Capitolo 1

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Elsa canticchiava una vecchia canzone di Mina, mentre spolverava con attenzione e perizia la pesante credenza di legno scuro del salotto.

Osservò l'aspetto del mobile appena lucidato, fiera di tutto il lavoro concluso in quella mattinata. Oltre ad occuparsi del pianoterra era riuscita a rassettare anche il piano superiore, passando la cera su tutti i pavimenti della casa. Il lavoro casalingo non la disturbava anche se spesso rimpiangeva il suo impiego di segretaria, abbandonato poco prima del matrimonio. Suo marito lavorava sempre fino a tardi e la sua famiglia e le sue amicizie più care, vivevano malauguratamente in un'altra città. Per questo Elsa passava le sue giornate pressoché da sola, confortata dalla presenza di Carletto, un micio dispettoso e birbante. Il soriano grigio era il suo unico legame in quel quartiere di periferia e col senno di poi, si era resa conto quanto vivere fuori città fosse stata una scelta tatticamente azzardata ed arbitraria. Il suo atteggiamento così riservato e solitario, l'aveva resa avulsa alla vita sociale del suo quartiere, confinandola quasi totalmente nel perimetro della sua dimora. Suo marito la rimproverava spesso per questo aspetto del suo carattere, atteggiamento che non approvava e non condivideva in maniera sempre più evidente. Malgrado ciò, Elsa non si lagnava mai con Andrea per la sua solitudine ma si accontentava di vivere la sua quotidianità attendendo tornasse dall'ufficio e osservando dalla finestra la vita altrui. Abbandonando le proprie riflessioni, cominciò a rimettere nello sgabuzzino l'aspirapolvere, la scopa ed i panni usati per la pulizia domestica.

Poco prima Andrea, tramite una breve telefonata, le aveva comunicato che sarebbe rientrato dal lavoro verso le diciotto. "Dobbiamo parlare", le aveva detto con un tono di voce che l'aveva incuriosita ed allarmata allo stesso tempo. Elettrizzata e quasi scossa da quella novità, aveva promesso di preparargli per cena il suo piatto preferito. Non era frequente per lei mangiare col suo bel marito e quella opportunità la rendeva estremamente felice. 

Andrea aveva reagito al suo gentile proposito pronunciando solamente uno sbrigativo e misurato "Grazie", chiudendo poi rapidamente e con gelida impazienza la comunicazione. Si erano sposati cinque anni prima, dopo qualche anno di felice ed appagante fidanzamento. Il loro era stato un vero e proprio colpo di fulmine che li aveva portati velocemente, nonostante le differenze caratteriali, ad unire per sempre le loro esistenze.

Vagliò con nostalgia i primi anni di matrimonio, indelebili nella sua mente quanto un reale e vivido sogno ad occhi aperti. Purtroppo la quotidianità della vita di coppia li aveva ricondotti alla realtà riportandoli, loro malgrado, con i piedi per terra. Gli slanci passionali e l'impressione di essere gli unici innamorati al mondo, avevano lasciato il posto ad una routine tranquilla e ripetitiva, trasformandoli in una comune coppia borghese senza figli. Il fatto di non aver potuto dare un erede a suo marito, era stato per lei un dolore enorme che senza dubbio aveva scombussolato e raffreddato il ménage coniugale. Elsa aveva sempre desiderato un figlio, un bambino che fosse solo suo e di Andrea ma purtroppo questo sogno sarebbe rimasto per loro una fantasia irrealizzabile. Era riuscita a superare parzialmente tale avversità quando suo marito, dopo un momento di comprensibile frustrazione, aveva accettato l'ineluttabile. Così mentre lui si era consacrato completamente al lavoro, quasi abbandonandola tra le quattro mura della loro villetta, lei si era dedicata alla casa e a cucinare cene che Andrea non avrebbe mai assaggiato. Molto spesso infatti, si tratteneva fino a tardi al lavoro. 

Era avvocato e socio di un promettente studio legale che aveva avviato con la collaborazione del suo compagno di studi e migliore amico, Riccardo Brogi. Lo studio "Landi & Brogi" stava riscuotendo un apprezzabile successo ed i due giovani legali, affiancati dal loro brillante staff, potevano vantare numerose vittorie nei procedimenti civili a loro affidati. Spesso Elsa aspettava sveglia suo marito fino a tarda notte, dopo aver cenato seduta sul divano davanti alla TV. Sebbene la solitudine fosse per lei una costante abituale, aveva cercato di accettarla adottando il gattino grigio che ora miagolava petulante ai suoi piedi alla ricerca di coccole.

«Hai fame piccolino?», gli chiese mentre il felino si strusciava sulle sue caviglie. «Vieni di là a mangiare due crocchette, forza!», lo invitò avviandosi verso la cucina.

Nel tragitto passò davanti allo specchio dell'entrata e si bloccò per osservare la sua immagine riflessa. L'estate appena trascorsa le aveva lasciato sulla pelle una leggera abbronzatura dorata che tardava a spegnersi. Si lisciò con le dita il codino biondo, trattenuto da un elastico azzurro della stessa tonalità della comoda tuta da casa che indossava. Quindi scoprendosi affamata, entrò in cucina e afferrò dal frigo il cartoccio del latte. Non aveva nessuna voglia di mangiare qualcosa di solido e si accontentò di assaporare quel gustoso liquido che si rivelò troppo freddo per i suoi gusti. Carletto scocciato dalle poche attenzioni che gli aveva riservato, uscì dalla stanza stizzito. Elsa lo richiamò stupita e poi ripose il cartoccio del latte dove lo aveva trovato e si avvicinò alla finestrella con le tendine a fiori che aveva lasciato aperta per cambiare l'aria. Fuori la giornata si presentava illuminata da un pallido sole d'inizio autunno che rallegrava e faceva percepire ancora lontane le giornate di pioggia che le previsioni metereologiche avevano annunciato per le settimane successive. Stava per richiudere, quando vide il suo piccolo amico a quattro zampe steso sulla strada davanti alla sua casa. Chiamò il micio che assolutamente indifferente la continuò a fissare sornione e quasi infastidito.

«Carletto, vieni qui subito!», seguitò a richiamarlo sporgendosi dalla finestra. «Torna subito in casa!», gli ordinò, ricordando di non aver bloccato la porticina basculante dell'indisponente felino.

Non sortendo alcuna reazione da parte del gatto, decise di andare personalmente a recuperarlo. Si era appena alzato un leggero venticello che la lambì appena mise piede fuori. Osservò il prato del suo villino, accorgendosi fosse meno curato di quello della vicina. Quella vecchia chiacchierona della Corsi, prima o poi si sarebbe sicuramente lagnata della sua negligenza ed avrebbe parlato per ore con i dirimpettai circa le condizioni in cui versava il giardino. Veloce si portò sulla stradina davanti casa su cui, spaparanzato pigramente, il suo piccolo Carletto stava sonnecchiando menefreghista. D'un tratto un'auto scura a folle velocità, si palesò minacciosa all'inizio della carreggiata. Elsa sussultò stupita, chiedendosi frastornata chi potesse essere così pazzo da percorrere in quel modo una stretta via interna. Quello era un tragitto attraversato quasi esclusivamente dai residenti e nessuno tra di loro l'avrebbe affrontato ad una velocità così sostenuta. La via era deserta e per un attimo pensò che se non fosse intervenuta velocemente, l'auto avrebbe investito il suo Carletto. Senza nemmeno pensarci si mosse nel tentativo di afferrare il bricconcello che accorgendosi del pericolo, cominciò a correre alla ricerca di un riparo. 

Poi una brusca frenata, un colpo sordo e violento e tutto intorno a lei si era fatto buio.

Quando si riprese era stesa a terra. Velocemente si rialzò, ripulendosi dal pulviscolo della strada. Dov'era l'auto scura che l'aveva spaventata? Come mai era già sera? Dov'era Carletto? Guardò dall'altra parte della strada. Davanti alla porta di casa sua, riposava un enorme labrador bianco che non aveva mai visto bighellonare nel vicinato. Di chi era quel cane? Stupita da quella novità, si avvicinò all'uscio che ricordava di aver lasciato accostato quando era uscita. Circospetta, evitò il cane sdraiato davanti alla porta di casa, che immobile la fissò di sottecchi senza neppure scomporsi. Il Labrador, per niente disturbato dal suo passaggio, sbadigliò stiracchiandosi, quindi dispettoso le urtò con una zampa la caviglia. Spaventata da quel tocco ed atterrita da cotanta mole, Elsa spinse sgomenta la porta socchiusa e si rifugiò in casa. Accostò con sollievo l'uscio alle sue spalle, quindi si bloccò interdetta ed esterrefatta per alcuni secondi nell'ingresso. Il pesante mobile in legno di radica e l'importante specchio con cornice, erano stati rimpiazzati da un mobile sospeso laccato bianco e da uno specchio ovale con cornice in tinta. Alle pareti quadretti pop, ordinari ed usuali, tentavano d'impreziosire e dare colore all'insieme che appariva piuttosto freddo e monotono.

Probabilmente la botta in testa a seguito della caduta, le aveva creato dei problemi di orientamento e quasi sicuramente era entrata nella villetta sbagliata. Stava per tornare fuori e controllare il numero civico davanti all'ingresso, quando l'idea di affrontare nuovamente il gigante canino la fece desistere. Quegli animali le avevano causato da sempre un certo timore. Da ragazzina era stata morsa da un barboncino e malgrado gli incoraggiamenti dei suoi genitori, non era più riuscita ad avvicinarsi ad un cane senza esserne terrorizzata. Sussultò, quasi scossa da quell'antico ricordo, urtando inconsapevolmente il portaombrelli in acciaio accanto al mobile.

«Andrea sei tu?», chiese una sconosciuta voce femminile dalla cucina. «Prima di salire a cambiarti, porta fuori i rifiuti», proseguì senza preoccuparsi di ottenere una risposta.

Chi era quell'estranea che si rivolgeva così confidenzialmente suo marito? Si domandò avvicinandosi alla cucina.

All'entrata della stanza, il cuore le balzò in gola. La sua cucina in legno bianco, dalle forme morbide e romantiche era ancora come la ricordava. Andrea l'aveva scelta, giacché simile a quella della casa della sua infanzia. Aveva così insistito per acquistarla, replicando a tutte le sue perplessità e scendendo infine al compromesso di lasciarle carta bianca sull'arredamento delle altre stanze in cambio di quel consenso.

Una donna alta, snella ed aggraziata trafficava con delle strane padelle, dandole le spalle. Che ci faceva quell'intrusa in casa sua?

«Sono a casa tesoro!», esclamò inaspettatamente Andrea dall'ingresso. «Anna, non sai chi ho incontrato oggi...», continuò interrotto improvvisamente da un tonfo e da un urlo di terrore.

Istantaneamente raggiunse la cucina dove trovò Anna indicargli atterrita una giovane donna bionda svenuta sul pavimento.

In quel limbo ovattato, Elsa sognò di essere ancora bambina e correre libera sul prato dietro casa di sua nonna. Si sentiva felice e beata mentre cercava di acchiappare le lucciole. Quelle estati spensierate erano il ricordo più dolce che si portava nel cuore e a cui si aggrappava nei momenti di malinconia. Udiva ancora la voce infantile ed allegra di sua sorella richiamarla e la contentezza di quella ricerca sospesa nel tempo e nella coscienza.

«Signora, signora», udì la voce di Andrea richiamarla alla realtà. «Signora mi sente?», continuava a ripetere monotono.

Aprì gli occhi rendendosi conto di non inseguire le lucciole sul prato di nonna ma di trovarsi sdraiata su uno scomodo divano di pelle.

«Signora come si sente?», le chiedeva Andrea preoccupato.

«Andrea...», riuscì appena a rispondere. La fronte le doleva in maniera quasi insopportabile.

Quasi percependo il suo malessere Anna, bellissima e bruna, sistemò una borsa del ghiaccio sulla sua testa, ritraendosi poi alle spalle dell'uomo.

«Signora, sarebbe meglio l'accompagnassi all'ospedale», esclamò Andrea, seduto accanto a lei sull'orlo del divano.

Elsa sconvolta, si alzò a fatica e si sedette.

«Signora?», lo interrogò inorridita portandosi una mano alla fronte. «Andrea, non ti ricordi più di me?»

L'uomo la fissò sconvolto, mentre Anna li squadrava irritata.

«Davvero non ti ricordi di me?», chiese Elsa iniziando a piangere.

«Andrea chi è questa donna?», urlò sconvolta Anna.

«Tesoro stai tranquilla!», la riassicurò lui, «non la conosco e non l'ho mai vista prima».

«Avevi giurato non l'avresti fatto mai più!», urlò Anna furibonda.

Elsa guardò il volto maschile di Andrea accigliarsi.

«Insomma signora», esclamò poi l'uomo sbrigativamente, «in che circostanza ci siamo conosciuti?»

Elsa deglutì ed indugiò qualche minuto prima di rispondere.

«Insomma, risponda», la sollecitò Anna cercando un riscontro alle sue accuse.

«Sono Elsa, tua moglie», urlò sconsolata.

Il volto bruno di Andrea si rilassò, mentre ad Anna sfuggì una risatina liberatoria.

«Mia cara», esclamò quindi la donna, «lei non sta bene».

«Andrea», disse Elsa abbracciando l'uomo seduto accanto a lei. «Ci siamo sposati il 10 settembre del duemila tredici nella chiesa di San Teodoro. Ricordi?»

«Meglio se chiamiamo i medici», dichiarò l'altro alzandosi di scatto.

La donna cominciò a piangere, incredula che quanto stava vivendo fosse l'ineluttabile e spietata verità.

All'improvviso un'idea le balenò in mente. Veloce afferrò una mano di Andrea.

«Permettimi di fare una telefonata, parlerai con mia madre e lei ti dirà la verità.»

«Una cosa?», Andrea l'osservò accigliato. Era cosciente che quella donna stesse davvero molto male e la fissò mentre lei continuava a chiedergli qualcosa che non poteva soddisfare.

«Sarebbe meglio si facesse visitare», esclamò Anna.

«Certo sarebbe la cosa più giusta da fare, viste le sue condizioni», esclamò Andrea. «Dove vive, signora?», chiese preoccupato.

«Questa è la mia casa», urlò Elsa in preda ad una crisi isterica.

«Questa non è la tua casa e lo sai bene», strillò Anna fuori di sé. «Probabilmente sei solo una ladra, entrata per commettere un furto», continuò minacciosa, «una comune ladra convinta di farla franca tramite questa indegna pagliacciata», concluse poi con sdegno.

«Non è vero. Io sono Elsa Landi nata Ferrari e vivo da cinque anni in questa casa», urlò di rimando Elsa afferrandola per i capelli. Le due donne rotolarono sul pavimento, picchiandosi e lottando. Andrea intervenne prontamente, separando le due antagoniste che ansimanti se le continuavano a dare di santa ragione. Anna lasciò la presa, scapigliata e con la faccia graffiata, imprecando contro la rivale. Elsa invece si rifugiò in un angolo della stanza, dondolando rannicchiata a terra e fissando un punto indefinito innanzi a sé con gli occhi sgranati.


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