57. Buonanotte

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Móðir tracciò un cerchio nella neve con fare pigro prima di raddrizzarsi sulla schiena. La lunga spina dorsale scricchiolò ancora alla stessa maniera di un'asse di legno appena calpestata.

"Se la Prima non avesse agito d'istinto, probabile che il Sospeso avrebbe potuto accettare le condizioni dell'offerta di scambio. Ma è pur vero che è stato siglato un accordo" lo spettro-madre aggrottò la fronte, e nel mezzo dell'arcata sopraccigliare si andò a formare un'increspatura sottilissima. La sua pelle sembrava fatta di marmo. "Le modalità dell'accordo vanno rispettate per ovvie ragioni, spero sia di facile comprensione anche questo, uccellini miei".

Lo stupore andò a scemare, il sospetto pure. Sentendosi chiamata in causa, Johanna si massaggiò un piccolo foro all'altezza della spalla e guardò in basso. Il beige del suo cappotto stava man mano venendo marchiato da chiazze rosso scuro, lì dove gli aculei del Frestað erano stati a contatto con la sua pelle. "Mi è stato insegnato a temere la foresta, non a contrattare con gli spettri. Purtroppo la mia è stata un'educazione limitata" mormorò, mordicchiandosi il labbro inferiore per frenare l'imbarazzo. "Tuttavia ho una domanda da farti, mammà".

Le labbra di Móðir si ruppero in un ennesimo sorriso svogliato. "Non mi è permesso rivelare il nome del creditore-creditore della foresta. Quando giungerà il momento, egli stesso diventerà un debitore-debitore e sarà noto a chi cerca il nome. Dopo di lui, giungerà un altro creditore. E il ciclo di occultamento dell'Hallormstaðarskógur continuerà indisturbato".

"E se il Sospeso avesse accettato la proposta di Gaël, facendo diventare lui il debitore della testa, cosa sarebbe accaduto?" s'intromise Ber.

"Le scelte hanno il loro peso. Tutto sta nell'unicità del futuro, ma le diramazioni di esso sono pressoché infinite. Imprevedibili, oserei dire" le spiegò in modo pacato, quasi stesse parlando a una bambina. "Se la testa del ragazzo della Baia fosse finita ai piedi della betulla-betulla, quest'oggi avremmo potuto assistere al generarsi di ulteriori alternative-alternative e scenari, sapientemente cosparsi lungo un unico rettilineo. Questo è tutto".

La risposta non soddisfò Johanna. Difatti tornò subito alla carica, ma Móðir la zittì dispiegandosi un indice davanti al naso adunco, simile a un becco di corvo.

"Due braccia, due gambe, un torso e una testa. Questa testa, che oggi è stata riscattata-riscattata per mio volere. Tienilo ben a mente".

Un fascio di fredda luce si sfaldò in migliaia di frammenti seghettati nell'infilarsi tra il fogliame delle betulle. Gaël si mosse tra le ombre romboidi per tornare accanto a Lór, infine recuperò la testa che era ruzzolata nella neve.

"Perciò dobbiamo ringraziarti. Anzi, devo".

Lo spettro scandì una risata sfatta e rauca. "La morte non pretende gratitudine. Non è ancora il tuo undici ottobre, ragazzo della Baia. Ogni cosa ha il suo tempo".

Al sentir nominare la fantomatica data lo sguardo di Johanna si fece torvo, ma si trattenne dal puntarlo su Gaël, nonostante fosse sul punto di cantare alla sua maniera. Timori giustificati, anzi, giustificatissimi: se era vero che Lór era l'unica a conoscere il relativo gjöf di Gaël, questo stava a significare che, tecnicamente parlando, il ragazzo non aveva mai avuto modo di incontrare mammà prima di allora.

Oltretutto, anche lo spettro era stato al suo gioco, alle sue bugie, ed entrambi avevano finto di parlarsi come se non ce ne fosse mai stata l'occasione per farlo. Tolta l'eccezione dell'undici ottobre, era ambiguo pensare che Móðir stesse cercando di proteggere a sua volta il segreto della dote di Gaël; dote che gli era stata donata proprio da quest'ultima.

