Capitolo 10

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Max camminava, spingendo il passeggino di Zoe. La giornata era coperta ma aveva deciso fosse eccessivo recarsi in auto dal pediatra per la consueta visita mensile. Lo studio del medico era poco lontano dallo loro abitazione ed una boccata d'aria non avrebbe fatto di certo male alla sua bambina. La neonata sorrideva felice osservando tutto ciò che vedeva intorno a lei ed emettendo teneri vocalizzi di gioia. Le piaceva tanto passeggiare con il suo papà ed adorava tantissimo, essere spinta sul suo passeggino. Il cappottino rosa le stava d'incanto, così come il berrettino di lana bianca.

L'aveva forse coperta troppo? Max non sapeva darsi una risposta sincera, non essendo mai riuscito a stabilire quanto freddo o caldo potesse percepire la sua bambina. Zoe comunque appariva a suo agio e questo lo convinse a pensare ad altro e proseguire sereno per la sua strada.

Qualche sera prima aveva visto una ragazza molto sensuale entrare nella dimora di Andrea Landi e successivamente aveva sorpreso la signora Landi, sistemata comicamente su un ramo dell'albero davanti alla casa. Ora sembrava tutto tranquillo, quella indiscreta presenza pareva essersi dileguata, auspicabilmente partita per un luogo più attinente alla sua nuova condizione. Max. continuò a camminare, ripetendo mentalmente una preghiera improvvisata in suffragio alla vicina, quando una voce alle sue spalle lo richiamò.

« Signor Picozzi...»

Quella voce femminile, fresca e garbata, gli impose di fermarsi e rispondere al suo richiamo.

Arrestò la sua marcia ed incuriosito si volse sorridendo.

«Voleva dire Pirozzi, signora?», esclamò incontrando per la prima volta i suoi occhi.

«Mi scusi signor Pirozzi», rispose Elsa andandogli incontro.

L'uomo alla sua vista impallidì dallo spavento.

«Signor Pirozzi so che lei mi vede e ora so anche che mi può udire», esclamò la Landi avvicinandosi a lui.

«Signora, non faccia un passo in più. La prego non mi segua», urlò l'altro spaventato. Poi spingendo il passeggino della sua bambina accelerò il passo cercando di portarsi lontano da quella spaventosa visione.

«Signor Pirozzi non faccia così, la supplico! Sono disperata!», esclamò Elsa affiancandosi a lui.

«Lei non ha bisogno di parlare con un vivente, mia cara signora», rispose Max incespicando sulle parole, «lei a questo punto della sua esistenza, dovrebbe impegnarsi a passare oltre o ritornare tra i vivi».

«Conosce quindi lo stato in cui verso?», replicò Elsa stupita.

«Tutto il quartiere sa che dopo l'incidente lotta tra la vita e la morte nella rianimazione del vecchio ospedale», rispose costernato Pirozzi continuando a camminare.

«Si fermi, per favore!», lo pregò Elsa.

«Non credo lo farò», rispose lui seccato. « Le consiglio di tornare all'ospedale e tentare di svegliarsi dal coma, piuttosto che andare a zonzo per il quartiere».

«Non so come fare per svegliarmi dal coma», esclamò lei cercando conforto.

L'uomo non rispose e non diede neppure peso alle sue parole. Continuò silenzioso il suo tragitto, lasciandola indietro.

Dopo pochi metri si volse, accorgendosi sollevato che la sua vicina, o qualsiasi cosa fosse diventata dopo l'incidente, avesse rinunciato a seguirlo. Ringraziò il Cielo per essersi liberato di tale scomoda presenza e riprese la passeggiata con un incedere più pacato. Osservò le case che costeggiavano la via, ordinate e ben tenute. I giardini davanti ad esse ora erano deserti, vuoti e silenziosi. Non c'era più il vocio dei bambini che si rincorreva allegramente e neppure l'odore di qualche grigliata estiva organizzata tra vicini. L'autunno aveva messo rigorosamente a riposo queste allettanti attività, mentre la natura si preparava ad addormentarsi sotto la coperta ghiacciata del gelido inverno. A breve si sarebbe immesso in una delle strade principali, sebbene poco trafficata, del paesino di periferia in cui viveva. Qui tutti gli autoctoni si conoscevano tra loro e guardavano con sospetto chi, come lui, non era del luogo. Perdendosi in queste elucubrazioni, costeggiò l'ultima casetta del suo quartiere, quella della famiglia Goracci , appena in tempo per vederne uscire la padrona di casa in compagnia di Aurelia Corsi e di Bice Vicedomini. Le tre anziane lo bloccarono, riempiendo di moine e complimenti la piccola Zoe che le omaggiò sorridendo e salutandole con la manina paffuta.

