25. Buona vita e buona fortuna, Lóreley Dubois

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23 ottobre 2011

Lóreley si trascinò il braccio medicato sulle cosce.

Dopo un'attenta selezione mentale –della durata di qualche secondo–, le ipotesi che si erano affollate nella sua testa s'incanalarono in una solamente: Gaël, che era un essere umano e forse pure qualcos'altro, peccava proprio di tatto a livello sociale, non c'era altra spiegazione o scusa plausibile che avrebbe potuto salvarlo in calcio d'angolo.

Le luci a neon rimarcavano quella maledetta gobba fino all'inverosimile; ma, diavolo... perché ce l'aveva proprio col suo naso? Tra i tanti difetti più stupidi e alla sua mercé, perché tirare in ballo proprio quello che più detestava? Le occhiaie non erano abbastanza? Per non parlare delle doppie punte, cazzo.

Poi ci arrivò. Lentamente, ma ci arrivò. 

Perché è fatto così, il figlio di puttana.

Gaël, difatti, si guardò attorno, ignaro dell'analisi comportamentale partorita dalla mente di Lór. Lui certamente non spiccava in simpatia ed empatia, ma lei... lei avrebbe potuto scrivere un resoconto di un migliaio di pagine circa intitolato Lóreley Dubois ha qualche serio problema d'autostima... ed è una fottuta permalosa. Volume unico, rilegato.

"C'è qualcosa che non va?"

"No" rispose Lór in un sorriso. "No, ti pare. Ma non sono qui per il naso".

"Ah, capisco. La mano. Certo. Non l'avevo notata".

Ma siamo seri? "Già, immagino. La fasciatura non salta particolarmente all'occhio" ma il mio naso sì, vero?

"Il primo ricordo che ho di te risale alla chiacchierata in biblioteca, quindi ti ho subito ricollegata alla rinoplastica. Divertente, molto divertente, ma non sei di ottima compagnia quando leggo".

Entrambi tacquero e il display sopra le loro teste si colorò di bianco, mostrando il numero trentasei. Altri due e avrebbe potuto lamentarsi sul lettino dell'ambulatorio – e allontanarsi il più possibile da Gaël.

Lór aggrottò la fronte. "Mi prendi per il culo o cosa?" disse d'istinto.

Gaël inclinò il capo di lato, senza staccarle gli occhi di dosso. Quelle occhiate glaciali, sulla pelle, avevano un che di terrificante e curioso. "Non vedo perché dovrei" mormorò. "Ti ho solo detto il mio punto di vista".

"Beh, mi trovi d'accordo sul tuo punto di vista, allora". 

"Non ho mai detto il contrario". 

"Il contrario di cosa?"

Gaël fece spallucce. "Di essere di buona compagnia".

"In biblioteca?"

"Nel quotidiano".

"Nel quotidiano" ripeté lei e l'impulso di abbassare la testa ebbe la meglio sulla sua testardaggine.

Fu un riflesso involontario ma necessario, una sorta di diètro frónt meccanico a cui non era abituata. Non riuscì nemmeno a fare leva sull'orgoglioso gene ereditato dagli Østergaard, lo stesso che aveva minato i suoi rapporti interpersonali sin dalle elementari, quello del ho ragione io, punto. No, non se la sarebbe scampata e non avrebbe comunque avuto ragione. Non stavolta. Non davanti a Gaël.

Non davanti a quegli occhi.

Ora che lui poteva guardarla a tutti gli effetti e abusare della sua vista, Lór si ritrovò a fare i conti con i ricordi del Litlaus: quando aveva risposto all'indovinello e Radice l'aveva scelta per ritirare l'agognato premio, lei si era abbandonata allo scorrere degli eventi e gli aveva dato modo di guardarle dentro. Senza alzare barriere, senza opporsi. Mentre la bestia infernale le aveva sezionato ogni stralcio di memoria senza alcun pudore, Lóreley era rimasta immobile.

Nessun istinto di sopravvivenza, nessuna voglia di scappare, solo un vago senso d'oppressione e bisogno di coprirsi. Nient'altro.

Cosa aveva cercato in lei, Radice?

Che cosa cerca in me, Gaël?
Perché mi guarda?

Lóreley tornò ritta. Non guardarlo.

Che cerco io... in me?

"Beh" riprese lui, sbattendo finalmente le palpebre dopo un tempo che le era parso infinito. "Penso che abbia già provveduto Ísmey a ringraziarti. Per il piccolo incidente alla Baia, parlo di quello. Sembra che la fortuna sia stata dalla mia parte, almeno per stavolta".

"Non c'è di che" borbottò Lór, acchiappando il cellulare e riponendoselo sulle gambe.

Va' via.

"Ma non sono ancora qui per questo. Altri ringraziamenti non servono. Sai come si dice, no? Il troppo storpia" le rispose a tono Gaël e, con un gesto inaspettato, si abbassò alla sua altezza, piegandosi sulle ginocchia.

