Capitolo 37

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Elsa lasciò faticosamente la stanza, scordando di chiudere la porta alle sue spalle. Sconvolta si allontanò lungo il corridoio, udendo Massimo discutere animatamente ed aspramente con la madre e con la Corsi. Non riusciva a comprendere il livore di quelle donne nei suoi confronti, considerando la loro cattiveria una vera e propria minaccia alla sua incolumità. Frastornata, si appoggiò instabile ad una parete. La testa le girava vorticosamente mentre con eccezionale sforzo, tentava di trattenere i conati di vomito provocati dalla nausea che la tormentava da giorni. Quasi trascinandosi, s'inerpicò sulle scale che scorse appena svoltato l'angolo del corridoio. Aveva bisogno della vicinanza di qualcuno che non la odiasse o la rimproverasse per qualche arbitrario e assurdo motivo. Si ritrovò così in un lungo andito, illuminato solo da qualche sparuta lanterna. Purtroppo le tempeste monsoniche delle ultime settimane, avevano mandato in tilt l'impianto fotovoltaico della casa, decretando così quella fastidiosa ed onnipresente oscurità. Procedette guardinga in quel cupo viottolo, dove si affacciavano le porte delle stanze del personale. Si accostò casualmente ad una di queste, percependo nitida la voce di Monique seguita da una tenera risata infantile. In aggiunta al noto rumore di fondo era inequivocabile anche il tramestio dei piatti e delle ciotole che venivano maneggiati, accompagnati dal borbottare di una pentola sul fuoco. Forse la cameriera stava accingendosi a pranzare con la sua bambina, scordando così per qualche ora le incombenze del suo duro lavoro. Era quasi intenzionata a ritirarsi e tornare dabbasso, quando il bisogno di una parola buona e di un po' di compagnia ebbero la meglio. Risoluta bussò alla porta della stanza. Qualche istante dopo Monique aprì l'uscio. Sussultò riconoscendola, asciugandosi velocemente le mani sul grembiule che portava legato in vita. 

«Signora, tutto bene?», chiese fissandola preoccupata nella penombra.

Elsa non parlò ma la contemplò con gli occhi arrossati e pieni di lacrime.

«Che la Dea abbia misericordia di noi!», esclamò la donna facendola entrare. «Cosa le è successo?», domandò inquieta.

La fuggiasca osservò il volto stupito della bambina che si era rifugiata dietro la madre. Una dolce bamboletta bruna dagli occhi spauriti e la bocca a cuore, che continuava a scrutarla con meraviglia.

«Chi è mamma?», chiese la piccola intimidita.

«Non preoccuparti tesoro! La signora Elsa è una nostra amica», rispose la donna carezzandole i capelli.

Il minuscolo appartamento di Monique era composto da un'angusta cucina con stufa a torba e un'unica camera da letto. La serva le indicò una sedia e quando la giovane donna si fu accomodata, le si sedette affianco.

«Cosa succede?», chiese con dolcezza.

«Non importa!», rispose l'altra con un fil di voce.

«Se non importasse non sarebbe in queste condizioni», dichiarò la donna.

«Preferisco non parlarne», esclamò la ragazza. 

La bambina ascoltava il dialogo muta, fissandola con i suoi vispi occhietti color della pece. 

«Come ti chiami tesoro», chiese curiosa.

«Sarah ed ho otto anni», rispose la piccina con timida allegria.

Elsa sorrise malinconica. Sara era anche il nome di sua sorella a cui la figlia di Monique somigliava come una goccia d'acqua. Ricordava con dovizia di particolari la sua congiunta a quell'età. Proprio in quel periodo infatti il padre se ne era andato di casa, abbandonandole con una madre dal temperamento fragile ed egocentrico.

Accarezzò il volto ed i capelli della creatura comprendendo che quelle persone, sebbene identiche a chi aveva lasciato, non fossero i suoi cari. Erano davvero pochi i particolari che li differenziavano dagli "originali", eppure sentiva che la loro anima non fosse la stessa. Si chiese se esistesse un'altra lei in quell'insolito mondo, considerando con smarrimento la possibilità di non essere ancora nata o peggio, quella di essere già morta da secoli.

Monique le offrì una ciotola di minestra , che bevve con avidità. Quella brodaglia calda e gustosa le fece passare il senso di nausea che l'opprimeva da quella mattina.

«Quando finirà?», chiese guardando la finestra circolare opportunamente sprangata.

«E chi lo sa?», rispose la cameriera paziente. «Sono ben ventotto giorni che la tempesta non accenna a diminuire», aggiunse.

«Ventotto giorni?», esclamò stordita Elsa.

«E' passata quasi una luna dall'inizio della stagione monsonica», spiegò Monique, «lo ricordo benissimo, perché il maltempo iniziò il giorno in cui la credemmo morta».

