6. Full immersion

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«Ma che diavolo ti passa per la mente? Perché hai dato loro quel messaggio? Era l'unica cosa in nostro possesso!» Madlaine continuava a urlare isterica mentre osservavo la Jeep allontanarsi insieme al corpo di Klostan. Il posto lentamente si stava svuotando, i giornalisti ritornavano nei loro abitacoli e anche la piccola folla incuriosita si era dispersa.

Un dubbio continuava ad assillarmi distraendomi da Madlaine: i Pulitori. Erano arrivati sapendo già cosa cercare, sapevano del messaggio, ma come? E poi non erano neanche sorpresi di vedermi, quasi si aspettassero che fossi lì. Tutti i vampiri conoscevano la storia di Maximilliam Hardintton e tutti avevano la stessa opinione: ero impazzito. Mi sarei aspettato una loro reazione, ma non fu così.

Presi il bigliettino che Isabel mi aveva dato, gli diedi una rapida occhiata, sotto la continua predica di Madlaine. C'era un indirizzo e un numero di cellulare, lo piegai a metà e lo conservai in tasca, per poi focalizzare la mia attenzione sulla ragazza, provai a riascoltare la sua sfuriata. Ma non finiva mai di parlare?

«Mi stai ascoltando? Potresti anche degnarti di rispondere!»

«Mi sembrava brutto interromperti. Comunque, credimi, vi ho tolti da un bel pasticcio» dissi pacato e con un sorriso forzato.

I suoi occhi riflettevano un'ostilità crescente nei miei confronti. Mi dispiaceva non poterle dire che in qualche modo le avessi salvato la vita, ma meglio passare per un folle approfittatore che per un mostro. Osservai pure Paine che era arrabbiato: teneva le braccia incrociate al petto e sbuffava di continuo. Forse cercava invano di capire il perché del mio comportamento, ma scervellarsi a cosa gli sarebbe servito? Di questo passo avrebbe avuto solo un gran mal di testa.

«Ragazzo, non so chi diamine tu sia, ma non hai alcun diritto di stare qui e tanto meno di prendere decisioni sul mio lavoro.» Dire che fosse contrariato era un eufemismo, mi fissava con le sopracciglia aggrottate e scuotendo il capo con disapprovazione. Purtroppo nessuno dei due comprendeva la gravità della situazione. Continuò a fare la predica «Abbiamo già avuto a che fare con agenti del Governo e fattelo dire come un padre, la tua è stata una mossa stupida. Stupida!»

Padre? Per quanto ne so potrei anche essere un tuo antenato.

Mascherai l'ilarità suscitata dal mio pensiero e ribattei sardonico.

«A cosa vi serviva quel messaggio? Immortali temete! È una sciocchezza.»

Sembrava quasi che li deridessi, ma la verità era ben diversa. Non dovevano più pensare a quelle parole e sminuirle era l'unica soluzione. Purtroppo avevo la certezza che fossero rivolte a me e adesso avrei dovuto ricomporre i pezzi di un puzzle troppo frammentato per essere riassemblato in fretta.

Trasmutai leggermente il tono della voce per apparire sicuro delle mie affermazioni.

«Professor Paine, i suoi appunti e i risultati delle ricerche sono fondamentali per risolvere il caso di Klostan. Voglio capire perché si è pietrificato e sono sicuro che lo voglia anche lei. Chiunque sia stato a fare una cosa del genere non le riguarda. Lei è uno studioso, mica un detective!»

La mia determinazione aveva colpito entrambi e per un secondo si osservarono per capire cosa fare con me che, apparentemente, sembravo saperne più di loro. Non lasciai il tempo per controbattere e continuai imperterrito.

«Poco fa è arrivato dicendo che aveva notizie incredibili, cos'ha scoperto?»

«Non ti riguarda, ragazzo. Andiamo via, Madlaine. Non abbiamo più nulla da fare qui.»

Mi diede le spalle e mi limitai ad osservarlo. La rossa mi rifilò un'ultima occhiata altezzosa e seguì il professore con le spalle dritte e il naso all'insù. Mi faceva sorridere il suo comportamento, ma dovevo restare concentrato. Cosa aveva scoperto? Poteva essere importante? Non potevo lasciarmeli scappare così! Si allontanavano a passo spedito, così feci l'unica cosa stupida da fare: parlare.

«Cos'ha scoperto, professore? Eh?» Alzai il tono della voce per farmi sentire «Che Klostan avesse più di trecentocinquant'anni?»

Si bloccò sul posto e il suo movimento fece fermare anche Madlaine che lo guardava stupita. Si avvicinò rapida e lo prese per il braccio discutendo con lui. Data la distanza non capivo cosa la ragazza gli stesse dicendo, ma dal suo sguardo era chiaro che cercasse conferma su quanto avevo dichiarato.

Li lasciai liberamente discutere, fingere indifferenza era il miglior modo per avvicinarli senza insospettirli ulteriormente. Mi girai ad osservare la quiete del lago. Avevo sganciato una bomba e adesso dovevo aspettare che corressero al riparo, magari tornado da me per capire come disinnescarla.

Aspettai una loro mossa e se non fossero ritornati indietro per chiedermi spiegazioni, non mi sarebbe rimasta altra scelta se non mordere uno dei due per soggiogarlo al mio volere. E la vittima che avevo scelto era già ben disegnata nella mia mente: rossa, bella e determinata. Il legame che si creava con il vampiro era qualcosa di intimo, magico e arrendevole. Dire di no al tuo nuovo "idolo" era praticamente impossibile ed io lo sapevo bene.

Per un attimo lasciai scivolare quei pensieri per concentrarmi sulla mia scarcerazione volontaria. Ero stato così preso da Klostan e dalla sua morte apparente, da lasciare in secondo piano quella meraviglia che mi trovavo di fronte. Due secoli chiuso tra le mura di una casa grande e troppo vuota ai primi tempi; ormai i motivi che mi portarono a tal gesto erano scemati, ma pur sempre presenti. L'unico contatto con l'esterno arrivava dalla finestra delle mia camera e il silenzio confortante di quelle mura riusciva a farmi immaginare la morte: la pace, il silenzio, cadere nell'oblio assoluto. Il giorno che mi chiusi la porta alle spalle fu quando ebbe inizio il bombardamento di Algeri*.
Avevo visto la storia con i miei occhi, avevo vissuto sulle mie ossa molti eventi riportati nei libri e spesso neanche quelli sapevano rendere l'idea delle atrocità che il genere umano commetteva. Ero stato parte attiva persino durante la Guerra d'Indipendenza Americana, vivendo sulla mia pelle le sofferenze di un immenso popolo sfruttato. Ero sempre stato impaziente e avido di giustizia, la ricercavo dal giorno della mia morte umana e lottavo per assicurarla a chi non riusciva ad ottenerla. Non lo facevo per bontà, non lo facevo per i sensi di colpa, volevo solo sentirmi vivo e utile. Un uomo che viveva sulla vita e sul sangue degli altri, doveva avere uno scopo per non vedersi come il mostro che era. Ripagare quel sangue versato aiutando una causa che andava ben oltre i miei interessi. Ma poi qualcosa mi impedì di proseguire il ruolo di giustiziere solitario: ogni persona con la quale instauravo un legame mi lasciava, moriva, com'era giusto che fosse. La morte di Jake mi sconvolsse così tanto da abbandonare tutto, era il mio migliore amico e sapeva tutto di me, volevo trasformarlo, ma ha preferito morire. Era il 23 febbraio del 1815 e il mondo quel giorno perse i suoi colori, tutto diventò nero come la morte, astratto come un fantasma, vuoto come la mia esistenza.