Altre occhiate –gelide, voraci, affamate– sulla pelle, ennesimo trillo d'allarme che la incoraggiò a coprirsi. Un secondo attimo di silenzio unanime, come se si fossero accordati senza manco saperlo, e lui si avvicinò quel tanto da toglierle il respiro. 

"Voglio essere onesto con te e andare oltre le mie semplici aspettative".

"La tua onestà e le tue aspettative non m'interessano, se questo può rallegrarti".

"Invece dovrebbero".

Lóreley ebbe un sussulto e la rabbia cominciò a montarle nel petto. "Tu non conosci me e io non conosco te, il caso è chiuso".

"Non direi".

"Perché?" 

"Perché tu non eri nei miei piani" le sussurrò con spietata lentezza. "Non so chi sei, cosa sei, da dove vieni e perché mi hai salvato la vita. Veramente, non ne ho la più pallida idea. Ma una cosa è certa: se eri alla Baia, il pomeriggio dell'undici, un motivo c'è".

Mi guarda dentro, lo so, lo sta facendo. 
Smettila. 

Lór strinse i pugni e una goccia di sudore le attraversò la fronte. Le venne spontaneo pensare che l'oppressione che sentiva addosso fosse una conseguenza scaturita dall'uso di un gjöf. Gaël doveva aver fiutato qualcosa di anomalo nel suo animo, qualcosa che persino lei ignorava.

Le predizioni. Testa di cervo.
Non dirlo, non dirglielo.

Lór parlò senza riflettere. Stava cercando con tutta se stessa di rimanere calma. "Come hai appena detto, sei stato molto fortunato".

Gaël sorrise. "Già, già. Dev'essere così, senza ombra di dubbio" ammise e le diede una pacca sulla spalla. "E io che pensavo in qualche mirabolante provvedimento divino... che idiota. Ma dovrò pur sdebitarmi, no?"

Smettila.

"Non credo ce ne sia bisogno".

"Oh, vedi? Ecco un altro punto in comune. Senza offesa, ma non sono molto pratico in queste cose, farlo mi avrebbe richiesto del tempo" le disse, tornando ritto. Sorrideva ancora. "Tempo che non ho. Spero non ti dispiaccia". 

"Affatto". 

"Ottimo" rimarcò il ragazzo, cominciando a indietreggiare. C'era un uomo in completo scuro ad attenderlo sulla soglia della sala. Nemmeno gli schiamazzi del bambino si udivano più.

"Buona vita e buona fortuna, Lóreley Dubois. Credo ti servirà, ora che sei con loro".

Lóreley riprese a respirare solo quando fu certa di essere rimasta sola. Sullo schermo del Nokia lampeggiava la notifica di un messaggio. Era di Ber.

Sì, Gaël ci aveva visto bene, fin troppo, tanto da averne sbirciato il contenuto senza il suo permesso. 

Da Bergljót, 9:54 AM
Prendi il bus, non sono in università. Sono stata convocata dalla C, spera di vedermi entro le tre. Viva. 

Lór digitò un ok mentre si rialzava e con la stessa flemma di un detenuto si avviò verso l'ambulatorio.

E pensare che la giornata era appena cominciata. 

La professoressa Hilda armeggiava col videoproiettore da venti minuti e parlava  –col suo solito tono di voce flebile e strozzato, quasi fosse sul punto di creparsi in due– da buoni trentacinque. La platea su cui si affacciava il piccolo palco era una massa scarna e tacita: i presenti realmente interessati avrebbe potuto contarli sulle dita di una mano. 

Lór era tra quelli che applicava ovunque il mantra del frequento tutto il frequentabile, tanto paga la scuola per la mia formazione. E Werner, guarda il caso, la pensava esattamente come lei. 

Nel buio, lo vide scribacchiare qualcosa sul suo Ipad.

ti va di pranzare assieme?

Lei accennò un sorriso.

va bene. oggi ci sono i budini!

Werner sorrise a sua volta, accomodandosi meglio sulla poltroncina foderata. Sembrava imbarazzato... imbarazzato e felice, come un quindicenne alle prese col suo primo appuntamento.

Per tutta la durata della lezione nessuno dei due spiccicò parola. Non che Lóreley fosse realmente interessata agli sproloqui della professoressa Hilda, ma aveva bisogno di distrarsi e di ignorare i brividi che la tormentavano da quella mattina. Il cambio della medicazione, nonostante avesse desiderato non trovarsi lì, era andato meglio del previsto –ora riusciva a muovere il pollice, l'indice e il medio–. Tutto avrebbe continuato a filare liscio se non avesse avuto la sfortuna d'incontrare Gaël e quel cioccolatino di sua sorella.

Al solo pensiero, raggelò di nuovo.