La serva non poteva saperlo, ma quello stesso giorno lei e Massimo avevano fatto l'amore per la prima volta. Un brivido di terrore le percorse la schiena quando si rese conto di aver saltato il ciclo. Non poteva essere vero! Nella realtà da cui proveniva non era mai riuscita a rimanere incinta, ma ora tutto ciò le appariva concepibile ed eccezionalmente probabile. Doveva comunque calmarsi. Sicuramente quello era solo un suo timore, un falso allarme dovuto allo stress dell'ultimo periodo.

D'un tratto un vocio sommesso e confuso che proveniva dall'esterno, la distolse dai suoi pensieri. Monique aprì la finestrella accorgendosi piovesse solo leggermente. Il livello dell'acqua per strada superava ad occhio e croce i due metri ma la fiumana si presentava  ferma ed inerte, non scorrendo più come qualche ora prima. Qualche temerario era uscito sul terrazzo della propria abitazione, con l'intento di godersi quei pochi momenti all'aria aperta prima della nuova ondata di maltempo. Le voci dei cittadini riecheggiavano richiamandosi di casa in casa.  Anche Sarah si avvicinò al pertugio, attratta dalla luce del giorno che penetrava dalla finestra circolare della stanza.

«Sembra che finalmente il monsone ci conceda un po' di tregua», riferì loro la cameriera.

«Mamma, voglio uscire», esclamò la piccola.

 «Non se ne parla neppure», spiegò Monique prendendola in braccio. <<E' ancora troppo pericoloso in questo momento».

Elsa non capiva il motivo dell'allarmante tensione della serva. D'altra parte però, sapeva di non aver mai assistito ad un monsone prima d'allora.

«Posso chiamare il mio amico Yan?», chiese la ragazzina.

«Stai parlando del bambino della casa vicina, vero?», s'informò la donna.

«Sì», rispose la figlioletta guardando fuori.

«D'accordo allora!», replicò tranquilla sua madre.

In quel turbinio di voci adulte che si richiamavano dalle case, la vocetta di Sarah che urlava il nome del suo amico diventava impercettibile come il battito d'ali di una farfalla.

«Hai solo questa figlia?», chiese Elsa.

«Sì, solo questa. In verità però, mi sarebbe piaciuto averne altri», spiegò Monique tristemente.

Elsa sorrise, commossa dalla sua dolcezza.

«Mamma Yan non mi risponde», esclamò la piccola annoiata. «Vado in camera a giocare con la bambola», annunciò liberandosi dalle braccia della madre.

Appena la bimba se ne fu andata, la donna si sedette accanto ad Elsa.

«Non ha paura del buio?», esclamò la giovane.

«No davvero. Sarah è una bambina molto coraggiosa».

Anche la "sua" Sara era stata una bimba molto forte e coraggiosa. Ricordava ancora il suo carattere orgoglioso e testardo e la sua audace indipendenza. Non aveva mai apprezzato Andrea Landi, tantoché il giorno prima del suo matrimonio, l'aveva scongiurata in ginocchio di ripensarci. Forse era stato proprio il litigio a seguito di quell'ennesima esortazione a rompere definitivamente la loro complicità, lasciandole incapaci di ricucirne lo strappo.

«Dov'è tuo marito?», chiese Elsa titubante.

«Mi ha lasciata due estati fa per un'altra donna. Ora abita a Swarward ma nonostante tutto, gli auguro di essere ancora in vita», rispose la serva.

«Mi dispiace», esclamò cupa la ragazza.

 «Visto che siamo in vena di confidenze...Quando è iniziata la storia col dottore?», osò arrossendo Monique.

«La notte del monsone», rispose Elsa confusa ed imbarazzata.

«Vi amate?».

«Non credo lui mi ami», rispose la giovane.

«E lei? Cosa prova per il dottore?».  

Elsa la fissò senza rispondere. La scena che stavano vivendo appariva quasi surreale. Avvolte dalla penombra di quella stanza, due sconosciute tanto diverse si stavano per confidare reciprocamente, le loro gioie ed i loro dolori.

«Presumo non abbia ancora fatto chiarezza nei suoi sentimenti», sentenziò la serva.

«Ci sono alcuni aspetti della mia storia, che rendono questa comprensione assai difficile», rispose la ragazza con la voce rotta dal pianto.

All'esterno solo lo strepito dei vicini che si chiamavano tra loro, rompeva quel silenzio assoluto. Sembrava avesse del tutto smesso di piovere, mentre il vento si era via via attenuato fino a cessare completamente. Monique si alzò, affacciandosi alla finestrella. Tutto pareva immoto e tranquillo, come gli istanti che precedevano la tempesta. Anche l'acqua che allagava le strade era ancora fissa e statica, quasi bloccata in un attimo eterno.

D'un tratto le voci che si chiamavano con entusiasmo, divennero urla di terrore.

Monique si ritrasse dalla finestra e la sprangò. Un attimo dopo un tremendo boato scosse tutta la città di Korkian.

«La diga!», urlò la serva.

Ancora urla e poi lo scroscio terribile dell'acqua corrente riempì l'aria.







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