21. Questioni di causa-effetto

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Lóreley scuoteva la gamba destra, sostenendo il ritmo delle bracciate delle sei ragazze in piscina. Avrebbe tanto voluto raccattare la sua roba dall'armadietto e farsi un tuffo fuori programma, ma il suo corpo ebbe la prontezza di attuare la tattica studiata del ti faccio prudere i punti così non ti muovi, scema. Nel frattempo Gíta, perfettamente sincronizzata con le sue compagne, appariva e scompariva sulla superficie dell'acqua a battute regolari, separando un guizzo calcolato dalle giuste tempistiche per riprendere fiato.

Lóreley si strofinò la fasciatura ormai lenta per alleviare il prurito, distogliendo lo sguardo per ridarsi un contegno. Sistemò la tracolla sulla panca bianca e, nell'attesa, sfilò lo sketchbook gelosamente conservato nella tasca posteriore, quella con la zip rotta.

Un quantitativo non meglio identificato di sabbia le si incagliò sotto l'unghia del pollice, facendola trasalire. Mentre sfogliava l'album alla ricerca di Testa di cervo, le venne naturale pensare a come se la stesse passando Gaël. Erano trascorse due settimane dalle vicende alla baia e di lui non aveva più avuto notizie. Certo, non si era più interessata in quanto aveva scoperto cose che una comune mortale come lei non avrebbe mai dovuto scoprire, e quasi provò un senso di smarrimento, oltre che un insolito imbarazzo, adesso ben visibile sulle guance.

Salvarlo le aveva richiesto tempo –che non aveva mai avuto–, sonno –manco a dirlo–, ragione –prossimo punto, per favore– e una crisi di nervi sfiorata per miracolo, eppure era salvo. Lontano da lei, lontano da quel che era diventata, lontano e basta, ma non troppo. Non seppe nemmeno spiegarsi perché, in un momento simile, il suo cervello aveva ricacciato l'immagine angelica di quel so-tutto-io e le aveva ordinato di arrossire. In fin dei conti lui, quel giorno in biblioteca, se l'era rigirata come un calzino e l'aveva analizzata come se avesse avuto tra le mani un'insulsa cavia da laboratorio. Però le aveva parlato, le aveva dato modo di capirlo, di conoscerla nonostante la cecità. Ci s'era impegnato e su questo non ci pioveva. 

Gaël l'aveva guardata con gli occhi vuoti di qualcuno che sembrava aver perso tanto, oltre che alla vista, e Lór, volente o nolente, aveva capito che c'era dell'altro. Paura, forse? Inadeguatezza? Solitudine?

Non lo sapeva, non in quel momento. Meglio così, si disse, gli occhi incollati sullo scarabocchio che formava Testa di cervo.

Ma allora perché l'aveva, in un certo senso, costretta a salvarlo? Per chi patteggiava, Testa di cervo? Perché proprio Gaël?

Lór stracciò il quadrato di carta incriminato e se lo imboscò nella tasca posteriore dei jeans. Il ciak ciak prodotto da una camminata sul pavimento piastrellato la incitò a sollevare gli occhi.

Gíta si spiccicò il costume dal sedere prima di accasciarsi accanto a lei. "Scusa l'attesa, ma non sapevo proprio a che ora avrei finito" disse, ancora boccheggiante per lo sforzo. "Tu hai da fare?"

"Alle tre ho un workshop con la classe di fotografia digitale. Abbiamo un'ora, su per giù" Lóreley scrollò le spalle. "Di cosa volevi parlarmi?"

Gíta si sporse verso destra e afferrò l'asciugamano appeso alle sue spalle. Vi ci strofinò sopra la faccia, poi il collo, e si portò i capelli dietro prima di cominciare a parlare. Dei grossi goccioloni le circondarono comunque le guance. "Ber mi ha parlato di te, di quello che sai fare – cioè, non proprio, visto che la tua dote è una cosa non voluta. Mi ha chiesto di guardare una cosa".

Lóreley rimase in silenzio e il fischio dell'allenatore di turno la infastidì. Quattro ragazze, snelle e alte, si gettarono in acqua all'unisono. Per un momento desiderò essere al posto di una di loro.

"Che cosa, di preciso?"

"Una cosuccia. Non farò niente di pericoloso, sia chiaro" Gíta ammiccò un occhiolino giocoso. "Diciamo che userò una mia particolarità su di te" proseguì, coprendosi le gambe con l'asciugamano. "Dammi la mano".

"... La mano? La... sinistra o la destra?"

"Devo toccarti il palmo, sarebbe preferibile la sana".

Lóreley si passò la lingua sui denti e, seppur avesse la puzza sotto il naso dalla messa in atto del Decanto, gliela cedette di sua spontanea volontà, senza fare storie.

Gíta aveva delle mani piccolissime e delle dita altrettanto piccine, come quelle di una bambina. Erano morbide, attente, e se avesse chiuso gli occhi proprio in quell'istante avrebbe certamente potuto dire di esser stata sfiorata da una piuma di uccello per tutto il tempo. Invece continuò a guardare, Gíta pure ma in modo diverso, quasi viscerale e fuori dal comune. Col polpastrello dell'indice le passò e ripassò le fossette sul palmo aperto, compiendo dei movimenti rapidi e precisi: per ben quattro volte salì la linea che la guidava dal polso all'anulare di Lór; poi tracciò un pentagono all'altezza del callo che stava nel mezzo, racchiudendo il tutto in una carezza circolare. Non spiccicò parola e non batté ciglio, le pupille che invece oscillavano come le lingue di un fuoco acceso.

Gíta le stava guardando dentro a tutti gli effetti, ma non lo faceva con gli occhi, Lóreley non si era sbagliata... a differenza di Radice, l'amica vedeva con l'ausilio del tocco. Che fosse una qualche sorta di chiromanzia quella a cui la stava sottoponendo?

Quando ebbe finito, la rossa sollevò il mento e le richiuse il palmo, serrandolo tra le sue mani. Un'aria insoddisfatta le incupì i tratti dolci –e bagnati– del viso. "Umh". 

"... Allora?" Lóreley altalenò lo sguardo da una parte all'altra della piscina. Era perplessa. "Che facevi?"

"So cosa stai pensando: no, la mia non è chiromanzia, non prevedo il futuro con la lettura della mano. Al contrario: riesco a vedere tutto ciò che hai toccato e che ti ha toccata – questa mano, rettifichiamo. La cosa è però limitata: la lettura, se così possiamo chiamarla, ha delle tempistiche molto ridotte. Ho un raggio d'azione di sole quattro settimane, non un giorno in più, non uno in meno" spiegò, serrando successivamente la mascella. "E ho visto Werner, se proprio vuoi saperlo".

"È stato lui a soccorrermi la settimana scorsa mentre ero di turno al Samkaup".

"Il mio non voleva essere un rimprovero" rettificò Gíta.

Lór assottigliò lo sguardo. "Ma ti ha comunque irritata".

"Perché, non dovrebbe? È lui a custodire la..." Gíta gonfiò le guance per intrappolare le sue stesse parole. E soffocarle. "... Lascia perdere. Non ho trovato niente di interessante, comunque".

Che Gíta avesse tutte le ragione del mondo per avercela a morte con Werner era un conto, frugare nelle sue memorie per conto di Ber un altro. Ma Werner c'era capitato proprio a fagiolo quella sera al Samkaup, non poteva di certo negarlo, e il suo spirito da crocerossina le aveva comunque permesso di arrivare al pronto soccorso in tempi ridotti. Era stato gentile, eppure navigava in un mare di torti – e merda, a dirla tutta. La gentilezza che le aveva dimostrato era da prendere con le pinze, la mirabolante USB in suo possesso un'aggravante che lo coinvolgeva in una situazione fuori dalla sua portata. Era un caso di assoluta moralità, quello, e Lóreley lo sapeva bene. Se solo lo avesse convinto a fare di testa sua, forse...

No, no e ancora no. Werner non l'avrebbe mai fatto. Andare contro alle giurisdizioni di Johanna gli sarebbe costato troppo, la safe-zone che si era creato nel corso degli anni in primo luogo, la notorietà e la sicurezza a seguire. Solo uno stupido avrebbe mandato a puttane una situazione tanto privilegiata, non lui. A meno che, da un giorno all'altro, non si fosse stufato di essere il lacché preferito della bionda in questione. Col cuore in mano, si ritrovò a sperare in quest'ultima ipotesi.

Lór mando giù una palla di saliva. "Sai farlo anche con gli oggetti?" domandò per sviare i suoi stessi pensieri. 

"Non sono molto pratica... è una dote che ho ricominciato a coltivare da poco. Gli altri della Cerchia ne sviluppano di diverse sin da bambini, io ho lasciato correre per altri motivi. Diciamo che il mio dono non l'ho mai trovato utile".

Lóreley sbarrò gli occhi nell'udire quella parola. "Dote?"

