Capitolo 16

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Una calura insopportabile aveva investito il piccolo centro fin dalle prime luci dell'alba. Sciami di locuste provenienti dalle paludi ad est, avevano richiesto l'intervento degli uomini della protezione civile, che irrorando l'ambiente di insetticidi biologici cercavano di sterminarle.

La popolazione era stata invitata a rinchiudersi nelle case, fino a quando l'emergenza non fosse passata. Massimo Pirozzi, era di turno all'ospedale. Aveva appena somministrato ad Elsa Ferrari una dose di Cerizen, un farmaco psicoattivo elaborato dall'estrazione del succo di Coriozonis, un tubero raro su Terram. Sapeva che non sarebbe stato consigliabile sottoporre una paziente così provata fisicamente a quel tipo di trattamento, riservato per lo più a comuni delinquenti che si rifiutavano di collaborare con le autorità, ma voleva essere sicuro circa le sue supposizioni sulla diagnosi di Elsa. Si era convinto seppur con riserve, che quella donna fosse una bugiarda patologica ma intuiva che ci fosse dell'altro. Qualcosa sul comportamento della paziente, sfuggiva alla sua stessa comprensione e per quanto si sforzasse di pensare il contrario, era sempre più evidente in lui l'idea che Elsa Ferrari non soffrisse di alcuna malattia psichiatrica. Se la sua paziente non avesse confermato, sottoposta a Cerizen, i suoi astrusi vaneggiamenti, sarebbe stato evidente che si era sbagliato e che la signora Ferrari fosse affetta da una devastante patologia psicotica. Ma se avesse ripetuto i medesimi deliri, avrebbe avuto il coraggio di definirla solo una bugiarda? Sebbene scoprirla una semplice psicotica sarebbe stato molto più rassicurante, Pirozzi sperò che la donna confermasse quanto aveva riferito nei giorni precedenti.

Elsa stesa sul letto, lo fissava con gli occhi chiari colmi di speranza, mentre lui faceva preparare all'infermiera di turno la siringa. Solo quando la donna ebbe iniettato il Cerizen alla paziente, Pirozzi le chiese di lasciarli soli. Appena l'infermiera uscì dalla stanza, Il luminare accostò le tende della finestrella laterale, facendo sprofondare la camera nella penombra. Quindi si avvicinò ad Elsa e le tastò il polso. La donna giaceva supina con gli occhi semichiusi ed il volto pallido, rilassato e sereno. Grazie aI prodigioso medicinale, la paziente avrebbe risposto con probabile sincerità a tutte le sue domande, senza occultare nessun segreto celato tra gli anfratti della coscienza e non rammentando nulla di quanto confidato al suo risveglio. Il battito cardiaco era normale, per questo Il medico abbandonò il polso e portò una sedia alla destra del giaciglio.

«Elsa, può sentirmi?», chiese preoccupato.

La donna tacque.

«Elsa, la prego di rispondere», insistette il primario.

Il respiro ritmico della paziente gli fece capire che tutto stesse procedendo per il meglio.

Le scosse leggermente un braccio.

«Si...», rispose la donna flebilmente.

«Elsa sa dove si trova?» chiese Massimo, certo che il siero avesse fatto effetto.

«Mi trovo all'ospedale», rispose lei assonata.

«Come si sente?», proseguì indagatore il medico.

«Sto male», disse lentamente Elsa. «Lotto tra la vita e la morte», concluse leggermente preoccupata.

«Non mi sembra sia così», affermò curioso il suo interlocutore.

«Invece è così», ribatté l'altra.

«Dove viveva prima di essere ricoverata?», chiese Pirozzi.

«Vivevo in un villino in periferia», rispose la donna, tentando di aprire gli occhi.

«Davvero?» esclamò il medico.

«Ora però risiedo altrove», continuò lei.

«E dove?», indagò Pirozzi.

«A casa di un amico.»

«Che tipo è il suo amico?»

«Un caro ragazzo. Padre single di una bambina.»

«Interessante, prosegua», esclamò lui.

«Vive con lei e la cresce, dal momento che la compagna si è trasferita per lavoro.»

«E il suo "amico" la ospita in casa sua, vero? »

«Certamente, Max mi ha molto aiutata dopo il mio incidente.»

«Ovviamente.»

«Io per contraccambiare lo aiuto come posso con la piccola.»

«Si occupa della sua bambina? »

«Molto spesso.»

«Cosa può dirmi ancora? Di che si occupa Max?»

«E' un programmatore di computer.»

Pirozzi sobbalzò sorpreso.

«Signora Ferrari che scopo ha il lavoro del suo amico?»

«Programma computer che vengono usati nelle aziende, nelle banche e in casa di privati.»

«Quindi lei vorrebbe farmi credere che anche un comune cittadino può possedere un computer? »

«Certo.»

«Ma occorrerebbero come minimo due stanze per contenerlo», esclamò irritato il dottore.

«Assolutamente no. In verità sono molto piccoli.»

Ci fu un attimo di silenzio.

«Mi dia il codice sociale del suo amico Max», esclamò il dottore.

«Prego?», borbottò Elsa semiaddormentata.

«Il codice sociale... Il suo amico si chiama Max e poi? »

«Max Pirozzi», rispose lei con voce sicura.

Il luminare capì che la sua paziente fosse molto malata. Lui si chiamava Massimo Pirozzi e probabilmente Max Pirozzi, non era altro che il suo alter ego. La poverina aveva creato nella sua mente una realtà alternativa , popolata da tutti coloro che conosceva nella realtà oggettiva. Lui era il dottor Massimo Pirozzi , l'uomo che la curava e che in qualche maniera la tratteneva contro la sua volontà in ospedale, tormentandola con medicinali e discorsi inutili. Proprio per sfuggire al suo triste presente aveva idealizzato il suo terapeuta, facendolo diventare il caro amico Max Pirozzi , protagonista di una realtà tanto alternativa quanto inesistente. Lo stesso aveva fatto con Andrea Landi. Probabilmente lo aveva incontrato per strada e se ne era invaghita, incantata da lui come un'adolescente al suo primo amore. il cervello successivamente aveva fatto la sua parte, facendole credere che Landi fosse davvero suo marito. Non l'avrebbe mai potuto avere nella vita reale, in quanto l'uomo era già felicemente sposato, quindi aveva creato inconsapevolmente questo espediente per legarsi a lui.

Pirozzi non aveva più nulla da dire o da chiedere alla signora Ferrari. Ormai la diagnosi era chiara e non servivano più analisi o discussioni per capire come procedere. Avrebbe scritto al Governatore ed avrebbe fatto trasferire Elsa nella grande clinica "Vita Emotiva Armonica", dove sarebbero iniziate cure mirate per la sua riabilitazione. Prevedeva che la terapia in questo caso sarebbe stata lunghissima, forse ci sarebbero voluti anni per condurre la donna a prendere coscienza dei suoi deliri e probabilmente tante ore di terapia per permetterle di accettare la sua esistenza per quella che era. Avrebbe dovuto smettere di alterare la sua percezione con suggestioni vivide e radicate e forse solo allora avrebbe raggiunto l'equilibrio e la serenità. Osservò il bel volto di Elsa ancora assorto in uno stato ipnotico. Il siero entro pochi minuti avrebbe finito il suo effetto, facendo risvegliare la donna che non avrebbe ricordato niente di tutto ciò che aveva detto durante la somministrazione.

Pirozzi si rese conto che la realtà alternativa immaginata dalla sua paziente era la più adeguata a lei e l'unica che la facesse sentire quantomeno, felice ed amata. Voleva sapere di più sul suo alter ego ma soprattutto voleva sapere come lei l'avesse trasformato ed arricchito di virtù che forse non possedeva nella realtà.

«Cosa pensa di Max Pirozzi?», chiese il medico, «mi ha lasciato intuire sia una brava persona e probabilmente il suo più caro amico, vuole aggiungere altro?»

Elsa sembrava assorta in un sonno profondo ed il dottore fu sorpreso, quando improvvisamente udì la sua voce.

«Max», esclamò, «è unico».

Pirozzi sentì un nodo salirgli alla gola.

«Non credo esista un uomo migliore e biasimo Antonella, la sua compagna, per averlo lasciato», aggiunse a fatica la donna.

Massimo si sentì venire meno. Anche quel fantomatico Max Pirozzi aveva una compagna che si chiamava Antonella, proprio come la sua ex moglie. Sbalordito, cercò di rammentare se avesse mai parlato della sua vita privata con Elsa. Si scosse subito da questo assurdo pensiero, riconoscendo la sua professionalità e competenza. Non avrebbe mai parlato del suo privato con un paziente, poiché oltre ad essere deontologicamente errato , sarebbe stata anche un'azione enormemente insensata.

Si alzò dalla sedia accanto al letto della malata.

«Elsa, signora Ferrari», esclamò, «il nostro rapporto medico-paziente, finisce qui». 

Fissò il volto della donna che drogata dal "Cerizen", appariva cereo ed assorto.

«Le sembrerà assurdo», continuò Pirozzi, «ma non ce la farei ad accomiatarmi da lei da sveglia. Per colpa mia andrà in un luogo dove solo pochi hanno la sfortuna di capitare».

Il dottore sentiva gli occhi pizzicare. Voleva piangere per la sorte di quella poveretta ma il suo ruolo gli imponeva di non farlo. Accarezzò il bel volto di lei, in un ultimo estremo saluto. Quindi si diresse alla porta. Una volta in corridoio avrebbe chiamato l'infermiera, perché assistesse fino al risveglio la signora Ferrari.

«Arrivederci», sillabò Elsa.

Massimo si bloccò davanti alla porta.

«Ora devo lasciarla, devo tornare da Zoe, la bambina di Max .»

Pirozzi sentì un brivido percorrergli la schiena, potente quasi quanto una scossa elettrica.

«Zoe?», replicò tremando.

«Si, Zoe. Significa Vita», rispose Elsa cadendo in un sonno profondo.


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