appena Ilan fece il nome di Octavia.

Rapimenti, guerre, popoli da liberare. Era stata solo una boccata d'aria pura, nel bel mezzo di un incendio.

Non appena ci fu possibile, spostammo il nostro accampamento in un'area più distante e riparata dalla città, cercando di rimuovere ogni minima traccia del nostro passaggio.

In breve furono riportate, ai nuovi arrivati e a Ilan, le poche informazioni di cui eravamo in possesso.

Non fu semplice, ma con un po' di impegno riuscimmo a tracciare le basi per le future mosse, come fosse una partita di scacchi contro la morte. Ogni singolo passo doveva esser calcolato e ponderato.

Eravamo in pochi e mal equipaggiati, ma proprio per questo più determinati che mai. La partita era ancora aperta.

La sera era giunta più in fretta di quanto avesse mai fatto e già tutti quanti si stavano dando da fare a preparare un minimo di cena per l'equipaggio. Avevo finalmente scoperto che la gara numerica, su cui prima Chris e April si stavano sfidando, non era altro che il numero di prede cacciate.

Avendo finito i compiti a me assegnati, decisi di staccarmi un paio di minuti dal gruppo per prendere un po' di aria. Giusto un paio di passi più in là, in un punto dove fossi sempre e comunque controllabile.

L'aria fredda sembrava cristallizzarsi nei polmoni come brina su di una finestra. Mi rigiravo il pugnale tra le mani, osservando quella lama così affilata, così fatale.

Era sembrato così semplice fare piani, analizzare fatti, architettare le mosse. Come se tutto fosse un gioco. Bandito e poliziotto. Chi perde, muore.

«Va tutto bene?» mi chiese Richie alle spalle.

Non sobbalzai.

L'avevo visto staccarsi dagli altri e avevo intuito sarebbe venuto a parlarmi.

«Sembri meno solare della Lydia che ho conosciuto alla Base, quasi avessi perso uno dei tuoi raggi.»

Ci misi un paio di secondi prima di prendere la parola.

«Non ti senti mai impotente davanti all'ignoto? Spaventato da quello che il domani potrebbe avere in serbo per te?» gli chiesi, smettendo di nascondermi dietro una maschera di ottimismo.

Il ragazzo mi fissava con la fronte corrugata, era ovvio non si aspettasse una risposta del genere. Probabilmente avevo sbagliato interlocutore o, meglio, avevo sbagliato a riversare all'estero tutte le mie paure.

La frase "Lascia stare" stava già danzando sulla punta della mia lingua, quando la sua risposta la fece morire all'istante.

«Tutti i giorni» mi confessò «Ma proprio per questo, ogni mattina mi sveglio e cerco di prendere in mano il timone della mia vita. Senza un capitano una barca è destinata ad affondare.»

Aveva ragione. Nascondersi, lasciando che la vita mi scorresse addosso, equivaleva a consegnare la mia vita alle braccia destino, senza aver più alcun modo controllarla.

«E pensi che una frusta possa aiutarti a proteggerti da qualsiasi tempesta?» dissi con un sorriso, guardando il suo fianco, da cui pendeva la sua inseparabile arma «Grazie» aggiunsi seria, dal profondo del cuore.

«Non ci crederà, milady, ma una frusta può esser più tagliente di una spada» disse, riacquistando il suo tono da Don Giovanni «E dove lei non può giungere, arrivano loro» continuò, ruotando il polso verso l'alto e sollevando la manica del giubbotto.

Una lama argentata rifletteva i caldi colori del tramonto: un coltello da lancio. Solo in quel momento mi ricordai l'abilità che aveva dimostrato di possedere in quell'arte, durante l'attacco alla Base.

Non so cosa mi spinse a fare quella richiesta. Forse la paura di attacchi futuri, o più probabilmente la necessità di non sentirmi più un peso per la squadra. Eppure, quando gli chiesi: "Ti prego, insegnami", fui certa che neanche un minimo dubbio mi avrebbe mai fatto tirare indietro.

Angolo Autrice
Buonasera miei impavidi eroi!
Siamo ufficialmente in autunno!
Avete pensato, questa settimana, alle domande da poter fare ai nostri baldi giuovini per l'intervista? Se si, scrivetele --> QUI, o in chat privata! Ovviamente potete fare domande anche ai nuovi acquisti di questo capitolo! ;)

Ed ora attiviamo alla lettura: abbiamo un Ilan sveglio, il ritorno di Richie, nuovi personaggi ed una Lydia decisa ad imparare a difendersi.
Non un capitolo avvincente, ma pieno di novità.
E voi? Cosa ne pensate dei nuovi arrivati?
E perchè Alika chiama Ilan lentigginoso, quando è lei ad avere le lentiggini? ;)
Un grazie di cuore a tutti voi, che mi accompagnate in questa folle avventura!
P.S. "Sempre."

TRIVIA
Il cognome di Zane, Levian, è una crasi partorita dalla mia mente malata, derivata dal Leviatano, il mostro marino biblico.

Il primo nome che diedi allo Zio di Zane (Kimaris Levian) fu Camillo Levian. Infatti mi sono ispirata, per lui, a Camillo Golgi. Sì, proprio il Golgi dell'Apparato di Golgi che sta nella cellula e bla bla bla.
"Ma che c'entra?", mi chiederete.
"Un'emerita ceppa", vi risponderò.
Ma dovete sapere che stavo studiando biologia a quell'epoca ed è stato il primo nome a venirmi in mente mentre ne cercavo uno.

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