39. Il diciannove ottobre

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Gaël possedeva il talento innato di apparire a suon di bidibi-bodibi-bu proprio quando le sue difese emotive rischiavano di assottigliarsi come fossero cartapesta; lo stesso principio sembrava valere anche per il maltempo che, come la sua sfiga, godeva nell'imprigionarla in situazioni improbabilissime. E scomode.

Fuori dal World Class semideserto, difatti, il vento si era fatto glaciale e il leggero nevischio si era inspessito a vista d'occhio. I fiocchi di neve, adesso grandi quanto il suo mignolo, si scagliavano al suolo a una velocità impressionante, il che non lasciava presagire nulla di buono. Non aveva neanche notato il brusco calo delle temperature, impegnata com'era stata a sbattere i piedi sul marciapiede e a inveire sotto voce per lasciare uscire la sua dose quotidiana di rabbia repressa.

Adesso che l'angustia non c'era più, Lór si era cucita addosso un silenzio tanto, troppo imbarazzante per una come lei che era abituata a parlare a sproposito, mentre lasciava che lo sguardo le annegasse nella cioccolata calda vomitata dal distributore – che somigliava perlopiù all'acqua di scarico di un cesso pubblico, condita con pezzi di zucchero delle stesse dimensioni di un'unghia.

Mister-dritte-esistenziali, invece, passeggiava nell'atrio con le mani ficcate nel cappotto e la camminata sbilenca. Da un'abbondante quarto d'ora, per giunta, altro non faceva che fischiare motivetti snervanti, controllare ossessivamente che ore fossero, starnutire e soffiarsi il naso come un disperato. A differenza della sopracitata scema, lui incarnava la spensieratezza in persona, nonostante il precedente fine settimana avesse letteralmente mandato a puttane tutta una serie di morali umanamente necessarie. Ma lui, detto francamente, non pareva averci dato molto peso: il problema più grande di Gaël, al momento, era fare scorta di fazzoletti.

D'un tratto lo vide interrompere quel loop di azioni –motivetto, soffiata di naso, sbirciatina all'orologio– per poi sedersi pesantemente accanto a lei. Possibile mai che in cento metri quadri di atrio ci fosse una panchina solamente?

Lóreley lo fissò un attimo con la coda dell'occhio. Aveva il naso rosso e i capelli spettinati, più corti dal ricevimento al Black Pearl. Il taglio sulla tempia, quel fantastico souvenir che si era procurato facendo dell'arrangiatissimo bungee-jumping dagli scogli della Baia, era adesso un lontanissimo ricordo, ridotto a una linea sottile e pallida.

Proprio sotto la cicatrice spiccava un neo. Non ci aveva mai fatto caso. Anche perché, l'ultima volta che entrambi avevano avuto la sfortuna di stare così vicini l'uno all'altra, lei aveva sperimentato sulla sua pelle un'ubriacatura memorabile... e notare una piccolezza simile sarebbe stato troppo complicato per il suo cervello.

"Verranno a prenderti qui?" le domandò d'improvviso con voce nasale.

Lei alzò le spalle e le sue labbra mimarono un no sordo, che era l'equivalente di in realtà sono una cretina perché ho scordato il cellulare nel borsone di nuoto ma non lo ammetterò mai perché il gene Østergaard non me lo permetterebbe.

"Sei ai dormitori?"

"No, sto da mia nonna alla residenziale".

"Ah".

"Già".

"Vuoi chiamare qualcuno? Ti presto il cellulare".

"Ahm... no. Me la faccio a piedi" biascicò Lór.

"Ma nevica".

Ma tu pensa... in Islanda non nevica mai!

"Certo che nevica. E allora?"

"Morirai assiderata".

Lór soffiò forte dalle narici. "Morirò assiderata... ma dai..."

"Vuoi uno strappo fino a casa?"

Entrambi si voltarono nello stesso istante per fissarsi; lei con la fronte crucciata e lui che tirava insistentemente su col naso. Un momento dopo starnutiva in un fazzoletto.

"Solo se sei di strada".

"Bevo-" e a stento trattenne un altro starnuto. "Bevo avviave alla Baia" ciancicò con ancora il pezzo di carta premuto sulla faccia.

"Eh?"

"Devo arrivare alla Baia, è normale che io sia di strada" ripeté Gaël, stavolta scandendo ogni sillaba pur di non sembrare un idiota raffreddato. "La residenziale non è molto distante, tranquilla. Non mi pesa".

"Se fosse stato un peso..."

