41. Niente di (inter)personale

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Johanna riacchiappò la cannuccia con le labbra e tirò un lungo sorso di milkshake al cioccolato. Poi schioccò la lingua, come se volesse gustare al meglio la dolcezza del frullato -fattore che alla sua eccentrica personalità sembrava mancare di default- e l'attimo dopo s'incastrò il viso tra le nocche.

Lóreley non percepì questa sua mancanza come un difetto di fabbrica, insomma, tutti nasciamo sotto una precisa stella e con un determinato cammino già predisposto, ma se c'era una cosa che la lasciava a corto di parole era proprio quest'ultimo punto: due mesi prima si erano minacciate a vicenda sulle scale del dormitorio, come ogni triste rivalità -tra bionda e biondissima- che si rispetti; ora, invece, Jo' la guardava come se fosse una cavia da laboratorio da vivisezionare, oppure un artefatto che avrebbe potuto fare gola a chiunque. Certo, non era cosa di tutti i giorni aver avuto la sfortuna di visitare un limbo parallelo e portarsi a casa l'intero pacchetto maledizione...

"Quindi è così" cominciò Johanna dopo un lunghissimo silenzio. "Quindi è lei che hai portato per il Decanto".

Lo sguardo di Ber si assottigliò, ma non parlò subito: sembrava stesse selezionando ciò che andava detto e ciò che avrebbe potuto omettere - insomma, chiedere aiuto a Johanna stava a significare che avevano davvero toccato il fondo.

"Non avevo alternative, dovevo agire. E non sapevo a chi rivolgermi senza causare un incidente diplomatico".

Jo' sollevò un sopracciglio e indicò con l'indice smaltato un'ovvietà talmente scontata da essere imbarazzante: un incidente diplomatico c'era stato eccome, era innegabile... e adesso mangiava la vinarterta facendo briciole ovunque, seppur il suo stomaco avesse adesso le dimensioni di un pugno.

"Una non-battezzata nel Litlaus, Bergljót. Una fottuta non-battezzata a un patteggiamento con un Auditore. Fa già ridere così" le sibilò in risposta, cadenzando, più nel particolare, l'assonanza non-battezzata per accentuare la drammaticità della situazione. "Hai mentito a mia nonna, ti rendi conto? E se lo venisse a scoprire? Come ti comporteresti? Ti ricordo che ti ha già fatto assaggiare qualcosina quel giovedì pomeriggio e non penso che sia stato gradevole quanto un massaggio shiatsu".

"Tu stai facendo la predica a me? Sul serio?"

"Appunto: ecco un'altra cosa divertente".

Ber si allacciò le braccia al petto e lasciò vagare lo sguardo altrove, oltre il banco allestito coi dolci del giorno. L'attimo seguente, stizzita, infilò la mano nella giacca verde militare ed estrasse un pacchetto di gomme alla cannella. Le cose potevano perciò essere due: o aveva una maledettissima voglia di fumare da tenere a bada, oppure masticare qualcosa -che non fossero insulti- avrebbe garantito la buona riuscita della contrattazione. E Lóreley non poté che essere segretamente d'accordo con l'ultima opzione.

"Smettiamola di girarci intorno, so già di aver fatto una stronzata memorabile. Credo che il mio momento di pareggiare i conti arriverà presto".

"Lo dirai a mia nonna?"

"Oppure sarai tu a dirglielo?"

"Non sono più il suo uccellino, Bergljót: il tempo delle spie è finito da un po'".

"Allora diamoci un taglio e vediamo come risolverla" sbottò Ber. "Sempre che ci sia un modo per farlo".

Johanna trasse un profondo sospiro e chiuse momentaneamente gli occhi. Dopodiché li sfarfallò con dolcezza un paio di volte, le ciglia lunghissime e impregnate da un folto strato di mascara.

"Chi ti dice che io abbia la soluzione a questo piccolo inconveniente?"

"Devo proprio dirlo?"

"Mi fa sentire importante, dolcezza. Perciò procedi pure".

Ber rotolò gli occhi pur di non mandarla a quel paese. "Hai accesso agli archivi della Cerchia, cazzo. Della documentazione sulle spire di possessione dev'esserci da qualche parte" ciancicò. "Sai che per me non è possibile avvicinarmici".

"Ovvio che non puoi: sei un pericolo pubblico. Insomma, lasciarti entrare lì dentro sarebbe come riempire una ciotola di croccantini e gettarla in una stanza piena di cani affamati".

"Mi stai dando della stupida?"

Jo' si coprì la bocca e scandì un risolino acuto. "Al contrario: sarebbe rischioso. Mia nonna non è una sprovveduta... conosce bene i suoi polli. Non a caso questa trattativa potrebbe mettere me in guai seri".

"Senti, Jo'..."

"Cosa vuoi in cambio?"

Entrambe si voltarono all'unisono per fissare Lór. Lei, con calma glaciale, si pulì diligentemente la bocca col tovagliolo spiegazzato, bevve un grosso sorso d'acqua, poggiò il bicchiere alla sua destra e portò le mani sul tavolo, sistemando di proposito quella fasciata in direzione della biondissima. Se c'era una cosa che aveva capito di Jo', ma che teneva ben saldi tra loro pure il Litlaus e la Cerchia da chissà quanto tempo, era che ogni cosa ha il suo prezzo: una vita per una vita, una morte per una morte, un giuramento fedele per ciò che più si desidera al mondo. Niente deve esser mai dato per scontato e i debiti vanno riscossi e ripagati prima di ogni scadenza, se non si vuole perdere più di quanto si è ottenuto. E, difatti, gli occhi di Johanna si riempirono all'istante di una luce strana, cupa e, oltre ogni logica, umana per natura: aveva fatto centro. Lór era riuscita a schiacciare il bottone giusto.

"Mi leggi dentro, Dubois. Ma lascia che ti spieghi più nello specifico come la penso: le relazioni interpersonali sono efficienti proprio per questo motivo, lo scambio di fattori immateriali e materiali è continuo e costante. Evolve nel tempo, muta, cresce, s'intensifica. Se ciò viene a mancare è un bel problema... ad esempio: che senso ha continuare a coltivare un terreno arido se questo non darà più nulla a priori?" le disse e, piegando leggermente la testa di lato, un boccolo spaiato le tagliò il volto a metà. "Ergo, sì: non svendo i miei favori alla modica cifra di l'ho fatto per sentirmi in pace con me stessa. Penso sia normalissimo voler sempre ottenere qualcosa in cambio. Non sei d'accordo con me?"

Certo che era d'accordo con lei. Ovvio: l'irrecuperabile resta irrecuperabile. Un rapporto rotto, rovinato e consumato ha ben poche possibilità di rinascere. Non è questione di dedizione, di cura, di affetto oppure di forza di volontà; se la controparte non dà segni di vita, allora vuol dire che è finita e che sforzarsi a lottare per due è solo una perdita di tempo. A volte una rottura può accadere per volere di entrambi, in altre e nell'immaginario collettivo per capricci di Dio, nelle restanti probabilità per colpa di milioni di sfortune esterne. Tutto sta nella logica umana: se puoi offrirmi, io prendo. Se posso offrire a mia volta, tu rubi, divori e ti sazi. Così tutto si rinnova. Così tutto muore e torna inevitabilmente a generarsi.

Senza rendersene conto, Lór aveva fatto un paio di cenni con la testa, scuotendola dall'alto verso il basso. Dire apertamente di davanti a Ber sarebbe stato meschino... tuttavia le priorità, al momento, erano altre. E alimentare le manie di onnipotenza di Johanna rientrava tra queste. Forse.

Jo' sorrise ancora. Dalla pochette di paillettes tirò fuori un taccuino delle stesse dimensioni di un pacchetto di sigarette, e si leccò il pollice prima di cominciare a sfogliarlo alla velocità della luce. Si fermò, decisa, proprio nel mezzo -dove c'erano accozzate in un'unica pagina una marmaglia di informazioni che Lóreley non avrebbe potuto comprendere neanche impegnandocisi- e lasciò scorrere l'unghia rossa lungo tutto il primo paragrafo.

"Non servirà entrare negli archivi, anche perché l'ho già fatto. Sapevo che avreste accettato a priori, data l'urgenza della questione. Tu" e trafisse Ber con una lunga occhiata. "Tu sei abbastanza prevedibile, sappilo".

"Taglia corto".

"Il resoconto più recente delle spire è datato milleottosettantaquattro circa. Niente che tu non sappia già: i legami parassitari creati da un'anima rilegata nel Litlaus a spese di un'altra terrena sono cosa assai rara. E l'opzione di rottura del legame, ahimé, è solo una: bisognerebbe trovare il corpo dell'anima parassita e bruciarlo prima che la simbiosi giunga a termine. In questo modo si accelera il processo di smaltimento spirituale del defunto ed è fatta".

Bergljót deglutì. "Stai scherzando? Certo che è impossibile, è una follia! Lóreley potrebbe esser stata toccata da chiunque. Non possiamo neanche esser certi che il cadavere da smaltire sia qui in Islanda".

"Questo è vero, verissimo. Ma, cara, stay positive, no? Che diavolo. Probabile che la nostra qui presente sfigata abbia attirato su di sé l'attenzione di qualcuno di specifico. Che so, magari un parente. I legami di questo tipo nascono solo per forzatura ed è raro che siano frutto del caso. Forse qualcosa deve averla percepita e cercata mentre era nel Litlaus, il che non è da escludere".

Lór incassò il capo nelle spalle. "Perché il marchio del legame non può esser visto da chiunque?" domandò, la bocca ancora pregna del sapore dolce della vinarterta.

"Solo chi ha avuto accesso al Litlaus può vedere quello che è del Litlaus. Queste sono le condizioni. Altrimenti, beh... noi della Cerchia non avremmo motivo di essere così orgogliosi di questo privilegio, no? Vedilo come un diritto di... esclusività" le spiegò Johanna, tirando verso di sé il bicchiere col milkshake. "Ma di esclusivo, per te, non ha proprio nulla. Non in questa situazione" e bevve con gusto gli ultimi rimasugli.

"Perciò? Che si fa?" intervenne Ber.

"Lascia che veda la spire".

Lóreley tolse le bende e porse la mano, stando attenta a non esporla troppo. Johanna gliela osservò con palese interesse: sì, per lei doveva essere più un gioco che una questione di vita o di morte.

"È agli inizi. Quanto tempo è trascorso?"

"Il diciannove novembre sarà un mese" mormorò Lór.

"Tra meno di due settimane, quindi. Mh. E sei riuscita a vedere lo spettro in volto?"

"Ecco... non aveva la testa".

"Cristo santissimo, certo che la tua sfiga non ha limiti" esclamò la biondissima, sollevando gli occhi al soffitto, da cui penzolavano decine di lampadine in barattolo. "Questo complica le cose, ma rimaniamo coi piedi per terra - finché possiamo. Suggerirei di agire così: Dubois, so che non ti piacerà quello che sto per dirti, tuttavia è necessario. Resta vigile e annota ogni più piccola stronzata che può sembrarti anomala. Parlo di sbalzi d'umore, pensieri incoerenti, sogni particolari, cambi improvvisi di abitudini; insomma, se c'è qualcosa che sai che non è da te, appuntalo. L'importante, al momento, è conoscere con chi hai a che fare. Il resto verrà da sé".

Lór mandò giù a stento una palla d'aria. D'un tratto si era sentita soffocare. "D'accordo. D'accordo, ci proverò".

"Non devi provarci: devi riuscirci. Chiaro? Non farmi pentire di averti salvato la pelle la volta scorsa. Sappi che devi ancora scontarmela, quella in particolare".

Johanna l'aveva detto con una veemenza tale da lasciarla spiazzata. Prima di piantarle in asso e sparire, quest'ultima si voltò con un sorriso raggiante - tutto per Bergljót.

"Ordunque, passiamo alla parte della contrattazione che più preferisco. Hai programmi per stasera, Ber?"

"No".

"Bene: perché so già come riscuotere la prima parte dello scambio".

La povera interpellata gonfiò una bolla rosa, poi la scoppiò coi canini. "Sono tutta orecchie" mugugnò.

"Diciamo che le mie finanze sono un po' al limite, ultimamente. Per fartela breve: paparino ha chiuso il rubinetto. Capita. Ma si dia il caso che tu saresti perfetta per una cosuccia".

"Ti ricordo che se sono alla Fær Øer non è per i soldi del mio, di paparino, ma perché è andato strisciando da tua nonna pregandola di chiudere un occhio sulla retta annuale".

"Per il momento ci mettiamo una pietra su, te lo giuro. Perciò te lo chiedo comunque: mi porti a cena fuori? Magari da Apotek".

Bergljót sollevò un sopracciglio. "Vuoi davvero che io mi indebiti con u-... oh. Ah".

"Non devi indebitarti per me, ci mancherebbe, non sono caduta così in basso" Johanna si calò sul viso gli occhiali da sole e scrollò vivacemente i fianchi. "Non devi neanche pagare. Cioè, non dobbiamo per forza. Fai quella cosina con gli occhi, no?"

"Tu sei..."

"Assolutamente perfetto. Tutto deciso. Passo a prenderti alle otto. Mi raccomando, sii puntuale, dolcezza" disse, mentre si allontanava ancora sorridente. "Diavolo, che cazzo: perché non l'ho chiesto io un dono così a mamà. A quest'ora avrei potuto fare jackpot ovunque" ragionò a voce alta.

Bergljót si massaggiò furiosamente il viso, arrivando pure a tirarsi i capelli dalla rabbia. Lór prese ad accarezzarle una spalla per solidarietà. Un minimo, almeno, glielo doveva.

"... Andrà bene".

"Andrà bene? Certo, naturalmente. Ma in fondo di che cosa posso lamentarmi? Sto per portare a cena fuori la più stronza e ambita dell'intera Fær Øer" le borbottò in risposta, appicciando la cicca ormai insapore sotto il tavolo. "Non so se sentirmi onorata oppure se architettare un omicidio entro le otto di stasera".

✖ Nel prossimo capitolo, "Le cose che Dubois non farebbe mai":

Lór si sforzò di credere si trattasse soltanto di un caso, di una stramba e maledetta coincidenza, tuttavia il suo leggero ripudio fisico alla cannella parlava chiaro. Per anni sua madre le aveva categoricamente vietato di avvicinarsi la vinarterta proprio a causa di quella spezia e lei, di riflesso, non aveva mai avuto motivo di desiderarla. Quello stesso pomeriggio, però, l'aveva mangiata con gusto, come se ne avesse sempre conosciuto il sapore, l'odore e la consistenza.
L'aveva fatto d'istinto e senza darci troppo peso. Come un'idiota.
Come se non fosse stata lei a deciderlo.

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