56. Scambio equo (pt.1)

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Come fatto dalla neve in principio, anche il silenzio finì per ammantare ogni cosa all'interno della foresta. Ma quella non era una quiete voluta. Forzata, casomai, e indotta dal rivelarsi inatteso del Sospeso.

Lór s'imponeva di respirare pianissimo, le guance adesso rosse lì dove erano state solcate dalle lacrime. Un momento prima aveva pianto, condiviso e accolto il dolore di qualcun altro, ora invece si domandava perché rubiamo in casa d'altri? E dove si dovrebbe rubare, scusa?

E poi non stiamo mica rubando, avrebbe voluto dirgli mentre lo fronteggiava senza avere il timore di pisciarsi addosso dalla paura, altroché. Rubare è un'altra cosa, avrebbe voluto spiegargli nel modo più basilare possibile, rubare non è mica questo. Il Sospeso avrebbe potuto capirlo? Avrebbe potuto capire le loro intenzioni?

Avrebbe potuto perdonarli per ciò che avevano intenzione di fare?

Questo non poteva saperlo, visto che il coraggio di parlare non c'era affatto. Il gelo era un tutt'uno con la sua carne, adesso, e l'idea di fuggire non le sfiorò la mente neanche per sbaglio, tanto era in sovraccarico di adrenalina. Eppure sapeva –come lo sapevano pure i rimanenti quattro disgraziati– di dover rafforzare la presa attorno la testa di Dísella, infilare la mano nella tasca del parka e afferrare il frammento di vetro. Stringerlo forte tra le dita fino a ferirsi pure l'anima e piazzarlo a pochi centimetri dal volto dello spettro per costringerlo a specchiarsi.

Faceva già ridere così. Lei che da sempre evitava di soffermarsi sul suo riflesso, adesso avrebbe dovuto costringere un essere etereo sprovvisto di occhi a fare lo stesso. A guardarsi. A restare spaventato da ciò che ci avrebbe scorto all'interno – ammesso e non concesso che fosse stato possibile.

Il Frestað, dal canto suo, continuò ad attendere pazientemente una risposta. Teso in avanti come un elastico pronto a essere scoccato, gli arti simili a quelli di Rót che si congiungevano al terreno tanto erano lunghi, mostruosi e deformi. Il suo colorito ricordava quello del nevischio, il primo della stagione. E Lór, ancora una volta, si domandò internamente se al tocco avesse potuto darle quella stessa sensazione. La sensazione di affondare le mani in un cumulo di neve morbida, appena caduta, quella che ancora non scrocchia se ci cammini sopra. La neve che semplicemente si scioglie al primo tocco, timida, e diventa acqua sulle dita calde.

Fu un momento, un pensiero che plasma un gesto. È così che funziona la realtà. La sua realtà. Una realtà in cui esseri come un Sospeso erano tutti fuorché normali; in cui lei non era normale. Perché, pregna com'era di confusione, paura e smarrimento, fece per muovere un braccio, quello tuttora libero.

La mano non raggiunse mai la tasca con la zip tirata giù, ma si soffermò invece a pochi e insignificanti millimetri dal petto dello spettro.

"No" bisbigliò poi, più per rimproverare se stessa che per negare. Sentì lo sguardo pungente di Ber forarle la testa da un lato all'altro, come se avesse provato a compiere un'eresia. 

No?

Lóreley sbatté violentemente le palpebre per aiutarsi a parlare – e a ragionare lucidamente. Soltanto in quell'attimo riuscì a giustificare il fastidiosissimo dolore che le stava ghermendo i muscoli della schiena: il solo fatto che il Sospeso fosse chino su di lei la stava costringendo a stare col bacino spostato in avanti e le spalle buttate all'indietro. Una folata di vento improvviso e si sarebbe potuta spezzare in due.

"Noi non... non stiamo rubando".

Seppur non avesse occhi con cui guardare, lo spettro si avvitò su se stesso prima sul fianco destro e poi su quello sinistro, costringendo le articolazioni già molli del suo corpo a compiere dei movimenti inumani... e disgustosi. Poi tornò ricurvo su Lóreley e si sistemò meglio sulle mani artigliate per sovrastarla come si fa con le prede ormai in trappola. E l'osservarsi, tra i due, si concretizzò l'attimo seguente: sulla fronte spoglia apparve un occhio, simile per dimensioni e profondità a quello di Radice, ma la bocca rimase vuota, come una voragine aperta nel centro dell'universo.

Come volevasi dimostrare, non aveva bisogno di lineamenti complessi per comunicare emozioni, perché di emozioni poteva anche farne a meno. Se nell'Hallormstaðarskógur era solita soggiornare soltanto la vǫlva, la quale mancava fisicamente su quella terra da più di un secolo, ciò stava a significare che i contatti con gli umani, da quel momento fino ai loro giorni, si erano fatti sporadici, se non addirittura nulli, tolta qualche rara eccezione – la Benóný e Paskúm non rientravano tra queste alternative: di umano, lei, aveva solo il conto in banca, date le circostanze. Nemmeno la sua follia poteva più considerarsi tale.

La voce dello spettro fu anticipata da una vibrazione soffocata, somigliante al latrato di un cane che va sulla difensiva. – La testa è stata consegnata all'Hallormstaðarskógur e nell'Hallormstaðarskógur deve rimanere – annunciò senza mezzi termini. – È stato siglato un accordo e gli accordi vanno rispettati. Non si ruba nell'Hallormstaðarskógur.

Gli sguardi di tutti si unirono e collimarono in un punto comune: la porzione di spazio occupata da Jo'. Lei, in risposta a quelle occhiate mute che la incitarono a parlare, incassò il capo nelle spalle e raddrizzò la schiena, come se avesse percepito la canna di un fucile poggiarsi all'altezza dei reni. "Chi ha siglato l'accordo?" chiese, cominciando a camminare lateralmente. Si fermò solo quando rientrò nel campo visivo del Sospeso, mantenendosi comunque a una certa distanza di sicurezza – cosa assai curiosa per una che si faceva chiamare Primissima.

I nomi hanno poca importanza nell'Hallormstaðarskógur poiché l'Hallormstaðarskógur ha il solo compito di proteggere. Nascondere. Custodire. Se la custodia dura in eterno, ciò che si è chiesto di proteggere perde valore. Perde il nome. Perde l'identità. Niente ha identità, valore e nome nell'Hallormstaðarskógur. È la regola dell'Albero. Solo le regole perdurano. Il resto no. Il resto muore. E non torna più.

Le Radici si nutrivano di patti, i Sospesi custodivano ciò che era destinato a essere dimenticato. Il fantomatico Albero, invece, garantiva la perfetta convivenza tra le due realtà dettando le proprie regole. Ma cosa c'era di perfetto nell'attuale condizione di Dísella? Cosa c'era di perfetto in una morte che è vera da una parte e indeterminata dall'altra?

Johanna tolse il basco rosso e se lo strinse al petto, in un gesto che sapeva di rispetto e impregnato di timore. D'un tratto si era fatta più piccola e indecisa, come la bambina che era stata anni prima. La stessa bambina che, forse, aveva camminato nella foresta tante, troppe volte, armata soltanto di un pezzo di specchio e di un filo da annodare attorno ai tronchi di betulla. 

"È la Prima a chiederlo. È la Prima a voler sapere il nome, se mi è permesso". 

La Prima? – ripeté lo spettro, e la pupilla schizzò da lei a Bergljót a una velocità sorprendente. – Non c'è nessuna Prima, né una Seconda alla mia sinistra. Vedo solo bambine, bambini che rubano nell'Hallormstaðarskógur

La già scarsa sicurezza di Johanna fu messa a dura prova. Neanche fare leva sul suo status quo di Prima stava agevolando le trattative. Ciò permise a Lór di capire la vera natura di quei ruoli che a lungo le erano parsi intoccabili: il contesto della loro importanza era delimitato e delimitante alla sola realtà umana. Anche Radice aveva assunto lo stesso e scettico comportamento con Ber durante il Decanto, appellandosi a lei come se fosse una Seconda solo per metà

In sintesi, né Prima né Seconda potevano avanzare pretese in quanto detentrici di un titolo che acquisiva valore se affiancato alla vǫlva.

Già, fantastico. 

Ma dove maledizione si era cacciata la vǫlva?

Seppellite la testa e non tornate più nell'Hallormstaðarskógur. 

Johanna non tentò di replicare, chiudendosi in un mutismo tale da preoccupare Werner e Ber. Tuttavia, Gaël fu l'unico a perseverare: compì un passo alle spalle di Lóreley, avvicinandosi il giusto da poter toccare la busta. Lei rimase immobile, il respiro tranquillo di lui sui capelli.

"Cosa vuoi per questa?" domandò. Non piangeva più, ma la voce gli era rimasta rauca.

Cosa voglio?

"Sì. Se noi decidiamo comunque di prendere la testa, cosa vuoi in cambio?"

Il Sospeso districò le dita artigliate tra la neve, la bocca rotta in una smorfia indecifrabile. Parve pensarci su per davvero. 

Nell'Hallormstaðarskógur non c'è spazio per i patti. Nell'Hallormstaðarskógur si custodisce, si nasconde e si dimentica. Questa è la regola dell'Albero. 

"Appunto: se dici che nell'Hallormstaðarskógur si custodiscono cose che verranno dimenticate, mi sembra opportuno avanzare una proposta che farebbe comodo a noi e che potrebbe fare comodo a te" e tese le dita sulla plastica, come a simulare una carezza sentita.

Noncurante del sospetto che gli si era aizzato contro, Gaël continuò a dettare le sue condizioni con risolutezza: "Tu permetti loro di uscire dalla foresta con la testa e io lascio la mia sotto la betulla. Tanto non verrà nessuno a controllare, giusto?"

I tempi di reazioni furono minimi, se non addirittura nulli. Lóreley sgranò gli occhi, mentre il cuore le compiva un triplo carpiato nel petto. Fece per contestare, ma il ragazzo le poggiò una mano sulla bocca con una foga tale da sbilanciarla all'indietro, verso di lui. 

"Una testa per una testa. Mi sembra uno scambio equo, no?" 

... Continua

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