⁷⁴. 𝘗𝘶𝘯𝘵𝘪

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Ho sempre creduto che non valesse la pena vivere per me stesso, e per molto tempo sono rimasto attaccato all'esistenza solo per non dare un dispiacere ad altri. Ma non possiamo costruire le nostre fondamenta su alcuna rete di salvataggio che non sia soltanto nostra. Nicholas aveva provato a dirmelo, e io l'ho ignorato. E ho fatto di te la mia luce in fondo al pozzo. Ma ora che non ci sei, ho capito quanto ancora una volta io abbia voluto farmi del male––

Florian osservò perplesso il foglio di fronte a sé, tirandolo fuori dal rullo per cancellarne con foga l'ultima riga. I suoi polpastrelli si erano già sporcati d'inchiostro, e poteva sentire il sudore imperlargli le dita, facendo scivolare i tasti della macchina da scrivere sotto di esse. Ogni tanto si gettava delle brevi occhiate dietro la schiena, controllando che non stesse passando nessuno nell'intercapedine che aveva scelto per scrivere quella lettera senza destinatario.

Alla fine aveva deciso di seguire il consiglio di Yae, e aveva atteso la solitudine della pausa pranzo per far fluire fuori da sé tutte le cose che avrebbe voluto dire a Dianne. Nonostante le parole della giovane Pre, ancora non era riuscito a togliersi dalla mente l'idea che la donna potesse essere il frutto della sua subdola immaginazione. Quell'ipotesi, tuttavia, non gli aveva comunque impedito di provare a parlarle.

Accartocciò il foglio sul quale aveva abbozzato il suo quarto incipit, per poi dispiegarlo e voltarlo al contrario, ignorando le grinze. Non aveva mai adorato scrivere a penna: in qualche modo gli sembrava che i suoi pensieri non fossero abbastanza importanti da meritare di essere incisi con così tanta premura. E così aveva optato per una vecchia Brother, trovata nel cumulo di oggetti analogici che i Risveglisti avevano messo a riposare nella sezione Comunicazioni. I martelletti delle lettere ogni tanto si accavallavano, ma era comunque felice di aver rimesso in funzione quella macchina da scrivere sgangherata.

Si avvicinò le dita alle labbra, cercando invano di riscaldarle. Il sudore misto al freddo pungente di gennaio le aveva fatte spaccare in mille punti, rendendo la scrittura più dolorosa del dovuto. Ian sospirò, affranto. Le sue parole sembravano destinate a vagare per sempre nel vuoto, come un messaggio in una bottiglia, o come le sonde Voyager, che trasportavano i ricordi degli esseri umani, e che probabilmente sarebbero sopravvissute a tutti loro.

Col cuore in gola, ricominciò a buttare giù qualche frase.

Non posso credere che tu non sia mai esistita. E non è perché so che Eddie esiste, non è perché ho capito che hanno cercato di incastrarmi. È perché non voglio. Nicholas direbbe che sono in piena fase di "negazione", come dopo un lutto. E avrebbe ragione.

I due mesi che abbiamo passato insieme sono stati bellissimi. Pensare di poterti vedere, da lì a poco, mi provocava una gioia immensa. Nello specchio scorgevo un uomo che non riconoscevo, nel mio corpo provavo sensazioni che non ricordavo. E tutto di te mi manca. Sento il tuo profumo solleticarmi i sensi, la tua risata risuonarmi addosso. Sento rimbombarmi nel petto le nostre interminabili conversazioni di fronte al caminetto, con le tue dita sottili che puntano Altair, Vega, Antares. E la tua voce che mi dice: 'perché non fai uno sforzo? Perché non provi a guardare nel telescopio? Tanto se svieni ti prendo io'. E neanche ti rendevi conto di quanto fosse bello quello che stavi dicendo. Se lo avessi realizzato, probabilmente lo avresti ritrattato all'istante.

