Capitolo 6

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Elsa camminava avanti ed indietro nel salotto della sua casa, tesa ed arrabbiata. Giorni prima aveva scoperto il tradimento di Andrea e anche che qualcun altro, oltre al suo gatto Carletto, potesse vederla. La mattina in cui il suo sguardo si era incrociato con quello del dirimpettaio, aveva prodotto in lei una reazione all'inganno di suo marito e la nascita di una nuova speranza per il suo futuro. Qualcuno la poteva vedere e proprio per questo motivo si era sentita per alcuni secondi, che le erano parsi eterni, meno sola e abbandonata.

Per questo aveva attraversato la strada che la separava dal suo vicino e cercato di arrivare alla porta della casa di quest'ultimo, passando sulla stradina di ghiaia che divideva il giardino. Sciaguratamente però, per quanti sforzi facesse, una volta entrata nella sua proprietà, non riuscì ad arrivare all'obiettivo finale. Le sua gambe erano quasi inchiodate al suolo e non riusciva a muovere un passo. Così mesta e contrita, non riuscendo trovare una spiegazione plausibile a quella condizione, aveva abbandonato l'idea di suonare il campanello a quello spaventapasseri, goffo ed insignificante. Era quindi ritornata a casa, entrando come una ladra da una finestra del pianterreno che Andrea aveva lasciato aperta per far cambiare l'aria. Sbuffò annoiata nella penombra della stanza, neppure Carletto era rimasto a farle compagnia. Il monello era filato in giardino appena Andrea aveva aperto la porta ed era uscito di casa per andare a fare la spesa.

Finalmente dopo dieci giorni dal suo incidente Andrea, con una coerenza ed una tempistica invidiabile, aveva deciso di invitare in casa loro la sua amante. Elsa tremò di rabbia, considerando amaramente che non esisteva più alcun "loro". Neppure quella casa le apparteneva più e neppure gli oggetti e i mobili che conteneva, eredità di una vita in comune conclusa con la sua disgrazia. Nulla era più suo oramai, neppure l'amore e il rispetto di suo marito che l'aveva, troppo velocemente sostituita con un'altra donna.

 Sentì la chiave muoversi nella serratura della porta principale e lesta andò nell'ingresso, scorgendo Andrea entrare carico di buste e seguito da un sornione Carletto. Il gatto aveva certamente fiutato le leccornie acquistate dal suo fedifrago padrone, il quale fischiettando allegramente entrava in cucina con la voluminosa spesa. La gaia spensieratezza che lo accompagnava la faceva soffrire. Osservò il suo bel marito disporre le buste della spesa sopra il tavolo e collocare il loro contenuto, secondo l'occorrenza, nella dispensa o nel frigorifero. Carletto disturbato dal trambusto di quell'operazione miagolò stizzito e spaventato, quindi uscì correndo dalla stanza sfiorando le gambe di Elsa che ridacchiò divertita. Andrea stava disponendo delle ostriche in una terrina ricolma di ghiaccio, compiacendosi per la sua scelta gastronomica. Oltre a quei succosi frutti di mare aveva acquistato anche delle Cape Sante gratinate e del filetto di salmone in crosta, pronti per essere riscaldati nel forno a microonde. Lo fissò sgomenta  s a p e n d  o  non avesse mai fatto nulla di tutto ciò in suo onore. Capì però quasi immediatamente che non avrebbe mai potuto farlo, perché lei, da brava mogliettina ed onnipresente donna di casa non glielo avrebbe mai e poi mai permesso. Andrea sistemò due bottiglie di prosecco nel frigo e passò in salotto dove allestì la tavola. Ne spolverò il ripiano e prese dal cassetto di un mobile una tovaglia bianca merlettata. Era la tovaglia che Emma, la zia di sua moglie, aveva regalato loro per il matrimonio. Elsa si sentì salire le lacrime agli occhi e fissò incredula suo marito che ignaro della sua presenza, dopo aver disposto i piatti piani e le posate stava sistemando una romantica candela al centro del tavolo. L'uomo dopo aver completato l'opera si fermò a contemplare il suo lavoro. Doveva senza dubbio ritenersi soddisfatto, perché nel suo volto perfetto ed affascinante era comparso un radioso sorriso.

«Brutto infame traditore!»,  urlò livida di rabbia.

Lui senza accorgersi della sua collera, dopo uno sguardo all'orologio da polso, corse trafelato a prepararsi affrontando le scale a due gradini alla volta. Elsa era fuori di sé dal dispiacere. Perché si trovava lì, perché doveva sopportare tale pena?

Max Pirozzi , guardava dalla finestra della sua cucina. Lo "spettro" della Landi non sostava più nel giardino di fronte al suo da diversi giorni. Forse se ne era andata da questa dimensione ed ora era nel luogo dove la sua nuova condizione le imponeva di trovarsi. La immaginò come un angelo librarsi in volo e raggiungere il Paradiso, accompagnata da centinaia di soavi Serafini. Si distolse dai suoi ameni pensieri, richiamato dai gridolini e le risatine di Zoe che giocava sul tappeto del salotto con i cubi di plastica colorata. Poco prima Max. li aveva impilati uno sopra l'altro in ordine decrescente e sua figlia aveva spalancato gli occhi, affascinata da quella colonna multicolore. Ora la piccola demolitrice aveva distrutto la sua opera ed aveva lanciato i pezzi che la componevano ovunque.

«Amore di papà, cosa hai combinato?»,  esclamò rivolto a sua figlia sorridendo.

La piccola seduta sul tappeto, agitò le braccine e sobbalzò felice, scorgendolo. Gli sorrideva allegra, mostrando l'unico dentino che aveva mentre gli occhietti azzurri brillavano di divertita gioia.

«Tra poco facciamo il bagnetto e poi a nanna, ok?»,  disse sedendosi sul tappeto variopinto accanto alla piccola. La bambina aggrappandosi a lui si alzò in piedi, reggendosi malamente sulle gambine paffute, poi picchiò con uno dei cubi di morbida plastica che impugnava, la testa di suo padre.

«Quanto somigli a tua nonna!» esclamò lui divertito, togliendo dalle mani della figlia l'improbabile arma.

Aveva raccontato a sua madre l'angosciante esperienza di cui era stato protagonista. Egle era apparsa sorpresa nello scoprire che anche lui possedesse quello che definiva un talento di famiglia, ma non si era più di tanto sprecata in consigli e raccomandazioni. Sebbene il figlio le avesse spiegato che la Landi, nonostante l'encefalogramma piatto, non fosse ancora clinicamente morta, Egle non aveva voluto sentire ragioni. Lo consigliò di non dare peso a quanto d'ora in poi avrebbe percepito, spiegandogli che se non avesse dato corda al presunto spettro o meglio al corpo astrale di quella donna in bilico tra l'aldilà e l'aldiquà, quest'ultima non avrebbe potuto insidiarlo nella sua dimora. In definitiva uno spirito poteva entrare nella casa di qualcuno solo se invitato dal suo abitante. Quindi bastava ignorare la Landi e i suoi problemi ed i suoi timori si sarebbero sciolti come neve al sole. Andò nella stanza da bagno, mise il tappo nello scarico della vasca e aprì il rubinetto. Avrebbe fatto un veloce bagnetto a Zoe per rilassarla e favorirne il sonno. Aveva stabilito che sua figlia dovesse andare a letto alle nove in punto tutte le sere, questa abitudine le avrebbe consentito un ritmo di vita ordinato ed avrebbe permesso a lui di dedicarsi al suo lavoro di programmatore di computer che svolgeva in casa.

Controllò l'acqua del bagnetto che era della temperatura ottimale e stava arrivando al livello desiderato. Inquieto, scostò la tendina della finestra che dava sulla strada e vide fermarsi davanti la casa dei Landi un taxi. Il lampione illuminò una giovane donna che dopo aver pagato il conducente del mezzo, si avviò aggraziata verso la loro dimora. La ragazza percorse il breve vialetto sterrato, fino a trovarsi davanti alla porta che si aprì quasi immediatamente facendola entrare. Max. si ritirò dalla finestra e chiuse il rubinetto della vasca. Non aveva mai visto quella bella donna far visita ai suoi dirimpettai, prima d'ora.


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