*23. Effetto domino

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Per le tematiche trattate all'interno del capitolo (seppur con i guanti), l'asterisco ce lo metto in ogni caso. Ci tengo comunque a dire che non è mia intenzione fare di tutta l'erba un fascio e che gli stereotipi non piacciono a nessuno, manco alla sottoscritta. Spiegato ciò, vi auguro buona lettura!

Fuori, un buio chiazzato da macchie bianche, prodotte dai fulmini che si ramificano nel cielo. Pioveva a tratti.

Nell'aria vibrava la malinconica Stand by me e il Prikid stava affrontando il suo caotico orario di punta. Le dita di Ber erano allacciate alla pinta doppio malto, regalino che si era concessa per tenere a bada la lingua lunga - e per sbollentare l'arrabbiatura. Fatto stava che, nel giro di venti minuti, l'aveva sorseggiata soltanto due volte, dicendo così addio al record della media scolata in una manciata di secondi - che le era costata un post-sbornia con i fiocchi, un sabato notte di tanto tempo prima.

Il suo comportamento aveva un che di curioso: di tanto in tanto allungava impercettibilmente il collo verso il bordo appannato, decisa a buttar giù un sorso. L'attimo successivo, invece, sì limitava a sondare con gli occhi la superficie della schiuma. Non era più incazzata, al contrario: rifletteva e rimuginava sui suoi stessi pensieri. E poi ancora tornava a riflettere, cercando con la bocca l'acre sapore della birra, ma non beveva.

Quando un tipo alticcio calciò l'arcade alle loro spalle, inveendo a gran voce, si riscosse e scartò una gomma alla cannella, sempre riposta nel taschino superiore del chiodo. Ne masticava in quantità industriali per tenere a bada il pressante bisogno di nicotina. E il nervosismo.

"Ancora fatichi a credermi?" Werner, che aveva tenuto la testa bassa fino a quel momento, sollevò il mento e le si rivolse con tono pacato. "Puoi manipolarmi, se vuoi, ma mezza verità la conosci anche tu: non c'è trucco, non c'è inganno. Ti ricordo che sto mettendo in gioco tutto ciò in cui credo".

"E a cosa credi di preciso? Umh? A cosa credono i tuoi amici? E Richard? Mi fate schifo, tutti quanti. Il rispetto altrui, per voi, è un continuo sentito dire in piena regola".

Werner buttò fuori l'ennesimo sospiro. Scosse la testa. "Non credevo che sarebbe potuto arrivare fino a questo punto... sul serio, io non lo riconosco più".

"Richard, intendi?" Bergljót serrò la presa attorno al bicchiere. "Non mi stupisco mica... ma odio girarci intorno. E insultare, per me, è più divertente quando ci sono dei motivi concreti alla base. Quindi ti lascerò parlare" dichiarò, gonfiando una bolla rosa. "Hai tutta la serata a disposizione, bello. Attacca pure".

Werner si gettò un'occhiata alle spalle e, alla ricerca delle parole giuste da dire, si passò una mano tra i capelli sfatti, liberi dalle costrizioni della cera: era facile per Lór decodificare il malessere altrui attraverso delle piccole accortezze, comportamenti insignificanti a un occhio poco attento, come ad esempio la trasandatezza estetica. L'aveva sempre fatto, pure da bambina, studiando con lo sguardo chi e che cosa la circondava. E, manco a dirlo, il suo primo capo espiatorio era stato proprio sua madre. Con lei e attraverso di lei aveva conosciuto le mille sfaccettature di un dolore nascosto ma onnipresente, fattori visibili soltanto agli occhi di un innocente.

A lungo si era domandata il perché e la risposta l'aveva trovata in Marcel, durante la sua ultima vacanza in Francia. Mentre passeggiavano tra le campagne assollate le aveva detto: cercare di insabbiare il dolore non è mai produttivo. Peggio se lo si fa davanti a un bambino... nell'infanzia non si ha una vera e propria concezione di bene e male, perché c'è tanto da capire, esplorare, cercare. Ci sono le cose belle e basta. Quando si conosce solo questo lato del mondo, la sofferenza arriva prima. E impietosisce. A lungo andare, questa continua voglia di vedere oltre quel dolore, di assorbirlo, di smembrarlo, diventa empatia. L'empatia ti ammazza i sentimenti, eppure ti aiuta a comprendere quello che hai intorno.