Ma a quale scopo? Era stata forse lei, anni prima, a suggerirgli di mentire sulla possessione della dote? E perché? Gaël non godeva di alcun privilegio nella Cerchia, ma la grazia di Móðir era comunque arrivata. Che avesse in serbo qualcosa per lui che gli altri ignoravano?

Lóreley serrò la mandibola nel vano tentativo di attutire il battere dei denti. Il freddo che aveva percepito addosso si era inaspettatamente ritramutato in brividi scaturiti dal disagio. Stando alle confessioni della scorsa notte, Gaël discendeva da un seiðmaðr; un abominio impostore, uno che si era appropriato di un pregio che non avrebbe dovuto possedere. Questo aveva condannato la sua famiglia alla reclusione e al disprezzo generale, perpetrato sino a quei giorni. La sua mancata morte per mano di Lór, quindi, doveva aver cambiato le carte in tavola...

... E Móðir era a conoscenza del perché e lo accettava. Ecco spiegato il suo intervento improvviso, in una situazione che era parsa disperata sin da subito: il generarsi di centinaia di migliaia di infinite probabilità agevolava la concretizzazione di scenari alternativi in un futuro che era a senso unico. Ma la cosa importante restava il preservare il punto d'arrivo dirottando, se necessario, alcune scelte pur di mantenerlo integro. E Móðir, che sembrava conoscere la storia del mondo meglio di chiunque altro, glielo aveva appena fatto intendere.

Nessuno di loro sarebbe diventato un debitore della foresta, quel giorno, neanche Gaël. Perché non c'era il bisogno di farlo, perché un debitore della testa c'era già e il Frestað lo aveva sempre saputo, Móðir lo aveva sempre saputo. E questo era assodato.

Lór guardò Johanna avviarsi in direzione della pendenza, senza perdersi in un ulteriori convenevoli. Seguirono dietro di lei Ber, Werner e Gaël.

Lóreley fu l'ultima a risalire, fermandosi sulla cima per riprendere fiato. Si voltò e Móðir, con quella sua aria curiosamente stremata, azzardò un saluto fin troppo... umano.

Lóreley si trovò a ricambiare con la mano maledetta che respirava forte dalla bocca. Forse si trattava solo di un arrivederci.

"Spero tu capisca" le augurò lo spettro.

Lór non rispose e si affrettò a raggiungere gli altri. Ovviamente non capì.

Non era ancora giunto il momento per capire.

Il nero si plasmò attorno a lei allo stesso modo di sempre. Nero sotto i piedi, alle sue spalle, tutt'intorno come un telo sottilissimo calato su una scenografia. Semplicemente nero in una realtà capovolta.

Ma Lóreley sapeva di non essere nel Litlaus.

Due mani forarono l'oscurità a si poggiarono sulle sue, attualmente impegnate a sorreggere Coco. Lór avrebbe tanto voluto percepirne la morbidezza del tocco... ma sapeva essere un desiderio irrealizzabile.

"Mi sono addormentata?"

Dísella fece con la testa, il viso pulito e i vestiti addosso. "In macchina, ma ci ho messo un po' del mio" disse, ridacchiando. "Volevo parlarti".

"Beh, insomma... ci sto quasi facendo l'abitudine. A venir sbattuta da un piano all'altro, intendo".

Dísella accennò un sorriso. "È l'unico modo che ho per dirti grazie di persona".

"Grazie per cosa?"

"Per avermi ascoltata. Molti non ascoltano perché hanno paura".

"Molti non ascoltano in generale".

"Appunto. Farlo con un morto è cento volte più complicato".

Lór venne pizzicata dalla tristezza. "A quanto sembra è una mia specialità" e si ammutolì un attimo per soppesare le parole. "Quindi è deciso? Hai scelto di andare?"

"Non voglio essere te e tu non vuoi essere me. Se questo farà bene a entrambe sono disposta ad accettarlo. Sono stanca di vagare nel Litlaus. Voglio dormire" si confessò Dí. "Voglio solo dormire. Non m'importa se non mi sveglio più".

Lóreley guardò gli occhi a bottone del pappagallo.

"Dormirai meglio con questo" e le consegnò il peluche. Lo spettro lo accettò di buon cuore, stringendolo prima al petto e poi abbandonandoci sopra la testa.

Come già accaduto in precedenza, il buio fu attraversato da sempre più numerose pulsazioni, come se fossero entrambe intrappolate in un'enorme cassa toracica. Dí e Lóreley ne percepirono il crescendo senza parlare. La prima sapeva cosa stava per accadere, l'altra non aveva abbastanza coraggio da chiederlo.

Perciò Dísella la rassicurò con gli occhi. Le sue iridi non erano mai state così verdi, così accese di vita. "Ho solo una cosa da chiederti, prima di andare".

L'anima di Lór venne pervasa da un lutto sempre più intenso. "Qualsiasi cosa".

"Non ricordo molto dell'altra parte, ma c'è una cosa che... che vorrei tu facessi per me. Va' da mia madre e dille di andare al mare il dodici dicembre. Lei capirà".

Lóreley annuì. "Lo farò, promesso".

Dí schioccò un bacio sulla testa del peluche e il piercing che le pendeva dal naso si spostò tutto a destra. "Grazie ancora" sospirò poi, come se fosse riuscita a togliersi un peso dal petto. "Sarei potuta andare io da lei, ma non ne ho avuto il coraggio. Pazienza".

Con l'intensificarsi delle pulsazioni, Dísella decise che era il momento adatto per voltarsi a camminare nella direzione opposta. Soltanto allora Lór ritrovò la forza necessaria a richiamarla per...

"Dí, per caso ricordi... che faccia aveva Paskúm?"

"No. Ricordo che ha tante facce, però. Ma descrivertele mi è impossibile".

"Tante... facce?"

"Sì, tantissime".

Lóreley tacque, il viso contratto da una smorfia indecifrabile - se avesse potuto piangere, sicuro lo avrebbe fatto senza ritegno. Dísella, dal canto suo, sembrava aver raggiunto a pieno una serenità meritata, la sua serenità, tant'è che si girò a sventolare la mano destra, come si fa coi fazzoletti bianchi davanti una nave in partenza.

Non aveva ancora perso il sorriso.

"Buonanotte, Lór".

Un battito più forte degli altri la disorientò. Lóreley sigillò le palpebre e le mani scattarono verso il petto, posandosi nel punto dove si dilungò l'eco dell'ultimo spasmo.

Quando si decise a ricambiare il saluto, Lóreley riaprì gli occhi che aveva fatto ritorno alla sua realtà.

Era coricata sui sedili posteriori della 4x4. Masticò un paio di volte a vuoto e, impacciata, cercò di rimettersi seduta. A sforzo compiuto, comprese di essere sola.

Il riscaldamento dell'auto era stato lasciato acceso e il paesaggio attorno era inevitabilmente mutato. Dopo una sommaria investigazione fatta dal finestrino, l'ipotesi di stare parcheggiata sulla Baia di Reykjavík si concretizzò.

Immediatamente ricordò di dover sfilare il guanto nero. Mosse le dita, le districò, le contrasse contro il palmo marchiato dalla cicatrice del Samkaup. Girò e rigirò il polso su se stesso, incredula; lo osservò da vicino nonostante la vista annebbiata e lo stordimento ancora palpabile, servendosi della luce rossa che filtrava dai vetri per scrutarsi la pelle.

La spire di possessione non c'era più.

Dísella stava finalmente dormendo al di là di un mondo insonne, lei si era appena svegliata in una realtà che dormiva per naturale concessione.

Lór si coprì il viso con le mani e così rimase.

Buonanotte, Dí.

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