Ma che mi prende?

Quando si ritrovò a camminare a testa bassa al fianco di Werner, lui non poté fare a meno di rigirare il coltello nella piaga. Ovviamente senza sapere nulla.

"Che hai?" le domandò, sgomitandole su un fianco. "Oggi sei silenziosa".

"Lo sono sempre" scherzò lei.

"Allora mi correggo: lo sei più del solito".

"Okay, okay, lo ammetto: ho avuto paura durante il cambio della medicazione".

"Hai fatto quella stessa faccia?"

Lór fece finta di pensarci, ricordando della sera al Samkaup. "Più o meno" disse, ridendo.

"Ci sketcherò qualcosa su".

Superarono la biblioteca e la segretaria, entrambe sempre gremite di studenti. Al loro passaggio qualcuno prese a bisbigliare, altri a fissarli con insistenza e un gruppo di ragazze del primo anno, impalate all'entrata, a indicare lei di sottecchi. Poteva quasi giustificarla quella piccola euforia collettiva: Werner in persona stava camminando accanto a una bionda... che non era Johanna. 

Lóreley rispedì al mittente un paio di occhiatine, senza però fiatare. Perché tanto scalpore per così poco? Stavano solo passeggiando. Certo, Werner le stava appiccicatissimo, come se avesse paura di perderla in quell'atrio così grande e... okay, le aveva anche sequestrato la tracolla.

Chissà che facce faranno quando ci sederemo allo stesso tavolo.

"Sapresti dirmi perché ci guardano tutti?"

"Perché... sei carina".

"L'hai detto per davvero?" Lóreley scoppiò a ridere. "Ritenta, Werner, sarai più fortunato".

"Diavolo, ci ho perso la mano".

"Perderai qualcos'altro se continui a ripetere che sono carina".

"Oh, davvero? E cosa, sentiamo".

"Il tuo Ipad, ad esempio".

"Ma non farmi..." Werner sbiancò mentre si tastava il fianco. "... Ridere".

Lóreley gli sventolò il tablet sotto il naso. Avrebbe potuto godersi la scena per qualche attimo ancora e farla gustare in tutta la sua drammaticità anche alle spettatrici che le borbottavano alle spalle, ma Werner era debole di cuore. Se fosse morto prima di pranzo, con chi avrebbe mangiato quei maledetti budini? Da sola non di certo. Oppure sì. 

"L'hai dimenticato in aula. Sul banco" sospirò Lór. "Il tuo".

Fu quasi certa di intravedere un lieve rossore sulle guance di lui, e poco c'entrava lo sbalzo termico dalle temperature polari dell'atrio al clima subtropicale in mensa.

"Già, dovrei proprio smetterla" acconsentì Werner, mentre si accodavano davanti gli espositori.

Sequestrato il menù speciale del giovedì, si accomodarono nell'angolino preferito da Lóreley, adesso vuoto e deprimente. La Compagnia della mensa era perciò sciolta: Ber non sarebbe rientrata prima delle tre, Gíta ed Edith sarebbero state fuori città per tutto il fine settimana; Björn stava sicuramente bivaccando in giro per l'istituto, come era solito fare. Nulla di strano, in fin dei conti, negli ultimi tempi era stato difficile ritrovarsi tutti insieme – tranne per la faccenda della maledizione, quella che li aveva costretti a un pigiama party improvvisato nella modesta casa delle due protestanti.

Lór trasalì e si guardò attorno. Nemmeno Johanna col suo gruppo era presente all'appello.

Werner spezzò del rúgbrauð(1) e, senza sollevare lo sguardo, disse ciò che andava detto. "Non preoccuparti, non c'è".

"Strano".

"Dovrebbe tornare per le tre".

"Per le tre?" fece eco lei.

"Sì, è a un incontro".

La bionda ridusse in poltiglia un pezzo di brauðterta(2), scansando la maionese di troppo col cucchiaio. "Un incontro... c'è anche Ber lì con lei?"

Werner cominciò a masticare con lentezza, gli occhi bruni incupiti dal sospetto. Lór aveva sfiorato un tasto dolente, glielo leggeva in faccia. Ma, campionati tutti i trascorsi, inclusi pure quelli del Prikid, cosa si aspettava? Se c'era dentro anche lei, come ribadito da Ber, che senso aveva continuare a girarci intorno?

"Come lo sai?"

"Bergljót mi ha detto che sarebbe tornata per le tre da un incontro con la Cerchia. Ho solo ipotizzato che Johanna fosse con lei visto che gli orari coincidono e le situazioni pure..." spiegò Lór. "E me l'hai appena confermato" rettificò. "Involontariamente".

Werner mandò giù il boccone di pane che, tutto d'un tratto, aveva assunto la consistenza del calcestruzzo.

"Che... c'è?"

"Non riesco ancora a collocarti all'interno della Cerchia, sul serio" ammise lui. "Nel senso, so che non ne fai parte, ma è comunque strano pensare che tu sappia. È stata Bergljót a parlartene?"

Lóreley annuì.

"Perché?"

"Non posso dirtelo".

Werner si strofinò le mani per scrollare via la patina di segale. Prima che potesse riformulare la stessa domanda, Lóreley lo anticipò.

"Non posso e basta. Ordini dall'alto" gli ribadì.

"Va bene, va bene. Non farò altre domande scomode".

"E tu perché non sei stato convocato?"

"Ora sei tu a farne".

Lei sollevò le mani e virgolettò quanto stava per dirgli. "Sono limitata, excuse moi. Qualsiasi cosa detta o domandata non potrà essermi ritorta contro".

"Accordato" rispose Werner in una risata, poi calibrò il tono della voce. "Io non posso esserci".

"E perché no?"

"Perché sono un uomo".

"Perché sei un uomo" ripeté lei, perplessa. "Non capisco".

"Che c'è da capire? È così. Noi uomini non prendiamo decisioni, ci mancherebbe, e agiamo solo se chiamati in causa. La Cerchia è sempre stata in mano alle donne e non c'è da meravigliarsi. Non l'hanno deciso loro e non l'abbiamo deciso noi. Tutto qua".

"Ma anche tu hai un dono, come ce l'ha Björn, oppure Richard".

"I gjöf sono apparsi solo nell'ultima generazione e questo non cambia le carte in tavola" disse Werner. "La gerarchia rimarrà sempre e comunque questa".

"Aspetta" Lóreley corrugò la fronte. "Come sarebbe a dire che prima non c'erano?"

"Che non c'erano e basta. Sono anni ormai che la Benóný indaga, ma nulla. Nessuno riesce a spiegarsi perché siano spuntati fuori proprio adesso. Senza fare distinzioni di sesso, aggiungo, noi del nuovo millennio li possediamo tutti. O quasi" le rivelò, portandosi alla bocca un altro pezzo di pane. "È una brutta situazione. Qualcosa sta cambiando... ma non si sa cosa, di preciso".

Lóreley continuò a spalmare la maionese in eccesso ai lati del piatto, Werner a mangiucchiare a testa bassa. Le carte in tavola erano cambiate, lui si sbagliava, ma non per la Cerchia e nemmeno per i suoi partecipanti.

Se il suo gjöf, o meglio, se il gjöf di quel qualcuno che stava mettendo in pratica non lo era a tutti gli effetti... a rigor di logica, di che razza di dote si era involontariamente appropriata?

✖ Nel prossimo capitolo, "Il bucato del giovedì":

Se da una parte era sempre onnipresente il cinismo di Mister-simpatia, che non perdeva mai un minuto a suggerirle una rinoplastica ogni volta che si scontravano, dall'altra lo scapolo del Samkaup riusciva a penetrare le sue difese di acida del cazzo con una facilità disarmante.
Werner era un concentrato di positività e ottimismo, un'Aspirina per i suoi malumori, ma ciò non escludeva l'ipotesi che potesse avere una valanga di segreti da nascondere. Belli o brutti, microscopici o colossali, poco importava: da quando era approdata alla Fær Øer, aveva abbandonato l'abitudine di lasciarsi scivolare tutto addosso, anche a costo di ferirsi... e di ferire volontariamente.

✖ Note

(1) Rúgbrauð: Un pane dalla consistenza umida e densa, fatto di farina di segale, che - almeno nelle sue versioni più artigianali e tradizionali - viene cotto in speciali contenitori che sfruttano la potenza dei geyser.
(2) Brauðterta: Un piatto di origine danese, ma popolare anche in Svezia: strati di pane da tramezzino farciti di maionese, pesce e frutti di mare (di solito salmone affumicato e gamberi).

(fonte: https://www.lacucinaitaliana.it/news/in-primo-piano/i-piatti-tipici-dellislanda-2/)

Credetemi: questo capitolo l'ho ODIATO con tutto il cuore e nemmeno io so il perché. L'avrò tipo riscritto una decina di volte (non scherzo) e prima di snaturarlo troppo ho deciso di spiattellarlo qui su Wattpad T_T Il punto è che non potevo dire troppo, ma neanche troppo poco. Diciamo che è uno di quei capitoli che ti fanno tirare giù un sacco di santi e che un minimo errore può fare un danno incalcolabile. Poi, non vogliatemi male... ma Mister-Simpatia non lo sopporto nemmeno io XD
Ma ciancio alle bande e ditemi una cosa: ora voglio sapere in quante patteggiano per il #TeamWerner e chi invece sostiene il #TeamGaël. Davvero, scatenatevi. Forse c'è una speranza per uno dei due gruppi... forse u.u

Alla prossima settimana!

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