Capitolo 31

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Dopo la telefonata di Monica che annunciava l'inaspettato "risveglio" della figlia, Egle e Max si accomiatarono da Martino. Volevano rivedere immediatamente Elsa per sincerarsi sulle sue condizioni di salute, reputando un vero dono quel suo inaspettato e bramato ritorno alla vita. Il professor Prushenko aveva fin da subito appoggiato la loro decisione, pregandoli di fargli avere al più presto notizie sulle condizioni della povera inferma. Madre e figlio si erano dunque diretti all'ospedale con la speranza che la paziente avesse serbato un anche minimo ricordo di loro. Sapevano entrambi che il risveglio da un coma, con annesso torpore che ne era seguito, poteva comportare delle problematiche ed in alcuni casi anche la perdita della memoria. Stabilirono però che quella possibilità, rappresentasse l'ultima delle loro preoccupazioni. Il sogno più grande in quel momento si era realizzato, anche se non potevano immaginare in che condizioni avrebbero trovato Elsa. Quando raggiunsero il reparto dove era ricoverata la giovane donna, Monica li attendeva nel tratto di corridoio davanti alla sua stanza. Sorrise vedendo Egle ed il suo accompagnatore andarle incontro, sentendosi quasi sollevata dalla presenza di quegli estranei. Quel ritrovo, ovattato dalle luci tenui della corsia e reso reale dall'olezzo pungente dell'etere e del disinfettante, appariva come l'epilogo di tutte le loro più recondite aspettative. 

«E' stato un vero miracolo!» , continuava a ripetere la donna.

La sua voce lieta e leggermente tremula, descriveva perfettamente il suo stato di gioia, facendo comprendere a tutti che la loro speranza era divenuta una realtà concreta.

Emozionata e felice, gettò le braccia al collo di Egle. L'altra rispose al suo abbraccio con entusiasmo, conscia della felicità indescrivibile che illuminava l'anima di quella madre. Le era stata restituita la sua bambina, il sangue del suo sangue e la parte più pura del suo cuore. Dopo qualche secondo, Egle commossa riuscì a sciogliersi da quella stretta.

«Ti presento mio figlio Max», esclamò affettuosa.

Monica strinse la mano del bell'uomo innanzi a lei, sorridendogli cordialmente. Si ricordò d'averlo conosciuto in casa dell'ex genero, qualche giorno dopo l'incidente che aveva coinvolto Elsa. In quell'occasione quel garbato giovane, aveva espresso il suo rammarico per l'accaduto e aveva porto a tutti loro, i suoi più sentiti auguri per una veloce ripresa della povera signora Landi. 

«Amici miei, siamo testimoni di un vero e proprio miracolo!» ribadì Monica quasi esaltata, riferendosi nuovamente alla figlia. «Sara, la sorella di Elsa, sostiene sia "tornata" solo grazie alle nostre preghiere, dato che i medici non riescono a spiegare del tutto questo improvviso miglioramento», continuò con convinzione.

«Sapevo si sarebbe risvegliata!», esclamò Egle con entusiasmo, «aveva già dato dei timidi segnali di ripresa».

«Vi posso garantire però, che quando la vedrete non crederete ai vostri occhi», rispose l'altra.

«In che stato versa Elsa?», chiese timidamente Max.

«In uno stato impensabile per una persona con i suoi trascorsi clinici», spiegò Monica.

Sorridendo la donna, schiuse la porta della stanza che ospitava la figlia.

«Prego, andate da lei... », esclamò spalancando del tutto l'accesso  alla camera.

Seduta sul letto, Elsa stava leggendo con attenzione una rivista mentre si sottoponeva ad una flebo reidratante. Era completamente scollegata dalle macchine che le avevano garantito la sopravvivenza e di primo acchito appariva in buona salute, nonostante la testa fosse ancora parzialmente fasciata. I visitatori la contemplarono attoniti, considerando sbalorditi il suo incredibile e repentino recupero. Percependo la loro presenza, la giovane alzò gli occhi dal giornale e li osservò per qualche istante spaesata.

«Ciao Elsa!», esclamò Max emozionato, «ti ricordi di me?».

L'uomo si avvicinò velocemente al letto, incontrando con turbamento gli occhi di lei dopo tutto quel tempo. Elsa non parlò, lo fissò per alcuni secondi in silenzio non riuscendo a staccare lo sguardo da lui. Ad un certo punto sembrò animarsi. 

«Guarda», esclamò con un filo di voce, porgendogli il giornale. «Oggi è il tre di febbraio», constatò apparentemente allarmata.  

Max avrebbe voluto spiegarle tutto ciò che era successo, comprendendo che probabilmente avesse scordato il suo recente passato e quanto di bello ci fosse stato tra loro.

«Tesoro non fare così», s'intromise Monica percependola agitata. «Ricordi i signori Pirozzi, i tuoi  cari vicini?», la interrogò sperando in una sua reminiscenza.

Elsa per un istante apparve smarrita poi, quasi avesse riordinato i suoi pensieri, fissò l'uomo tentennando.

«Massimo?», esclamò insicura.

«Max», rispose lui sedendosi sulla sponda del letto.

«Dov'è tua madre?», chiese all'improvviso la paziente tra lo stupore generale.

«Sono qui cara», rispose Egle facendosi avanti.

«Sei diversa», esclamò Elsa osservandola stupita. «Forse è per via del colore dei capelli>>, aggiunse perplessa.

«Come stai?», chiese Max prendendo coraggio. Adorava poter udire ancora la voce della donna che amava. Lei lo fissò smarrita.

«Sto meglio, o almeno credo...Anche se non sono felice per la situazione che si è creata a Korkian », rispose tristemente.

«Korkian?», ripeté Max perplesso. Sospettava che quei deliri potessero essere causati dalle conseguenze del coma, ma tentava di convincersi che presto Elsa avrebbe riordinato i suoi ricordi e riacquistato la sua razionalità. Tuttavia, probabilmente influenzato dalle argomentazioni del professor Martino, sentiva che  qualcosa di misterioso ed arcano, sfuggisse alla sua percezione. Anche Egle gli parve sgomenta per ciò che Elsa aveva dichiarato e quando i loro sguardi si incrociarono, questo dubbio divenne una palese certezza.

"Cos'è Korkian?", pensò tra sé Max, non trovando alcuna spiegazione immediata a quel quesito. Le sue improbabili congetture vennero interrotte dalla voce femminile e ben impostata di Monica.

«Egle, permette una parola?», disse. Quindi, con un gesto del capo, l'invitò a seguirla fuori dalla stanza. La Pirozzi l'assecondò prontamente, accompagnandola nel corridoio. 

«Penso abbia compreso che non tutto è ancora in ordine nella mente di Elsa!», spiegò Monica con preoccupazione, stringendo gli affascinanti occhi scuri.

«Dopo tutte le sue traversie, credo sia plausibile possa risentire di qualche disordine mentale o amnesia», affermò l'altra con convinzione. 

Monica sorrise riconoscente per quella rassicurazione. Non toccava cibo dalla sera prima ed essendo sfinita, non riusciva a ragionare con equilibrio.

«Mi accompagnerebbe al bar del pianoterra?Ho davvero bisogno di mangiare qualcosa...», chiese timidamente.

«Certamente!», esclamò l'altra comprendendo la sua spossatezza. « Rimarrà mio figlio a tenere compagnia ad Elsa».

Detto ciò Egle tornò per un istante nella stanza, avvertendo Max che avrebbe accompagnato Monica al bar del pianterreno. Fissò per qualche attimo il grazioso volto della ragazza, salutando entrambi con un sorriso affettuoso, prima di andarsene. Dopo la sua uscita di scena i due giovani rimasero soli, l'una di fronte all'altro, in un imbarazzante ed anomalo silenzio.

«Per venirti a trovare abbiamo dovuto affidare Zoe alla signora Corsi», esclamò Max nel tentativo di spezzare quello spiacevole silenzio. «Spero davvero che la mia amata piccina si trovi bene con quella vecchia megera», concluse poi ridacchiando.

«Non mi sembra poi così vecchia», rispose lei disorientata.

Max la fissò sbalordito. Sembrava che Elsa non si rammentasse della Corsi e appariva molto probabile, non si ricordasse neppure di Zoe.

«Comunque una cosa buona l'ha fatta!», esclamò speranzoso, «ha adottato il tuo gatto Carletto, tenendolo con sé e riparandolo dal freddo e dal maltempo di questa stagione!»

«Sono dunque arrivati i monsoni?», chiese la donna preoccupata. 

«Elsa che dici?», esclamò Max stupito. «I monsoni sono dei venti raramente presenti nelle nostre latitudini e portano piogge torrenziali», spiegò dolcemente.

«Non so più cosa pensare», esclamò lei con apprensione, «dove mi trovo, ora?».

«Sei in ospedale», rispose l'uomo facendosi serio.

«Vorresti dire che non mi trovo più a Korkian, ospite del mio psichiatra?», urlò la donna tentando di alzarsi dal letto.

«Korkian è una città?», chiese Max trattenendola esterrefatto.

Elsa si bloccò stupita, fissandolo con i suoi dolci occhi azzurri.

«Molto più di una semplice città! Korkian è la metropoli più estesa della terra emersa», spiegò con un certo orgoglio.

«Parlamene!», esclamò Max basito.

«La città è un grande centro urbano e commerciale», cominciò a raccontare la giovane. «I suoi edifici, di forma semisferica, si sviluppano in altezza. E' ricca di strade sopraelevate, giardini pensili e fontane».

«Notevole!», esclamò Max incerto se prestar fede alla sua minuziosa esposizione.

«Quello che però trovo davvero sorprendente è la frenesia di genti e di carri che affollano le strade  centrali della metropoli. Una moltitudine di volti e colori che si disperdono poi, nelle intricate vie interne della città», proseguì Elsa.

Max tacque, incapace di esprimere qualsiasi concetto.

«Ricordo vividamente lo stuolo di botteghe e bancarelle lungo la via. Gli aromi dei cibi e delle spezie venduti nei chioschi, invadere l'aria con le loro fragranze...», continuò la donna.

Max trasalì. Quella descrizione gli ricordava il sogno angosciante fatto notti prima. Anche lui aveva vagato, tentando di raggiungerla  in un gorgo di viuzze e di bancarelle, in tutto e per tutto simile ad un Suk arabo. Per un attimo ripensò alla teoria del professor Prushenko, il fidanzato di sua madre. Secondo lo studioso l'anima di Elsa, dapprima incapace di riappropriarsi del suo corpo fisico, avrebbe potuto vagare libera in altri piani spirituali o addirittura in altri livelli materiali. Questo avrebbe spiegato i ricordi così dettagliati e concisi che la donna stava fornendo di quel mondo, probabilmente antitetico ed avulso a quello reale. Nel sogno aveva visto l'immagine di Elsa com'era conservata nei suoi ricordi, e come scorgeva in quel preciso momento davanti a sé. Se le teorie del professore avessero avuto fondamento, la sua essenza che si trovava nell'Iperuranio, le avrebbe permesso di avere un corpo fisico sulla terra, così come in qualsiasi altro mondo materiale. A seguito di quanto estrapolato dal pensiero di Platone, sembrava che Prushenko  valutasse possibile l'esistenza di mondi paralleli al nostro, o almeno questo era quello che Max pensava d'aver capito. Ma perché tutto ciò, era accaduto proprio ad Elsa? Perché il destino l'aveva coinvolta in quella paradossale situazione?

Immerso nelle sue dissertazioni mentali, ripensò alla calura insopportabile che aveva percepito vagando lungo le strade della città del suo sogno.

«Fa molto caldo a Korkian, vero?», chiese sovrappensiero.  

«Korkian è torrida», rispose lei convulsa, «durante il giorno, un sole enorme infonde una calura insopportabile, mentre due pallide lune illuminano la notte».

«Elsa ti prego, calmati!», la supplicò vedendola turbata.

«Non è tutto», proseguì la giovane sempre più sconvolta. «Da un'inspiegabile crepa, il cielo ha vomitato sul pianeta della materia luminosa. Sono sicura si tratti della fine del mondo!», mormorò terrorizzata.

 L'uomo si portò le mani al volto, non credendo a ciò che stava vivendo.

«Max ti scongiuro», lo implorò tristemente lei, «non lasciare che io torni lì».

Pirozzi alzò lo sguardo, stupefatto.

«Elsa, amore mio!», esclamò abbracciandola, «ti ricordi di me?».

«Ora sì. Adesso è tutto chiaro nella mia mente!», esclamò lei. «Mi ricordo di te, di Zoe, di Egle. Voglio tornare da voi, ma dall'altra parte mi stanno richiamando».

«Chi ti sta richiamando?» sbottò lui, baciandole ripetutamente e con ardore le labbra.

«Quelli di Korkian», strillò lei disperata.

Una vertigine la stordì. Il suo corpo come in preda ad una crisi epilettica cominciò a dondolare avanti ed indietro, fino a che non si abbandonò rigido e supino sul letto. Max cominciò a gridare, richiamando i medici al capezzale della donna. I sanitari intervennero prontamente, potendo solo riscontrare che Elsa fosse caduta nuovamente in uno stato di torpore catalettico. Solo Max sapeva che quel torpore l'aveva portata molto lontana da lì, in un mondo dal sole enorme e dalle due pallide lune.













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