Nicholas una volta mi ha detto che la mia paura di osservare il cielo rappresenta quella di prendere posizione. So che le stelle sono lì, ma alzare il viso mi provoca delle tremende vertigini. E così le dipingo, ne osservo la pallida imitazione sul soffitto. Un placebo. Allo stesso modo, ho sempre avuto paura di buttarmi a fare qualsiasi cosa, dicendomi che non ne valesse la pena, inventando delle scuse. Ma da quando ti ho conosciuta è cambiato tutto. Ti ho dato ogni cosa di me – ogni sorriso, ogni lacrima, ogni rossa cicatrice che mi scava dentro al corpo – e ora mi sento come se non fosse rimasto niente. Assolutamente niente. Disintegrato come pulviscolo tra le tue braccia.

Sai, tempo fa ho davvero guardato nel telescopio, una sera che ero da solo. Volevo fare una prova senza dirti nulla. Mi sarebbe piaciuto incontrarti il giorno dopo e urlarti "ce l'ho fatta, finalmente!" E ti avrei stretta forte, prendendo il coraggio di baciarti un'altra volta. E invece ho resistito solo qualche secondo, scrutando nella lente. Ho quasi rischiato di vomitare, prima di distogliere lo sguardo. Ho fallito per l'ennesima volta. Ma dovevo farlo, anche se faceva schifo, anche se faceva male. La bellezza si intreccia sempre con il dolore. È per questo che, prendendo in prestito la canzone che avrei dovuto suonarti quel giorno, "per quanto lontana tu possa essere, ti amer

– È permesso?

Florian sobbalzò, notando una figura nel suo campo visivo. Willas teneva una mano stretta a pugno accanto al muro, a riprova del fatto che doveva aver già bussato un paio di volte. Indossava una felpa e dei pantaloni verde militare troppo grandi per il suo fisico allampanato, che lo facevano assomigliare vagamente a uno spaventapasseri.

– Sì, certo – gli rispose, passandosi il dorso della mano sulla fronte madida. – Vieni pure.

Il ragazzo si fece strada tra la paccottiglia, assumendo un tono contrito. – Scusami – disse. – Non volevo spaventarti.

– Non preoccuparti, è solo che i tasti facevano troppo rumore. Devo tornare?

Florian controllò il vecchio orologio che gli aveva prestato Yae, e che segnava ancora una mezz'ora alla fine della pausa pranzo.

– No. In realtà ti ho cercato perché volevo chiederti una cosa – rispose Willas, oscillando assieme ai suoi ricci corvini. Avendo rinunciato alla ferrea disciplina dei Sorveglianti, aveva smesso di rasarsi i capelli. Di conseguenza, avevano iniziato ad assumere un aspetto scarmigliato, assomigliando a quelli di Florian. Non di rado gli altri abitanti del Lethe gli avevano chiesto se fossero fratelli.

– Dimmi – rispose, nascondendo la lettera in una tasca, senza curarsi di piegarla. A Willas non sfuggì quel movimento furtivo; tuttavia, non gli chiese nulla.

– In realtà è più un favore – disse, imbarazzato. – Vorrei che tu mi insegnassi il linguaggio dei segni.

Florian sollevò le sopracciglia, stupito. – Davvero? – gli uscì, senza pensarci. – E perch-

Si interruppe, distratto dai movimenti sgraziati di Willas. Il ragazzo si sedette di fronte a lui incrociando le gambe, apparentemente stremato dall'aver fatto quella richiesta. Le sue guance arrossate bastarono a fargli sbocciare un leggero calore nel petto, che si riflesse nel sorriso furbo che gli affiorò alle labbra.

– Ah, se è così... – lo canzonò.

Willas parò le mani di fronte a sé, difensivo. – Ti prego, Ian. È già abbastanza complicato.

Percepì il suo atteggiamento schivo saldarsi a qualcosa di ignoto, più torbido del semplice imbarazzo di una cotta. Era come se Willas si stesse ritraendo dal suo stesso sentimento, come un pilota intento a sabotare il proprio motore.

– Cosa c'è di complicato? – provò a chiedergli, cauto. Tanto per fare qualcosa, acchiappò un vecchio transistor inutilizzato, allargandone le appendici ferrose con le dita.

– Tutto. Lei, il suo passato, la sua reticenza nei confronti degli uomini. E poi questo posto, suo padre...

Lo sguardo di Willas appariva irrimediabilmente affranto. Florian decise di accostarsi a lui, schivando il pattume elettronico sparso sul pavimento.

– Non devi preoccuparti di tutte queste cose – gli disse, addolcendo la voce. – Devi pensare solo a cosa vorresti tu, e a scoprire se è la stessa cosa che vorrebbe anche lei.

– Io vorrei solo renderla felice – rispose lui, piantando gli occhi a terra. – Ma non credo di esserne in grado.

– Perché no? – gli chiese. Florian appoggiò la schiena su un altoparlante, raddrizzandola. – Sei un ragazzo sensibile, forte e intelligente. L'hai aiutata a fuggire dal suo inferno, e questo per me è già "renderla felice".

– Ti sbagli – disse Willas. – Tu l'hai aiutata a fuggire. Hai avuto l'idea del magnete, e le hai estratto il localizzatore. Io sono solo un tossicodipendente codardo che non è stato capace di inciderle la pelle. Se avessi avuto io il coltello in mano, adesso tu...

Il ragazzo si fermò, a disagio. Non saresti un assassino, continuò Florian, leggendogli quella frase addosso. Come di consueto, si figurò gli occhi pieni di morte della Madama Levatrice bucargli la pelle, sfaldandola una cellula alla volta.

Willas assunse un tono asciutto, a tratti disturbato da dei brevi respiri. – Non ho fatto davvero nulla, per lei. È inutile prendersi in giro. Ieri ripensavo alla fuga di Yae, al suo tentativo di liberare quella ragazza. Come me, anche lei voleva scappare da una prigione fatta di idee, anche lei era stanca della personalità che gli altri le avevano cucito addosso. Solo che, a differenza sua, io sono fuggito solo per salvare me stesso.

– Non è così – decise di interromperlo Ian, posandogli una mano sulla spalla. Lo sentì tremolare sotto la propria presa, ma cercò comunque di infondergli un briciolo di fierezza. – Non hai salvato solo te stesso. Se tu non mi avessi aiutato, adesso sarei ancora nelle grinfie di Jonas, probabilmente senza memoria. E questo mi sembra un gesto più che altruistico.

Willas sospirò, sottraendosi alla sua presa. – Sei tu che ti sbagli, Florian. Non sono stato altruista. Ho disatteso le aspettative del Corpo Sorveglianti e quelle della mia famiglia, e ho abbandonato mio padre in una clinica. Non so per quanto tempo potrà bastargli il mio gruzzolo da disertore, né se il Corpo continuerà a erogarglielo. – Il ragazzo alzò gli occhi su di lui, vestendoli di uno sguardo colpevole. – La verità è che sono un verme egoista, e che salvarti è stato solo un pretesto per fuggire da una vita che mi stava stretta.

Il silenzio riempì l'angusta intercapedine in cui si erano rifugiati, intervallato solo dal tintinnio delle posate della mensa comune. Willas posò la testa su una colonna di libri, con le lacrime a stazionargli tra le palpebre e le ciglia, in un precario equilibrio di tensione superficiale.

Florian lo osservò ancora un po', indeciso sul da farsi. A un tratto, un pensiero gli si affacciò alla mente, facendogli fiorire un piccolo sorriso.

– Lo sai, inizio a pensare che gli altri non abbiano tutti i torti, quando ci dicono che sembriamo fratelli.

Willas spostò il viso verso di lui, accigliato. – E perché?

– Beh, non ci crederai, ma qualche giorno fa anch'io ho avuto dei pensieri simili. Su Elsinore.

Il ragazzo gli rivolse un'occhiata interessata, e Ian si affrettò a continuare.

– Riflettevo sul fatto che io sia tornato da lei solo per chiedere il suo aiuto per arrivare nel Lethe. Nonostante sapessi della sua condizione dall'anno scorso, non avevo mai denunciato nulla alle autorità, né ero tornato a vedere come stesse. All'inizio mi ero detto che sarebbe stato meglio non impicciarmi, sia perché ne avrei sofferto, sia perché magari era davvero una mitomane, come affermava la sua carceriera. Ma la verità è che ho solo avuto paura di cadere troppo a fondo nel suo baratro, sino a non riuscire più a risalire.