Guardare quel lago, dopo due secoli, mi emozionò. Rispecchiava il blu intenso del cielo ed era così limpido da vederne persino i pesci che si rincorrevano in cerca di cibo. Il vento che si era alzato mi scompigliava i capelli e deliziava il mio udito grazie al frusciare degli alberi del piccolo boschetto a pochi metri di distanza. Gli uccellini cinquettavano incuranti dei miei problemi di vampiro insoddisfatto e il leggero odore di lavanda e ciclamino mi sfiorava le narici fino a collegarsi ai miei ricordi.

Quell'odore di lavanda che mi portava alla memoria Giselle, l'unica donna che avessi mai amato in tutta la mia vita. Mia moglie. Il mio rifugio. La mia forza. Il mio senso di colpa più grande.

Erano passati secoli, fin troppi, ma bastava respirare quelle note dolci e delicate per rivederla. Chiusi gli occhi e i suoi lineamenti si dipinsero nitidi nella mia mente: la rotondità del suo viso, la sua espressione da bambina quando la conobbi, i suoi boccoli dorati che le accarezzavo le guance paffute e il verde della speranza incastonato in quegli occhi vivi e briosi.
Avrei donato ogni mio singolo giorno da immortale, se fosse servito, per trascorrere un pomeriggio in sua compagnia. Ma la vita ci aveva divisi e abbandonarla fu l'unico modo per salvare lei e la mia piccola Violet dal mostro che ero diventato.

Quello era il rimpianto più grande della mia intera esistenza, da umano prima e da vampiro dopo. Avevo ceduto alla lussuria, al richiamo della carne per una notte troppo esuberante e arricchita d'alcool. L'avevo tradita due volte, prima con il piacere dei sensi tra le braccia di un'altra donna e poi con la mia ossessione per quella stessa vampira che aveva distrutto l'anima di un bravo ragazzo. Uno sbaglio, l'unico che mi ero concesso, mi aveva ucciso dentro.

«Come facevi a saperlo?» Riaprii gli occhi lasciando scivolare tutti quei ricordi, tutte le immagini e il volto d'angelo della mia Giselle. Mi girai ad osservare Madlaine che mi aveva affiancato, fortunatamente riprendere il contatto con la realtà fu semplice. Se c'era una cosa che amavo dell'essere un vampiro era proprio che ogni cosa veniva dopo il sangue e la rossa riusciva a farmi pensare a quanto sarei stato in grado di resistere prima di affondare i denti e assaporarla. Le mie labbra si incresparono in un sorriso compiaciuto, era lì. Voleva informazioni e anche io in questo modo le avrei ottenute. Lasciare briciole agli uccellini era sempre la mossa più astuta, riusciva ad avvicinarli anche davanti ad un leone.

«Beh, ti ho detto che so qualcosa di Klostan, ho fatto delle ricerche su di lui.» Continuai a osservare il lago, ma sentivo il suo sguardo addosso. Riuscii a nascondere, nei meandri della mia mente, ogni più piccolo residuo di ricordo che avesse potuto compromettere la mia espressione.

«Ma non capisco come hai fatto ad indovinare l'età esatta. Quando sei arrivato mi hai detto che Klostan aveva 388 anni. Ed è davvero così. Ora, o ci dici la verità, o ci stai alla larga.»

L'ho trasformato io, dovrei scordare una data come quella? Chi dimentica la nascita di un figlio?

«Senti Madlaine, siamo sulla stessa barca. Devo capire come si è pietrificato ed io so cose che tu e Paine ignorate. Concedetemi l'opportunità di aiutarvi con le ricerche.»

Restammo a fissarci negli occhi, le sue iridi ambrate si accesero di curiosità. Era facile far cadere quella ragazza: un po' di mistero, la promessa di una ricerca per scovare la verità ed eccola servita su un piatto d'argento, o meglio, in un calice d'oro. Si girò osservando nuovamente il lago, mentre il vento le scostava i morbidi capelli e le lasciava scoperto il collo.

Era passata qualche ora dalla mia colazione mattutina e, vuoi per lo sforzo fisico a cui sottoponevo il mio corpo non più abituato, vuoi per lo sforzo mentale in cerca di risposte e vuoi anche per la sua bellezza, fu inevitabile che un nodo si formasse alla gola facendola pizzicare. Deglutii continuando a focalizzare la mia attenzione alla giugulare. Si girò di scatto.

«Smettila di fissarmi, mi metti a disagio, lo capisci? Sembra quasi che tu mi stia mangiando con gli occhi.»

Si allontanò stizzita, camminando con un'eleganza che non ostentava e senza lasciarmi ribattere. Disagio o meno avrei tanto voluto assaggiare il suo sangue. Era determinata, quindi immaginavo che avrebbe avuto un sapore più aspro, ma poi, bevendone più di un sorso, avrei sentito un retrogusto dolce e deciso.

Concentrati Max!

«Allora? Vogliamo andare? Vuoi scoprire cosa è successo alla statuetta, o rimani lì a fissarmi? Lo sai che sei un molestatore antipatico?»

Involontariamente le sorrisi e affiancandola mi avvicinai a Paine che, nel frattempo, parlava al telefono con uno sguardo disperato e preoccupato.

«Anche lì? Ma hanno preso tutto?»

Ci rivolgemmo uno sguardo perplesso con Madlaine, ma già intuivo cosa fosse accaduto. I Pulitori.

«Vengo in laboratorio! Hai fatto bene a duplicare i dati, sei stato un genio! Arrivo subito.»

Riagganciò la chiamata e si rivolse a noi espirando e tirando i capelli di un biondo quasi bianco all'indietro.

«Che giornata! Quei maledetti hanno svaliggiato persino il laboratorio. Mad, vai con Max nel mio ufficio e aspettatemi lì, tornerò il prima possibile.»

«Ma professore, posso...»

«Non insistere, Madlaine. Max aveva ragione, sono la peggior specie di agenti che abbia mai visto. Non sai che casino hanno combinato al laboratorio di Kevin. Vi raggiungo dopo, voi andate avanti.»

Così il professor Paine con passo frettoloso si avviò al suo Minivan e partì spedito, lasciando la povera Madlaine alle prese con un vampiro che non le stava molto simpatico.

«Bene, allora fai strada, io ti seguo con la mia auto.»

Mi trafisse con uno sguardo gelido. Che avevo detto stavolta?

«Devi darmi un passaggio, ero venuta qui con il professore. Hey! Non provare a fare scherzi che ho il mio spray al peperoncino a portata di mano.»

Era incredibile, una forza della natura. Si creava i suoi film mentali e poi additava me come un molestatore. Non le risposi limitandomi ad indicare con il dito la monovolume verde bottiglia di Rose.

«Stai scherzando? E dove sono gli specchietti laterali?»

Alzai le braccia «Me li hanno rubati. Su, andiamo.»

Sarebbe stata una bella passeggiata.

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*Il bombardamento di Algeri fu un tentativo da parte della Gran Bretagna di fermare le pratiche schiaviste dei cristiani del dey di Algeri. Una flotta anglo-olandese sotto il comando dell'ammiraglio Lord Exmout bombardarono le navi e le difese costiere della città il 27 agosto 1816. La tratta barbaresca degli schiavi cristiani non scomparve completamente fino alla conquista francese dell'Algeria.
(Sì, Wikipedia docet!) xD

*** spazio autrice***
Ciaooo ragazzuoli! Capitolo meno movimentato, ma ho preferito raccontare qualcosina di Max, del resto ha 850 anni da vampiro e un'infarinatura del suo passato era quasi d'obbligo.
Spero il capitolo vi sia piaciuto ugualmente. Bacchettatemi se così non fosse.

Grazie per seguire questa storia ❤.

Un bacio, alla prossima 😘.

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