Werner non mentiva. Qualcosa lo turbava per davvero, di questo ne era certa. Ma cosa, esattamente?

"Non partecipai alla festa di Abela Bárðursóttir. Ero ancora in riabilitazione, non sarei comunque potuto andare, i miei non me lo avrebbero permesso. Non seppi mai con certezza cosa accadde nel corso della nottata: non feci domande e non m'interessai più del dovuto. Sapevo però che avrebbe partecipato anche Edith in quanto, all'epoca dei fatti, era più che palese stesse frequentando Richard, era sulla bocca di tutti. Fu lui ad accennarmelo durante una visita in ospedale. Per un attimo credetti si fosse fottuto il cervello, insomma... lui ce l'ha sempre avuto con Edith e con la sua famiglia" Werner si sfilò l'astuccio scamosciato e cominciò a rollare. "Dopo la festa non se ne parlò più. Per oltre un anno, escluse particolari ricorrenze, non ebbi più modo di parlare né con Richard né con Johanna. L'incidente in auto ci ha buttato un sacco di merda addosso... mia madre aveva paura ad esporsi, ad espormi. Per colpa del mio gjöf, intendo. La mia particolarità non è mai stata vista di buon occhio dalla Cerchia. Dovevo sparire dalla circolazione per un po'".

Werner riprese fiato. La radio adesso vomitava le note di una canzone dei The Servant. La voce del cantante andava e veniva, interrotta da spaventose interferenze che avevano del grottesco.

"Ripresi i contatti con Johanna lo scorso dicembre e mi sembrò strana sin da subito. Risparmiatevi la tiritera sul quanto sia stronza, sul serio: era fin troppo... accanita. Contro Edith, dico. Non faceva altro che parlare di lei, sul come mandarla giù, sul come farla fuori una volta per tutte. Sulle prime battute non ci feci caso, poi tutto cambiò quel giorno negli spogliatoi: sull'inizio pensavo di avere tra le mani la futura espulsione di una professoressa di marketing, pizzicata con degli alunni dello stesso corso. Il soggetto in questione doveva un mucchio di soldi alla Benóný".

Ber schioccò la lingua, assottigliando gli occhi. "Fammi indovinare... una lettura del futuro tramite rito sacrificale?"

"Azzeccato".

"Beh, è la più costosa in circolazione, nonché la più precisa. Solo la Benóný può arrivare a praticare simili scemenze. La mercanzia si paga".

"Sai anche tu che business si è costruita attorno grazie a questi piccoli favori" Werner guardò di soppiatto alla sua sinistra. Sembrava tanto volesse assicurarsi dell'effettiva presenza di Lór. "In tutti i casi, curiosai il contenuto dell'USB quella stessa sera. Chiesi spiegazioni a Richard e la situazione mi fu chiara fin da subito. Ricattare Edith con quei video era solo la punta dell'iceberg, minacciarla di diffonderli e di farli avere al reverendo Bersi uno scopo secondario. Edith si è difatti dimostrata passiva... ma alla richieste di Johanna, non di Richard. Lui puntava ad altro, effettivamente".

"A cosa?"

"C'entra lo svangur" rivelò lui, leccando la cartina. "Immagino l'abbiate aiutata voi a liberarsene".

"Come diavolo ha fatto a procurarsi uno svangur?" Bergljót adesso lo fissava a bocca aperta. "È... impossibile".

"Grazie al suo gjöf. Il gjöf di Richard gli permette di richiamarne a sé una modesta quantità con estrema facilità".

Lór sentì la gola secca. Che razza di dote è? "Ma... Edith sarebbe morta" intervenne senza pensarci.

Werner si premette la sigaretta tra i palmi per far aderire la colla. "Esatto".

"Manovrare la sanguisuga è semplice: una volta depositato nell'organismo ospite, il parassita si annida nella zona indicata dall'ideatore, che nel caso di Edith è stata la spalla. Lì attende istruzioni. La si può sbloccare a distanza tramite un semplice rito e subito dopo comincia a riprodursi, fino a far impazzire la vittima dal dolore. Solitamente il maledetto finiva per suicidarsi, il che non destava sospetti."

"Quindi..."

"... Ha approfittato della presenza di Edith alla festa" continuò Ber, allacciandosi alle speculazioni dell'amica. "Ha rilasciato la maledizione, indicandole poi il suo nido, ovvero la spalla. Lì ha atteso due anni e... soltanto ora l'ha risvegliata" fece una breve pausa. "Perché? Perché, dannazione? Prima i filmati, poi la sanguisuga... io non..."

"Capisci? Cosa devi capire?" Werner serrò la mascella e una goccia di sudore gli percorse lo zigomo, lisciando la cicatrice rosea che glielo attraversava. "Sta giocando con lei, ci ha giocato e continuerà a farlo ora che è sopravvissuta. Lo so per certo. Se fosse morta, tutti lo avrebbero dato per scontato. In pochissimi sanno della dote di Richard e tutto avrebbe giovato a suo favore. Nessuno si sarebbe insospettito se lei si fosse suicidata da un momen-..."

Fu un attimo. Bergljót scattò in piedi, stavolta con più veemenza, e afferrò Werner per il collo della felpa, avvicinandolo pericolosamente al suo viso, quel tanto da trasmettergli tutto il suo ribrezzo. Subito dopo scoprì i denti in preda alla rabbia, come una bestia inferocita, e poco le importava degli schiamazzi che si levarono alti attorno a loro: Ber non lo accettava, più di Lóreley che si era semplicemente ammutolita sul posto. Giocare con le vite altrui pareva essere lo sport preferito della Cerchia, oltre che un malato gioco di potere, eppure Bergljót non riusciva a controllarsi. C'era qualcosa d'incontrollabile in lei, di scalpitante e acceso, come una fiamma indomabile. Ira, molto probabilmente, scaturita da un evento passato che l'aveva resa il difetto per eccellenza all'interno della Cerchia, poco propensa a prestare ascolto ai capricci di quest'ultima. Lei che faceva parte di quel mondo distorto, non voleva più farne parte. In apparenza.

Loro non me lo permetterebbero.
Di andare via.

"Lui non ha" Ber inghiottì la gomma da masticare che le impastava la bocca e le parole. "Lui non ha alcun diritto di giocare con Edith" scandì, rinvigorendo la presa. "Nessun. Diritto. I gjöf non ci rendono superiori a nessuno, anzi: sono una piaga, sono la piaga che ci portiamo dietro tutt'oggi. Sono una punizione".

Werner tirò su col naso, sostenendo il gioco di sguardi fino all'ultimo. "Nessuno è del tuo parere. Le progressiste come te sono le prime a sparire, ricordatelo sempre. Sarebbe meglio che tu tacessi".

"Tu non hai..."

"Sono stato io ad appiccare la pira che conteneva il corpo di tua madre" le disse, schietto. "Grazie al mio gjöf. Avevo soltanto otto anni, ma alla Cerchia non importava e mai importerà. Ciò che è scomodo deve sparire, questo mi è stato ripetuto sin da quando ero bambino. È la legge, e la legge me lo ha imposto. Non posso, non possiamo sottrarci".

Silenzio. La vita riprese a scorrere, i chiacchiericci a nascondere quella scomoda conversazione, le luci basse a camuffare gli occhi di Ber, resi lucidi da una patina di lacrime.

"La Cerchia me l'ha portata via" boccheggiò lei.

"La Cerchia ti porterà via molto altro se non ci darai un taglio, Bergljót" Werner fece per sollevare una mano, l'indice e il medio che tremavano a più non posso. "Il tuo odio, per me, ha sempre avuto una valenza. Avrei potuto astenermi dal mio gesto, ma i bambini sono fragili. L'ho fatto perché me lo ha implorato la mia, di madre, e lo avrei fatto anche se ci fosse stata lei sulla pira: la paura ti manda in pappa il cervello".

Lór anticipò le intenzioni di Werner. Prima che questo potesse sfiorarle le nocche bianche per invitarla ad allentare la presa, lei colse la palla al balzo e strinse il pugno dell'amica. Dolcemente.

"Ber" Lóreley tese le labbra in un sorriso. "Aiutiamo Edith".

Werner portò la mano incriminata sul tavolo intanto che Bergljót tornava seduta. Una scia lucida sul viso di lei, risaltata dalla luce gialla dei lampadari a sospensione, convinse Lór di aver fatto la cosa giusta: non c'era tempo per rimembrare gli errori passati, dovevano guardare oltre. E fidarsi, gli uni degli altri. Solo così avrebbero potuto trovare una soluzione in linea con le necessità di tutti quanti.

"Continua".

Werner si sistemò il collo della felpa con l'indice. "Come vi dicevo, Johanna mi è parsa parecchio strana negli ultimi mesi. La risposta è semplice: Richard la sta manipolando con uno svangur".

"Gli svangur possono fare anche questo?"

"Quello nel corpo di Johanna fa parte di un secondo ceppo ed è più invasivo della prima specie. Per questo ho deciso di rivolgermi a te, Bergljót: credo che Richard abbia tentato di manipolare anche me. Ad oggi non so quante persone siano sotto il suo controllo, ma c'è molto dalla nostra parte: sono facili da individuare e da estirpare, a differenza dello svangur riservato a Edith. Basta del fuoco".

"Tutto continua a non tornare, però. Non mi è chiaro il perché Richard sia così accanito nei confronti di Edith e della sua famiglia. Insomma, è inverosimile il suo odio. Certo, sono una famiglia protestante praticante, ma..."

"Non si tratta solo di questo".

"E di cosa, allora?" bisbigliò Lór, il volto rabbuiato.

"Quel giorno in ospedale rimasi di sasso nel sapere che Richard aveva cominciato a frequentare Edith di sua spontanea volontà, proprio perché lui aveva tutte le carte in regola per volere il reverendo Bersi sotto terra. Più di tutti gli altri".

"Spiegati".

Werner adesso tamburellava le dita sul legno a tempo di musica, sfiorando con l'anulare la busta bianca. Gli altoparlanti diffondevano Song 2 dei Blur. "Ricordi di Brimir, Bergljót?"

Lei si morsicò il labbro inferiore. "Umh... distrattamente. Non è per caso il fratellino di Richard?" mormorò. "Quello morto suicida anni fa, dico".

"Sì, lui" il ragazzo fece spallucce. "Ecco: stando alle parole di Richard, al reverendo Bersi non piacciono solo i cani di razza e le auto sportive... diciamo che ha degli interessi alquanto discutibili per i minorenni. Maschi. Fatti due conti e l'effetto domino è servito".

Bergljót e Lóreley risero nervosamente all'unisono. Entrambe, concettualmente parlando, non seppero spiegarsi perché i loro corpi avessero deciso di incanalare tutto lo shock in una risata. Non c'era nulla di divertente nelle parole di Werner. Niente di niente.

"Bersi" Ber strizzò gli occhi. "Cioè, il reverendo Bersi..."

"È un reverendo, sì".

"È una pazzia!"

"Anche la Benóný è una reggente universitaria, ma io e te sappiamo benissimo di cosa è capace quella buffa e arzilla sessantenne".

Bergljót guardò la pinta. Poi Werner. L'attimo dopo tornò sulla pinta. "Tu pensi che Edith ne sia a conoscenza?"

Lui negò col capo. "Non credo. Davvero".

Lór, nel frattempo, si era curvata in avanti, nascondendo mezzo volto nel collo del parka che aveva ancora indosso. D'un tratto si sentì avvampare. Tutto quello che sarebbe stato detto da lì in poi non avrebbe più avuto alcun senso logico. Come specificato da Werner, l'effetto domino era cominciato anni prima e la sua matrice sembrava essere la morte di Brimir. Richard, dal canto suo, non si sarebbe mai più fermato. Che chance speravano di avere?

"Tu che suggerisci di fare?"

"Di aspettare, Lór".

"A che pro?"

"Per il momento non possiamo fare nulla, non abbiamo molte certezze tra le mani. Però devo liberarmi della USB".

"Richard ha altre copie?"

"Lui crede di avere l'originale, ma l'ho copiata io stesso in un altro driver identico. I file contenuti al suo interno sono criptati e solo io conosco il pin d'accesso - nel caso dovessero scoprirlo. Oltretutto li ho danneggiati di proposito durante l'upload. Anche se dovesse ordinarmi di fornirgli la password per diffondere i video sarebbe comunque un buco nell'acqua".

Ber si massaggiò il mento. "Quindi intendi aspettare una sua mossa?"

"Sì. Parlerò con Lóreley e vi aggiornerò su ogni cambio di programma. Lui sa della maledizione da condizione che mi hai imposto: tornare a parlarti da un giorno all'altro desterebbe troppi sospetti".

Bergljót afferrò la busta e la imboscò nella tasca interna del chiodo. L'ennesimo fulmine saettò nel cielo nero.

"E con questa cosa dovrei farci?"

Werner sospirò. "Datela a Edith e ditele che mi dispiace. Puoi farne quello che vuole... anche distruggerla. Avvertitela di non cambiare atteggiamento nei confronti di Johanna, potrebbe insospettirsi. Io nel frattempo cercherò un modo per rompere la manipolazione".

Pagato il conto, i tre uscirono dal locale, adesso gremito di pendolari e festaioli. Le vie del quartiere di Laugavegur erano però desolate.

Werner fece per raggiungere il suo fuoristrada, accennando un saluto con la testa. Mentre litigava con la serratura dell'auto, Bergljót e Lór gli si avvicinarono un'ultima volta.

"Lo stai facendo per Johanna, non è vero?"

Werner fissò Ber dritto negli occhi. "Per tutti. Sono stanco di tutto questo" e s'infilò nella vettura.

Le due lo guardarono andare via senza battere ciglio.

"Hai provato a manipolarlo?"

"No".

"Perché?"

"Non mi sembrava il caso".

Lór si morsicò il labbro. "E per quanto riguarda la maledizione da condizione..."

"Beh" Bergljót si sfilò una sigaretta dal taschino. "Diciamo che... non gliel'ho fatta per davvero".

"... Eh?"

"Gli ho fatto credere di doversi innamorare per potersene liberare. La condizione lasciava intendere questo".

Cavolo. "Oh. E...?"

"Bastava solo scusarsi per tutto quello che ha fatto negli anni" le rivelò, alzando le spalle. "Che sia innamorato o meno di te, ha ammesso un sacco di verità. È già un grande passo avanti: perciò mi fido".

Lóreley la fissò di sbieco.

"Però c'è da dire che sei proprio stronza".

"Io manco so farle, figurati. Sono così old".

✖ Nel prossimo capitolo, "Occhio (non) vede, cuore non duole":

Ora come ora, quanto sarebbe stato saggio pensare al futuro, al suo futuro da normodotata? Tra le mani non aveva niente, non ce l'aveva mai avuto, ma nella testa il casino c'era sempre. Era come se il mondo avesse accelerato il proprio moto di rotazione e lei fosse rimasta indietro, in disparte, dietro le quinte di una vita normale. A far cosa, per l'esattezza? Ad osservare, semplicemente, senza muovere un dito, o quanto meno a cercare di adattarsi. 
Se c'era riuscito Radice, in quel maledetto sottosopra grigio e nero, perché non avrebbe potuto farlo anche lei?

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro