40. Dita nere (pt.2)

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Con ancora il palmo tenuto aperto sulle cosce, Lóreley prese coraggio e accarezzò di nuovo, in punta di dita, le chiazze che le si avviticchiavano attorno alla mano come fossero dei rampicanti.

Le venne da chiedersi quanto in profondità avessero attecchito le radici di quella maledizione, se fossero ormai parte di lei e come avrebbe fatto, nella più remota delle ipotesi, ad estirparla - semmai ci fosse stato un modo per farlo. Certo, non aveva niente di concreto a cui appigliarsi, e prima di giungere nuovamente all'ipotesi de lo spettro senza testa cercò di fare mente locale: forse poteva trattarsi di una sorta di lascia-passare per chi aveva avuto modo di entrare in contatto col Litlaus, oppure dell'ennesima fattura del cazzo sputata da Johanna, o addirittura di una manifestazione del patto consumato con Radice, od anche...

No, no. Quelle che adesso grattava convulsamente erano dita, in tutto e per tutto, delle quali riusciva pure a distinguere l'attaccatura delle falangi e perfino la curva del palmo spiaccicato sulle sue nocche. Perdipiù, se il Litlaus avesse avuto bisogno di una sorta di ticket di entrata e di uscita, Ber lo avrebbe comunque messo agli atti quel martedì sera, includendolo nello sproloquio epocale sulle regole da rispettare prima dell'arrivo nella realtà parallela.

Secondo punto: Johanna poteva pure essere una snob egocentrica, ma pazza fino a quel punto non di certo. Che motivi avrebbe potuto avere a maledirla ancora una volta, visti i risvolti e analizzato il contesto? In fondo l'aveva salvata dalla fattura d'immobilità -forse per pena, il che non era da escludere a priori- e consigliato la manovra evasiva per eccellenza durante l'interrogatorio della rettrice, perciò non trovava credibile pensare ci fosse lei di mezzo. Le condizioni del patto con Radice, infine, avevano previsto lo scambio di un singolo capello per liberare Edith dalla sanguisuga-maleficio, niente più.

L'ultima ipotesi da prendere in esame, quindi, aveva a che fare con la presenza decapitata. Perché non ci aveva pensato prima? Perché non ci aveva dato peso, una volta fatto ritorno dal Litlaus? Perché Bo', una volta tanto, non l'aveva protetta dalla cosa che, in apparenza, sembrava essere la più pericolosa? Non ne era stato in grado, forse? Oppure non aveva percepito lo spettro come una minaccia?

A che gioco stava giocando, Testa di cervo?

Dove sei, quando ho bisogno di te?

Lóreley alzò la testa intanto che la porta del bagno si spalancava. D'istinto si portò la mano incriminata dietro la schiena e in un attimo scattò in piedi come una molla. Danielle, che era in camicia da notte e con la rivista di bricolage sotto il braccio, la fissò per qualche interminabile secondo.

"Non sei ancora a dormire?"

Gli occhi di Lóreley rotolarono un paio di volte. "Ahm... no... ma sto andando ora, tranquilla. Piuttosto: dov'è la cassetta di primo soccorso?"

Danielle le indicò la cornice di armadietti in cui era incassato lo specchio. "Dove è da sempre" disse e avanzò di un passo, adocchiando subito le bende sporche riverse sul pavimento. "Sicura di stare bene?"

Lór chiuse a pugno la mano ricucita. Sentire i punti sotto le dita, freddi e duri, la fece avvampare di panico ancora una volta.

"Sì... è solo che..."

Si ammutolì. Se quei segni erano lì dal diciannove ottobre, c'era una buona probabilità che neanche Danielle avrebbe potuto vederli. Nessuno degli infermieri all'ambulatorio ci aveva fatto caso, in fin dei conti. Forse quella sarebbe potuta essere una bella prova del nove...

La più piccola si schiarì la voce prima di asciugarsi una goccia di sudore che le colò giù dalla tempia. "Per sbaglio ho rotto la medicazione. Credevo stessi già dormendo, non volevo disturbarti. Scusa, nonna" e allungò il braccio, tendendo il palmo verso l'alto, in modo che fosse abbastanza visibile.

Dovette passare qualche secondo prima che Danielle si decidesse ad avvicinarsi a lei. Seppur per un singolo istante, le sue palpebre si assottigliarono un poco e la bocca si piegò all'ingiù. Poi, come se niente fosse, agguantò gli occhiali che le penzolavano dal collo e se il spinse sul naso.

"È guarita bene, un paio di punti sono già saltati da soli" affermò, aggiustandosi la montatura col mignolo. "Tra quattro giorni hai l'ultimo richiamo, giusto?"

Lóreley annuì.

"Non fare altre stronzate e non toglierla più, mi raccomando".

E l'anziana prese a medicarla senza dire più nulla.

Bergljót le aveva risposto con la voce ancora impastata dal sonno, grugnendo monosillabi a non finire. Lóreley si era tenuta sul vago per tutta la durata della chiamata, nonostante avesse balbettato ogni quattro parole - colpa della nottata passata in bianco. Poi, sfortunatamente per lei, era arrivata la parte più difficile: svignarsela di casa senza dover dare troppe spiegazioni.

Quando era sgattaiolata via sua madre dormiva ancora, Bjarni smanettava col microonde difettoso e Danielle ne aveva approfittato per rintanarsi da una vicina, la signora Adda, a lamentarsi e a spettegolare davanti una tazza di té.

Lór aveva raggiunto la fermata dell'autobus a stento, maledicendo la feroce nevicata del giorno prima, e si era recata all'indirizzo fornitole con l'ansia a mille. Bergljót abitava proprio nel quartiere di Laugavegur, adesso desolato a causa delle temperature rigidissime -complici anche l'inizio settimana e i molteplici pub chiusi- e distava solo un isolato dal Prikid.

La sventurata aveva azzeccato strada dopo aver girovagato a vuoto per buoni venti minuti e aver patito il freddo in posti dove pensava fosse impossibile provarlo. La casa, oltretutto, era tanto minuscola da sparire tra due condomini, con strettissime finestre bianche e divisa in due piani.

Aveva scampanellato una volta e sulla porta d'ingresso, dopo una lunga attesa che l'aveva fatta pentire di non aver indossato la sciarpa con l'orribile papavero, si era palesata una donna di mezza età, con i capelli grigi e un foulard verde acido legato attorno al collo.

Evitando scomode formalità, la signorotta l'aveva condotta in salotto senza neanche domandarle chi fosse. Dopodiché, con un cenno del mento, l'aveva invitata a sedersi su una poltrona che sapeva di cannella e tabacco, aveva infilato i guanti gialli con fare mogio ed era sparita in cucina.

Ora, Lór fremeva sul posto, ma in silenzio, come se avesse timore pure di respirare. Dopo poco, però, prese coraggio e si piegò sul fianco sinistro, lentamente, curiosando oltre l'arco che dava sul corridoio e si apriva, speculare, sull'ingresso della cucina: oltre al rumore delle stoviglie sbattute e al profumo di un dolce cotto al forno, lo sfogliare di un giornale le confermò la presenza di un terzo individuo.

Tornò dritta con la schiena quando l'uomo ripiegò il giornale con un gesto stizzito, subito dopo aver ricevuto una tazza piena di caffé. Lo aveva visto, seppur di sfuggita: naso aquilino, guance scavate, braccia lunghe, una leggera stempiatura e una chiazza di barba incolta a coprirgli metà volto. Probabile si trattasse del papà di Ber. Fortuna che non gli somigliava affatto...

Mentre Lóreley si ingegnava a sfilarsi il parka senza emettere il ben che minimo rumore, l'uomo si presentò sulla soglia del salotto con un piattino stretto tra le dita affusolate. Era così magro e ingobbito da fare impressione. Se si fosse stiracchiato lì davanti a lei, probabile che avrebbe potuto spezzarsi in due come un ramoscello.

"È un pezzo vinarterta(1). La mangi?"

Lór sbatté le palpebre un paio di volte, il braccio destro ancora incastrato nella manica del giubbotto. "Sì, ahm... grazie" balbettò, incerta.

L'uomo avanzò di un passo, si piegò leggermente e le porse il dolce con fare posato. "Sei la compagna di stanza di Ber?" le domandò ancora.

L'altra annuì con vigore intanto che pizzicava il piattino dal lato opposto. "Sì, ma non frequentiamo gli stessi corsi. Diciamo che è stato un caso se ci siamo trovate assieme" e riprese fiato. "Ma al momento non sono ai dormitori".

"Nemmeno mia figlia. Sei la prima che la viene a trovare dopo una settimana".

"Sì, mh..." Lóreley, inadatta come suo solito, poggiò il pezzo di vinarterta sulle gambe, poi allungò la mano destra, la tirò via subito dopo perché fasciata, si guardò la sinistra e trattenne a stento un sospiro.

Lui rimase comunque composto di fronte tanta goffaggine. "Sta' tranquilla, il piacere è mio. Sono Johann".

"Lóreley" gli disse, sforzandosi di sorridere.

I tonfi scaturiti da una corsa arzilla giù per le scale permisero alla povera scema di tornare a rilassarsi. Bergljót fece il suo ingresso saltellando e con ancora gli anfibi slacciati. Aveva del dentifricio all'angolo della bocca, cosa che non sfuggì a Johann. Così, con fare meccanico, Lór lo vide pizzicarla per una guancia e spazzarle via la sbavatura.

Lei, di riflesso, scosse la testa per scollarselo di dosso. "Sì, okay, papà. Dacci un taglio, per favore".

"Allacciati gli anfibi".

"E io che pensavo di tenerli sciolti..." borbottò Ber, superandolo.

"Devi uscire?"

"Sì".

"Non mettere il chiodo. Siamo sotto lo zero".

"Wow, grazie del consiglio, come se non avessi mai vissuto in Islanda prima d'ora".

Johann sospirò. "E torna prima di pranzo".

"Agli ordini, papà, sarò puntuale come un orologio svizzero".

L'uomo s'infilò le mani nelle tasche fintanto che entrambi si parlavano con gli occhi. Nonostante le stesse dando le spalle, Lóreley capì che Bergljót lo stava invitando a lasciarle sole col solo ausilio dello sguardo. Così fu.

Lór preferì non replicare un comportamento simile, insomma... meno di un giorno prima aveva accusato Anaïs di essere una pessima madre - che per la vulcanologa era stato l'equivalente di una coltellata al petto. Dunque, c'era poco e niente da giustificare o da compatire. Sperò per lei che non lo avesse quanto meno ipnotizzato, come era solita fare pur di non pagare un conto di troppo.

Bergljót rilassò le spalle prima di voltarsi. "Ciao" ciancicò, tirando su col naso. "Prima che tu mi uccida perché sono sparita nel nulla, lascia che ti dica che non è stato per mio volere. Sappi che sono ai domiciliari fino a nuovo ordine. Teoricamente".

"Per la questione del Black?"

"Per la questione del Black. Questa cosa ci sta buttando una marea di merda addosso, credimi".

"Ma riguarda Bersi, rispettosamente parlando per Gíta ed Edith" osservò Lóreley, titubante.

"La Benóný non è del tuo stesso parere" sospirò Bergljót, scuotendo la testa. "Ma lasciamo stare, non voglio pensarci. Che succede?"

Il momento era giunto. Lóreley si guardò la mano incriminata e tolse via la garza con spasmodica lentezza. Quando il palmo fu nudo e sotto il naso di Ber, quest'ultima fu attraversata da un sussulto tremendo: lo vedeva. Come volevasi dimostrare, Bergljót riusciva a vederlo. Il marchio di qualcosa che forse avrebbe fatto meglio a rimanere nel Litlaus.

"Co-" la mora si accucciò sulle ginocchia, mentre una smorfia indecifrabile le distorceva i tratti del viso. "Co-come hai fatto, è... impossibile, come è successo? Perché? Da quanto tempo ce l'hai?"

"Tu sai cos'è?"

"Certo che so cos'è!"

"Prima che una crisi nervosa mi colga e mi lasci agonizzante sul pavimento del tuo salotto, ti sarei grata se tu mi dessi qualche delucidazione a riguardo".

Bergljót prese a massaggiarsi la faccia senza neanche sforzarsi di nascondere una valanga di nervosismo crescente. Neanche lei sapeva da dove cominciare. "È una spire di possessione, così ho sentito chiamarla dalle più anziane. Come potrai intuire dal suo nome, non è una cosa particolarmente..." e fece una breve pausa, per poi darla vinta a un altro sospiro rassegnato. "... Non è da prendere sotto gamba. È il marchio che suggella il legame tra due anime. La tua e... quella di qualcuno all'interno del Litlaus".

Un brivido freddo le attraversò la schiena per intero. Che fosse una prova del legame con Bo', forse?

"Parli di ciò che è successo con Radice?"

"No, patteggiare con gli Auditori non prevede niente di tutto questo. Qualcosa ti ha toccata quando eravamo nel Litlaus?"

Lór annuì debolmente. "Sì, ma non... non ci ho dato peso. Insomma, c'era Radice davanti a me, avevo paura, e... e come se fossi andata in tilt. Pensavo di averlo immaginato, c'era così tanto casino intorno e... e ti prego, dimmi che puoi recidere il legame".

Trascorso qualche attimo, Ber mormorò: "Non avrei mai dovuto portarti nel Litlaus. Mi dispiace".

"Ti... ti dispiace? Che vuoi dire?"

"Vuol dire che non ho la più pallida idea di come fare a slegarti da questa... cosa".

Il tocco, per suggellare il legame, era perciò parte fondamentale dell'intera vicenda. Ciò che apparentemente si era legato a lei, quindi... non era Testa di cervo. Per un momento non seppe se gettarsi a terra e strillare come mai fatto in vita sua o continuare a soffrire in silenzio. Perché era stata così stupida da non accorgersene prima?

"Che succederà, adesso?"

Bergljót inspirò profondamente per riprendere possesso di sé. E, tempo di una sfarfallata di ciglia, agguantò il pezzo di dolce in biblico sulle gambe di Lór. "Le spire di possessione, come ti ho già detto, sono legami con le anime terrene e le anime morenti che abitano il Litlaus. Anime che aspettano la decomposizione del corpo materiale, in sintesi. Se la simbiosi si rafforza, potrebbe accadere che, in parole povere... tu, intesa come Lóreley Dubois a livello di coscienza, potresti... non esistere più qui".

"Verrei sfrattata dal mio stesso corpo?"

"Devo dire che oggi sei più perspicace del solito" e diede un mozzico al dolce.

"Ma è il mio corpo, cavolo!"

"Il Litlaus brulica di parassiti, pensavo lo avessi capito" la interruppe Ber a denti stretti. "Pensa a quel piano d'esistenza come un agglomerato di malattie in continuo mutamento: tutto ciò che può invadere il mondo terreno, lo invade e basta. Non è così semplice a dirsi e neanche a farsi. Ma..."

"Ma cosa?"

"Hai già manifestato qualcosa di più evidente, oltre che al marchio?"

"Non credo. Non lo so".

"Cambi d'umore improvvisi? Ricordi confusi? Visioni?"

Lóreley scosse forte la testa per negare - e per scrollarsi l'ansia di dosso. "Forse un po' di nervosismo, ma è stato un periodo stressante".

"Questa è una buona notizia: forse so come agire".

"Hai appena detto di non sapere cosa fare, Ber..."

"Io no, ma c'è qualcuno che potrebbe fare al caso nostro".

Bergljót e Lóreley si fissarono a lungo.

"Spara, anche se so che non mi piacerà".

"Beh, ecco, l'idea non alletta neanche me, tuttavia... vestiti, va', e non fare domande. Faccio una telefonata e vediamo se è reperibile".

Bergljót era un exploit di idee creative, totalmente folli e soprattutto sbagliate, e questo, Lór, aveva già avuto modo di assodarlo. Ma quando si vide trascinata di forza al Koffibarinn nel suo orario di punta e messa a tacere nel suo angolo più isolato con un altro pezzo di vinarterta ficcato in bocca, capì per la centesima volta di aver fatto male a lasciare Selfoss in nome di un sogno che di allettante, da un paio di mesi a quella parte, non aveva più nulla.

Scoccata la terza mezz'ora di attesa, Lóreley credette di implodere sul posto. Non per la pazienza giunta al limite e neanche per l'ansia: si trattava di timore, timore scaturito dalla crescita esponenziale di debiti a suo nome.

Verso di lei.

Johanna le adocchiò entrambe dall'entrata. Una volta che fu abbastanza vicina al tavolo isolato, si abbassò gli occhiali da sole griffati Dolce & Gabbana e un mezzo sorrisetto le curvò inaspettatamente le labbra.

"Ah!" esclamò. "Quindi il nostro problemuccio si chiama Dubois. Sono tutt'orecchie, dolcezze mie".

✖ Note

(1) Vinarterta: Una torta a strati finlandese, farcita di marmellata di prugne aromatizzata alla cannella

✖ Nel prossimo capitolo, "Niente di (inter)personale":

"Il resoconto più recente delle spire è datato milleottocentonovantaquattro circa. Niente che tu non sappia già: i legami parassitari creati da un'anima rilegata nel Litlaus a spese di un'altra terrena sono cosa assai rara. E l'opzione di rottura del legame, ahimé, è solo una: bisognerebbe trovare il corpo dell'anima parassita e bruciarlo prima che la simbiosi giunga a termine. In questo modo si accelera il processo di smaltimento spirituale del defunto ed è fatta".

Adesso potete lanciarmi i pomodori, sul serio, però sono stata stra-felicissima di scrivere questo capitolo! Finalmente si è capito meglio che cos'è il Litlaus (seppur sempre in minima parte) e che la sfiga della nostra beniamina non ha limiti. Se prima c'era solo Bo' a rompere le scatole, adesso le cose si complicano... curiosi di scoprire l'identità dello spettro senza testa? Sappiate che dalla precedente versione non è cambiato assolutamente nulla, perciò non allarmatevi :>

Al 17 maggio!

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