27. Io credo nell'essere umani (pt.3)

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Lóreley sfarfallò le ciglia un'infinità di volte pur di non cadere vittima di un pianto convulso e imbarazzante. Poi si schiaffeggiò ripetutamente una guancia e immaginò di starlo facendo su quel maledetto cranio di cervo, ma con un delizioso tirapugni a fasciarle le nocche e spronata dalla tanta rabbia soffocata sinora. Peccato per lei e fortuna per lui che fosse già morto.

"L'hai detto per davvero?" gli gracchiò contro e involontariamente si pizzicò lo zigomo: ne aveva già abbastanza. 

Sì.

"... Ero ironica".

I morti non hanno il senso dell'humor.

"I morti non dovrebbero importunare chi ancora ha una vita da vivere" Lóreley si costrinse a non abbassare lo sguardo – e le proprie difese emotive. "E il mio non è un discorso generale, sappilo".

Certamente, parli di me. Tuttavia non puoi ignorare il legame che c'è tra noi. Io ci sono sempre, che tu lo voglia o no.

"Ma-" una risata le crebbe in gola, crepando a metà quanto stava per dirgli. Una patina acquosa, fatta di pure lacrime, le era comunque calata sugli occhi. "Ma non l'ho chiesto io. Io non ti voglio".

No, infatti, non sei stata tu a deciderlo. Sono stato io.

Lór non rispose, non subito, e la sua mente cominciò a vacillare tra l'incredulità e lo scetticismo. Come si può tessere un legame –o anche solo lontanamente ipotizzare di farlo– tra due reciproche anime se una di queste non ne è a conoscenza? La soluzione era a un palmo dal suo naso, ma di credere si trattasse solamente di una becera forzatura la nauseava.

In realtà la terrorizzava l'idea di star vivendo una simbiosi viscerale con un uomo che conosceva anche la più insignificante increspatura del suo essere, ma lei, per l'appunto, non avrebbe potuto dire lo stesso. Non che le cose fossero effettivamente cambiate ora che Bo' le aveva mostrato il suo aspetto da vivo, uno scorcio di quella che era stata la sua quotidianità e un cameo strappalacrime sulla sua defunta moglie, altroché: Lóreley aveva bisogno di risposte. Era affamata e glielo si leggeva in faccia, nel cuore, e Testa di cervo, nonostante si fosse rivelato l'inquilino più apatico del Litlaus gliele doveva. Tutte, senza tralasciare nulla. 

La prima domanda, nonché la più scontata, fu secca e diretta come uno sparo durante un'esecuzione programmata.

"Perché?"

Ne avevo bisogno.

"Bisogno di cosa?"

Di un tramite col mondo terreno.

"Un tramite?"

Un collegamento.

"Non sono idiota, ci ero arrivata" rispose lei. Poi, aizzata dai ricordi, aggiunse in un sussurro: "Non fraintendermi".

Non l'ho mai fatto.

"Mai?"

Mai.

"Però sei stato capace di fraintendere le mie intenzioni quando ero solo una bambina. Essere curiosi non è sinonimo di prontezza perché, rivelazione del secolo, non lo ero e non lo sono tutt'ora".

Ti ho già detto che ho commesso un errore, smettila di girare il coltello nella piaga. Abbiamo poco tempo a disposizione.

"Lui era mio amico" Lóreley, a denti stretti, sputò quelle parole mentre Bo' ancora parlava. "Sai cosa ho pensato in quel momento, quella notte sulle scale? Di raccogliere la sua mandibola da terra e di riappiccicarla al resto della faccia con lo scotch. E sai il perché? Perché ero una fottuta bambina, perché non capivo, perché non avevo mai visto del cervello in vita mia e, oh, questa è veramente esilarante, sono stata capace di scambiare la materia grigia di Ían con della gelatina" continuò e d'improvviso una lacrima le rigò la parte destra del viso, accompagnata dall'ennesima risata graffiata. "Gelatina, ti rendi conto? Gelatina. Ma non è questa la parte più divertente, macché: al suo funerale ho avuto il barbaro coraggio di chiedere a mia madre perché avesse la testa coperta da un panno bianco. Lei mi ha risposto con così dorme meglio e io sicura che non è perché non gli ho aggiustato la mandi-qualcosa col nastro adesivo? – silenzio. Giustamente lei deve aver pensato ma che cazzo dice questa? Sbam. In terapia per un anno e mezzo. Ma non è finita qua, certo che no. Sapresti dirmi cosa manca all'appello, Bo'?"

L'interpellato non fece un fiato, ermeticamente sigillato in un mutismo che avrebbe fatto ammattire chiunque.

"Te lo dico io, diavolo, eccome se te lo dico io: manca che tutto questo l'avevo scordato, ecco. Ora che ci sei di nuovo, e per ci sei di nuovo intendo nella mia cazzo di testa senza il mio cazzo di consenso, sto ricordando tutto, pian piano. Lucidamente. Ed è insopportabile" la vide inghiottire un singhiozzo, un riso e una palla di vuoto. "È maledettamente e ironicamente insopportabile, come te".

Il nero in cui entrambi erano sprofondati sembrò vibrare una sola volta, un tremito simile a uno spasmo. Allora Testa di cervo colse l'occasione al volo e accorciò le loro distanze, le stesse di cui era stato l'artefice e al contempo il distruttore. Mosse un primo passo in avanti, un altro un po' più sicuro del precedente, un terzo-quarto-quinto veloci e inarrestabili al pari di una marcia.

Si fermò soltanto quando fu sicuro che nella porzione di spazio che li divideva sarebbe potuto entrarci a malapena un respiro – cosa che neppure Lór, date le circostanze, sarebbe stata capace di emettere.

"È questo quello che odio di te, che ho sempre odiato" gli ansimò tra le lacrime, ma non si allontanò. Non poteva, non poteva scappare da se stessa

Lo so. 

"Tu non mi rispetti e non lo farai mai". 

Ti sbagli.

"Mi sbaglio?"

Ti ho promesso che ti avrei resa grande e forte come una montagna. Lascia che lo faccia, non ti chiedo null'altro – le rispose con voce monocorde. – Non posso recidere ciò che mi lega a te. Non posso lasciarti andare. Non ora che ho sacrificato tutto ciò che avevo per arrivare fin qui, fino a te. 

Lóreley si accolse la testa tra le mani. "Bo', smettila, ti prego".

Ti sto chiedendo di aiutarmi. 

"Maledizione, sta' zitto".

Dio, perché doveva fare così male? Perché si era pizzicata soltanto una volta? Perché non continuava a sfregiarsi? Perché non fuggiva? Perché?

Perché?

... Perché lo sentiva strisciare fin dentro lo spirito ed era la sensazione più disturbante e assurda che avesse mai provato. Al momento nessuno dei due era fatto di carne e ossa, non c'era mai stato un effettivo contatto fisico tra di loro, eppure Bo' riusciva a scatenarle l'effetto contrario. Dappertutto. Dalla testa ai piedi, dall'anima alla pelle, alle terminazioni nervose, ai muscoli. In ogni particella del suo essere.

Era una percezione distorta, perversa e schifosamente stupida. 

Era agghiacciante e magnifica allo stesso tempo. 

Chissà se per Bo' era lo stesso – chissà cosa era capace di provare, uno come lui.

Chissà che cosa provano, i morti, si domandò Lóreley e sollevò d'istinto la testa, non prima di aver ingoiato un singulto.

Accantonò momentaneamente la rabbia e cercò un appiglio concreto nelle iridi marroni di Bo'. Le orbite vuote con cui ebbe il coraggio di confrontarsi la risollevarono da ogni dubbio a riguardo: vivere la morte non è come vivere una vita. Vivere da morti non è vivere, semplicemente, perché seppur entrambe le nozioni condividano lo stesso concetto di eterno ritorno, in egual misura, l'uno è –e deve restare– diametralmente opposto all'altro. Fino alla fine.

Un morto non può bramare un ritorno alla vita e Bodvár, semmai fossero state queste le sue intenzioni, era davvero fuori di testa e contro natura. Ma chi era lei per negarglielo? Una divinità ancestrale manco a pensarlo... una ventenne problematica con tanta voglia di indipendenza, forse? Quotato al duecento per cento.

Ho detto di non ricordare cosa voglia dire provare certe emozioni, ma non ho mai negato di percepirle attraverso te.

"Non è come viverle sulla propria pelle".

No, non lo è, hai ragione. Ma averle addosso – rabbia o felicità che sia, quando non si ha più un corpo, è... meraviglioso. Meraviglioso e dissociante.

"È triste".

Bo' inclinò il capo di lato. – Non per un mortoFortuna per me che, grazie a te, lo sono per metà. 

Lóreley non mosse un muscolo quando lui cominciò a indietreggiare. 

Il panico le montò in petto.

Non andare.
Non andare.
Rimani.
Va' via.
Non andare.

"Sono ancora arrabbiata" gli disse, alzando di proposito il tono della voce. 

Lo so. Lo sento. Me lo sento addosso.

"Non sarà facile!"

Niente lo è. 

Lór masticò l'ennesima fetta di vuoto. Adesso le dava le spalle. 

Rimani.
Va' via.
Non andare.
Va' via.

"E... e sappi che non ti ascolterò!"

Presto dovrai farlo – la interruppe Bo', mentre diveniva un tutt'uno col buio intorno. – E compirai la tua scelta. Quando questo accadrà, cercami nel Litlaus. Lì mi darai il tuo responso. 

Lo vide sollevare un braccio.

Sappi che mi aspetto un sì. Ne va del mondo in cui vivi. 

E un'onda oscura, nata dal nulla, li travolse.

"Merda".

"Quante volte ancora vuoi ripeterlo prima che tu riesca a fartene una ragione?"

"Beh... pensavo reggesse. Insomma, è una temeraria. Cazzo, guardala, è proprio una dura".

"Assenzio e birra? Assenzio-e-fottuta-birra? Potrebbe sfiorare il coma etilico da un momento all'altro. Ci tengo a precisare che certi riti d'iniziazione sono passati di moda".

"Se la cosa non ti va a genio, puoi anche toglierti dai coglioni. Anzi, perché sei ancora qui?"

Un tremito le attraversò la mano, tanto forte da tirarle i punti sutura. Aveva una sete tremenda e tutto, nonostante avesse gli occhi chiusi, sembrava vorticare pericolosamente. 

"Perché avevo l'uccello in mano quando mi è collassata davanti, sull'uscio del bagno. Ho bisogno di un alibi".

"... Eh?"

"Stavo pisciando, genio, e lei è entrata senza bussare". 

"L'avrai scioccata". 

"In meglio, ovviamente".

"Avrei detto in peggio".

"Parla per te". 

"Zitto e renditi utile. Sollevale le gambe". 

"Vomiterà".

"Fallo e basta!"

Lóreley mugugnò qualcosa d'indecifrabile. Sì passò una mano sulle cosce e rabbrividì nel percepire la pelle sotto le dita. Come per magia, la sbornia si assopì e spalancò gli occhi, ora preda di una sana botta d'adrenalina.

La gonna. 
La gonna!

Bergljót, frattanto, la guardava dall'alto. "Lór?" la chiamò sventolando le mani. "Ci sei? Stai bene?"

Ma che-?

La bionda sollevò la testa e si tastò l'interno coscia una seconda volta. Poi ricordò che la lavatrice del giovedì le aveva dato modo di indossare l'intimo più idiota e carino sulla faccia della terra, nonché il suo preferito: di cotone e con un'enorme fragola stampata sul davanti. 

"Ah, ben svegliata". 

Gaël poteva pure essere bello e dannato, stra-fortunato alla roulette russa con la morte, cinico e antipatico, ma i suoi riflessi lasciavano parecchio a desiderare. 

L'anfibio numero trentotto che si scontrò col suo zigomo non l'avrebbe mai più dimenticato.

✖ Nel prossimo capitolo, "E adesso... rema":

Gaël rimase immobile, la bottiglia ferma a qualche centimetro dal labbro inferiore. Seppur un'ombra nera gli spaccasse in due il viso, assorbendone completamente gli occhi, lei fu più che sicura che se avesse potuto contraccambiare con un'occhiata, non sarebbe comunque riuscita a decodificare l'improvviso irrigidimento.
"Quindi un motivo c'era" decretò lui, come se fosse la cosa più normale del mondo. "E il motivo è che mi hai visto morire il giorno della cerimonia".

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro