56. Scambio equo (pt.2)

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Prima regola dell'Hallormstaðarskógur: ciò che si decideva di dimenticare, si dimenticava senza mezze misure. Per inciso: chi sceglieva di dimenticare, a tal proposito, commetteva lo sbaglio peggiore della sua esistenza.

Seconda regola dell'Hallormstaðarskógur: se quel che si chiedeva di occultare era una colpa, la colpa restava tale, anche se sotto terra - vedi il punto uno.

Terza regola dell'Hallormstaðarskógur: nell'Hallormstaðarskógur non c'era spazio per i patti, perché soddisfarli spettava per natura cosmica le Radici.

Surplus: patteggiare con un Sospeso era da considerarsi un atto disperato, una dichiarazione di intenti che sarebbe finita male per ovvie ragioni, perché nell'Hallormstaðarskógur non c'era alcun vincolo a rendere appetibili i patti. Non c'era fame di questi da parte degli spettri. Però Gaël lo aveva appena proposto con la stessa facilità con cui si propone una pizza per cena, o un'uscita con gli amici. E, croce sul cuore, lo aveva fatto lucidamente.

Con ancora il palmo premuto sulla bocca di Lóreley, adesso era lui ad aspettare pazientemente una risposta. Ed era calmo, fin troppo calmo, coi battiti del cuore che non tradivano la fermezza con cui aveva esplicato la richiesta. Per quanto erano vicini, Lór se li sentiva rimbombare nella testa, nel cervello, nelle orecchie, e si accavallavano in maniera scoordinata ai suoi che, santissimo il cielo, sembrava fossero sul punto di creparle il petto in due.

Che cosa hai in mente di fare?

Il ragazzo, che ancora fronteggiava lo spettro col solo ausilio dello sguardo, scandì a bassa voce un: "Allora?"

Tum-tum.

Non è ancora il tuo undici ottobre.

La presa attorno al basco rosso si allentò. Johanna lasciò che cadesse a terra, ma non il quadrato di specchio, che continuò a conservare nella mano sinistra. Faceva pena - il suo attuale rimorso nei confronti di Dí era una pena, un castigo che mai avrebbe voluto e potuto scontare. Ma poco importava, poco le importava: il bagliore che le illuminò gli occhi, rendendoglieli più azzurri di quanto già fossero nella foresta ormai grigia, valse più di mille parole.

La videro fare un passo in avanti, poi un altro a destra e sgattaiolare infine a sinistra; la mano libera che si faceva spazio nella busta che aveva appesa al braccio. Nonostante il crocchiare della carta, il Sospeso non diede peso ai suoi movimenti.

Ci sta pensando per davvero?
Accetterebbe?

Tum-tum-tum tum-tum.

Non è ancora il tuo undici ottobre, maledizione...

Werner stringeva spasmodicamente i pugni, Ber gli stava davanti. Per la prima volta in assoluto lei non si azzardava a intromettersi, limitandosi al ruolo di bloccante per impedire all'idiota alle sue spalle di compiere qualche scemenza. Perché qualsiasi fossero state le intenzioni di Gaël, un po', nel profondo, sapeva di poterle sentire sue.

Punto primo: se fosse stata costretta alla sua stessa condizione, probabile che avrebbe reagito allo stesso modo; ragion per cui, cercare di convincerlo del contrario -oppure insultarlo per star scommettendo la sua testa- non lo avrebbe distolto dal suo fine. Punto secondo: se Werner sperava di fronteggiare lo spettro alla sua maniera, beh, tanto valeva mettersi in fila e aspettare il proprio turno per essere decapitati e seppelliti.

Il non-quasi scapolo del Samkaup, invece, era completamente andato. Sembrava veramente pronto a rischiare un ulteriore incidente non propriamente diplomatico, date le assurde regole della foresta... ma questa non era una scusante, soprattutto se c'era di mezzo Gaël.

Gaël non voleva essere protetto e salvato da nessuno. C'era qualcosa, insito in lui, che Lóreley proprio non riusciva a spiegarsi: perché tentare di barattare con un Sospeso? Perché, diavolo, perché aveva permesso all'istinto di prendere il sopravvento?

Quasi avesse percepito i suoi pensieri, Gaël sollevò il mento e si sporse un altro poco. Lór avrebbe voluto staccargli quella fottuta mano a morsi.

Tum-tum.

"Rispondi. La mia testa può essere un compromesso?"

Il Frestað non ebbe il tempo di replicare alle provocazioni del ragazzo. Johanna, con un balzo non proprio calcolato, s'infilò tra i tre e costrinse lo spettro a specchiarsi nel suo trapezio di vetro. Sui primi momenti non accadde nulla di particolare, insomma - perché un maledetto rigurgito del Litlaus avrebbe dovuto temere il suo riflesso?

Già. Perché averne paura?

Un istante. Lór spalancò gli occhi intanto che Gaël l'afferrava per le spalle e la scansava dalla portata del Frestað, lasciando che ruzzolasse a terra ai piedi di Bergljót e Werner.

Un grido disumano si levò nella foresta di betulle, dilungandosi il giusto da ferire i timpani dei presenti.