"Sì. Sono doni, regali. Noi li chiamiamo gjöf" un'altra fischiata e Gíta si schiarì la voce. "Tutti quelli che sono stati battezzati all'interno della Cerchia li possiedono. Ber, ad esempio, è pratica con la manipolazione a livello mentale e le riesce piuttosto bene, a differenza mia che non riesco ancora a controllarlo" la vide morsicarsi il labbro inferiore, pensierosa. "Anche Björn ne ha uno ed è la capacità più bizzarra che io abbia mai sentito. Dice a voce alta quel che desidera o che vorrebbe si realizzasse, e di regola deve semplicemente azzeccare che ore sono. Se ci riesce, quel che ha espresso va a buon fine. Altrimenti... non mi va di pensarci".

Lór deglutì. "Quindi ci sono delle contro indicazioni per i gjöf".

"Ovviamente. Che si tratti di un desiderio oppure di altro come nel mio caso, la regola di causa-effetto è sempre presente. Per fartela breve: in questo momento non sono riuscita a trovare quel che Bergljót mi ha chiesto di cercare. La mia punizione per aver fallito la richiesta è questa" Gíta le lasciò la mano tenuta stretta fino a quel momento, voltando i palmi verso l'alto, affinché potesse mostrarle l'eritema rossastro che, nel giro di qualche minuto dall'inizio della chiacchierata, le aveva irritato la pelle. "Pizzica, sì, ma è l'effetto di una mia azione, quindi sapevo fin dall'inizio a cosa andavo incontro. Al contrario, se fossi riuscita nell'intento, soddisfacendo la richiesta di Bergljót, non mi sarebbe accaduto nulla. Ecco: se Björn sbaglia ad azzeccare l'ora, succede qualcosa di brutto, e non lo dico tanto per. La sua è però una punizione causale, non fissa come nel mio caso". 

"Qual è la punizione di Ber?"

"È fissa. Se il suo tentativo di manipolazione fallisce, le spunta un capello bianco" Gíta rise. "E, sì, adesso ne ha uno a causa tua". 

Lóreley fece spallucce. Ben le sta. "Avrebbe anche potuto chiedermi per favore, non fare la pazza e accusarmi di sparare stronzate perché c'è brutta aria in giro. Parole sue".

Gíta strusciò le mani sull'asciugamano e tornò seria. "Ha ragione, non si è mai troppo previdenti" disse. "Ed è per questo che mi ha chiesto di vedere se anche il tuo è un gjöf. Posso individuarli tramite il tatto". 

"Di qualunque specie?"

"Sì". 

"E perché pensava ne avessi uno anch'io? Le ho già detto che non faccio parte della Cerchia, quindi non è niente di genetico la mia abilità".

L'allenatore sbracciò da lontano e successivamente indicò ad entrambe il corridoio che conduceva agli spogliatoi. Mentre camminavano spalla a spalla sotto le spettrali luci a neon, Gíta si decise a risponderle. "Bergljót credeva tu avessi un gjöf a causa delle lesioni che hai durante le predizioni. Tuttavia ci sono dei punti che cozzano tra di loro: il primo è che le ferite che riporti fanno parte di una punizione fissa, non casuale come dovrebbe essere. Ti spiego: il gjöf di Björn è prettamente legato al futuro. Se la sua richiesta riesce, altera, in un certo senso, il corso degli eventi, quindi l'effetto delle sue azioni sarà casuale. Il mio si basa su informazioni passate, già scritte, quindi la mia punizione è fissa. La manipolazione di Bergljót è fondata sul presente... idem con patate, insomma". 

"Oltretutto" ragionò a voce alta Lóreley, ficcandosi le mani nelle tasche della felpa. Aveva i polpastrelli ghiacciati. "Io ho sempre azzeccato le mie predizioni". 

"E questo fa parte del secondo punto: come hai detto tu, le tue predizioni sono uniche e precise, quindi non può esserci una conseguenza come nel caso di Björn, che ipotizza un'azione ed esprime la sua volontà. Il futuro che vedi tu è già programmato e le lesioni che riporti sono tutt'altro, non una punizione. Sembrano essere un avvertimento. Un segnale, quasi... ma non ne sono sicura. È strano".

Lóreley rallentò la camminata già fiacca fino a fermarsi, lasciando passare il gruppo di ragazze in costume che le seguitava da un po'. Ora aveva tra le mani un'ulteriore conferma: quella che metteva in atto non era la sua dote, ma piuttosto il gjöf di qualcun altro.

Testa di cervo
Il peso di due anime.
Bingo.

"Allora Ber ti ha parlato anche di Gaël". 

"Ovviamente". 

