Il campo di Monacelle

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La prima percezione, polvere. Odore di polvere e tracce visive di pulviscolo nelle fasce di luce dei faretti.

È una tenda piccola, un baracchino appena, con due sedie e un tavolino al centro. La classica palla di vetro, un mazzo di tarocchi. Madame Omida però legge solo la mano, il resto è scena.

Scena anche l'abito gitano dai colori sbiaditi, i capelli ricci scuri ma ingrigiti, gli orecchini a cerchio troppo fini.

Purtroppo, i miei occhi tolgono via sempre il fantastico, da ogni scena: i particolari sono i primi a colpirmi, soprattutto quelli stridenti.

Un palazzo riccamente adornato di fregi e statue, aggetti e modiglioni? Io noterò le fessurazioni, l'intonaco scrostato, le grondaie ammaccate.

Una donna elegante, sandali tacco dieci, sciarpina firmata? Vedrò lo sguardo inquieto che contraddice il sorriso cordiale e l'atteggiamento sicuro.

Sono così, vedo un po' troppo; e questo non mi rende simpatica ai coetanei.

Ma gli adulti mi considerano affidabile e matura, e mia cugina mi ha torturato per poter dire che usciva con me e poter girovagare così liberamente per il Luna Park appena arrivato in paese.

Mia zia me l'ha affidata, benché io abbia solo un anno più lei, e ora mi tocca starle dietro, insieme alla sua banda di amichetti, ragazzotti sguaiati, in giro tra le attrazioni arrugginite, con la musica a palla che mi assorda.

L'insegna della chiromante ha sollevato risa e clamori e il gruppo si è scisso. I più hanno preferito i seggiolini, mia cugina e la sua amica del cuore invece si sono impuntate.

Vogliono una profezia sui ragazzi che oggi riempiono la loro fantasia e che domani saranno già spodestati. Esasperata le seguo, per non tradire la consegna di non perdere di vista la pestifera consanguinea.

Mentre Omida sfiora le mani della cugina, io appunto i particolari in giro. Tutto mi comunica tristezza. Come camminando nel Luna Park, questo è quello che mi arriva alla pelle: sotto tutto il fracasso degli altoparlanti, il silenzio. Sotto lo scintillio, la penombra. Sotto le risate di cartone delle insegne, i visi assorti dei giostrai, spesso stanchi, sempre annoiati.

Nella tenda madame sciorina alle piccine ciò che vogliono sentirsi dire, poi chiede la mia mano e io gliela tendo in un barlume di curiosità. Mi son sempre chiesta se qualcuno possegga un minimo di dote, nelle fiere e nei baracconi dove si praticano queste cose.

Ma naturalmente, non c'è nulla! La donna mi riflette un attimo, e tenta appena qualcosa di diverso.

Vede un lutto passato.

Solo perché non mi sono truccata e manco di indumenti sbrilluccicanti dovrei avere un dolore dentro?

Predice una carriera da insegnante.

Pensi che porto gli occhiali perché leggo troppo? Sai che la miopia è genetica? E comunque non ci penso proprio, a fare l'insegnante. I quindicenni già non li sopporto da compagni, figurati da alunni!

L'amore, lo incontrerò molto tardi.

Ok, ho decisamente l'aria della secchiona sfigata.

Esco stringendomi nelle spalle. Tutto è come pensavo, compresa la noia di questa serata. Per mia fortuna il cielo si è rannuvolato e si è alzato un vento umido, che porta odore di pioggia. Mi sento vagamente colpevole, perché io sollevata riaccompagno la cuginetta a casa, ma per il Luna Park è una serata misera, finita troppo presto.


L'indomani, mi sveglio di buon mattino. D'estate, dopo la pioggia, nelle nostre campagne le chiocciole risalgono le erbe selvatiche. Sono un cibo tradizionale, che alcuni raccolgono ancora. Anziani, spesso nonni, con un nipotino al seguito.

Decido di fare un giro, armata di zappetta. Alle lumachine bianche comuni, ho sempre preferito le Monacelle, grandi, color fango, che in questa stagione si seppelliscono nel terreno, la cui tana si individua per una bianca schiumetta tra l'erba umida, quasi invisibile a chi non abbia l'occhio allenato.

Mi avvio ai campi inselvatichiti della periferia nei cui pressi hanno montato il piccolo Luna Park. Silenzioso e deserto, a quest'ora.

Nel mio camminare, sguardo fisso all'erba, incrocio un ragazzetto bruno. Scuro di capelli ma anche d'occhi e di pelle. E di contro, con un sorriso candido abbagliante. Indossa un gilè colorato sul torso nudo, e immediatamente mi fa pensare a un gitano, e quindi al Luna Park.

Indica il sacchetto di lumache:"Anche mia madre le sta cercando, sa che mi piacciono molto!". È socievole, mi comunica un forte senso di serenità. "Ma non è brava come te", ride divertito, e me la indica.

