Il colore delle emozioni

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

La tazza in cui servono la cioccolata al 'Solito posto' è uno dei miei piaceri, adoro chiuderla fra le mani per scaldarle! L'aria frizzante di questa mattina, poi, è perfetta per apprezzarne il calore, da uno dei tavolini all'esterno del locale.

Non sono tanti gli avventori che preferiscono questa terrazza, in autunno, ma è affacciata su una piazza affollata d'alberi che devia il traffico e consente una tregua dall'aria cittadina, una tregua fatta di richiami di uccelli e di odore di erba umida. 

Anche le poltroncine e i tavolini sono umidi, ma non piove e non rinuncio a restare all'aperto. Mi chino sulla tazza e apro le mani a coppa in cui la custodisco, per consentire alla nuvoletta di vapore che ne sfugge di infrangersi sul mio naso, assaporando l'odore magnifico della cioccolata.

Quando son stata qui la prima volta, ho chiesto di che colori fosse ogni cosa, per potermela raffigurare a dovere. Importante, per me che ho sempre associato, fin da piccolissima, gli stati d'animo al colore, facendo di ogni genere di pastelli, tubetti e inchiostri, il regalo più ambito dei compleanni dell'infanzia.

La tazza di questo locale, ho scoperto, è davvero amabile.

È di un marrone rossiccio caldo, autunnale, associabile, mi hanno detto, al guscio lucido delle castagne; ma a sorpresa, scavalcando l'orlo e osservando l'interno, esso è arancio, un arancio deciso, carico, ambizioso; lo immagino facilmente, lambito dal bruno della cioccolata densa, sensuale. Connubio perfetto!

Non prenderei mai la cioccolata in una tazza di vetro; la trasparenza, la superficie perfettamente levigata del vetro non potrebbe rivaleggiare col bordo spesso, con le pareti lisce ma porose, comunicative, della tazza che porto in alto sostenendola con le dita e i palmi; coi pollici lontani dalla parete, tocco invece il mio viso per guidarla con precisione.

Apprezzo compiaciuta col labbro inferiore la curvatura del bordo, la sua misura, il suo spessore, la sua setosità, come sia una bocca perfetta su cui lasciare un bacio. Sorseggio, concentrata sulla consistenza cremosa.

Avverto avvicinarsi qualcuno che muove più sedie, irrompe nei miei pensieri sollevando immediato allarme; la mancanza delle informazioni di un senso in precedenza preponderante può rendere psicologicamente fragili, facili all'ansia.

Calma, Silvia, mi dico, e ascolta: la persona non si è avvicinata guardinga, hai sentito che arrivava e poi il rumore delle sedie. Chi può spostare più sedie? Un cameriere che le asciughi e che sistemi i tavoli; infatti, sento che dopo esser passato di tavolino in tavolino va via.

"Buongiorno, Silvia cara".

Sobbalzo appena, riconoscendo la voce del signor G.

Come è forse comprensibile, e scusabile, in genere sono contrariata da quanti non si fanno sentire avvicinandosi; ma di certo non posso rimproverare lui, per questa sgarberia incolpevole.

Finché ha potuto, ha avuto l'accortezza di scalpicciare anche oltre il normale, per avvisarmi. Lo riconoscevo senza meno anche prima che il tenue odore del suo dopobarba mi raggiungesse, misto a quello gentile del gelsomino che avevano i suoi vestiti.

Non voleva altri che quei sacchetti profumati, per i cassetti e gli armadi, come li aveva sempre usati sua sorella. Vivevano insieme da che lei era rimasta vedova con un figlio piccolo; e quando s'era ammalata, il signor G. l'aveva assistita e tranquillizzata, giurandole che quel figlio avrebbe sempre avuto in lui il padre perso prestissimo.

L'avevo da subito ammirato per l'amore con cui aveva accudito la sorella e poi per quello che aveva saputo dare al nipote, guidandolo con polso fermo ma mai mancando d'essergli anche complice in mille iniziative.

Più nonno che padre, per età, non c'era stata gara sportiva in cui il signor G avesse fatto mancare il suo tifo per il nipote, né iniziativa scolastica che non l'avesse visto tra gli organizzatori, o concerto in cui non si fosse prestato come accompagnatore per un gruppetto di adolescenti a lui affidati.

