46. Prendere atto, profanare, smaltire (pt.2)

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

"A parlarne ora mi fa quasi ridere. Però viverlo è stato piuttosto grottesco, non lo nego: tutto, in sintesi, altro non ha fatto che girare in tondo" e Lór si zittì un momento, soffermandosi brevemente sulla stilografica. "Tutto, in meno di tre mesi, è tornato al suo punto di partenza, al mio giorno di ammissione alla Fær Øer. Mentre parlavo con Gaël nella mia testa c'era di nuovo il palco, la vetrata di ben novantaquattro anni, la sua cecità, le famiglie dei miei amici che a lungo mi erano sembrate intoccabili e Dísella. Ma lei in particolare non sarebbe dovuta esserci. Non qui, almeno. Non in questa porzione di mondo".

Un timido fascio di luce s'insinuò tra le nubi temporalesche diradandone il grigiore e pigramente si andò a poggiare sul profilo spigoloso di Audrine, tuttora contratto in una smorfia confusa e interdetta. A quel timido contatto, una manciata di strisce nere le occuparono la parte sinistra del volto, accentuando la ruga d'espressione sotto l'occhio. Il bagliore, tuttavia, non arrivò mai a toccare Lóreley, ancora tesa in avanti e con le braccia poggiate sulle ginocchia. Sembrava stesse sostenendo sulle spalle i mille pesi del mondo intero, non una seduta psichiatrica prescritta per il suo bene.

"Ho sempre avuto l'impressione di non avere il controllo sulla mia vita. Niente di ciò che ho deciso di fare è mai andato a buon fine. Era come se non mi spettasse arrivare a un probabile traguardo da vincitrice, come se non lo meritassi per davvero. Ma quando Gaël mi ha mostrato il suo gjöf e parlato del suo legame con , ho capito che ormai c'ero dentro fino al collo e che non sarei più potuta tornare indietro. Per questo ho accettato e sono andata in fondo alla faccenda. Dovevo sapere e dovevo capirmi. Non desideravo altro".

Desideravo. Desiderare. Desiderio. La parola desiderio produsse uno strano suono non appena varcò la bocca di Lór e poco c'entrava il radicale inasprimento delle vocali, tipico della madrelingua islandese della ragazza. Era palese avesse tentennato un attimo, Audrine lo aveva percepito nonostante la confusione crescente e il brusio che le vibrava accanto ai timpani. Quello della sua paziente era un francese quasi perfetto, ma di tanto in tanto le scappava qualche marcatura più aspra quando pronunciava i nomi dei suoi amici e questa si dilungava di giusto qualche parola. Poi tutto tornava inaspettatamente alla Francia, a loro due, all'attualissimo presente e al racconto più folle che la dottoressa avesse mai avuto la sfortuna di ascoltare.

Lì, intrappolata nell'alone gradevole di quell'unico raggio di sole, Audrine grugnì di gola per schiarirsi la voce. Poi le labbra si schiusero senza preavviso, rimaste cucite tra loro dall'ennesimo e lungo silenzio. Un silenzio voluto, certo, e programmato, ma estenuante da tenere a bada per una come lei. Perciò si sforzò di selezionare con cura le parole da dire, rubando un altro pugno di secondi al tempo stesso, mentre Lór la invitava con gli occhi a chiedere ciò che andava chiesto.

"Chi era Dísella?"

"Una che ha avuto la sfortuna di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Come me".

"E cosa l'ha resa la vittima perfetta di Paskúm?"

Audrine aveva formulato quella domanda con una naturalezza tale da infastidirla. L'emotività, tuttavia, venne frenata in tempo dalla presenza di Bo' - per quel poco che gli era concesso di fare. Quando il fastidio si dissolse alla stessa velocità con cui era sopraggiunto, Lóreley abbassò lo sguardo e si guardò le mani, più precisamente il palmo della destra, adesso rivolto verso l'alto. Il taglio da sei punti del Samkaup è oramai ridotto a una sottilissima linea traslucida, simile a quelle cicatrici che ricordi di avere solo quando ce le hai sotto il naso.

Ne percorse tutta la lunghezza con l'indice smaltato una, due, tre volte, la calma che era tornata a regnare sovrana in lei. Infine sigillò il pugno, chiuse all'unisono pure gli occhi, e la mente affollata dai dolorosi ricordi si tinse infine di nero, come nera era stata in principio la spire che le aveva tenute insieme.

E pensare che Dí era stata lei e lei era stata Dí poco meno di due anni prima.

E pensare che Dí, come le altre quattro finite nel dimenticatoio in seguito a una follia collettiva che da millenni avvelenava l'intera Islanda, era morta ingiustamente.

A causa sua.

A quella domanda Lór rispose con un'altra domanda.

"Cosa sa lei di Paskúm?"

"Poco e niente".

"Non si è informata?"

"Ho letto giusto qualcosa".

"Che cosa ha letto?" rincarò la paziente.

"Il necessario".

"Il necessario per affrontare le nostre sedute?"

"Esatto. Il necessario per le nostre sedute".

"Quindi concorda sul fatto che Paskúm è stato un serial killer".

"Il suo modus operandi parla chiaro, la selezione delle vittime anche" dichiarò Audrine, senza scomporsi. "Perciò te lo chiedo di nuovo: cosa ha reso Dísella una vittima di-..."

"Me lo sta domando come se voglia insinuare che Dì lo abbia meritato".

Audrine scosse meccanicamente la testa mentre Lór ancora parlava. Attuò quindi una manovra necessaria, correndo subito ai ripari: le stava parlando di Dí come se l'avesse conosciuta per davvero, il che la costrinse ad assecondarla, seppur in un certo senso riluttante.

Ora che c'era, Lór doveva continuare il suo racconto e portarlo a termine. Che fosse inverosimile o meno, era comunque giusto starla ad ascoltare... era lì per quello, in fin dei conti.

"Nessuno merita niente di simile" dichiarò infine, dopo averci riflettuto su il giusto.

"E io le ripeto che è solo stata sfortunata. A Dísella devo tutto, tutto quanto. È morta perché Paskúm cercava qualcosa che semplicemente lei non possedeva affatto, come non la possedevano Óda, Alína, Eres e Haddý. Sempre quel qualcosa, però, lo ha indotto a pensare il contrario ed è qui che le cose si fanno ancora più complicate".

"Perché?"

"Perché Paskúm stava cercando il dono della vǫlva per conto della Cerchia, andato perso nel milleottocento novantauno durante la Notte dei Fuochi" Lóreley sollevò le palpebre e la guardò come se non lo stesse facendo per davvero. "I suoi non erano omicidi seriali, ma tutt'altro: si trattava di sacrifici. Sacrifici umani per l'Albero del Litlaus".

Il sole sparì ancora una volta e nella stanza piombò l'ennesima pellicola incolore ad avvolgere ogni cosa.

"Mi sono sempre lamentata della mia sfortuna, ma non è mai stata paragonabile a quella che ha travolto Óda, Alína, Eres, Haddý e Dí. Io sono ancora viva, loro no. E lei non può neanche immaginare quanto io rimpianga questo".

Un piccolo spasmo attraversò la guancia della dottoressa. Aveva capito.

Aveva finalmente capito.

Assecondala.
Ascoltala.

"Nel milleottocento novantauno scompare nel nulla il dono della vǫlva" Audrine adesso parlava con la voce ridotta in un sussurro. "Nel milleottocento novantauno qualcuno, presumibilmente il nuovo portatore della dote stessa, patteggia con Radice per avere un tuo capello".

"L'ultimo patto prima di morire. Esatto".

"Il richiedente era Bodvár, giusto?"

"Giusto".

"Per cui sapeva tutto".

"Lui ha sempre saputo tutto. Di questo futuro, dico. Bodvár ha stretto patti su patti per arrivare dove è ora".

"Paskúm, d'altro canto, comincia ad operare esattamente novantasette anni dopo".

"Nel marzo del millenovecentonovantadue. Di lì a poco io avrei compiuto un anno".

"E le sue vittime...?"

Lóreley ricominciò ad accarezzarsi la cicatrice sul palmo. "Due tirocinanti compagne di corso di mia madre, Óda e Alína; Eres, una vulcanologa già affermata in Islanda ed Haddý, un'antropologa in erba. Dí, invece, è figlia di un'illustre antropologo americano chiamato proprio per l'occasione: Charles Stewart, marito di Hilda, la mia professoressa del corso d'incisione. Le storie delle cinque collidono proprio col sopralluogo all'Hekla avvenuto nel '90 dopo una minaccia di eruzione. In quelle settimane è stato ritrovato il corpo mummificato di un uomo proprio sotto le pendici del vulcano, in un cunicolo. Sto parlando del tipo rinominato il Protettore dell'Hekla. Mia madre è stata la prima ad avere un contatto con lui, poiché è caduta all'interno di un'insenatura durante un'esercitazione notturna. Il corpo è sempre stato lì, protetto da un cerchio rituale".

"... Ma Anaïs se ne tira fuori giusto in tempo".

"A causa della gravidanza inaspettata".

"Perciò è stata cancellata ogni sua traccia all'interno dei resoconti della spedizione pur di non infangare il nome di tuo padre".

"Esatto anche questo".

"La Cerchia, in seguito al ritrovamento, comincia a indagare e... crea un'identità fittizia come quella di Paskúm per mascherare i rituali di ricerca di-..."

"... Bodvár, il Protettore dell'Hekla. La vǫlva".

"Ma di Anaïs non si sa nulla. E tu cresci..."

"Nasco e cresco con un parassita appiccicato all'anima. Ma crescendo il legame tra noi due si rafforza. Quasi ci fondiamo. Bodvár non è più un'anima parassitaria, no, insieme riusciamo a creare una simbiosi. Io sono io, lui è lui, e al tempo stesso siamo l'una e l'altro. La spire di possessione sparisce, perché tutto questo è qualcosa di unico. Noi siamo qualcosa di unico. Non m'invade come farebbe una qualsiasi malattia, al contrario: conviviamo. Io divento Bodvár, che ama l'acqua, si passa la lingua sui denti quando pensa troppo, parla a sproposito quando non deve, fa fatica a guardarsi allo specchio perché si odia da morire. E lui diventa me".

"Pertanto la Cerchia continua a uccidere chi è sospettato di esser entrato in contatto con la salma mummificata, ma Bodvár e il dono della vǫlva sono con te e... nessuno lo sa. Neanche tu. E Dísella è l'ultima a morire".

"Dísella è morta per un errore di calcolo. Una svista, a detta della rettrice. Bodvár non è una comune anima parassitaria, questo lo hanno capito anche loro: ragion per cui procedono a tentoni, sperimentano, fanno pratica. E uccidono - uccidono senza avere rimorsi... l'importante è che il dono torni alle legittime proprietarie, in fondo Bodvár ha sottratto loro ciò che di più potente hanno avuto in passato: il dominio sulla morte. Perché è lui ad essere nel torto, mi hanno detto. Lui sarebbe dovuto morire, mi hanno ripetuto. E se lui fosse veramente morto, come era da copione, non ci sarebbe stata una Notte dei Fuochi, un Paskúm, tanta crudeltà".

Lór avrebbe dovuto sentirsi risollevata per aver finalmente trovato la forza di sputare quelle confidenze, ma la pace non arrivò come sperato. Si limitò a rispettare ancora una volta il mutismo di Audrine, mentre sentiva sgorgare nel petto un altro fiotto umido di apatia provocato dal tocco di Bo'.

La sua attuale vita, al momento, ruotava attorno a tre singole verità. La prima era che si stava annientando da sola, con le sue stesse mani, e la scelta di farlo era dipesa solo ed unicamente da lei. Bodvàr le aveva permesso di parlare, di sfogarsi prima della fine per sentirsi un po' più pulita, un po' meno colpevole, e di questo gliene era profondamente grata. La realtà dei fatti, però, era più sporca, pesante, non voluta.

Perché ci aveva creduto di star facendo del bene, fino all'ultimo. Ci aveva creduto perché Bodvàr lo aveva fatto prima di lei, perché lo aveva fatto Dísella nel momento della morte, perché lo aveva fatto Gaël rivelandole il suo gjöf, perché lo avevano fatto tutti quanti, chi più e chi meno.

La seconda, meno scontata della capofila, era che non c'era mai stato un vero cattivo da combattere e annientare. Ognuno di loro lo era stato a modo suo, chi per i più beceri motivi, chi per una gloria passata, chi per dolore, chi per egoismo. E su questo non ci pioveva.

La terza ed ultima verità era che tutto stava per finire. A lungo si era interrogata sulle sue scelte, per quasi due anni ci aveva rimuginato sopra arrivando anche ad abbracciare l'insonnia. Ma era troppo tardi per tornare indietro: era entrata in quell'ufficio per lavarsi via dalla coscienza l'impatto che aveva avuto il dono della vǫlva sulla sua vita... e ora stava comunque rischiando di uscirne da perdente.

Aveva scelto chi diventare, ma l'intero Litlaus era in subbuglio. Altro non restava da fare che concludere quel triste resoconto e abbracciare una quarta verità, la più sofferta e nascosta.

La più dolorosa e, fino a quel sette aprile duemilatredici, impensabile.

"Qualcosa deve finire. E finirà. Molto presto finirà" disse Lór e si passò la lingua sui denti non appena ebbe finito di parlare.

Bodvàr era un'ombra alle spalle di Audrine, che quasi si mischiava a quella proiettata da quest'ultima, in un grottesco collage di forme geometriche nere. Entrambi si fissarono per qualche interminabile istante, occhi morti dentro occhi spenti, poi lui tornò ad essere parte di lei in un battito di ciglia.

Com'era giusto che fosse.

"Finirà e ricomincerà con me. Ma prima" e la ragazza si lasciò sprofondare nella poltroncina scamosciata per respirare meglio, improvvisamente con l'anima più pesante. "Devo raccontarle di come sono arrivata a Paskúm".

... Continua

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro