28. E adesso... rema

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Lór lasciò cascare la testa in avanti e mandò giù un rutto, il quinto al sapor di bile e morte da quando aveva ripreso conoscenza. Il retrogusto amarognolo, però, le abbandonò la bocca quasi subito e ne approfittò per spalmarsi sul divano, ora che riusciva quanto meno a tenere gli occhi aperti senza essere sopraffatta dai conati di vomito.

Allargò le braccia, portandosele ai lati delle cosce, e una sostanza non identificata le si appiccicò alle nocche. Strusciò la mano fasciata sulla pelle sintetica ed evitò, per amor proprio, d'interrogarsi. Era troppo stanca per sindacalizzare sulla vera natura del sudiciume, ma la coppietta che l'aveva preceduta la ricordava bene, infinitamente bene, nonostante lo stordimento parziale le avesse ridotto il cervello a un colabrodo.

L'esibizione nella sala era nel pieno delle sue danze e lei, come il concetto universale della prima sbornia finita male suggerisce ai bevitori inesperti, già bella che andata. Dalla perdita di conoscenza sull'uscio del bagno al suo rinsavimento improvviso, oltretutto, non doveva essere trascorso molto tempo. Una decina di minuti, forse? Oppure una manciata di secondi?

Si tastò goffamente il fianco alla ricerca del telefono, non riuscendo a ignorare l'urgente bisogno di chiamare sua madre. Ma se l'avesse fatto, finendo per pizzicarla con Bernhard, come si sarebbe dovuta comportare? No, era fuori discussione, non poteva rischiare, sarebbe stato imbarazzante. Adesso erano una coppia a tutti gli effetti e si sa che le coppie fanno anche sesso, perché il sesso di coppia si fa di notte - ma che penso?

Dopo un paio di tastate a vuoto strattonò il lembo destro della gonna, quello vicino alla zip. Il cellulare non c'era e non c'erano manco le tasche. Che idiota. Mentre si ingegnava a ricordare dove diavolo fosse, una piccola ruga d'espressione le apparve nel mezzo della fronte. Ingoiò un altro rutto, tanto acido da mandarle a fuoco la gola - cazzo, è nel parka all'entrata - e, croce sul cuore, si promise di non dare più retta alle stronzate di Ber.

Bleah.

Il muro davanti a lei era interamente coperto di vinili, locandine di tour vecchi di un decennio e sotto bicchieri - d'un tratto si trovò a contare tutti quelli col marchio Guiness, più nello specifico l'edizione speciale del duemilasei. Ma la Guiness era l'ultima cosa sulla faccia della terra che avrebbe voluto bere da ubriaca.

Sono dodici.

Sfarfallò le ciglia.

Devo chiamare la mamma.

Prima che potesse constatare per la seconda volta che no, quella gonna non ce le aveva mai avute delle tasche, un'ombra le riempì il campo visivo. Storse gli occhi nel vano tentativo di mettere a fuoco l'oggetto sotto il suo naso, rimanendo interdetta.

"Prendile, sono patatine in busta".

Lóreley chiuse e riaprì gli occhi. Poi, seppur incerta, afferrò la ciotola blu. Gaël le si sedette affianco - non troppo vicino, ma che scherziamo, e lontano il giusto da evitare di centrare in pieno il grumo vischioso. Manca a farlo apposta stava bevendo una Guinnes in bottiglia, la stessa che di tanto in tanto si premeva sul lato sinistro della faccia.

"Dov'è Ber?" gli domandò, tutto d'un tratto. Sentire la sua voce -tremendamente roca- le fece uno strano effetto, parlargli con tanta nonchalance anche. Però era l'unico essere umano nei paraggi abbastanza sobrio da averle offerto... delle patatine in busta.

"A cercare le chiavi della sua macchina".

"Oh. Perché?"

"Perché il genio le ha perse".

Lóreley continuò a focalizzarsi sulla parete di fronte. "E noi come torniamo al dormitorio?"

Il ragazzo si voltò a fissarla. La luce arancione che inondava il corridoio, talmente soffusa da saturare i contorni di ogni cosa, rendeva impossibile distinguere i tratti duri del suo volto. Se si fosse fatta coraggio e nella più remota delle ipotesi l'avesse guardato in faccia anche solo per errore, non sarebbe comunque riuscita a intercettargli lo sguardo; non subito, almeno.

"E che ne so" rispose lui, alzando le spalle.

Lór si poggiò la ciotola sulle gambe. Il suo stomaco era un agglomerato di pulsioni e succhi gastrici.

"Cosa ci devo fare con queste?"

"Mangiarle".

"Ma vomiterò".

"Ti aiuteranno a smaltire, invece".

Una fitta alla pancia la costrinse a muoversi un po'. C'era tanto di sbagliato in quella situazione, ma individuare cosa lo fosse, in quelle condizioni, era difficilissimo. Lo sarebbero potuto essere le patatine che le aveva offerto, il sabato sera di per sé, la sbornia premeditata, Testa di cervo e i suoi modi invadenti, il passato di quel cornuto oppure lo stesso Gaël. Ma di una cosa era certa: lui era sbagliato accanto a lei e lei era sbagliata accanto a lui. In tutti i sensi.

Come deciso dalle infelici sentenze del destino, Gaël non sarebbe dovuto essere a quel maledetto live degli Atomicon, più nello specifico sulla terra ferma assieme ai vivi, ma sotto terra, o meglio ancora a far da mangime ai pesci dell'Atlantico. Era a tutti gli effetti un elemento discorde nella realtà che li ospitava; uno che, per fattori inspiegabili, aveva avuto culo e tardato il suo contratto d'affitto col Litlaus.

La fortuna di Gaël aveva la gobba sul naso e soffriva di epistassi croniche. La fortuna di Gaël era stato il legame di Lór con un limbo grigio, bianco, nero, senza che lui ne fosse a conoscenza. Allora vuoi per la sensazione di leggerezza, vuoi per l'ipoglicemia alle stelle, ma Lóreley, pure da ubriaca, ebbe il coraggio di chiedersi e se il destino, di tanto in tanto, compiesse degli errori belli grossi? Grossi quanto il cazzo di universo. Grossi, sì, ma rimediabili.

Grossi, ma non impossibili da aggiustare, si disse, portandosi una patatina alla bocca. Il sale le fece prudere il naso e le pizzicò il palato.

Gaël si beava dell'ennesimo sorso in religioso silenzio quando lei decise di far crollare tutte le sue convinzioni.

"Io ti ho visto morire. Alla Baia. Cioè, l'ho visto prima che accadesse ed è stato strano. O meglio..." Lóreley mandò giù la poltiglia e il suo stomaco ebbe un sussulto. "L'ho vissuto tipo déjà vu, ma avanti, avanti nel tempo e io stavo indietro, al giorno della cerimonia d'entrata. Non sapevo cosa fare, con chi parlarne, poi è successo che mi trovassi proprio lì. Allora tua sorella piangeva e io l'ho fatto. Mi è salito il panico e l'ho fatto perché - perché sentivo di star facendo la cosa giusta e ho continuato fino all'ultimo, non volevo che morissi, non volevo sbagliare, non volevo che-" si voltò. Nemmeno si era resa conto di star gesticolando un po' troppo. "È stato strano" ripeté  in un soffio, come se volesse in parte giustificarsi.

Gaël rimase immobile, la bottiglia ferma a qualche centimetro dal labbro inferiore. Seppur un'ombra nera gli spaccasse in due il viso, assorbendone completamente gli occhi, lei fu più che sicura che se avesse potuto contraccambiare con un'occhiata non sarebbe comunque riuscita a decodificare l'improvviso irrigidimento.

"Quindi un motivo c'era" decretò lui, come se fosse la cosa più normale del mondo. "E il motivo è che mi hai visto morire il giorno della cerimonia".

Lór annuì e lo osservò mandare giù l'ultima scolatura di birra - la parte più buona, secondo Bergljót. Si ritrovò a sperare che non le credesse, che le urlasse contro un tu sei pazza! e che quel disastroso capitolo della sua vita giungesse così al termine.

Invece no. Gaël chinò la testa di lato, lentamente, forse un po' troppo, e cominciò a palleggiarsi la bottiglia vuota da una mano all'altra. D'istinto gli guardò le dita e contò sei anelli. Uno di questi, guarda il caso, aveva delle vistose corna di cervo, plasmate nell'acciaio.

"Ironico" sentenziò infine lui.

"Ironico?"

"Sì, ironico".

Lei, di riflesso, si stropicciò un occhio. "Cosa c'è di ironico in quel che ti ho appena detto?"

"Tante cose".

"Ad esempio?"

"Non credo che parlarne ora sia un'ottima idea".

"Sei vivo grazie a me".

Gaël ridacchiò. "Giovedì non eri dello stesso parere" la interruppe, allungando il riso. "Come hai appena detto, sei stato molto fortunato, parole tue. Il che è vero, cazzo, eccome se sono stato fortunato. Ma pensa tu se non fossi intervenuta in tempo... chissà che guaio cosmico avresti combinato".

Il guaio, ora che ci ripenso, l'ho fatto salvandoti.

"Io non lo so, non so davvero perché l'ho fatto, ma un minimo di chiarezza me la merito".

"Fammi pensare" il ragazzo fece schioccare la lingua. "Immagino tu voglia sapere il perché io sia accidentalmente caduto dalla scogliera".

"Non è mia intenzione ficcanasare nei suicidi altrui..."

"Lo stai già facendo" Gaël poggiò la bottiglia ormai vuota a terra. "Non ti basta sapere che hai permesso all'Islanda di continuare a coltivare un futuro imprenditore pieno di buone intenzioni come il sottoscritto?"

"Io voglio sapere il perché mi è stato mostrato, non le conseguenze".

"Rin-din-din, comunicazione di servizio: signorina Dubois, a quanto pare siamo entrambi sulla stessa barca" e si allungò verso di lei, poggiando una mano sul pavimento sudicio per tenersi in equilibrio. Lór non si scansò, non ci provò, punzecchiata nel profondo dall'orgoglio spinoso che tanto detestava. "E adesso rema, se non vuoi finire alla deriva. Ma fallo da sola: avere dalla tua un circolo di bastardi alla pari della Cerchia non ti darà le giuste risposte... solo tanta merda, oh. Stare con loro ti butterà addosso un'implacabile tempesta piena di merda" le sussurrò, dandole poi un buffetto affettuoso sulla guancia. "E affonderai, te lo dico col cuore in mano, e sarà solamente colpa tua. È uno spassionato consiglio, in fondo ti sono ancora debitore".

Gaël si alzò, calciò la bottiglia vuota e fece per andare via, passando accanto a Bergljót ora in veste di facchino.

"Aspetto il conto per aver svolto egregiamente il mio ruolo di baby-sitter, Bergljót".

"Vai a farti fottere, coglione" gli rispose di rimando l'interpellata, coi giubbotti sotto braccio.

"Come sempre" e lui girò l'angolo.

Lóreley mangiò un'altra patatina. Era presto per rimuginarci su e... cominciare a remare per avere salva la vita.

✖ Nel prossimo capitolo, "Il vaso di Pandora":

"Per essere stata la tua prima sbornia, insomma..."
Lór inarcò un sopracciglio. "Ti ho perso tra la folla, sono andata nel panico, ho rovesciato un gin-tonic addosso a una dreadlock fattissima e successivamente sono collassata sull'uscio del bagno più indecente del Nord Europa mentre Gaël Elíasson, parole sue, aveva l'uccello in mano" sbottò, riprendendo fiato. "Ho tralasciato qualcosa? Ah, sì: gli ho tirato un calcio in faccia perché ha aperto il vaso di Pandora e per punirmi mi ha pure fatto da baby-sitter, offrendomi delle patatine per smaltire l'ubriacatura".
"... Per vaso di Pandora intendi le tue mutandine imbarazzanti?"
"Comode, sono comode, non imbarazzanti".
"No, sono un cazzotto in un occhio, una purga a sorpresa, un attacco di mal di mare durante un viaggio in nave di sei ore".

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