Era stato padre e madre, confidente e suggeritore, tifoso, fan, supporter e ogni altra cosa che servisse. Il giovane Giulio era cresciuto sereno, nonostante i lutti subiti. Era stato custodito da una gran persona.

Appena trasferitami nel quartiere avevo appreso la storia del signor G dalla portinaia, che l'adorava come un santo, e io stessa avevo scoperto presto quanto fosse gentile e amabile, cortese come noi giovani immaginiamo dovessero essere i cavalieri di un tempo.

Niente armatura e cavallo, ma tanta attenzione; a chiamarmi l'ascensore, a cedermi il passo, a offrirsi per qualche incombenza, apprendendo dalla portinaia che ero a letto per una influenza. Gentile con tutti ma particolarmente con me, per via della mia condizione.

"Sono felice di sentirla, signor G. Tutto bene, credo, vero?"

"Assolutamente, Silvia cara, assolutamente. Sono stato davvero felice di quello che ho potuto accertare di persona. D'altro canto immagino che non debba dirlo a lei, che ha il privilegio di sapere più di quel che normalmente si sappia".

"Ancora il lei, signor G! Quante volte l'ho pregata di darmi del tu! Ho l'età di suo nipote..."

"Hai ragione", si intenerisce,"è colpa della vecchiaia, e credimi, per me sei stata proprio la nipote femmina che mi è mancata. Giulio mi portava a casa sempre tanti amici, ma ben poche amiche. È sempre stato un po' timido. Anzi..." la voce si abbassa complice e ridacchia, "diciamolo, è sempre stato una frana, col gentil sesso".

"Non come lo zio", sorrido stuzzicando il suo orgoglio.

"Oh, non che sia mai stato un rubacuori", si schermisce con modestia, "ma insomma, se incontravo una bella donna non mi mancava il garbo di farle qualche complimento e di farmi notare. Sempre col massimo rispetto", sottolinea poi serio, "Senza mai far rimpiangere a nessuna d'essersi fidata di me!"

"Ne sono certa", dico sorridendo, "Ho conosciuto in lei un signore, e di certo lo è sempre stato, anche da giovanotto".

"È che le ho sempre ammirate, le donne! Sono creature eleganti, spesso più ragionevoli degli uomini, meno impulsive; forse perché un tempo pagavano prezzi ben più cari, se compivano un passo falso. La società in cui sono nato era piuttosto dura, con loro.

Sottovalutava le loro capacità, le costringeva a rinunciare a molti talenti, in favore dei pochi che si giudicavano giusti per una donna. Un grande spreco!"

Annuisco. Abbiamo parlato spesso di questo, di come è cambiata la società, di come è cambiato il modo di considerare le donne, di quanti passi avanti sono stati fatti, ma di quanti di questi siano in realtà passi falsi.

"La donna è donna", affermava: "Dovrebbe essere rispettata per quello che è, non spinta a diventare simile all'uomo, per potersi affermare in qualsiasi campo".

Abbiamo sviscerato la questione a lungo, perché ero piuttosto prevenuta e da un uomo ormai anziano mi aspettavo che, sotto sotto, celasse idee retrograde, velate di nostalgie pericolose. Di fatto, avevo dovuto riconoscere in lui più equilibrio e sincerità di molti giovanotti moderni piuttosto confusi intorno al ruolo di una donna.

Il signor G era intelligente, aperto e se diceva di aver sempre amato le donne lo diceva a ragion veduta.

Non era una battuta maliziosa, non sottintendeva nulla di poco lusinghiero. Le amava come tali, ritenendole creature degne della sua umanità. Di una umanità pulita, generosa, in cui essere diversi è un pregio e una ricchezza.

"Silvia, io sono qui per un motivo".

Questa serietà con cui mi parla, ora, mi preoccupa, lo confesso.

"Come sai, io mi sono innamorato di te al primo sguardo".

"Ma... Signor G!"

"Avanti, deve essere stato evidentissimo! Cosa hai pensato, che fosse solo la solitudine per la lontananza di Giulio, ormai universitario? Fosse stato quello, avevo un'intera schiera di condomini con cui chiacchierare per le scale. Ma la tua compagnia mi è stata subito preziosa, e che trovassi adorabile ogni cosa di te non te l'ho certo nascosto!"

"Signor G, lei è sempre stato molto gentile e protettivo e io le sono stata molto grata delle mille attenzioni con cui mi ha circondato ma..."

"Ma niente, anche tu hai apprezzato la mia persona, considerandomi ben più di un vicino simpatico. Mi hai voluto bene, e ancora me ne vuoi. Per questo so che mi accontenterai".

"Signor G, io non so immaginare cosa desideri da me ma..."

"Ma niente, te lo ripeto. Tu ti fidi di me, e dunque farai come ti chiedo. Tu vivi sola, Silvia, e ti ammiro per la tenacia con cui hai voluto dimostrare a tutti che potevi farlo. Ora tutti sanno quanto sei forte, e dunque, puoi anche accettare una persona nella tua vita senza che debba sentirsi come il tutore di un disabile.

Tu hai dimostrato al mondo di essere pienamente abile, e autonoma. Ora puoi accogliere al tuo fianco un uomo, come tuo pari. Uno che sia all'altezza della tua intelligenza, del tuo coraggio e della tua bellezza"

"Signor G, questo 'corteggiamento' è altamente... irregolare".

L'anziano ridacchia divertito. "Irregolare, dici? Nessuno mi ha spiegato ancora bene le nuove regole. Comunque non sto usando nessuna abilità scorretta, intendo solo dispiegare il mio incontestabile fascino e la cavalleria dei vecchi tempi per indurti in tentazione, mia bella signorina"

"Io da molto non sono più indotta in tentazione", confesso intristita. È da quando la vista si è ridotta tanto da non vedere più che ombre indistinte, che non ho più tentazioni. La vista era il mio senso dominante; peggiorando quella, i miei desideri si sono inariditi; e non vedendo più, si sono ridotti a nulla.

"Silvia, alla tua età le tentazioni dovrebbero essere continue e piratesche. Non va affatto bene quel che affermi ed è una fortuna che sia qui per rimediare".

"La modestia magari è una virtù", bofonchio più preoccupata che altro, e il signor G scoppia a ridere. Una risata comunicativa, che mi era veramente mancata. Il suo tono torna severo subito, però.

"Vedi di prendermi davvero seriamente, cara signorina, perché non puoi continuare a rinnegare una parte così importante della vita, è un delitto che non perdonerai a te stessa, quando la stagione sarà svanita. È ora che devi darti una possibilità, proprio ora che sei nel fiore dei tuoi anni, e io sono qui per proporti il compagno adatto".

"Signor G... io sono cieca!" E mi sembra, con questo, di dire tutto.

"Ma se vedi anche i fantasmi!" mi risponde con tono divertito.

Faccio una smorfia, quello non è stato mai argomento di conversazione. Che sia una sensitiva nessuno l'aveva mai saputo, neppure lui, prima. Anche se è vero, pare che questi soggetti io riesca a vederli.

L'osservo colpita dall'ironia della cosa: non lo vedevo, da vivo, e ora riesco a notare i dettagli della giacca di buona fattura, del gilet a rombi elegante, il volto rasato di fresco e gli occhi grigi bonari, venati di divertimento.

Dev'essere frutto di associazioni di memoria, penso.

"Parliamo di cose serie, ora", riprende: "Ho vissuto in modo modesto per scelta, ma sappi che avevo addirittura ascendenti nobili, e alcune proprietà di valore, oltre all'azienda di famiglia".

Ci raggiunge un refolo d'aria tiepida, che immagino provenga dal locale. A quest'ora comincia a movimentarsi ma i clienti si affollano più volentieri al banco, piuttosto che venire a sedersi qui. Aprono la porta a vetri, respirano il freddo della terrazza e si ritirano dentro, pavidi.

Il signor G procede implacabile, nel suo 'discorso serio':

"Dovresti soppesare alcuni elementi, indispensabili per una vera storia d'amore: una sincerità come la mia, un rispetto per le donne come quello che nutro io, l'apprezzamento con cui penso a loro come mie pari, anche fisicamente.

E poi naturalmente manca che tu voglia provare, che tu decida di sciogliere il tuo cuore, che tu consenta a te stessa di sentirti donna. Che tu ammetta di desiderarlo, come non si fanno scrupolo di dimostrarlo quei due fidanzatini".

"Desiderarlo? Cosa ne sa di cosa posso desiderare?"

Ammetto d'essere parecchio scombussolata, a questo punto del discorso.

"Ne abbiamo parlato, se ricordi bene. Abbiamo parlato tanto e di tante cose, e un giorno ho accortamente portato i nostri discorsi sulla società, sulla parità dei generi e sulla varietà di gusti nel mondo... e tu, mia cara, pur nell'apertura agli orientamenti più vari, hai parlato da convinta etero. Non vorrai negarmi che i tuoi sogni erotici sottintendano null'altro che un bel giovanotto!"

"Signor G!"

Giuro, non è mai stato così esplicito e sento che sono arrossita violentemente. Poi un rumore attira la mia attenzione e ricollego a una cosa che ha detto, circa due frasi fa.

"Ma c'è gente?" gemo spaventata:"Signor G, mi dica che siamo soli!"

"In verità, c'è una coppietta al tavolino più vicino al parapetto", mi risponde divertito.

"Oh Signore! Ero così presa dal nostro discorso che non li ho sentiti arrivare! Chissà cosa avranno pensato a vedermi gesticolare da sola!"

"Beh, tranquilla, non si sono fatti troppi problemi perché parlavi con l'aria. Anzi direi che la cosa è stata gradita, hanno fatto come fossero soli. Se ti concentri, puoi sentire i loro respiri; sono passati oltre le tenerezze mormorate, oltre i baci a fior di labbra, e sono già alle effusioni preliminari, con le mani che viaggiano audaci..."

"Signor G, per carità!"

"Che c'è, Silvia cara? Sono giovani, sani ed eccitati com'è giusto che sia alla loro età; alla tua età. Ascolta, e lascia che ti ricordino..."

"No, non ho alcuna intenzione di ascoltare nulla! Ora pago e..."

"Silvia, non ho molto altro tempo. Basta scherzare! Io ti parlo con la confortante coscienza che se mi ascolti sarà un'ottima cosa, per te.

Tu devi fidarti, perché sono vecchio e perché vedo le cose da una prospettiva privilegiata, ormai.

Presto sentirai arrivare qualcuno, e per una volta farai bene a non irrigidirti. Prova a essere te stessa, ad ascoltare le tue sensazioni, a essere spontanea. Prova a non pensare, ma a seguire l'istinto".

Mi soffermo perplessa a considerare questi inviti, così curiosi.

"Cosa sta combinando, signor G?", chiedo.

"Non abbastanza, purtroppo", è la singolare risposta.

"Mio nipote Giulio", soggiunge poi sospirando, "sta soffrendo; ha appena concluso il suo percorso di studi col massimo dei risultati ed è tornato per prendere il suo posto in azienda.

Dovrebbe essere il coronamento di un sogno, ma che io non sia lì a goderne con lui lo rende infelice come non dovrebbe. Vorrei capisse che ci sono, come e più di prima, ma non ha quel dono necessario per sentirmi. Un dono rarissimo, preziosissimo. Il tuo, dono!"

"Mi sta chiedendo di andar a parlare di lei con suo nipote?"

"No Silvia, so che non hai mai parlato di questo con nessuno e credo che tu sia saggia, in questo: essere una sensitiva è scomodo ed espone a troppo facili ironie. No, vorrei che tu parlassi con lui ma non di questo. Piuttosto vorrei, se doveste incontrarvi, che tu rompessi il ghiaccio perché lui non riuscirebbe a farlo.

Sapeva di te, sai, della tua esistenza; ne parlavamo al telefono e una volta ci incrociammo nelle scale. Tu partivi per passare le festività in famiglia e lui era appena arrivato per passarle con me. Ricordo la sua espressione, come avesse visto un angelo. Fu allora che pensai che avreste potuto essere una splendida coppia, ma ogni volta che ho tentato di farvi incontrare le circostanze hanno deciso diversamente.

Non mi sono preoccupato perché ormai era sul punto di tornare, e credevo avrei avuto tutto il tempo di fare il paraninfo. L'infarto mi ha colto di sorpresa e, confesso, contrariato per questo solo motivo".

Scuoto la testa addolorata."Signor G, non credo agli appuntamenti al buio".

"Eppure nel tuo caso sono indicatissimi", commenta.

"Questa è pessima, davvero!" Sono sbalordita che il mio caro signor G, sempre così garbato e discreto, sia così intraprendente. Invadente e insistente, direi. E da fantasma, poi!

"Silvia, io non ho più il potere di far nulla. Ho fatto visita a Giulio ma, appunto, non ha alcuna consapevolezza della mia presenza. Però questa mattina l'ho visto uscire di corsa, senza neppur far colazione, e ho avuto un'intuizione. Questa terrazza era un posto speciale, per noi, venivamo sempre qui a far colazione quando era un giorno di festa. Se ricordi, sono io che ti ho fatto conoscere questo locale".

Annuisco, ricordo bene. Era diventato da subito anche il mio bar preferito.

"Sta dirigendosi qui, ci scommetterei. Se lo conosco bene, e lo conosco bene, verrà fuori a guardare gli alberi che si vestono di rosso per l'autunno. Ti vedrà, ma dispero che riesca a salutarti, magari a sedersi al tuo tavolino. Devi farlo tu, Silvia. Se la nostalgia lo guiderà fino a qui, devi considerarlo un segno del destino. Credimi, se gli dai una possibilità, se la dai anche a te stessa..."

Così come senza preavviso è apparso, la sua figura svanisce. Torno a sentirmi sola al tavolo, torna il rumore delle fronde, l'alito del vento fresco, la sensazione della tazza in mano, non più calda.

Sento il mormorio degli innamorati, e sento anche un passo sul brecciolino. Rivolgo il viso verso il rumore e il vento che spira verso di me mi porta un sentore familiare. Sento il passo rallentare, come indeciso, proseguire piano, fermarsi forse uno, due tavolini più in là. Sorrido, lo conosce bene davvero.

"Gelsomino", sussurro. "Ho sempre amato questo profumo delicato sugli abiti. Giulio? Il nipote del signor G? È lei?"

Parlo sottovoce, ma avverto un movimento improvviso, come un sussulto di sorpresa.

"Silvia? La signorina Silvia? Io..." e si interrompe. Sapendo che non l'ho mai visto, certo non credeva potessi identificarlo; tutti sottovalutano la quantità di elementi che odori e suoni svelano del mondo.

"Posso sedermi accanto a lei?", chiede subito dopo.

Allora in fondo un po' di coraggio c'è, non come pensava suo zio. Non è audace, certo, ma almeno la forza di chiedere l'ha avuta.

"Si accomodi", rispondo. È strano che questa mattina abbia tutto il tempo del mondo, e sorrido all'idea che il signor G volesse tanto farci incontrare ma alla fine sia successo senza il suo intervento a combinarlo.

"Da che suo zio mi fece conoscere questo bar è diventato il mio preferito".

"Amava questo posto", rammenta il giovane: "Stamattina avvertire la sua mancanza in casa mi ha fatto fuggire. Eppure ho finito per venire in un altro posto in cui tutto me lo ricorda".

"Ha fatto bene", lo rassicuro: "Non è sfuggendo i ricordi che troverà quiete, anzi! Deve parlare di lui, parlare con lui fino a sentire che le è ancora vicino. Allora diventerà più facile accettare di non vederlo, perché riuscirà a sentirlo dentro.

Mi creda, glielo dice qualcuno che ha smesso di vedere il mondo intero, ma che lo sente ancora benissimo".

Capisco che mi sta fissando. Lo capisco dal frusciare della camicia, perché deve aver girato il viso e il torso. È seduto accanto a me, sulla destra, e forse si è avvicinato anche, col movimento, perché arriva più netto il suo odore. Oltre a quello degli abiti, un dopobarba che mi ricorda alberi pungenti, pini o abeti; un odore fresco, verde, giovane. Mi piace molto.

"Mio zio la considerava una persona eccezionale, sa? Ne era incantato. Io poi, dopo averla intravista, non riuscivo a credere che potesse essere una così bella persona, una giovane donna con la sua avvenenza.

Insomma, è davvero troppo! Come incontrare un angelo".

Mi addosso allo schienale, stupita dalla naturalezza con cui ha potuto fare un complimento così.

"Era suo zio, la persona eccezionale", gli rispondo: "Gentile, protettivo... alla sua scomparsa improvvisa mi sono sentita abbandonata come fosse morto mio nonno, perché in questi tre anni era diventato come uno di famiglia. Ma mi sforzo di sentirlo ancora vicino, mi fa sentire guidata e fiduciosa, anche se quando prenderò l'influenza non mi preparerà più il miglior brodo caldo che abbia mai assaggiato".

"Io stamattina mi stavo chiedendo se non sarebbe meglio cercarmi un'altra casa", afferma. Ha una voce bassa, profonda, molto gradevole.

"Temerei che i ricordi possano sopraffarmi. Ma forse ha ragione, in fondo fuggire sarebbe sbagliato, come tentare di scappare da un nemico... e lui non potrebbe mai essere un nemico. Però la nostalgia è terribile; dopo venti giorni già sento la sua mancanza così acutamente da spaventarmi. Eppure ho vissuto anni fuori, senza vederlo anche per alcuni mesi; ma era diverso, sapevo di poterlo raggiungere in ogni momento".

Parla senza difficoltà dei suoi sentimenti. Come se sapere che ero buona amica di quella persona che amava tanto mi renda degna di fiducia.

Eppure siamo estranei, perfettamente sconosciuti, apprendere qualcosa dalla voce di un vecchio zio, non è certo fonte affidabile.

Ma mi piace, che sia sincero e fiducioso. Vorrei dirgli quello che so sulla morte, su come chi l'attraversa sia ancora presente; ma so di non poterlo fare se non con parole generiche, di quelle che si dicono spesso solo per circostanza.

"Può farlo ancora, sa? Può parlargli in ogni momento, e se si concentra saprà anche che cosa le avrebbe commentato, con assoluta precisione", suggerisco.

"Questo è possibile. Adesso, per esempio, so che mi direbbe di assicurarle che ho imparato a preparare un ottimo brodo e che non deve preoccuparsi per l'influenza. Sarebbe un onore per me poterla aiutare, se si fidasse come faceva con lui.

Inoltre mi incoraggerebbe anche a fare un po' il galante, ripetendomi che non incontrerò un'altra creatura altrettanto incantevole in tutta la città. Forse anche in tutta la regione e oltre".

Sorrido divertita. Chissà se veramente quell'arzillo fantasma gli sta sussurrando all'orecchio o se è farina del suo sacco.

"Però... e dire che suo zio la riteneva una frana, col gentil sesso!"

"Non sono certo un rubacuori", dice ricordandomi terribilmente il mio galante vicino: "ma mi è stato insegnato il rispetto per le donne; sono un corteggiatore discreto, vecchio stile, e pare che questo piaccia anche ai nostri giorni".

Annuisco, convinta, un certo garbo vecchio stile risulterebbe gradito a me per prima.

"Mi terrebbe compagnia questa sera?" chiede improvvisamente coraggioso: "Avevo deciso di seguire un concerto in TV, di un autore che mio zio amava molto e che mi ha insegnato ad apprezzare. Ma temo di farlo da solo, lo confesso. Se lei fosse vicina, sono certo che riuscirei a sentirmi sereno".

Dopobarba. Sentore di pino, di bosco, forse anche di agrumi. Verde intenso, vellutato, e arancio. Frizzante. Sento aprirsi le labbra da sole, in un sorriso che non ho comandato. Ha risposto da sé, come lo ha fatto il mio corpo, percorso da un brivido caldo.

"Mi lasci pensare... buona musica in compagnia del famoso Giulio..." poi rivelo: "Anche a me è stato raccontato qualcosa di lei, sa?"

Sento finalmente la sua risata, spontanea come era quella del signor G. "Povero me, dovrò recuperare un bel po' di pessime impressioni, allora!"

"No, non direi", affermo maliziosa, "credo che suo zio tentasse di presentarla come un ottimo partito. Tralasciando l'ascendenza nobiliare e il patrimonio che evidentemente le avrebbe lasciato, sottolineava i corretti sentimenti che sicuramente avrei ritrovato in lei, frutto dei suoi insegnamenti".

Lo sento gemere.

"Cioè... mi avrà descritto come un noioso bacchettone impedito!"

È il mio turno di ridere.

"Un signore d'altri tempi incarnato in un giovane architetto; anche se... più che impedito l'ha definito una frana".

"Questo è un colpo basso. Come non bastasse la sua bellezza, a mettermi in difficoltà".

Lascio la tazza, e incrocio le braccia. Reazione di difesa, registro. Scattata automaticamente; un tempo un complimento scivolava con allegria, sui miei pensieri, ma ora è tutto molto diverso. Ora non posso vedermi, non posso capire se ho segni sul viso o sul corpo che mi stanno cambiando: l'ultima me che ho visto era una ragazzina.

"Silvia? Ho detto qualcosa di sbagliato?"

Accarezzo con le mani la stoffa del mio soprabito. Morbida, calda; un tempo la sola cosa che mi portava a scegliere un capo di vestiario era il colore. Ora è il tessuto, che sotto i polpastrelli deve darmi la giusta sensazione; di caldo o di fresco d'estate, di scivoloso per una serata elegante, di soffice e spesso per un indumento da casa, da riposo invernale.

Per il colore devo affidarmi a chi vende: è curioso come la gente stenti a trovare la definizione di un colore.

"È verde". Sì ma che verde? E annaspano... verde mela, verde erba, verde mare. Verde petrolio, verde bandiera; verde bruno, verde semaforo.

"Silvia, ho detto qualcosa di sbagliato?"

"Sono cieca, Giulio. L'avvenenza è un concetto visivo che non significa più niente per me; uscendo di casa non posso accertarmi d'aver abbinato gonna e maglia del giusto colore, né posso controllare se il mio aspetto sia piacevole".

Non so se sono riuscita a spiegare perché un complimento sull'aspetto mi metta in difficoltà, perché non è facile neppure per me, capire me stessa.

Sento che che si muove, avrà cambiato posizione, a disagio. Sì, devo averlo messo a disagio ricordandogli che sono cieca, alla gente non piace.

"Posso prendere la tua mano tra le mie?", chiede passando deciso al tu.

Richiesta scioccante, quasi. Che vuole questo qui?

Decido in fretta che non mi morderà e che mi vergogno a fare la vergognosa. Allungo una mano davanti a me.

Ciò che accade dopo mi sconvolge. Sento che la sua sinistra mi raggiunge dal basso, così che la mia mano sia appoggiata sulla sua, come fosse adagiata su un cuscino; con le dita dell'altra mi sfiora il dorso. Carezzevole, prende a scorrere dito per dito, soffermandosi sulle unghie. Poi rigira delicatamente la mia mano e scorre i polpastrelli sul palmo, come fosse una chiromante.

Ha un tocco lieve, morbido, e in breve m'accorgo di sentirmi accaldata. Caldo ovunque, caldo al viso che deve essersi arrossato, caldo come se il sangue che scorre sia diventato bollente. Cerco di ritrarmi chiudendo la mano, ma le sue dita restano imprigionate e diventa una stretta forte, improvvisamente solida, intima.

Che però sciogliamo improvvisamente, di comune accordo.

"Hai mani molto belle, una pelle morbida, setosa. Questo non è un concetto visivo. Ti mette in difficoltà anche questo?"

Alla faccia della timidezza. Il signor G ha allevato un fior di seduttore. Non oso pensare se quel tocco si posasse oltre, visto come mi ha fatto sentire solo sfiorandomi la mano.

Non oso pensare ma penso, invece. Eccome se penso. Concedergli una possibilità e concederla a me stessa. Possibilità di cosa? E fin dove?

"Un po' di buona musica, e qualcosa da mangiare chiacchierando. Niente di ricercato, in cucina mi arrangio appena. E dovrai correggermi ogni volta che dico cose sbagliate, perché davvero non pensavo che un complimento potesse infastidire ma a pensarci è giusto... dovrai aiutarmi, se vogliamo diventare amici".

"Amici..."

"Amici, per prima cosa".

"Va bene, possiamo provare. Spero che quel rispetto che hai dichiarato di portare a tutte le donne sia lo stesso che intendo io. Sarei profondamente delusa da un invito con sottintesi inaspettati ".

Ancora qualche movimento, sento che si alza. "Torno subito", dice con tono allegro. Mi interrogo stupita su questo scalpicciare che si allontana e riavvicina in fretta.

"Non profuma come avrei sperato", ride, "e non so che fiore sia, ma era una macchia di colore tra l'erba e mi è sembrata lì apposta per te. Hai un cappottino azzurro tenue, esattamente come questo fiorellino", mi dice passandomelo nelle mani. "Niente sottintesi, solo compagnia che mi aiuti a superare questo momento", aggiunge.

Annuisco, tanto sollevata quanto intimamente... delusa?

"A stasera", affermo apparentemente tranquilla, tendendo la mano che viene subito stretta e chiusa tra le sue, e scossa con piacere evidente.

"A stasera!", mi risponde con la bella voce profonda, con il vento complice che mi porta ancora alle nari quel sentore di agrumi e pini, che mi evoca l'estate, il calore e gli abiti succinti.

Mi osservo sconvolta dal di fuori, consapevole di quanto mi abbia attratto questo giovane uomo con un pugno di parole e pochi gesti. Pochi odori, pochi istanti.

Signor G, cosa mi ha combinato?

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro