46. Prendere atto, profanare, smaltire (pt.1)

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"Questo è il mio dono. Apparentemente la penalità s'innesca nello stesso istante dell'attivazione: è la cecità. Sono quindi fisicamente debilitato, in quanto non ho percezione visiva di ciò che mi accade attorno, ma posso vedere dagli occhi di chi ho toccato. E questi restano ignari della cosa, o almeno in parte. Alcuni avvertono un peso addosso anche se mi sono vicini e basta, simile una pressione esterna, o a un senso d'inquietudine. Ma non è mai stato un problema: l'ansia è un fattore comune, abbastanza comune, a livello sociale soprattutto".

Lóreley chiuse e riaprì gli occhi ancora una volta, senza però distogliere lo sguardo da quello assente di Gaël: l'azzurro ghiacciato delle sue iridi, adesso diluito, si era tramutato in una landa nevosa e desertica, la stessa che ricopriva la parte più a Nord dell'Islanda.

Non c'era niente in quegli occhi, tralasciata quella desolazione grigio-bianca che dava i brividi se fissata troppo a lungo. Forse, come aveva sempre pensato di lui, non c'era mai stato nulla di concreto da cercare al loro interno - solo vite frammentate, sempre di legittima proprietà di terzi. Vite che, forse per sopravvivenza o per semplice curiosità, osservava come uno spettatore silenzioso, mai realmente partecipe della cosa.

"L'unica seccatura è che devo toccare nuovamente, nello stesso punto, il portatore della mia vista" continuò, e la sua mano corse sul bordo basso della camicia a scacchi che indossava. Stirò col palmo una piega fastidiosa: manco a farlo apposta, Lór ci si era focalizzata su per qualche secondo. "Altrimenti... beh, resto fregato. In tutti i sensi. I gjöf vertono attorno alla concezione dell'anima, una concezione che è essa stessa l'essenza del Litlaus. Ragion per cui devo essere cauto e conoscere bene chi ho davanti".

Lóreley deglutì e mille spilli ghiacciati le trafissero la trachea. "Quindi non stai negando che hai usato il tuo gjöf su di me" disse e la voce le si spezzò sulla fine.

"Non l'ho fatto, ma a quanto pare ne hai percepito la pesantezza. Davvero strano. Sei la seconda a cui è capitata una cosa simile".

"Perciò..."

"Non ti ho spiata, se è questo che vuoi sapere. Non era mia intenzione usarlo a lungo termine su qualcuno, ero tornato a vedere da pochissimo, appunto dal diciannove ottobre: rischiare a tempo indeterminato non era nelle mie prerogative. Non ti conoscevo affatto, non sapevo se ti avrei incontrata ancora - non che le cose ora siano effettivamente cambiate".

"E il messaggio di Ber, allora? Come lo hai letto? Da quel che ricordo mi hai toccata. Sulla spalla".

"No, quello l'ho letto coi miei, di occhi. Avevo lo schermo proprio sotto il naso..." le labbra di Gaël si piegarono all'ingiù e scrollò le spalle, in un gesto che sapeva di presa in giro: era straordinario come, in un momento così delicato, non perdesse tempo a sottintendere quanto lei fosse scema. E ingenua. E veramente, ma veramente fuori luogo.

"Ed è lì che hai cominciato a dubitare di me?"

"Ho sempre avuto dubbi su di te, non nego neanche questo. Bergljót ti aveva scritto della convocazione della Cerchia come se stesse parlando di un appuntamento dal dentista. Ergo: lasciando intendere dell'ovvio, che tu sapessi tutto quello che c'era da sapere. Alla serata evento del Prikid mi hai parlato della premonizione e l'incertezza è cresciuta a dismisura. Infine, al World Class abbiamo discusso della questione del diciannove ottobre e lì ho capito che le coincidenze stavano diventando inverosimili".

"Ma il punto è che ho ricordato di essere entrata nel Litlaus solo dopo esserci incontrati al World Class".

"Appunto: a quanto pare le coincidenze sono spaventosamente vere ed è stato tutto uno spiacevole malinteso".

Lóreley s'irrigidì un poco non appena Gaël le si avvicinò quel tanto per toccarle nuovamente la spalla. Un attimo e la cecità si annullò, così come si attenuò il costante senso di agitazione che le aveva pervaso la carne. Fu bello poter tornare ad essere una e basta - per modo di dire.

"Adesso lo chiami spiacevole malinteso? Sei serio? Cinque minuti fa stavi dando i numeri".

"Che devo dirti? Sei un'ingenuotta - senza offesa. È ovvio che non stai con la Cerchia: me ne hai appena dato la prova".

"C'entra il mio sproloquio sull'onestà, per caso?"

"In parte. Hai detto che se ti avessi mentito saresti corsa a dirlo alla rettrice. Peccato, però, che hai tralasciato un particolare importante, una piccolezza che avresti dovuto sapere a priori. Io sono già stato letto da Gíta" le spiegò, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans. "Anni fa. Ma diciamo che nessuna informazione è trapelata dalla sua bocca".

"Che intendi dire?"

Lór formulò quella domanda senza pensarci troppo, anche se sospettava che la risposta, inverosimile tanto quanto lo era il dono di Gaël, l'avrebbe lasciata a corto di speculazioni e sentimenti. Seppur per un momento e involontariamente si figurò Gíta nella capoccia: capelli a caschetto, orecchie sporgenti e la faccia disgustata di chi sa di non voler più affidarsi al genere umano, neanche sotto tortura.

Con fare ingenuo, la compatì a distanza. Anche se la compassione era l'ultima cosa sulla faccia della terra di umanamente utile per Gíta.

"I vizi di Bersi sono arrivati alle orecchie di mio padre. Una parola sul mio dono, un'altra parola su di lui. Per questo è stato chiesto a Gíta di mentire a lettura completa. Ma, come si suol dire: la ruota gira per tutti. Neanche questo piccolo scambio di favori ha salvato il pastore. Alla fine ci ha pensato il tempo a punirlo".

Ecco, appunto.

"Tuo padre ha taciuto su... tu hai taciuto...?"

"Non ne ero al corrente. Si trattava di questioni esterne, questioni da grandi. Quando sono stato sottoposto alla lettura avevo tredici anni, Gíta otto".

Lór distese le labbra in un sorriso sottilissimo - più che sorriso, sembrava stesse avendo una colica renale. Sapeva benissimo dove lui voleva andare a parare, che era più o meno l'argomento standard di ogni sua conversazione con chiunque sottintendesse l'esistenza della Cerchia in Islanda.

"Fa abbastanza schifo, lo so. Proprio per questo la mia idea di marciume rimarrà sempre e comunque questa: nonostante io sia parte della Cerchia per diritto di nascita, più riesco a discostarmene e meglio è. I giochetti di potere della Benóný e tutto il contorno del cazzo che si porta dietro non li voglio. Non è una realtà che voglio vivere, anche se a breve diventerà anche la mia. Forse".

"Ed è per questo che sopravvivi".

"Sì, ma non è indispensabile che tu sappia il perché, perciò smettila di girarci intorno. Hai saputo fin troppo per i miei gusti".

"Però è stato indispensabile che tu mi mostrassi la tua dote. Stai comunque correndo un rischio: sono disperata e lo ammetto col cuore in mano".

"Non direi. Adesso sono io ad avere il coltello dalla parte del manico".

"Ah, sì?"

"Sì".

Lóreley si passò la lingua sui denti. "Sentiamo".

"Hai bisogno di un nome, un nome che, per tua sfortuna, so. Quindi: tu non dici niente sul mio gjöf, che era inevitabile arrivassi a scoprire, e io ti dico quello che so sullo spettro. Accordato questo, avanzo un semplicissimo patto secondario: se necessario, e lo sarà per certo, tu mi aiuterai a trovare e a smaltire la testa. Ad ogni costo. D'accordo?"

Gaël glielo propose con la stessa facilità con cui s'invita una ragazza al cinema, ma non ci fu nessuna traccia di euforia o d'imbarazzo nel suo tono di voce.

D'altro canto, Lóreley sentiva di star per implodere sul posto. Quella proposta se la sentì sbattere prima in petto, vicino al cuore, poi risalire come una scarica elettrica fino ad arrivare al cervello: e proprio lì si scatenò il solito exploit di informazioni non comprensibili per una non-battezzata alla Cerchia, il centesimo fallimento in meno di due mesi.

Che stupida era stata a pensare che tutto si sarebbe risolto con lo svelamento di un'identità. Presa dal panico e dalla paura aveva volontariamente omesso a se stessa i tre punti cardine -e agghiaccianti- che le avrebbero permesso di separarsi dallo spettro. In ordine logico suonavano più o meno così: prendere atto dello schifo di essere umano che si stava accingendo a diventare, profanare una probabile tomba senza provare alcun tipo di rimorso e prendersi la briga di sfrattare, prima del dovuto dal Litlaus, un'anima che aveva già sofferto abbastanza.

E pensare che Johanna e Ber le avevano parlato dello smaltimento come se fosse cosa normale. Certo, per loro che erano cresciute a cavallo tra due dimensioni poteva anche starci una percezione snaturata della morte, ma lo stesso non poteva dirsi di lei che era abituata a conservare una memoria, che era stata educata al rispettare il silenzio durante le veglie funebri e al piangere per esorcizzare una perdita.

Dalla sua aveva quindi un tornaconto da pura egoista che le avrebbe permesso di dormire sonni sereni, almeno fino al prossimo funerale. Johanna e Ber, invece, tutto l'opposto: possedendo per natura una sorta di esclusività, si acchitavano per benino e accettavano qualsiasi invito mosso da parte della morte in persona. Che si fosse trattato di un patto, di un appuntamento al buio, di appellarsi a un defunto oppure di scommettere una manciata di anni a tavolino, tutto era perennemente avvolto da un alone di bieca normalità.

Ciò, tuttavia, non giustificava i partecipanti alla Cerchia né tanto meno lei, che si era trovata nel mezzo di quel fuoco incrociato da un giorno all'altro.

Dunque, nel breve silenzio che seguì il colpo basso di Gaël, Lóreley analizzò nuovamente i punti della lista profana, ora indecisa sul da farsi. Qualcosa continuava a non tornare. Insomma, una volta saputa la locazione della sepoltura tutto sarebbe stato un gioco da ragazzi e liberarsi della spire altrettanto facile. Concezioni etiche e morali a parte, l'oggetto da smaltire era soltanto una testa e...

"Aspetta" Lór sollevò il capo di scatto e i capelli raccolti nella coda le frustarono la schiena. "Aspetta un minuto. Che vuoi dire con tu mi aiuterai a trovare e a smaltire la testa? Trovare? Perché?"

Gaël sbatté le palpebre una volta soltanto, lo sguardo di nuovo assente e distante. "Non ci arrivi?"

"... Quindi non era metaforica la cosa? Del ritrovare la testa, dico. Insomma, era tutto così confuso... quando lei mi ha parlato".

"Ah, a quanto pare... no".

"Quindi non c'è una tomba?"

"Ovvio che c'è una tomba e c'è stato anche un funerale. Il problema è che le sue ceneri sono state sparse sulla costa per volere dei suoi genitori".

"E nella tomba non c'è una test-... oh".

Il ragazzo continuò a guardarla con la stessa intensità di un morto senza occhi. "Se la persona in questione che si è legata a te è chi penso che sia, allora... è più complicato di così".

Lóreley strinse i pugni. D'un tratto aveva dovuto ignorare il bisogno di stropicciarsi i lobi, slacciarsi pure la scarpa destra e canticchiare a voce alta Don't speak.

"Come sarebbe a dire che...?"

Gaël tirò su col naso. "L'accordo" le ricordò, senza mezze misure. "Prima accetta l'accordo. Io ti dico il suo nome, ti racconto di lei e tu mi aiuti. Solo questo".

La mano che le venne offerta sembrava aver tatuato sulle nocche prendere o lasciare.

Lei, per la prima manciata di secondi, non si mosse manco per sbaglio. Poi lo stomaco brontolò, ricordandole che vivere ancora per qualche giorno mangiando solamente della vinarterta le avrebbe procurato una reazione allergica stratosferica, una di quelle mai viste. Per il momento ne aveva abbastanza di visite e ospedali.

Quando le dita di Gaël le avvolsero il palmo stritolato dalla spire, Lór dovette respirare profondamente per mantenersi calma.

"Okay" sillabò in un mormorio, più per farsene una ragione che per dargli ulteriori conferme. "Okay, ti aiuto" e si concentrò sulla scarpa slacciata. "Qual è il problema?"

"È vero, il pezzo di lei che è qui non le permette di andare oltre. Il problema è che nessuno sa dov'è. Nemmeno io".

"Perché?"

"Perché Dísella è stata uccisa da Paskúm tre anni fa".

Nella testa di Lóreley, il jingle che annunciava la fine della pausa pranzo rimbombò distorto e lontano: aveva appena siglato l'accordo più disperato e sbagliato di sempre.

Al di fuori del Litlaus.

... Continua

Okay, ora potete odiarmi, soprattutto perché mi piace concludere/dividere i capitoli proprio sul più bello. Ma il prossimo aggiornamento non tarderà ad arrivare, I promise <3
Ordunque, finalmente ci siamo! Paskúm è stato tirato in ballo e lo spettro ha finalmente un nome: ebbene sì, la tormentata alla ricerca della sua testa è Dísella Stewart, che a quanto pare sembra aver avuto un legame con Gaël e il suo dono u.u
Ma ciancio alle bande e mi dileguo con una manciata di nodi spicciati e un'altra caterva di disastri da scrivere, SIGH. Sappiate solamente che manca davvero poco alla fine (e per poco intendo una quindicina di capitoli o giù di lì) perché il filo narrativo legato a Paskúm rappresenta l'ultimo per Litlaus. Quasi non ci credo - e quasi mi vien da piangere!
Ma c'è ancora tanto da scoprire, soprattutto per quanto riguarda Testa di cervo e la Cerchia :3
Vi auguro una buona estate, corvetti!

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