4. Conseguenze

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La campanella che segnava la fine della prima ora di lezione e dava inizio alla seconda era suonata da poco e tutti i ragazzi si erano riversati nei corridoi della scuola. 

"Fantastico, perché accade sempre il contrario di ciò che voglio?" Pensai.

A testa bassa, come un condannato che si avvia al patibolo, mi incamminai verso la presidenza. La voce di ciò che avevo combinato si era sparsa e notai che tutti mi fissavano, alcuni ridevano, altri borbottavano alle mie spalle. Il tragitto per raggiungere la stanza della preside sembrava interminabile, in molti mi seguivano per vedere cosa sarebbe accaduto, ma fortunatamente incontrai il bidello, un tipo grassoccio, con i capelli grigi abbastanza diradati sulla fronte e dei folti baffi neri. Guardò in cagnesco tutti quelli che mi stavano seguendo intimandogli di tornare in classe se non volevano fare la mia stessa fine. Mi accompagnò sin davanti alla porta, ma non bussò. 

«Se vuoi un consiglio, delle scuse sentite valgono più di mille spiegazioni con lei.»

Si girò andando via.

«Grazie» dissi mormorando, lui si fermò per guardarmi e notai che mi sorrise non dalle labbra, che praticamente erano nascoste dai baffi, ma dalle rughette che si erano formate attorno ai suoi occhi. 

Guardai la porta feci un bel respiro profondo e bussai. La preside mi aprì riservandomi un'occhiata da far gelare il sangue nelle vene. Forse la scia luminosa di poco prima era meno spaventosa della Preside. Mi aspettava proprio dietro la porta, era davvero impaziente di vedermi.

Quando entrai vidi che mio nonno era seduto davanti alla scrivania della preside. Non si girò a guardarmi. Definirlo semplicemente arrabbiato sarebbe stato un eufemismo.
Mia nonna invece si avvicinò abbracciandomi, anche se più che un abbraccio si poteva benissimo chiamare perquisizione corporale o radiografia, infatti testava ogni parte del mio corpo per vedere se ero tutta intera e girandomi a destra e sinistra per trovare eventuali ferite. 

«Stai bene? Ci hai fatto spaventare.» Feci cenno di sì con la testa china, non riuscivo a guardarla negli occhi. Lei proseguì «Bene, questo è l'importante.»

La preside con un'andatura lenta e decisa prese una sedia dall'angolo del suo ufficio e la sistemò tra i miei nonni e mi fece gesto di accomodarmi, mentre lei si dirigeva al suo posto e intorno si udivano solo i suoi tacchi che scandinavo i secondi. Le stavo proprio seduta di fronte. Il mio cuore batteva forte, l'ansia mi attanagliava lo stomaco e la gola prese a far male. Mi fissava minacciosa con i suoi piccoli occhietti azzurri. Le rughe del contorno occhi si erano accentuate per via dello sguardo stretto che mi stava riservando. Incrociò le mani sotto il mento, i gomiti sulla scrivania, e continuava a fissarmi. 

Più lei manteneva quest'aria di calma apparente, più il mio cuore scalpitava e non potevo far altro che scaricare la tensione sulle dita della mano, torturandole a vicenda. Dopo pochi minuti - che parvero un'eternità - rilassò i muscoli, lasciò cadere le mani sulle gambe e appoggiando la schiena sulla sua sedia d'ufficio e iniziò il suo discorso. 

«Sai cosa hai combinato oggi? Una cosa del genere in questa scuola non era mai accaduta! Mai! Neanche con i nostri alunni più indisciplinati.»

Avevo ipotizzato che la sua fosse calma apparente e avevo indovinato. Era furiosa e non aveva neanche cambiato gli occhiali da vista. Jessica si era accorta che cambiava gli occhiali in base al suo umore: se era arrabbiata portava quelli rossi a taglio più spigoloso, invece aveva lasciato quelli rotondi color verde acqua. 

«Ho detto ai tuoi nonni che potrei pure espellerti dato che hai anche Non Classificata in tutte le materie e, come ultimo anno, non si può vedere un registro con una fila di NC! Credimi, sono tentata di farlo. Cosa ti è saltato per la testa? Perché l'hai fatto?»

L'avevo fatta grossa stavolta, e se mi avesse espulsa davvero? Si avvicinò nuovamente alla scrivania tenendovi sopra le mani incrociate e  con il piede picchiettava a terra. Rivolsi lo sguardo a mia nonna che mi osservava con aria affranta. 

«È quello che mi chiedo anch'io» debuttò mio nonno, sorprendendomi per le sue parole «Senta, so che mia nipote è piuttosto problematica al momento, ma credo che debba aver avuto un motivo più che valido per agire in questo modo. Con questo non la sto giustificando e a casa avrà la punizione che le spetta, ma per me è importante capire come sia arrivata a questa soluzione. Come ha potuto permettere che scappasse così da scuola.»

La Preside parve risentita dalle parole di mio nonno, che sembrava quasi accusarla di avermi fatto scappare e in un certo senso era anche vero. Con uno scatto repentino si alzò dalla sedia. 

«Signor Rizzi! Di cosa mi accusa esattamente? Di certo non potevo prevedere una simile reazione di sua nipote e sa bene che la scuola è aperta, non siamo in un carcere, si può uscire facilmente. Ma il comportamento di Giulia non è minimamente paragonabile a ciò che è successo. Gliel'ho spiegato mi sembra, ho semplicemente evidenziato la sua disattenzione mentre stavo parlando e una fuga è stata la sua soluzione.»

Mio nonno ancora più scuro in volto, senza mai incrociare il mio sguardo mi chiese:

«Giulia? È solo questo il motivo? La preside ti ha ripreso per la tua disattenzione?»

La cosa stranamente aveva preso una piega ben diversa da ciò che mi ero immaginata. Ero scappata solo perché mi aveva sgridato per la mia disattenzione? Forse era facile alleggerire il suo comportamento, più che sgridata mi ero sentita umiliata davanti a tutta la classe. La guardai mentre teneva lo sguardo stretto su di me. La mia mente continuava a dirmi di dirglielo ai miei nonni, dirgli cosa mi aveva fatto star male, ma non ero così coraggiosa da sfidare la preside. Abbassai la testa in segno di sconfitta confermando, senza farlo realmente, la versione della Preside. 

«Mi dispiace, non ho riflettuto.» Non potevo dire altro, perché se avessi parlato mi sarei difesa e le parole del bidello mi rimbombavano in testa: "delle scuse sentite valgono più di mille parole, con lei".

«Bene.» Un sorriso beffardo si disegnò sulle sue labbra «Visto che hai capito che hai sbagliato, sono disposta a darti una seconda occasione. Avrai una settimana di sospensione e appena rientrerai a scuola dovrai recuperare in due settimane tutti i non classificati e mi aspetto minimo la sufficienza.»

Sussurrai un sì, mentre ci accompagnò davanti alla porta, seguito da un'ulteriore mi dispiace rivolto ai miei nonni, ma anche lei sembrò apprezzare.

«Ma, Giulia» mi richiamò prima che uscissi dalla stanza «se i tuoi voti non raggiungeranno la sufficienza, al tuo posto mi preoccuperei.» Detto ciò chiuse la porta del suo ufficio.

Con i miei nonni ci avviammo nei corridoi ormai sgombri, neanche una mosca si udiva, pensai che fosse meglio così, almeno si erano persi la scena dei miei familiari che mi scortavano a casa. Mio nonno prese il mio scooter e io salii in macchina con mia nonna. 

«Mi dispiace nonna, credimi non avevo intenzione di farvi stare in pensiero, volevo solo allontanarmi il più possibile da loro... ridevano di me...»

Era come se non parlassi con lei, sembrava non mi ascoltasse proprio. Dopo una manciata di minuti mi rispose, forse voleva calmarsi per evitare di gridare.

«Ti sembra normale? Loro ridevano di te e tu scappi da scuola? Ci hai fatto morire di crepacuore solo perché quattro ragazzini ridevano?»

«Mi dispiace, davvero. Sai che i miei incubi mi mettono ansia, stavo pensando a quanto la mia vita fosse incasinata e la preside se ne esce con una battuta di pessimo gusto.»

Il suo sguardo era triste e spento, come sospettavo i miei tentativi di giustificare il mio comportamento non servirono a molto. Li avevo spaventati davvero. Continuai a scusarmi fin quando non entrammo in casa. 

Lo sguardo duro di mio nonno mi metteva davvero in crisi, non sapevo come gestirlo, del resto era la prima volta che lo vedevo così. 

«Finita la sospensione io ti accompagnerò a scuola e ti verrò a prendere, ora fila in camera tua a studiare. E ogni sera voglio vedere i tuoi compiti e sentirti ripetere le varie lezioni, intesi? Vai! Ti chiameremo quando sarà pronto in tavola.»

Mio nonno era deluso da me, si vedeva, e questo mi dispiaceva più di ogni altra cosa. Ero sempre stata una ragazza che voleva farsi notare per la sua bravura, per essere sempre precisa e affidabile, non avrei mai voluto deludere nessuno. E invece in un giorno avevo deluso tutti, anche me stessa. 

«Racconterete tutto alla mamma?» 

«Ovvio, lei deve sapere come ti stai comportando. Cerchiamo di darti tutto ciò che desideri, ti lasciamo la libertà di uscire, andare a scuola in motorino e tu come ci ripaghi? Quando mi avresti detto dei tuoi voti?» 

«Per favore Gianni, lasciala stare, ha capito di aver sbagliato e ora sa che deve rimediare ai suoi errori.» Mia nonna finalmente era tornata più comprensiva, magari il discorso che le avevo fatto in macchina iniziava a dare i suoi frutti, ma con mio nonno recuperare la fiducia sarebbe stata un'impresa epica.

«Non ho fame, posso restare in camera mia?» chiesi in un sussurro. Lui non mi rispose, mi diede le spalle e andò in salotto. Io attraversai il corridoio per andare nella mia stanza, chiusi a chiave la porta e mi buttai sul letto con BYOB dei Toxicity al massimo. La mia vita andava a rotoli e io ne ero l'artefice.

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