Capitolo uno: Arrivo a Tokyo! 東京に着きました

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Inolya era una bellissima ragazza dai caratteri principalmente europei. Aveva dei fluenti capelli biondi e due penetranti pozzi neri come occhi, leggermente cesellati a mandorla, incastonati sul suo viso pallido tempestato di efelidi bionde sulle gote paffute.
Si era da poco trasferita in Giappone dalla Cina perché suo padre, Liang Zuko, aveva trovato lavoro a Tokyo, nella capitale.
Inolya era molto felice: lei amava il Giappone e la sua cultura ed era sempre stato un suo sogno andarci. Quando arrivarono nella loro nuova casa, Inolya corse subito nella sua stanza e iniziò ad abbellirla di fiocchi e dettagli principeschi.
Era una ragazza davvero molto timida ma allo stesso tempo molto dolce con chi conosceva bene: era solita passare le giornate in casa con la sua balia, dato che i suoi genitori non volevano che uscisse. Eppure, questo era tollerabile fino ad una certa età.
Ormai Inolya aveva quasi quattordici anni e non riusciva a comprendere perché i suoi genitori non le lasciassero mai un po'di libertà e non le facessero fare le stesse cose delle sue compagne di scuola. Dicevano continuamente che "il mondo là fuori è pieno di brutte facce."
Inolya, però, era ingenua e credeva nella buona fede delle persone e le stava anche bene vivere anche così, bastava che avesse la sua chitarra e la compagnia dei suoi genitori.
-Mamma, Tokyo è bellissima! Posso uscire a fare due passi?
-No Inolya, non puoi.
-Perché no? Sempre la solita storia! -replicò timidamente.
-Perché un no è un no Inolya, punto! Non esistono spiegazioni a certe cose.
Inolya non rispose e si dileguò nella sua camera a scrivere una nuova canzone.
Almeno quella era una cosa che sapeva fare bene.
Accartocciò migliaia di fogli pur di trovare la giusta melodia che si accordasse alle parole che gironzolavano nella sua mente.
E, nel frattempo, Inolya si era già dimenticata del suo piccolo litigio con la madre e si era immersa nel suo mondo fatato fatto di conigli rosi e lecca-lecca.
Fumiko's point of view.
-Voleva uscire di nuovo, Liang.
Mio marito mi guardò attentamente, sospirando.
-Forse dovremmo lasciarle un po'di libertà.
-No, Liang! Ce l'hanno affidata e non possiamo lasciarla in giro proprio qui, a Tokyo, dove si aggira lui.
-Forse hai ragione. Dobbiamo stare attenti, ci hanno raccomandato di non farli incontrare mai, o sarà il caos.
Annuii semplicemente e mi diressi in camera di mia figlia, per vedere come stesse dopo la nostra breve discussione.
Era una ragazza talmente buona e gentile, niente a che vedere con quell'essere scellerato che si ritrovava come vero padre.
Eppure, lei avrebbe detto che ci sarebbe stata un'altra versione delle cose. Credeva troppo nella bontà delle persone, ma è stata proprio quella bontà ad ucciderla.
Non avrei mai permesso che le facessero del male. Ero troppo affezionata a quella che ormai era la mia bambina, soprattutto per il fatto che ero sterile e che non avrei mai potuto avere figli naturali.
-Inolya!
Inolya alzò il viso dal foglio su cui stava scrivendo e mi sorrise così angelicamente che il cuore mi si sciolse ad osservarla, i suoi piedini nudi avvolti nelle ciabattine azzurre che aveva tanto voluto comprare per la nostra nuova abitazione, in tinta con le pareti della sua stanza.
-Ciao mamma, dimmi!
-Ti ho iscritto ad una nuova scuola media, la Royal Academy. Frequenterai l'ultimo anno di medie inferiori.
-Va bene.
-Ah, e comunque -indugiai sulla porta, pensierosa -non vogliamo farti uscire perché non conosciamo ancora bene la città e non vogliamo che tu ti perda.
-Ma anche in Cina era così, mamma! Mi facevate uscire solo con voi e mai da sola o con le mie amiche!
-Mi dispiace, Ino: sarai sempre la nostra bambina e non ho ancora accettato che sei così cresciuta così tanto
Inolya sorrise e mi abbracciò, ridacchiando.
Avevo però commesso un errore molto grave.

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