«Che amore di bambina!» diceva la Goracci, una corpulenta donna con voce da soprano.

«Davvero incantevole» proseguiva la Vicedomini, con i capelli bianchi freschi di messa in piega.

«Vi ringrazio signore...», rispose Max cercando di liberarsi di loro.

«Fermo Pirozzi», gli intimò Aurelia Corsi, notando cercasse di sottrarsi al loro agguato. «Sa cosa è successo l'altro giorno a casa dei suoi dirimpettai?», proseguì arcigna.

«Assolutamente no», rispose Max confuso.

«Allora sono obbligata ad informarla che fatti incresciosi accadono nella villetta dei Landi», continuò l'anziana.

«Nella villetta dei Landi?», chiese l'uomo, sospettando che anche le anziane ravvisassero la sfortunata signora.

«Certo», assentì la Goracci. «E' giusto che lei sappia, per il bene di sua figlia, quali indecorosi segreti cela quella scandalosa dimora», concluse poi gravemente.

« Per il bene di questa povera innocente senza mamma», fecero eco le altre due arpie.

Max le fissò sconcertato. Sua figlia non aveva una madre, ma gli dava fastidio che parlassero di lei come di una povera derelitta. In fondo aveva un padre che l'adorava ed un nonna, ora fortunatamente impegnata in altre faccende, che stravedeva per lei. L'amore che la circondava era smisurato ed avvolgente, quanto quello di cui godevano i bambini cresciuti in una famiglia tradizionale.

«Ho un appuntamento con il pediatra di Zoe, signore», dichiarò cercando di superare il capannello di comari.

«Cosa? La piccola sta forse male?» ,esclamarono le tre quasi all'unisono.

Poi circondando il passeggino, esaminarono il colorito di Zoe e ne tastarono la fronte, preoccupate avesse la febbre.

«Quando torna la signora Egle?», chiese la Corsi invadente.

«Mia madre in questo momento ha da fare», rispose seccamente Pirozzi.

«Povero ragazzo», continuò melodrammatica la Vicedomini, «deve essere dura crescere una piccina senza una donna accanto».

Quest'ultima dichiarazione fu come una coltellata per Max che si sentì umiliato sia come padre che come uomo. Mantenendo a stento la calma ma obbligandosi ad una simulata fermezza, tentò per l'ennesima volta di congedarsi da loro. Dopo i saluti di prassi stava quasi per riuscire nel suo intento, quando la voce della Corsi strillò con perfido compiacimento:

«Landi si è già portato in casa l'amante».

Questa notizia lasciò di sasso il mite Pirozzi, che continuò a camminare fingendo di non aver udito tale maldicenza. Ponderò sulla fondatezza di tale informazione, ricordando di aver visto qualche giorno prima, una giovane e sconosciuta donna scendere da un taxi ed entrare in casa di Landi. Rifletté anche sul fatto di aver sorpreso poco dopo, la "moglie – fantasma" rannicchiata, sola e triste, sul ramo dell'albero del giardino. Sicuramente doveva essere accaduto qualcosa in quella casa, ma probabilmente non era così indecente e scandalosa come quelle tre linguacciuta megere volevano far credere.

Quella sera, dopo aver messo a letto Zoe, ripensò agli avvenimenti della giornata. La visita pediatrica aveva diagnosticato che la piccola fosse in ottima salute e che la sua crescita procedesse secondo i parametri relativi ai bimbi della sua età. Qualcosa però preoccupava Max. Intuiva che per Zoe tutto non procedesse davvero come aveva rilevato il dottore durante il controllo mensile. Sua figlia a quasi un anno d'età, emetteva solo brontolii e gridolini ma non accennava minimamente a pronunciare le prime sillabe che, come aveva letto nell'ultimo libro di un famoso studioso dell'età evolutiva, avrebbe dovuto pronunciare. Non riusciva a distogliere l'attenzione da questa ansia e dopo aver estratto dall'asciugatrice alcune tutine ed un pigiamino, si accinse a piegarli con nervosismo ed inquietudine. E se quelle tre arpie: la Corsi, la Goracci e la Vicedomini, avessero avuto ragione? Se davvero lui non fosse stato abbastanza bravo a crescere da solo Zoe e lei soffrisse di ritardi cognitivi per la mancanza di una madre? Sentì lo stomaco contrarsi in una morsa. Probabilmente tutto il suo amore e le sue attenzioni, non erano minimamente paragonabili a quelle che le avrebbe conferito sua madre. Purtroppo Antonella aveva scelto di non crescerla e sebbene ora più che mai, sentisse quanto sarebbe stata indispensabile nella vita di sua figlia, non poteva modificare questa triste e dura realtà. Avrebbe chiamato sua madre Egle, e l'avrebbe pregata di tornare a stare da loro. Sebbene fosse la nonna della bambina, era l'unico modello materno che in quel momento poteva offrire a sua figlia e l'unico adatto a risolvere le sue presunte mancanze. Non sarebbe stato facile tenere testa al carattere impetuoso e vivace di Egle ma per Zoe, innamorata di sua nonna, questo era un sacrificio che doveva fare.