Florian si strinse i polsi, ormai liberi dalle garze. Willas non gli tolse gli occhi di dosso, e la cosa gli provocò una punta di malessere.

– E così, ne ho parlato direttamente con Elsi. Era venuta qui per portarmi una VHS da parte di suo padre, e ci siamo messi a chiacchierare un po'. Quando mi sono scusato, mi ha risposto con uno sguardo di rimprovero. Poi mi ha detto che anche lei aveva fatto la stessa cosa con noi, "usandoci" per fuggire da Marwoleth, e che quindi non avrei dovuto preoccuparmi.

Willas si compresse nelle spalle, e lui continuò. – Io penso che in questo siamo tutti un po' simili. Ognuno di noi si lega agli altri per ragioni più o meno strumentali, e a un certo punto comprendere dove finisca l'egoismo e inizi l'altruismo risulta impossibile. Quello che rimane è solo una serie di persone che si aiutano l'un l'altra, come fossero tanti punti messi uno accanto all'altro, sino a formare una retta ininterrotta.

Ian aspettò una risposta da parte di Willas, che tuttavia non arrivò.

– Sai cosa mi ha detto Elsinore, alla fine? – provò a chiedergli.

Il ragazzo si riscosse. – Che cosa?

– Che era sicura che un giorno sarei tornato. Poi mi ha mimato delle parole che non ho saputo tradurre, e così le ha scritte su un foglio. Ce l'ho ancora qui.

Florian si alzò in piedi, iniziando a pasticciare con le cartacce che invadevano una vecchia pulsantiera. Ne gettò qualcuna a terra, provocando un fruscio sordo nella stanza. Una volta trovato ciò che cercava, lo porse a Willas.

– "I semi che piantiamo negli altri prima o poi germogliano" –, lesse il ragazzo a mezza voce. Non aggiunse altro, bloccandosi a riflettere su quelle parole come un ologramma sfarfallante.

Florian sorrise, accasciandosi nuovamente accanto a lui. – Sono d'accordo. A volte gettiamo delle ancore di salvataggio qua e là, aspettando che le persone giuste le raccolgano. Magari non ce ne rendiamo neanche conto, ma ciò che facciamo potrebbe ispirare qualcun altro a fare del bene.

Ripensò alle parole che gli aveva detto Yae sul parapetto, mentre Willas e Ann davano spettacolo. "Hai degli alleati dalla tua parte, adesso. Persone che hai aiutato, che hai ispirato".

Willas lo guardò di sottecchi, rilassando leggermente il proprio viso affilato. – Forse non avete tutti i torti. In fondo questa storia, per me, è iniziata quando ti ho lasciato andar via al posto di blocco. Di ispirare, mi hai ispirato eccome.

Florian arricciò il naso, imbarazzato. – Ti sei ispirato da solo, Willas. Non ti togliere alcun merito.

Il ragazzo incassò il colpo, rimanendo in silenzio. I minuti rimanenti alla fine della pausa pranzo sembrarono sgocciolare veloci verso la fine, come in una clessidra dal ventre troppo largo.

– Credi che potrà andar bene? – chiese Willas, spezzando la calma.

– Intendi con Elsi?

Lui si accucciò nella felpa, celando la propria statura spropositata. – Sì. Anche se siamo chiusi qui dentro, e non sappiamo cosa accadrà quando suo padre avrà terminato i preparativi per la ribellione. E poi c'è la questione del Laboratorio, la menzogna di Yae. Per non parlare del fatto che siamo un gruppo di fuggitivi ricercati all'esterno. – Il ragazzo si fermò, demoralizzato. – Mi sembra solo di essere al centro di una ragnatela, invischiato in un'impasse.

Ian spinse le mani sul pavimento, sentendo le vertebre schioccare. – Presto la situazione si sbloccherà. E anche se Krassnerr dovesse rimandare il golpe, noi seguiremo la nostra strada.

Willas gli gettò un'occhiata dubbiosa. – In che senso?

– Nel senso che dovremmo dirgli la verità. Potrebbe davvero essere l'unica soluzione. Anche Yae sa che se vogliamo riprenderci Eddie e la sua amica Eve ci serviranno delle armi e qualche soldato, e Krassnerr mi ha detto espressamente che non ce li fornirà sin quando non si fiderà di noi. Ma anche noi dobbiamo decidere se fidarci di lui.

Il ragazzo ponderò quelle parole, lasciando che il suo sguardo smeraldo si annuvolasse. – A me sembra una brava persona. Ti assomiglia, in un certo senso.

Lui non seppe come interpretare quella frase. – Beh, però bisogna comunque stare attenti. Hai sentito la storia del coinvolgimento della Chiesa nel Progetto della Stanza Bianca. Appena Abramizde ha capito che avrebbe avuto tra le mani una coppia di giovani fertili, ha perso il lume della ragione. Potrebbe succedere lo stesso anche al Leader.

Willas sospirò. – Intanto, qui dentro è lui il burattinaio. Nulla si muove senza un suo ordine, e sembra essere ovunque. Riesce persino a trovare del tempo per stare con Elsi – disse. Pronunciando il soprannome della ragazza, Ian notò le sue guance imporporarsi.

– E tu, invece? Riesci ad avere del tempo per stare con lei? – gli chiese, prendendolo alla sprovvista.

– Non molto – rispose lui, abbattuto. – Inoltre, parlarle è sempre faticoso. È come se fosse uno scrigno senza chiavi.

Florian sgranchì le braccia, sorridendo. – Devi solo avere un po' di pazienza. Quando avrai imparato la sua lingua, sarà tutto più facile.

Il ragazzo provò a imitare la sua espressione, finendo per esalare comunque uno sbuffo di sconforto. – Non so davvero da dove cominciare.

Lui lo osservò un istante, prima di alzarsi dal pavimento, appoggiandosi a una sfilza di giornali mangiati dai tarli. – Potresti iniziare da questo – gli disse. Dopodiché mosse una mano, puntando l'indice verso di lui. In una sequenza veloce, portò le dita aperte a palmo a un centimetro dal proprio volto, facendole ruotare ed esplodere verso l'esterno. Accompagnò quei gesti incurvando le labbra, gustandosi lo sguardo incuriosito di Willas.

Il ragazzo seguì la sua frase in linguaggio dei segni, marchiandosela a fuoco nella mente. – Che significa? – gli chiese.

Florian sollevò le spalle, facendo il vago. – Chi lo sa – scherzò. – Potresti sempre chiederlo a lei. Mancano dieci minuti alla fine della pausa pranzo, se vai adesso magari eviti anche di dimenticare la sequenza.

Willas sembrò drizzarsi sull'attenti, in un vago retaggio del suo addestramento militare. – Non è nulla di strano, vero?

– Non preoccuparti – lo canzonò. – Ma assicurati di dirglielo quando sarete da soli.

Adesso sembra davvero qualcosa di strano.

Florian sbuffò, esasperato. In qualche modo, quell'atteggiamento di esaltata paranoia gli ricordò il se stesso precedente all'appuntamento di dicembre. Portò le dita a stringere la lettera, ancora accartocciata nella tasca. Non ho neanche finito di scriverla, pensò. Il contrasto tra i vividi sentimenti che stava provando Willas in quel momento e la propria travagliata situazione con Dianne ebbe il potere di abbatterlo in un istante, come un albero tranciato da un fulmine.

Con una punta di malinconia a inquinargli la voce, si sentì rispondere a Willas da lontano, sforzandosi di sorridergli.

– Significa "sei bellissima".





• Angolino •

Quindici giorni, nuovo record! Lasciamo perdere. P. S. La foto all'inizio del capitolo l'ho scattata io, agghindando la mia scrivania come l'avrebbe agghindata Ian, con tanto di lettera DAVVERO battuta a macchina da scrivere (mi sono divertita non poco). Non sono disordinata quanto lui, ma perlomeno gli oggettini degli anni '90 li abbiamo in comune.

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