"Ti avrei accompagnata comunque, non mi pare il caso di lasciarti andare a piedi con questo tempo. Mi sentirei in colpa".

"Cavolo, quanta gentilezza" esclamò l'altra, e più per sopprimere il disagio che per reale interesse inchiodò gli occhi sulla vetrina del distributore automatico, quella degli snack. Mossa sbagliatissima: affianco alle patatine in busta c'erano i plumcake, i suoi plumcake, belli e chimici a riempire tutta la prima fila.

Lui notò all'istante la leggera punta di ironia nella voce di Lór. "... Non dirmi che ce l'hai ancora per quella volta in biblioteca".

"Macché, figurati. Acqua passata" – certo, come no.

"Nemmeno per la questione della rinop-"

"Non dire quella parola".

"Beh, quando qualcosa è grande è difficile non farci caso" Gaël si bloccò un momento. Poi, come suo solito, aggiunse con le mani sollevate in segno di resa: "Senza offesa, eh".

"Infatti non ci devi fare caso, come non ci fa caso il mondo intero da vent'anni a questa parte. Perché, udite udite, basta semplicemente ignorare questa stupida gobba che ho sul naso. Vivi bene comunque, te lo garantisco".

"Non intendevo offenderti, la mia era solo una precisazione temporale".

"Peccato che tu sia seduto vicino alla più permalosa d'Islanda".

"E tu al più sincero".

"Mi verrebbe da dire schietto".

Lui soppresse un sospiro. "Ho come un déjà-vu".

"E cioè?"

"Abbiamo già avuto questa conversazione".

"Esattamente. In biblioteca".

"Penso sia il momento di fare il next step".

Lóreley poggiò il bicchiere di plastica a terra, poi si girò per intero, tirando la gamba destra sulla panchina. Ci aveva ormai fatto il callo a quei botta e risposta. "È proprio necessario?"

"Odio il silenzio, penso tu l'abbia capito".

"Illuminami, allora". 

Gaël s'intrecciò le braccia al petto e divaricò le gambe. Aveva gli occhi lucidi di febbre.

"Perché hai il setto nasale deviato?"

E ti pareva... "Da bambina sono caduta dalle scale, niente di tanto emozionante".

"Anche a me è successa una cosa simile: combo scale bagnate e infradito. Sono scivolato sul terzultimo gradino e mi sono spaccato il mento. Quattro punti. Da quel momento ho come sviluppato una fobia".

"E perché stavi correndo?"

"Ma che domanda è? I bambini corrono sempre, sulle scale e non".

"Parla per te: se lo avessi fatto io mia madre mi avrebbe riempita di schiaffi".

"Fatto sta che sei caduta ugualmente".

"Sono caduta perché ho sceso le scale a luci spente".

"... Al buio, quindi?"

Solo allora Lór capì di aver detto e fatto una stronzata epocale. "Sì... al buio".

"Chi mai scenderebbe delle scale al buio, mi domando..."

"Io sì, okay? Perché..."

La frase le morì in gola, soffocata da una fiumana di ricordi che sapeva di Bo'. Che figura ci avrebbe fatto nel dire certo che si possono scendere le scale al buio, l'importante è che con te ci sia un morto che ti sta affianco più o meno da quando ne hai memoria. E ovviamente preferì tenerlo per sé.

Gaël, che era una pettegola di natura, la invogliò a continuare con un: "Allora?"

"Allora niente. I bambini combinano un sacco di stronzate".

"Come darti torto".

Quel famigerato e odiato silenzio li avvolse senza preavviso, ma portò con sé una piccola sorpresa: l'uno che non smetteva di cercare qualcosa negli occhi dell'altra, senza eccezioni. Non ci fu niente di imbarazzante in questo, né per Gaël né per Lór. La verità era che, forse, tutti e due desideravano domandarsi altro, di andare oltre il semplice conversare per riempire un silenzio troppo ampio, ma era difficile.

Era difficile distaccarsi dall'idea che nel tempo si erano creati nella propria testa; tuttavia era comprensibile entro un certo limite: lui godeva di una reputazione al quanto discutibile e a lei, l'anonimato, calzava a pennello, come se le fosse stato cucito addosso. A conti fatti non li accomunava un bel niente... ma Testa di cervo non era della stessa idea.

"Perché tu..."

"Perché quel gio-"

Lóreley richiuse subito la bocca, Gaël si grattò una guancia.

"Stavi dicendo?"

"Ci ho... ripensato. Non ha importanza".

"Se stavi per domandarmelo un motivo dev'esserci".

Lei masticò una bolla d'aria per aiutarsi a formulare una domanda di senso compiuto, senza però rompere l'intreccio di sguardi che la intrappolava: gli occhi di Gaël erano così chiari da sembrare privi di... vita. Due specchi che non riflettevano ciò che li circondava. Due lastre di vetro opache, tanto torbide da non permetterle di guardarci attraverso. Anche se nella più remota delle ipotesi si fosse sforzata di scavare, scavare e ancora scavare per cercare al loro interno una scintilla dal vago calore umano, qualcosa le suggeriva che tutto avrebbe potuto trovare tranne che quello. E ciò, oltre che a mandarla sull'attenti ogni volta che ce lo aveva davanti, la incuriosiva. Mortalmente.

"Tu... eri cieco".

"Sì. Sì, lo ero".

"E ora non lo sei più" esalò lei, un po' incerta.

"So cosa stai per chiedermi, perciò ti rispondo subito con un: non lo so cosa sia successo, non ne ho la più pallida idea" Gaël s'irrigidì. "Credevo che tu potessi darmi una risposta a riguardo".

"E perché?"

"Perché sono tornato a vedere il diciannove ottobre".

Lóreley ci rifletté su un attimo.

Il diciannove ottobre... che facevo il diciannove ottobre?

"Non capisco come la cosa possa ricollegarsi a... me".

"Mi hai visto morire, giusto? Il giorno della cerimonia, dico".

"Sì, ma non capisco come..."

"Allora un collegamento c'è, bisogna solo scoprire quale sia". 

La fai facile, tu.

"Ora è il mio turno di fare una domanda. La Cerchia sa di te?"

Lór, d'istinto, negò col capo più e più volte, ma non poteva esserne certa al cento per cento: ora che pure Johanna aveva saputo del suo legame con Ber e gli altri, niente poteva assicurarle una protezione concreta. L'incontro con la rettrice era ancora vivido nella sua mente: era stata così diretta nei suoi confronti nel domandarle di quel che era effettivamente successo al Black... come se avesse subodorato qualcosa di anomalo nella questione.

A favore della biondissima del circondario, però, c'era da dire che le aveva comunque suggerito di mentire spudoratamente alla Benóný, malgrado gli accesi trascorsi tra le due fossero più che evidenti – vedesi capitolo Werner. L'aveva avvertita per quieto vivere, forse? Oppure Johanna si era ammattita da un giorno all'altro?

"Ber mi ha detto della Cerchia perché sa... della tua premonizione. Voleva vederci chiaro anche lei, visto e considerato che io non ne faccio parte. Tutto qua".

Prima che Gaël potesse sparare un'altra perla esistenziale non richiesta, Ísmey saltellò davanti ai due con ancora i pattini sottobraccio e la tutina per gli allenamenti sotto il giaccone verde militare. Lui, di riflesso, lanciò a Lóreley uno sguardo che voleva dire discorso rimandato, ma che suonava più come un evitiamo di parlarne con mia sorella presente che sennò non la finiamo più.

Una volta che i tre furono in macchina, la più piccola della famiglia Elías la rammollì di domande decisamente fuori luogo, del tipo perché eri al World Class se non fai pattinaggio sul ghiaccio?, oppure sai che gliel'ho mischiata io l'influenza a questo scemo?

Potevi mischiargli un po' di buon senso e socievolezza, che diavolo. 

✖ Nel prossimo capitolo, "Dita nere":

Bergljót prese a massaggiarsi la faccia senza neanche sforzarsi di nascondere una valanga di nervosismo crescente. Neanche lei sapeva da dove cominciare. "È una spire di possessione, così ho sentito chiamarla dalle più anziane. Come potrai intuire dal suo nome, non è una cosa particolarmente..." e fece una breve pausa, per poi darla vinta a un altro sospiro rassegnato. "... Non è da prendere sotto gamba. È il marchio che suggella il legame tra due anime. La tua e... quella di qualcuno all'interno del Litlaus".

Vi era mancato Mister-simpatia, vero? A me manco un po'! Però devo dire che mi sono particolarmente divertita a scrivere questo capitolo, perciò per stavolta è salvo u.u
Piuttosto, chissà cosa è successo il 19 ottobre (le date non sono messe lì in cima per bellezza, eh! Vediamo chi è il primo che ci azzecca e va a sbirciare :3)
Ricordo che il prossimo aggiornamento ci sarà l'11 aprile. 
Baciotti, corvetti!

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