06. Bo'

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Le dita di Anaïs picchiettarono il muro un paio di volte prima di centrare l'interruttore. Appena calò il buio ci cercò dentro Lóreley.

"La lascio accesa quella del corridoio?"

"No".

"Se hai bisogno di qualcosa sono in camera, allora" si affrettò a dirle, mentre scivolava fuori dalla stanza. "Buonanotte".

Lóreley attese in silenzio il dileguarsi dei passi. Si raggomitolò verso destra e scalciando si fece spazio tra le coperte. La luce proveniente dai lampioni in strada, filtrata dalla tipica nebbia che avvolgeva permanentemente Selfoss, delineava alla perfezione la figura nera accanto al suo letto, seduta sulla sedia accostata al comodino. Sembrava una sagoma di cartone. Non respirava, immutabile agli eccessi del tempo, eppure era più viva che mai, almeno per lei.

La bambina si portò a pancia in giù e lasciò sgusciare le mani sotto il cuscino. Sbarrò poi gli occhi, apparentemente imbronciata. "Mamma è ancora arrabbiata con me per quella cosa".

Perché pensi che lo sia? Non hai fatto nulla di sbagliato, stavamo solo giocando.

"L'hai sentita pure tu quando mi ha detto che non devo toccare i suoi rossetti".

Allora faremo in modo che non lo scopra quando ci giocheremo ancora.

Lór sorrise, compiaciuta e complice. "E come?"

Sarò io a dirti come togliere quelle macchie dalla faccia.

"Tu sai sempre un sacco di cose" azzardò lei, allungando una mano e carezzandogli la manciata di gemme che gli pendevano dalle diramazioni d'osso. "Chi te le ha imparate?"

Non imparate, si dice insegnate. Chi me le ha insegnate - lo vide agitare l'indice scheletrico con fare severo. - Conosco tante cose perché mi piace sapere.

"Ed è grande?"

Cosa?

"Il sapere. Cioè... umh... è come un cassetto, no? Leggi le cose che ti piacciono e le metti là dentro, giusto?"

Diciamo che è così. Quando ho bisogno di qualcosa... sì. Apro il cassetto che ho qui dentro - l'uomo s'indicò il capo, sfiorandosi la tempia coperta da uno straccio consunto. - E cerco quello di cui ho bisogno. Lo faccio sempre, anche quando sono con te.

"Ed è per questo che non dormi mai, Bo'?"

Sono anni ormai che non chiudo occhio.

"E non sei stanco?"

No.

"E perché?"

Non mi è concesso dormire.

"Concesso?" Lór si grattò il naso. "Che significa? Sembra una parolaccia..."

Vuol dire che non posso farlo, semplicemente. Io non sento mai la stanchezza.

"Allora anche tu bevi tanto caffè, come la mamma... lei ne beve tantissimo ogni giorno, tutti i giorni".

Le verrà un gran mal di pancia.

Lóreley si coprì la bocca con una mano per soffocare una risata. "Può darsi. Tu come lo sai?"

Te l'ho detto: io so tutto e un giorno saprai anche tu.

"E com'è sapere sempre tutto?" bisbigliò, ora incuriosita più che mai.

Bo' non rispose. Un auto accelerò nei pressi della piccola abitazione, ruggendo sull'asfalto bagnato e accrescendo la sua voglia di sapere.

La luce dei fari colorò di giallo le pareti della stanza e l'irreale presenza, marcandone i contorni sbavati dall'attesa e dall'inconsistenza. Il teschio di cervo che gli celava il viso un tempo umano, tutto d'un tratto, sembrò riprendere colorito e la corna ondulate filtrarono una manciata di bagliori spettrali. Nonostante questo Lór attese pazientemente di udire la sua voce, per nulla intimorita da quelle buffe sembianze.

Un'altra vettura solitaria sfrecciò nei paraggi della villetta. Lóreley aggrottò le sopracciglia bionde, desiderosa di risposte. "Ci stai pensando?"

Ci sto pensando.

"È difficile da spiegare?"

Non per me. Potrebbe essere difficile cercare di spiegarlo a te.

"E perché?"

Perché hai ancora tanto da imparare.

"Questo è vero... un pochino. Posso provarci, però. Per esempio ho capito subito di non dover dire alla mamma che ci sei tu con me".

La tua mamma non potrebbe vedermi in ogni caso.

"Nemmeno la nonna?"

No.

"E lo zio Bjarni?"

No.

"E i vicini?"

No.

"Perché io posso?"

Perché così ho deciso.

"Vedi? Eh-eh. Questo l'ho capito subito".

Non ti ho dato della stupida, non fraintendermi.

"Fra-... fraimt-... rmi?"

Fraintendere, fraintendimento. Significa intendere una cosa per un'altra.

"Fraimtemdimento... un'altra parolaccia!"

No, Lóreley, no. Non è una parolaccia.

"Cazzo però lo è. Oppure culo, stronzo..."

Dovrei lavarti la bocca col sapone.

"Giuro che non le dico mai... a differenza della mamma" Lór masticò uno sbadiglio, cercando di tenere a bada la stanchezza. "Quindi non mi dici com'è sapere sempre tutto?"

È doloroso.

"Doloroso perché fa male?"

Sì. Fa molto male. Tanto male.

"Quindi non è una cosa bella?"

No, non lo è.

"Però mi hai detto che un giorno dovrò sapere tutto anche io".

Farò in modo che tu non soffra come ho sofferto io. Sarai grande, grande e forte come una montagna. Nessuno potrà mai farti del male finché ci sono io con te.

"A te lo hanno fatto?"

Sì. Si sono presi tutto ciò che amavo. Anche la mia famiglia.

"E perché?"

Perché sapere tutto comporta tante responsabilità. Ma non avere paura... tu sarai pronta, sarai migliore di me. Non ti guarderai più indietro e nessuno oserà torcerti un capello.

Lóreley chiuse gli occhi. "Mh... pronta?"

Sì.

"D'accordo".

Non ti avranno.

"Umh-umh".

Mai.

La testa le sprofondò nel cuscino. "Umh-umh..."

Sei la cosa più importante che mi è rimasta.

Lór mugugnò un'ultima volta prima di cadere vittima di un sonno senza sogni. Bo' sarebbe rimasto accanto a lei fino al sorgere del sole, coperto solo da un logoro pezzo di stoffa acconciato a mo' di poncio. Sarebbero stati insieme per tutto il giorno: a colazione, a scuola, al vecchio mulino a giocare, a casa per i compiti. Le avrebbe poi insegnato dei nuovi passi di danza e a provvedere alle sue necessità senza l'aiuto di Anaïs. Onnipresente nella sua non-presenza, l'avrebbe guardata sorridere, strillare, fare i capricci e dormire. Tutto questo senza mai cambiare, invecchiare, annoiarsi, morire.

Poteva quindi considerarlo una certezza, oltre che a una garanzia per la vita, perché Bo' racchiudeva in sé tutto questo: era un amico che, presto o tardi, le avrebbe insegnato a vivere senza dover cedere agli affetti altrui, come in parte aveva già fatto.

Nulla fino a quel momento era stato in grado di spezzare quella routine. E niente, apparentemente, lo avrebbe mai fatto.

Mentre ancora galleggiava in quel nero di cui non aveva più timore, una sensazione, un richiamo quasi, la incoraggiò a riaprire gli occhi. Lór si ritrovò a pancia all'aria e il bruciore anomalo che le lambì le ginocchia la costrinse a muovere le gambe. Si stropicciò la faccia con le entrambe le mani per tornare vigile: Bo' non c'era più.

Col naso che gocciolava e la testa leggera, Lóreley si mise a sedere tra le lenzuola sfatte. Un grumo pastoso le andò di traverso e un sapore a lei sconosciuto la nauseò. Soffiò forte, cercando di non tossire per il disgusto, e delle goccioline scure le imbrattarono il pigiama.

Respirò a fondo e un secondo rivolo rosso, più copioso del primo, si allungò sino alla bocca, impregnandole la pelle. Trascorsa l'incredulità momentanea Lóreley balzò giù dal letto e lagnandosi sottovoce raggiunse l'uscio della cameretta. Si tamponò il viso con la manica azzurra mentre si affacciava sul corridoio: un'intermittenza bianca, di sicuro prodotta dalla tv ancora accesa nella camera affianco, la incoraggiò ad avvicinarsi.

"Mamma" si lamentò, ciondolando nel buio come un'anima in pena. "Mamma!"

Lór-el e y

Il sussurro la bloccò su due piedi. Si voltò. Un pezzo di tenebra sul fondo del corridoio si mosse lento verso destra, emulando una camminata zoppicante.

"Bo', sei tu?" sussurrò un attimo dopo, le piccole dita che pizzicavano la punta del naso. "Mi esce di nuovo il sangue. Che devo fare?"