Confuso tirò la tendina della cucina e guardò fuori. Pioveva a dirotto. La pioggia precipitava sull'asfalto della strada con fragore impressionante. Il vento agitava le chiome degli alberi e creava turbinii di foglie morte che si alzavano trasportate dalla tormenta. Il fantasma della signora Landi aggrappato all'albero del suo giardino, sventolava al vento quasi fosse un cencio. Max sussultò. Lo spettro della sua vicina era ancora nella sua proprietà ma sicuramente qualcosa le impediva di rientrare in casa. Aveva forse scoperto il marito con l'amante come aveva detto quella pettegola della Corsi? Osservò il volto teso e terrorizzato della fantasma aggrappata malamente all'albero, mentre cercava con tutte le sue forze di non farsi portare via dal vento. Suggestionato da quella situazione di pericolo, capì fosse suo dovere fare qualcosa per lei. Per questo uscì di casa e lottando con il vento e la tempesta arrivò davanti alla pianta su cui Elsa si dibatteva, scossa dalla violenta corrente d'aria.

«Signora Landi», urlò. «Signora Landi, rientri in casa», continuò mentre il vento e le grida della sciagurata coprivano le sue raccomandazioni.

«Signora Landi, la prego», urlò afferrandole una caviglia che ciondolava mossa dalle raffiche d'aria.

Sussultò quando si accorse, flagellato dalla furia degli elementi, di aver agguantato una gamba in tutto e per tutto uguale a quella di un comune vivente. Facendosi forza afferrò ambedue le gambe della donna, mentre il vento lo spingeva all'indietro e la tempesta gli impediva di guardare intorno.

«Lasci la presa signora», urlò quasi privo di forze Max.

«Non ci penso neppure!», rispose lei terrorizzata.

«Allora si tenga al ramo con una sola mano e afferri i miei capelli con l'altra», urlò il ragazzo continuando a trattenerla per le gambe ed allungando il collo.

I capelli folti di Max diedero sicurezza ad Elsa che eseguì senza ribattere tale raccomandazione.

L'uomo lanciò un urlo quando lei, con tutta la forza di cui era capace, gli afferrò la chioma grondante.

«Brava», la elogiò ,«ora lasci il ramo e si aggrappi al mio collo con l'altro braccio».

«Non ce la faccio!» piagnucolò Elsa.

«Deve farcela», urlò Max sfinito, «sono esausto e se non farà quanto le ho detto, non so per quanto tempo potrò ancora trattenerla».

Elsa capì che non c'era tempo da perdere. Se fosse sfuggita alle braccia del suo svaporato vicino non si sarebbe di certo fatta del male e non sarebbe neppure deceduta, vista la sua attuale condizione. Tutt'al più sarebbe stata trasportata dal vento come una foglia secca lontano da li, magari in un altro quartiere o in un altro paesino dove non avrebbe più rivisto il suo infedele marito e la sua bella.

Disperata mollò la presa ed afferrò tremando il collo di Pirozzi . L'uomo perse l'equilibrio e scivolò a terra tenendola stretta tra le braccia. A fatica riuscì ad alzarsi dalla carreggiata stradale, trasformata in un fiume dalla violenza dell'intemperia, ed ancora più provato raggiunse il praticello davanti alla sua casa.

«Ho provato ad entrare nella sua proprietà», gridò Elsa, ora comodamente trasportata tra le braccia del suo salvatore. « Purtroppo non riuscivo ad arrivare alla porta. Qualcosa me lo impediva e penso succederà anche ora», puntualizzò poi amareggiata.

«Affatto», rispose lui barcollando sotto la pioggia. «Non poteva entrare nella mia proprietà, perché io non l'avevo invitata», spiegò.

Lei lo fissò sgomenta.

«Come si chiama di nome, signora Landi?», chiese d'un tratto Max.

«Mi chiamo Elsa», rispose la "fantasma" mentre il rombo di un tuono falsava le sue parole.

«Enza?», domandò lui confuso.

«Elsa», replicò lei.

«D'accordo» ribadì, fermandosi per un attimo sul marciapiede davanti al giardino della sua villetta. «Elsa ti invito ad entrare nella mia dimora», dichiarò deciso. Dirigendosi poi con passo malfermo verso casa.


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