Fu come sentir riecheggiare l'ululato di una bestia ferita. E, come una bestia ferita e braccata, il Sospeso reagì di conseguenza: i suoi arti mollicci scattarono in alto, animati da un'energia diabolica e arcana, e le dita ad artiglio di rapace scissero aria e neve nel raggiungere la Prima.

Johanna aveva già tirato fuori il gomitolo rosso, ma lo spettro la batté sul tempo. Qualsiasi cosa avesse avuto in mente di fare per ribaltare la situazione a loro vantaggio, fallì: venne placcata e avvolta da dieci mostruose deformità, somiglianti a rampicanti pulsanti e costellate da aculei sottilissimi.

Il Frestað la sollevò con facilità e, allungando pure il torso e il collo, la distanziò il giusto dal terreno per tenerla in... ostaggio.

Werner sbarrò gli occhi. La mano destra gli stava andando a fuoco. Forse, se lo avesse toccato... anzi, sarebbe bastato anche solo sfiorarlo, sì, magari all'altezza del petto. Così, certo, e il suo dono avrebbe fatto il resto. Doveva solo...

Al gridare di Johanna, Ber si schiacciò contro lo sterno di Werner, obbligandolo a retrocedere con la forza. La situazione stava definitivamente sfuggendo di mano: l'intreccio di rami aveva cominciato a comprimerle la carne, le ossa, le articolazioni e il respiro.

Non prenderete la testa dall'Hallormstaðarskógur - ringhiò di gola lo spettro, surclassando i lamenti rauchi di Johanna. - In compenso, per ciò che è stato fatto, prenderò anche la tua. In un morso.

Eccola lì: una sentenza. Una soltanto, senza sé e senza ma.

La morte è uguale per tutti e Johanna l'aveva fatta incazzare. La morte non fa sconti, non ha preferenze, non è schizzinosa, non fa l'indecisa e... non bada ai titoli. Prima, Primissima, Seconda o Seconda per metà...

... Non avrebbe comunque fatto differenza per gli esseri umani. Perché, per quanto Lór si fosse ostinata a negarlo per non compatire tanta smania di grandezza, la Cerchia era composta da questi: uomini, donne, forse bambini. Tutti di carne e tutti fatti d'anima, dentro.

Tutti vivi, sani e attualmente salvi nella parte colorata dell'universo, ma pur sempre destinati al grigiore del Litlaus.

Che fregatura...

Lóreley pensò di non voler morire mai.

... che inutile sofferenza.

"Svart".

Lór sibilò quella parola sottovoce, sputandola a denti stretti tra la neve, come se ne avesse sempre saputo l'utilità e soppesato il significato. Bastò quella, sillabata a mo' di ordine, e la parte superiore dello spettro si compresse a tal punto da creare una microscopica interferenza in quel pezzo di realtà. Un secondo ancora e braccia, testa e torso si ridussero in brandelli tanto leggeri da galleggiare per aria, come polvere che tenta di posarsi su una superficie. Braccia e gambe sformate, invece, si sciolsero come neve al sole l'attimo seguente.

Lóreley si rimise in piedi che sanguinava dal naso, Jo' cadde seduta su un cumulo di neve. Non c'era tempo per starsi a interrogare su quel che era appena accaduto...

... Perché un secondo essere dirottò l'attenzione e il panico di tutti su di sé.

Apparentemente ignaro e dall'aria esausta, emise un piccolo sbuffo e i microscopici resti del Frestað si raggrupparono in due turbini verticali, disperdendosi infine nell'aria gelata.

Se il Sospeso era sembrato loro imponente, la creatura apparsa al suo posto lo era due volte di più, anche se la sua fisionomia ricordava quella di un albero morente. Quando tornò improvvisamente ritta, difatti, Lór dovette retrocedere per riuscire a scorgerle il viso.

A differenza del Frestað era provvista di una faccia più che simile a quella di un essere umano, circondata da un viluppo di capelli crespi, tanto voluminosi da assomigliare a un intrico di foglie e rami monocromatici. Il suo naso era aquilino e gli occhi sottili e leggermente distanziati tra loro, custodi di un paio di iridi pallide.

Visibilmente sconvolta, Ber lasciò cadere il mozzicone spento. Werner rilassò i pugni e ricacciò indietro la dote pronta all'uso, Johanna si raddrizzò a fatica sulla schiena chiazzata di fori rossi.

"Móðir?" scandirono all'unisono i tre. Gaël si tenne in disparte.

Quando l'interpellata rispose, fu come dare volto e voce al vento stesso. "Cosa non vi è chiaro-chiaro delle regole dell'Hallormstaðarskógur bambini miei-miei?" domandò e un sorriso innaturalmente benevolo le si aprì in volto. L'eco che si diramava su alcune parole, poi, pareva esser fatto di proposito. "Nella foresta è categoricamente e universalmente proibito-proibito stringere patti, uccellini" rimarcò, quasi fosse una questione di vita o di morte. "Perché rubare una testa che è stata affidata alla foresta?"

Bergljót, ancora scossa, azzardò una scusante. "Ne abbiamo bisogno, mammà".

Lór deglutì per mandare giù una palla di saliva e ansia. Gli occhi corsero istintivamente su Gaël, silenzioso come mai stato prima di allora.

Mammà. La dispensatrice di gjöf. Móðir.

Il ragazzo della Baia le parlò a sua volta con uno sguardo. Lóreley capì all'istante.

Diavolo, non ci voleva.

"Questo non giustifica il peso delle vostre azioni-azioni, Bergljót" rispose Móðir, puntellandosi svogliatamente i pugni sui fianchi. D'improvviso s'irrigidì e le articolazioni del suo corpo magro scrocchiarono all'unisono. Lór ebbe voglia di tapparsi le orecchie. Se la sua voce era vento, il suo corpo sembrava cosparso di foglie secche. "Esigo delle spiegazioni-spiegazioni".

"Lei è stata maledetta da una spire di possessione" s'intromise Johanna, tornando ritta a stento. "Abbiamo bisogno della testa per completare lo smaltimento... prima che sia troppo tardi".

Il sorriso sul volto di Móðir venne a mancare, annullato da uno sbadiglio difficile da contenere. Lentamente, forse un po' troppo, si piegò per osservare prima Lór, poi Gaël. Altre foglie che vengono calpestate. "I patti non sono di competenza dell'Hallormstaðarskógur".

Gaël guardò in basso prima di rispondere. "Il mio non voleva essere un patto, ma uno scambio".

"Una testa per una testa?"

"Una testa per una testa".

"Ragion per cui avresti lasciato la-la tua".

"Sì, lo avrei fatto".

La risposta parve divertire Móðir, nonostante la stanchezza impressa sul suo volto la facesse apparire annoiata. La morte non dorme mai. "Perciò lo faresti anche ora. E perché? Perché saresti disposto a farlo?"

"Perché Dísella sta soffrendo" Lóreley si pulì il naso con la manica del parka, la voce che tremava un poco. L'attenzione di Móðir oscillò su di lei.

"Soffrire è soggettivo. A volte è necessario, altre no. Non sta a te deciderne il quantitativo destinato agli altri".

"Ma la spire sta decidendo per me e per Dísella" Lór si accarezzò la mano maledetta. Poi aggiunse con fare ingenuo: "E non è giusto".

"Decidere è soggettivo. Non sarebbe giusto... finire al suo posto. È diverso" disse Móðir. "Rifiutare ciò che non si merita è un diritto inequivocabile, uccellino, certo... ma se così deve andare... Così potrebbe infine essere".

"Non-" Ber scosse la testa per rimettere ordine alle idee. "Noi non ce ne andremo a mani vuote. Se servirà chiedere aiuto a un Auditore, lo faremo. Lo farò io. Non ho paura".

Móðir si stropicciò un occhio e azzardò un secondo sbadiglio. Era così stanca, eppure...

"La paura è soggettiva. C'è chi ne ha molta, chi ne ha poca. Ma non servirà".

"Cosa?"

"Non servirà patteggiare con una Radice".

Gaël si fece sospettoso. "Potrebbe essere un'alternativa, però".

"Non è l'alternativa che meglio si abbina alle vostre circostanze: prendete la testa e lasciate l'Hallormstaðarskógur".

I cinque spalancarono le bocche all'unisono.

"Ma le regole sono-"

"Nulla vieta di sostituire ciò che si chiede di nascondere nella foresta. Una testa per una testa, ragazzo della Baia" la creatura, in un gesto pigro, lo indicò con l'indice e Gaël si azzittì. "Non è un patto: è uno scambio, per l'appunto, e lo avevi capito. Alla morte non interessa ciò che si consegna alla foresta, perché niente ha valore, identità e importanza nell'Hallormstaðarskógur. Conta solo che, qualsiasi cosa venga sottratta al suo interno, prima o poi..." un altro sbadiglio. "... Torni qui".

Móðir si lasciò scappare un risolino spento - sembrava fosse sul punto di addormentarsi.

"Prima o poi un'altra testa arriverà per essere seppellita. E poi un'altra, e un'altra ancora..."

La dispensatrice di doni rivolse a tutti loro un sorriso... particolarmente caloroso. Lór, però, ricominciò a sentire freddo, tanto da battere i denti.

"Ogni volta sono curiosa di sapere a chi appartiene e... chi verrà-verrà a reclamarla".

Se avete pensato che il nostro ragazzone della Baia avesse escogitato un piano prima di scommettere a tavolino la sua testa... beh... c'avete preso. Un cinquanta e cinquanta, dai, perché al nostro beniamino piace pure improvvisare. Parliamoci chiaro: è solo molto bravo ad ascoltare XD
E comunque, piccola parentesi: ho tipo sbroccato appresso al personaggio di Móðir, perché la AMO alla follia. Spero vi abbia colpito un pochino, visto che la ritroveremo più avanti!
E, per finire, visto che mi piace mandare nel pallone i lettori, vi lascio con un quesito piccino picciò: la parola sussurrata da Lór ("svart"), secondo voi, cosa potrebbe significare? E com'è che è riuscita a mettere in fuga il Sospeso? Non vedo l'ora di sentire la vostra!

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