Capitolo 21

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La festa della Dea si sarebbe celebrata alla fine di quel mese. Proprio per queste importanti festività, Il professor Massimo Pirozzi aveva firmato le dimissioni a tutti i degenti ricoverati. Sarebbero rientrati in clinica dopo le feste, riprendendo le cure da dove le avevano interrotte. Era confortante considerare che le malattie psichiche di cui soffrivano i suoi pazienti, non fossero così debilitanti da impedire loro di passare le solennità riservate alla Dea, lontani dalle famiglie. Molti sarebbero già rincasati il giorno seguente, approfittando di un servizio di carrozze allestito dall'ospedale e da un gruppo di volontari, i quali avrebbero personalmente riaccompagnato i degenti alle loro case. Proprio per questa inaspettata concessione, ogni paziente si recava a turno nel suo studio, per porgergli i più sentiti ringraziamenti ed i più sinceri auguri per la prossima attesa celebrazione. Tutti apparivano eccitati ed elettrizzati per la festa che li attendeva. Durante i festeggiamenti in famiglia avrebbero gustato la tradizionale zuppa di Alumet, una sorta di minestrone accompagnato da fette di pane nero. Alla zuppa, cotta a fuoco lento per circa otto ore, sarebbe seguita la Frapanna, una densa crema di latte addolcita da frutti di bosco selvatici.

Ognuno di loro avrebbe poi sfilato davanti al tempio, indossando la tunica colorata della festa. Si sarebbe quindi brindato alla Dea Madre con il nuovo sidro, pregandola di proteggere la famiglia, la collettività ed il futuro di Terram. Lo avrebbero fatto davvero tutti, tutti fuorché Elsa Ferrari che appariva poco interessata ai festeggiamenti e completamente sprovvista di una famiglia.

Quel pomeriggio Pirozzi stava finendo di firmare le dimissioni degli ultimi degenti, quando udì bussare alla porta del suo studio.

«Avanti», esclamò intingendo la punta della penna nell'inchiostro.

Un ometto calvo e pingue, dagli allegri occhietti azzurri fece il suo ingresso nella stanza.

«Buon pomeriggio, Pirozzi», esclamò cordiale.

Massimo lo osservò e lo salutò sorridendo bonariamente. Alcoor Bengala era il direttore sanitario della struttura.

«Come stai amico mio?», esclamò Massimo porgendogli la destra.

«Non c'è male davvero», rispose l'ometto stringendogli la mano.

«A cosa debbo questa visita?», chiese Pirozzi facendogli cenno di accomodarsi sulla sedia davanti alla scrivania.

«Devo parlarti...», rispose pensieroso Bengala.

«Ci sono problemi?», s'informò l'altro.

Alcoor si passò una mano sulla pelata e dopo qualche esitazione cominciò a parlare.

«Come sai fra poco tutta Terram festeggerà la Dea Madre. Sia gloria a lei!», esclamò l'uomo portandosi la mano sinistra al cuore.

Pirozzi lo contemplò curioso.

«Insomma», proseguì Alcoor Bengala, «come sai quasi tutti i pazienti rientreranno in seno alle loro famiglie».

«Lo so. Sto appunto firmando le ultime dimissioni», affermò il professore.

«Dovremmo essere contenti che la salute di questi poveracci consenta loro di uscire almeno per le feste, ma... »

«Ma?», chiese Massimo curioso.

«Ma mentre l'anno scorso rimasero in ospedale otto pazienti ed incaricammo alcuni infermieri a trattenersi con loro, quest'anno non vuole fermarsi nessuno ad accudire l'unica paziente che rimarrebbe in reparto.»

Pirozzi pensò fosse legittimo per gli infermieri, non voler perdere i festeggiamenti con i congiunti. Sebbene alcuni di loro provenissero da cittadine limitrofe, altri erano originari di insediamenti molto lontani. Per questo motivo il periodo delle feste, era uno dei pochi momenti all'anno che permetteva loro di raggiungere la famiglia, e passare del tempo con i propri cari.

«In poche parole», continuò Bengala, «l'anno scorso potemmo contare su quattro paramedici appena assunti, i quali non si permisero di obbiettare alla nostra forzata proposta».

«Mentre quest'anno», continuò Pirozzi, «nessuno vuole rimanere qui».

«Vedo che comprendi», esclamò Alcoor.

«Comprendo perfettamente», rispose Massimo, «e so anche chi è la paziente a cui ti riferisci. Si tratta della Ferrari , vero?».

«Esattamente», esclamò Bengala aggrottando la fronte. «Non sappiamo niente di quella donna. Apparentemente non ha legami. Sembra quasi emersa dal nulla.»

Pirozzi lo fissò preoccupato.

«Devo dire che hai perfettamente colto nel segno. Elsa Ferrari dice di essere la moglie di un poveraccio che vive in un quartiere in periferia.»

«Corrisponde a verità quanto dichiara? », s'informò il direttore sanitario.

«Assolutamente no. L'uomo in questione non la conosce affatto.»

«Poverina», esclamò Bengala tergendosi la fronte sudata con un fazzoletto di lino grezzo. «Purtroppo la mente fa brutti scherzi quando non funziona bene. Comunque la signora non pare pericolosa...»

«Effettivamente non lo è», confermò il primario, «più che altro la sua condizione è aggravata da episodi di letargia.»

«Accidenti...», rispose Alcoor stupefatto.

«Sì. Di tanto in tanto sembra estraniarsi dalla realtà circostante e non risponde agli stimoli esterni. »

«Interessante...Comunque lasciamo perdere i dettagli clinici. Dove passi le festività quest'anno?»

«Torno nella mia città natale, Korkian. Perché lo chiedi? »

«Perché vorrei che prendessi in consegna la signora Ferrari e la conducessi con te », rispose l'uomo con fare autorevole.

«Fai sul serio? », sbottò il luminare disorientato. «Ti dico subito di no», aggiunse quindi irritato.

«Perché no? », chiese l'altro.

«Sono ospite di mia madre che non vedo da due anni e non mi sembra il caso di...»

Non riuscì a finire la frase , perché Alcoor Bengala lo ghermì.

«Insomma Massimo! Non ci saremo trovati in questa condizione se l'avessi fatta ricoverare per tempo, in una struttura specializzata».

«Chi ti ha parlato del mio proposito?», s'informò Pirozzi sbigottito.

«Nessuno», rispose il direttore, «ma mi sembra che questo caso possa avere quell'unico epilogo».

Massimo fissò Alcoor stupito.

«Suvvia», proseguì l'altro, «hai già seguito casi di psicosi grave e li hai fatti rinchiudere tutti nella clinica di igiene mentale specializzata che tutti conosciamo».

Pirozzi ammutolì.

«Purtroppo è vero!», proseguì Alcoor sfregandosi le mani grassocce, «anche se fortunatamente, sei stato costretto a prendere una tale decisione solo un paio di volte in tutta la tua celebre carriera».

«Ed ovviamente ho dovuto sottoporre il caso al governatore di turno e ad una commissione di esperti da lui nominati. Non è un procedimento semplice né da prendere alla leggera», esclamò il primario con il volto rosso dall'irritazione.

«Per nulla», lo sostenne Alcoor, «non è facile condannare un proprio simile ad una vita di internamento».

«Infatti», sbottò Pirozzi risentito.

«Non discuto su questo. In alcuni casi però sei stato obbligato a farlo », continuò Bengala con apparente empatia.

«Sono stato costretto a farlo, perché le cure non sortivano effetti soddisfacenti», urlò l'altro.

«E perché con la Ferrari non l'hai fatto?», esclamò l'uomo, fissando con i suoi splendenti occhietti azzurri il viso stravolto di Massimo. «Non ti sono bastate le sue psicosi, le sue paranoie e i suoi stati letargici, per convincerti a procedere? »

Il luminare tacque. Alcoor Bengala aveva ragione. Una sensazione strana ed impercettibile, gli aveva impedito di far ricoverare quella donna in una struttura più adeguata alle sue problematiche. Era stato un sentimento di pietà umana oppure la convinzione che nei ragionamenti astrusi di Elsa Ferrari, non tutto fosse patologico? Cacciò questo pensiero nel profondo e si concentrò nuovamente su Alcoor che aveva ricominciato a parlare.

«Proprio per il tuo tentennamento, credo che dovrai occuparti personalmente della signora Ferrari durante il periodo delle festività».

«Cosa vuoi che faccia? », esclamò il medico.

«Rimani qui con lei o conducila presso tua madre a Korkian. Questi sono affari che non mi riguardano», rispose asciutto il direttore. «L'importante è che la paziente riceva le cure che le servono. »

«Ti chiedo scusa», esclamò Massimo. «Mi occuperò personalmente della signora Ferrari e la condurrò con me a Korkian. Non è giusto che qualcun altro resti qui per una mia negligenza. »

«Esattamente», dichiarò Alcoor. «Inoltre esigo che dopo le feste, tu metta al corrente il governatore dello stato in cui versa la Ferrari. Penso sia giusto agevolare l'entrata di questa infelice in una struttura consona ai suoi bisogni reali.»

Pirozzi sentì che il direttore sanitario agiva con il buon senso che a lui era mancato. Come aveva potuto non tenere da conto i gravi disturbi e le psicosi della sua paziente? Forse si era fatto suggestionare da una serie di fatalità e condizionare da qualche informazione sulla sua vita privata, che probabilmente la Ferrari aveva carpito ascoltando le chiacchiere di un suo collega impiccione o di qualche paramedico ficcanaso.

«D'accordo Alcoor», esclamò Massimo, «mi assumo la responsabilità di assistere la signora Ferrari durante le prossime festività».

«Perfetto», rispose Bengala stringendogli la mano, «hai scelto la soluzione migliore per tutti noi».

L'enorme sole rovente stava tramontando su Terram . Le ombre della sera cominciavano a scendere serene, portando un po' di refrigerio su quelle lande aride e brulle. Eppure nella sua stanza imbottita e candida, Elsa si era risvegliata dal suo ennesimo episodio letargico, aprendo gli occhi sul mondo dalle due lune con una nuova consapevolezza.

Provava un amore incondizionato per Max Pirozzi.


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