La macchiolina scura continuò indisturbata la penosa marcia, scomparendo oltre la parete. Lór fece appello al suo buon senso di bambina e tornò sui suoi passi. Col cuore che le scalpitava nel petto a più non posso, si avvicinò all'interruttore e sollevandosi sulle punte lo premette senza alcuna esitazione, mentre ricordava della lezione di vita di cui si era fatta carico un anno prima: mai gironzolare per casa a luci spente, nemmeno per raggiungere la cucina. Di farsi un altro giro di sola andata giù per le scale non era di certo nei suoi piani. Anche perché, in quell'occasione, gli strilli di sua madre li aveva potuti sentire e apprezzare l'intero vicinato.

Lóreley aggrottò la fronte, strizzando gli occhi una volta che fu giunta allo svincolo che conduceva al piano di sotto, disturbata dalla lama di luce che le tagliò obliquamente la faccia.

Ían?

Il bambino le dava le spalle, estraneo alla realtà stessa, e uno spasmo gli attraversò la carne un tempo lentigginosa, rapido come un singhiozzo. Il fango gli imbrattava i vestiti sgualciti, la pelle innaturalmente bianca e i suoi capelli biondi risultavano una matassa di colla, terra e gelatina.

Lóreley si leccò le labbra. "Ían? Perché non sei a casa?" gli domandò in un bisbiglio. Lui tremolò ancora come un fuscello al vento, negandole una spiegazione e accrescendo l'inquietudine. Sembrava stare male, o almeno sembrava non stare e basta.

Lór avanzò quasi saltellando, mentre il sangue continuava a striarle la maglietta. Si fermò, ora più vicina che mai a quel che rimaneva di Ían, e il desiderio di afferrargli la spalla la tormentò momentaneamente. Avrebbe voluto abbracciarlo e accarezzargli i capelli, come era solita fare quando lui ruzzolava a terra e piangeva a più non posso. Avrebbe voluto dirgli che gli ometti non piangono, che lo avrebbe riaccompagnato a casa dalla sua mamma e dal suo papà. Qualcosa tuttavia glielo impedì.

"Ían...?"

Uno scricchiolio anomalo, preceduto da un sibilo gutturale, le ghiacciò il sangue nelle vene intanto che finalmente si voltava, maledettamente instabile sulle gambe rigide. Era Ían, senza ombra di dubbio, avrebbe potuto riconoscere quegli occhi azzurri tra mille altri. Il sinistro, con la sua peculiare pagliuzza gialla, però non c'era.

I tempi di reazioni furono minimi. Lóreley spalancò la bocca in un grido muto e Ían tentò di fare altrettanto, come fosse un gioco.

A quel gesto un pezzo di lui, rimasto attaccato al resto della faccia grazie a un lembo di pelle, si schiantò infine a terra.

Si trattava della sua mandibola.



✖ Nel prossimo capitolo, "Un cliffhanger con i fiocchi":

"Lóreley smise di guerreggiare contro il buon senso -impegnata com'era a smaltire la sbronza di brutti ricordi- e fugacemente si lanciò un'occhiata alle spalle: i suoi occhi cercarono ancora quell'inumana visione di Ían. Mentre Ber si legava i capelli e continuava l'estenuante caccia al tesoro nell'armadio, lei arretrò di un paio di passi e si apprestò a cancellare col dorso della mano il volto assunto dai suoi incubi. Doveva sparire, quella cosa, nullificarsi assieme alla paura che le stava strisciando sotto pelle.
Per un momento si sentì persa, in balia di sensazioni che il suo corpo aveva imparato a frenare e domare. Quell'incubo l'aveva ricondotta tra le braccia di un trauma che, come detto da Marcel, aveva deciso -in maniera involontaria- di seppellire per non sanguinare più."

In perfetto orario (più o meno...!). Lo ammetto col cuore in mano: questo è stato il capitolo più difficile da (ri)scrivere fino ad ora. E' da metà novembre che lo correggo in continuazione, ma proprio stasera ho deciso di darci un taglio T_T non lo cambio più, giuro! L'ho snaturato pure fin troppo per i miei gusti... e chi mi conosce sa quanto io sia incontentabile keks
Lagne a parte, non vedo l'ora di sentire le vostre speculazione per quanto riguarda "Bo'". Ma niente è come sembra, ci tengo a rettificarlo u_u
A venerdì 26, corvetti!

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