Mi giro seguendo il braccio teso, e appena poco distante vedo una donna dalla gonna lunga che fruga tra l'erba. Riconosco Omida, o comunque si chiami veramente. Lei anche, alzando lo sguardo sconfitta, mi vede e mi saluta, proprio come si usa nei nostri paesi incrociando anche uno sconosciuto. Si saluta.

Vedo che ha un paniere piccolo e un coltellino per raccogliere erbe e mi sovviene il pensiero che con poco denaro la famiglia si arrangi come può. Ieri sera guadagni devono averne avuti di miseri...

Col sorriso del ragazzino nel cuore mi avvicino e le porgo il mio sacchetto.

"Ne ho trovate troppo poche anche io", dico:"almeno per qualcuno 'ci esce una mangiata' ", ripeto una frase che direbbe mia nonna, brava donna.

La gitana mi guarda così stupita che quasi mi giustifico:"Suo figlio dice che le raccoglie per lui, che gli piacciono molto...". Ma la reazione della donna è così violenta da spaventarmi. Mi afferra un polso e mi chiede di ripetere.

A questo punto mi sono già pentita d'essermi avvicinata. Ripeto, apparentemente calma e indicando il prato, perché veda che è tutto a posto. Non gliel'ho mangiato, il bambino. Che però non si vede più.

Mi stupisco, ma quello che segue mi terrorizza. Prende a parlarmi in una lingua che non intendo, con un'espressione selvaggia, e prende a strattonarmi verso il campo, chiamando evidentemente rinforzi, gridando con un tono rauco che mi stordisce.

Prima che possa oppormi e urlare a mia volta, mi ritrovo trascinata di peso dentro una roulotte da un energumeno. Allibita, temo d'esser finita in un mare di guai.

La donna ha confabulato con una anziana mentre l'energumeno mi ha lasciata andare ma sta davanti alla porta, impedendo l'uscita.

La vecchia si avvicina a studiarmi, silenziosa. Deve essere veramente vecchia, la pelle è talmente aggrinzita che le labbra non si distinguono, risucchiate dalle gengive, e gli occhi sono acquosi, piccoli buchi neri dietro un velo di umori.

"Io sono Omida", dice piano:"Tu ci hai regalato le tue lumache..."

Io non so se ho fatto qualcosa di offensivo. Magari le lumache significano qualcosa di brutto, per loro...

Ma la vecchia continua:"Il figlio di mia nipote ti ha detto che gli piacciono?"

Preoccupata faccio cenno di sì.

"E cos'altro ha detto?", chiede.

"Che sua madre non ne aveva trovate, mentre io ero stata brava", rispondo:"Allora ho pensato... io troverò pronto altro, a casa... se a lui piacciono... non pensavo di far male".

Credo di aver avuto un'espressione tanto spaventata che la vecchia ha sorriso. Un sorriso strano, triste. Anche la donna del baracchino ha un'espressione curiosa. Mi sembra che abbia gli occhi gonfi.

"Com'era il bambino? Come sai che era suo figlio?", mi chiede ancora Omida. Parla piano, forse a fatica.

"Me lo ha detto lui, indicandola. È molto bruno, riccio, scuro di pelle. Un bel ragazzino", aggiungo sincera e non solo per ingraziarmele:"con uno strano gilé colorato".

La donna allora mi passa una cornicetta. Una foto con tante persone, così affollate da entrarci a malapena. E accosciato in primo piano il ragazzino. Lo indico senza esitare:"Lui. Ma qui deve essere un po' di tempo fa. Sembra  più grande, ora".

"Tre anni. Sono passati tre anni. Sta bene? È cresciuto?"

Che strana domanda. Come loro non... "Ti ha detto niente altro?"

Scuoto la testa. Non ho più tanta paura, non sembra vogliano farmi nulla. Però sono così strani, tutti con gli occhi così tristi, la donna così vicina alle lacrime.

"Sta bene", non so perché sento di doverlo ripetere:"Ha l'aria sana, abbronzata. Ha riso felice indicando la mamma, e non so perché quando mi sono girata a indicarlo si sia nascosto. Starà giocando, non dovete preoccuparvi".

"No, non sta giocando. Ma è vero che non dobbiamo preoccuparci. Perché continua a stare con noi. Evidentemente tu ne hai dubitato, Miryam, se ha dovuto cercare un modo per rassicurarti".

La vecchia parla severa, e Miryam, la finta chiromante, annuisce con la testa, senza poter trattenere più le lacrime.

"Grazie", mi dice, poi scappa via, seguita dall'uomo che sbarrava la porta. Capisco che ora posso andarmene, ma cosa è successo?

"Madame", chiedo all'anziana,"perché era così triste?".

"Perché non ha potuto vederlo. Era probabilmente il suo desiderio più grande, ma lei non ha il dono, il tuo dono. Per fortuna hai accolto senza resistere la preghiera che ti è stata rivolta".

"Il bambino non mi ha chiesto le lumache", dico, ma sento che ho detto una sciocchezza.

"Quelle son servite per portarti fino a mia nipote. Per dirle che suo figlio è ancora con noi, come avrebbe dovuto sapere ma come nel dolore stava dimenticando. Il nostro piccolo Janus è morto tre anni fa".



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