Lór si guardò le punte delle scarpe. "Un'ultima domanda" sussurrò, la bocca impasta di bile. "Non riesco a capire perché abbia portato me al Decanto... al mio posto, chi sarebbe dovuto esserci?"

"Ísmey" Gíta si fasciò le spalle con l'asciugamano. "Ísmey Eliassdóttir. Il suo gjöf le permette di individuare il ceppo d'origine e il tipo di maledizioni con uno sguardo soltanto. Non deve però sbattere le palpebre mentre ne analizza una, altrimenti rischia di essere contagiata. Punizione fissa".

Silenzio. 

Lóreley era rimasta a bocca aperta. "Oh. E perché c'ero io?"

"Bergljót voleva testare la tua affinità col Litlaus. Tutto qua". 

"E ne ho?"

Prima di entrare negli spogliatoi, Gíta soppresse un sospiro. "Pure troppa". 

Pure troppa

Per tutto il pomeriggio furono quelle le uniche parole a riecheggiarle nella testa. Ci pensò e ripensò anche durante la presentazione del workshop, intanto che le slides si susseguivano senza interruzioni sul muro dell'aula multimediale. Dovette ammetterlo: Bergljót, da dietro le quinte e senza dirle nulla, era riuscita a togliersi un bel po' di dubbi sul suo conto. Lór avrebbe dovuto sentirsi sollevata, ma il sollievo fu l'ultima sensazione che riuscì a provare. Si sentiva braccata, circondata da un lato del mondo così tetro ed egoista da metterle i brividi addosso. Ma quello che faceva più male, in un certo senso, erano i sospetti che Ber aveva nutrito verso di lei fino all'ultimo. 

Pure troppa. 

Pure troppa. 

"Pure troppa, eh?" sibilò tra sé e sé, ora ferma sull'uscio dell'entrata principale. Sopra l'intero campus e tutt'intorno, un'aria grigia e pesante alimentava la sua tristezza. Pioveva a dirotto. 

Fece per avanzare e un'ombrello nero la riparò prima che potesse bagnarsi. 

Lóreley lo guardò dritto negli occhi, senza replicare.  

Werner sorrise appena, l'ipad incastrato sotto il braccio assieme a un libro. L'Arte della Divinazione. "Vai ai dormitori?"


✖ Nel prossimo capitolo, "Oltre il muro":

"Ma Werner, con Werner era diverso. C'era realmente un muro tra di loro e non aveva niente a che vedere con una differenza sociale o un trasferimento inatteso: adesso poteva addirittura toccarlo, oltre che vederne i mattoni e percepirne la grandezza; perché a lei, di lui, non importava un bel niente. Semplicemente soffriva nel vederlo schiavo di una montata del cazzo, perché Werner poteva aspirare ad altro, puntare al di più ed esserne soddisfatto."


Ebbene, corvetti, aggiornamento posticipato! Sì, lo so, non faccio altro che mettere carne sul fuoco, ma non disperate u.u cosa ve ne pare dell'entrata in scena dei gjöf? A me piacciono tantissimo e sono particolari (oltre che stupidi, in un certo senso XD). Spero che il capitolo vi sia piaciuto... e vi lascio, come sempre, sul più bello. Chissà cosa frulla nella testa di Werner...  A venerdì prossimo!


Schemino indicativo per i gjöf (presto pubblicherò un capitolo a parte con tutti i doni e i loro possessori!):

→ Gjöf di Bergljót: manipolazione mentale tramite l'uso della parola, del contatto visivo o fisico
- si basa sul presente
- punizione fissa: se fallisce, le ciccia fuori un capello bianco. Per attivarlo deve per forza anticipare la richiesta con io dico;

→ Gjöf di Gíta: lettura di eventi o/e azioni passate tramite il tocco di un oggetto specifico o delle mani
- si basa sul passato
- punizione fissa: se non trova quel che le è stato chiesto o che cerca individualmente, un fastidioso eritema le ricopre i palmi. Al momento il suo raggio di azione è di sole quattro settimane;

→ Gjöf di Björn: richiesta di realizzazione di un determinato evento/azione
- si basa sul futuro
- punizione casuale (e imprevedibile, aggiungerei!): se sbaglia ad azzeccare che ore sono, subito dopo aver fatto la richiesta, accade qualcosa di negativo pari all'importanza del desiderio espresso;

→ Gjöf di Ísmey: individuazione e studio di una maledizione
- si basa sul presente
- punizione fissa: se chiude gli occhi durante l'analisi, rischia di contrarre il maleficio;

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