Capitolo 8

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Quella sera nella sua casa il professor Pirozzi fece il punto della situazione. La patologia di Elsa Ferrari lo aveva scosso nel profondo. Mai infatti, aveva incontrato nella sua carriera un caso analogo e mai prima d'allora, una paziente lo aveva così coinvolto emotivamente. La sua abitazione, una costruzione sferica completamente bianca, si ergeva nella parte più esclusiva del centro urbano. La struttura interamente costruita con un innovativo cemento ecocompatibile manteneva fresco l'interno della dimora, rendendola idonea al clima tropicale del luogo. Una sorta di base rialzava la struttura dal suolo, rendendola una costruzione sicura durante il periodo monsonico. Quasi tutte le celle abitative, come gli architetti di grido si ostinavano a chiamare le case, venivano costruite con quella recente ed innovativa tecnica. Le abitazioni più vecchie invece, erano costruite con un design tradizionale ed antiquato che mal sopportava il cambiamento improvviso e mondiale del clima. Le autorità avevano varato una legge per demolirle, concedendo ai loro proprietari un incentivo conveniente per ottenere delle "celle abitative" di ultima generazione. Secondo il governo mondiale, Terram, era diventato un pianeta inospitale e ricco di minacce. Proprio per questa ragione, l'esigua popolazione che era sopravvissuta alla "Grande carestia e pestilenza", non poteva seguitare a vivere in edifici obsoleti. Doveva al contrario fruire di case sicure e a prova di eventi climatici estremi. Proprio per queste priorità, la proposta avanzata timidamente dai rappresentanti politici, era stata accolta con entusiasmo  dalla collettività ed aveva ricevuto un consenso unanime. Ora il governo avrebbe favorito anche i più poveri, i quali non potendo permettersi una casa sicura ed ecologica con i propri mezzi economici, avrebbero potuto accedere a dei benefit ed ottenere un domicilio a norma di legge.

Pirozzi guardò da una delle finestre rotonde del suo studio e dopo un attimo di meditazione, ritornò alla scrivania. Assetato, afferrò la caraffa posta sul tavolo e versò in un bicchiere una fresca "Mentarella". Quella nota bevanda aveva fatto impazzire la comunità mondiale, furoreggiando per tutta quella torrida ed interminabile estate appena trascorsa. Trangugiò con avidità la gustosa bibita, asciugando poi la fronte imperlata di sudore con un artigianale fazzoletto in fibra vegetale. Distrattamente considerò che nonostante il calendario contrassegnasse il primo periodo di Novembris, l'afa non accennava ancora a diminuire.

Cominciò a leggere la cartella clinica di Elsa Ferrari, dimenticando quasi subito l'oppressiva calura. Come un automa, afferrò la piuma e ne intinse il calamo nell'inchiostro. Doveva stendere una diagnosi sulla sua paziente ma non riusciva ad individuare in nessuna patologia conosciuta, i sintomi presentati dalla donna. Probabilmente la signora Ferrari soffriva di una grave forma di psicosi, nonostante la cocciuta determinazione con cui sosteneva le sue affermazioni, gli facesse supporre potesse esserci anche dell'altro. C'era qualcosa in Elsa che lo intrigava. Forse si trattava della dignitosa disperazione con cui ribadiva le sue convinzioni, quasi fosse davvero persuasa della loro autenticità. Si stupì di non aver notato in lei, l'atteggiamento tipico di chi mente. E se quella che si ostinava testardamente a dichiarare, fosse stata davvero la verità? Una verità forse alternativa e scomoda, ma pur sempre una oggettività non patologica.

Si scosse dalla sua assurda tesi e biasimando se stesso, strappò in mille pezzi il foglio di carta su cui stava trascrivendo la sua relazione. Si pentì quasi subito ed uscì in strada a gettare i frammenti cartacei nell'apposito contenitore del riciclo. Sentì di essere stato avventato, incosciente e per nulla urbano. Su Terram erano sopravvissuti pochissimi alberi e qualche esigua e limitata foresta e dopo "La grande Carestia", la carta era diventata un bene di lusso. Veniva usata con parsimonia e prettamente per redigere documenti governativi o scientifici, oppure come in quel caso, per documentare diagnosi mediche di particolare interesse e singolarità. Sprecarla, distruggerla o peggio ancora disperderla, non era esattamente vista come un'azione civile e di buon senso. Per questo si pregava di riciclarla per farne fabbricare dell'altra senza sacrificare ulteriori alberi.

Nella penombra, osservò la famigliola dei vicini rincasare parlando fitto fitto, uno accanto all'altro. Le lune stavano già facendo capolino, mentre il crepuscolo lasciava posto all'oscurità tenebrosa della notte. In passato aveva avuto una famiglia e una donna. Quella donna era Antonella, sua moglie, ora irrimediabilmente lontana da lui e da tutto ciò che di bello c'era stato tra di loro. Lo aveva abbandonato dopo una tragedia che li aveva divisi irreparabilmente, trasferendosi per lavoro in un distretto remoto nella regione a nord del fiume Danubius. L'immenso corso d'acqua di un tempo, ora non era altro che un modesto torrente fangoso che attraversava una pianura arida e grottescamente brulla.

Pensò a lei e al loro amore. Avevano giurato che non si sarebbero lasciati, vivendo per sempre l'una per l'altro. Che gioia quando Antonella era rimasta incinta del loro primo figlio, quell' erede che lei aveva tanto desiderato e cercato sopra ogni cosa. Lui aveva finto di essere ostentatamente felice, sebbene l'idea di mettere al mondo un altro essere umano in una realtà così minata dalle calamità naturali e dalla morte, lo affliggesse. Vedeva il ventre di sua moglie crescere rigoglioso e pregno di vita e si chiedeva se era giusto condannare un nuovo essere umano ad un'esistenza che non sarebbe mai stata serena. Nonostante la gravidanza procedesse normalmente, Il parto presentò dei problemi gravi, quasi la Natura avesse voluto punirlo per le infauste riflessioni e i sentimenti contradittori delle lune precedenti. La bambina nacque morta, lasciando sua madre in uno stato di totale prostrazione, assente e depressa. Avevano deciso si sarebbe chiamata Zoe, un nome il cui significato era appunto: vita. Nonostante il nome beneaugurante, sua figlia non aveva assaporato neppure un secondo di quella vita che le era stata promessa, morendo strozzata dal cordone ombelicale nel ventre di sua madre. Massimo aveva fatto cremare il suo corpicino, affidandone le ceneri al vento con la speranza si ricongiungessero a quelle dei suoi avi trapassati.

Silente ritornò verso a casa, dopo aver depositato i frammenti cartacei nell'apposito contenitore di vetro. Doveva aiutare assolutamente Elsa Ferrari, doveva guarirla e fare di tutto perché riafferrasse le redini della sua vita. Sentiva di doverglielo dal profondo della sua anima, senza intenderne la causa e non comprenderne il motivo.


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