1.2 Joseph M. Menalcan

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Lo sguardo di Douglas percorse con minuzia ogni piastrella, parete e ornamento rovinato durante lo scontro di quella nottata, il tutto mantenendo un silenzio quasi religioso. Nel suo avanzare lungo i corridoi, soppesando il resoconto ricevuto, dava l'impressione di essere un pellegrino intento a percorrere la via Crucis, ma se dalle sue labbra non usciva alcun suono, il corpo riusciva tranquillamente a descrivere lo stato d'animo in cui vergeva. La tensione nelle spalle, così come le falcate decise, seppur brevi, erano sinonimi della rabbia che stava trattenendo, mentre le mani giunte dietro la schiena indicavano lo sforzo che stava compiendo per non voltarsi, afferrare uno dei suoi sottoposti e spaccargli la testa contro il granito.

«Fior-Ghlan... i purosangue» svoltando nel corridoio seguente, quello dove fino a un paio d'ore prima si trovava il cadavere del nemico, l'Alpha si concesse le prime parole dal momento in cui era arrivato: «i discendenti di Fenrir e Arianrhod...»
Nel tono del padre, fin troppo calmo viste le circostanze, Joseph sentì una nota sgradevole, un'incrinazione velenosa che gli fece mordere con forza la lingua, in modo da impedirsi di dire anche solo mezza sillaba – in quel momento, probabilmente, anche il più lieve dei rumori avrebbe potuto scatenare l'ira dell'uomo di fronte a lui.
«I Lupi, quelli veri» i piedi di Douglas si fermarono e così fecero quelli del giovane che, però, stette bene attento a non accorciare la distanza tra loro; diventare il bersaglio delle ire del capoclan non era certo qualcosa a cui ambire, soprattutto conoscendo la violenza con cui si sarebbe potuto scagliare contro la propria vittima. Quell'uomo era un vero mastino, un cacciatore, un assassino, un bruto - e non si trattava di aggettivi affibbiatigli solo per renderlo più minaccioso agli occhi altrui, erano tutte sfaccettature reali della sua discutibilissima persona.

«Eppure i più incapaci!» Con un urlo e un gesto fulmineo della mano, l'Alpha si scagliò contro il primo oggetto che riuscì a trovare, ribaltandolo a terra. Un quadro, uno dei pochi rimasti appesi, piombò rovinosamente al suolo staccandosi dalla cornice. Il tonfo riecheggiò per tutto il corridoio, forse facendo persino trasalire qualcuno dei presenti, ma ciò che più di tutto irrigidì Joseph fu il suono scoordinato del respiro del padre. L'aria gli usciva di bocca esattamente come a un animale, mentre le spalle gli si alzavano e abbassavano ritmicamente sotto al completo scuro. Non sarebbe stato strano vederlo piegarsi in una mutazione e avventarsi senza logica su uno dei licantropi lì con loro, eppure nulla di tutto ciò accadde; la sua voce prese nuovamente a riempire lo spazio rimbombando sia sull'intonaco sia sul granito, arrivando poi a minacciare con estrema veemenza i timpani.
«Come diavolo è stato possibile, eh?! Me lo volete spiegare? Noi siamo il branco più potente, immacolato e antico d'Europa, mentre loro?! Loro sono solo Neo-Ghlan! Luridi vermi strisciati fuori dalle nostre feci!» Un altro oggetto andrò a schiantarsi al suolo, ma questa volta Douglas si volse verso il mero corteo alle proprie spalle – e tutti i presenti, Joseph e Kyle compresi, poterono scorgere come la rabbia avesse trasfigurato i lineamenti dell'uomo, rendendolo più simile a una bestia che a un umano. I canini spuntavano prepotentemente ai lati della bocca, costringendo le labbra, ora di un colore innaturale, a restare separate, mentre la zona del setto e della fronte si era modificata in modo evidente, donandogli uno sguardo ancora più furente. L'attaccatura dei capelli non era più netta come in precedenza, ma si andava a camuffare in mezzo a lunghi peli scuri che arrivavano fino alle sopracciglia, diventando quasi un tutt'uno.

«Non riesco a capacitarmi del vostro fallimento!» Persino la voce era mutata. Dalla gola uscivano suoni gutturali, ringhi a dire il vero. «Dovrei sgozzarvi tutti! Uno a uno! Quello che è successo stanotte è inconcepibile!»

E come dargli torto? Da un Clan come il loro ci si sarebbe aspettato tutto fuorché un simile disastro. Eppure, avrebbe potuto confermarlo chiunque dei presenti, non c'era singolo licantropo che avesse evitato il regime pressoché marziale imposto dal loro Alpha. Dall'età di sei anni ognuno dei membri del branco era stato obbligato a imparare a cacciare, pedinare, uccidere qualsiasi creatura potesse capitargli come avversario o preda. Insomma, non si trattava certo di sprovveduti, anche se il furto del Pugnale di Fenrir avrebbe potuto indicare l'esatto opposto.

C'era anche da dire, però, che persino dei purosangue come loro, in forma umana, potevano ben poco contro dei Neo-Ghlan a quattro zampe e con l'aspetto di enormi lupi degni dei miti più antichi – e se realmente quei bastardi erano riusciti a cogliere i suoi compagni di sorpresa, il macello avvenuto lì dentro appariva meno ridicolo, pensò Joseph.

«E ora bisogna rimediare, brutti idioti. Dobbiamo vendicarci nel modo più atroce! Voglio il loro sangue, chiaro? Perché io, il vostro Alpha, il Signore dei Menalcan, non posso accettare che il mio cimelio sia nelle loro sudicie zampe!» Con un paio di falcate Douglas annullò la distanza tra sé e il figlio, ma questi non si ritrasse, restando immobile di fronte al vecchio. Doveva dimostrarsi sicuro, convinto, spietato al punto giusto per poter persuadere l'uomo al suo cospetto; così, quando i loro occhi s'incrociarono, il ragazzo cercò di sostenere lo sguardo del padre il più a lungo possibile, anche se l'autorità del capobranco non la rendeva una sfida semplice.

«Ho una proposta» sibilò, stringendo i pugni nelle tasche tanto da infilarsi le unghie nei palmi.
«Oh, ma davvero?» Il fiato dell'Alpha era pregno del whiskey che si doveva essere scolato prima di affrontare quel rientro, caldo e appiccicoso in modo quasi nauseante. Joseph avrebbe voluto spingerlo via, allontanarlo quanto più possibile dalla propria persona, però si trattenne: sfidarlo era l'ultimo dei suoi desideri.

Si morse la lingua, annuendo.

«E cosa vorresti fare, figliolo

Non avrebbe voluto ammetterlo, anzi, avrebbe preferito reagire in modo completamente diverso a quel sussurro, eppure non riuscì a impedire al corpo di farsi ancora più rigido. La tensione lo stava pian piano piegando, ma doveva resistere, dimostrare la propria arguzia.

«Il cadavere che abbiamo trovato era giovane, tanto, troppo per gli standard di Arwen. L'inesperienza di quel Neo-Ghlan era palese e non è da lui mandare al massacro i neofiti, o sbaglio?» fece una breve pausa, umettandosi le labbra. Ormai erano quasi dieci anni che tra le due fazioni si susseguivano scontri, massacri e cacce serrate, e seppur non si fossero mai realmente soffermati sulla strategia di quei meticci, sottovalutandoli, qualcosa erano comunque riusciti a impararla. «Questo mi fa credere che non abbia più sealgairean (cacciatori), o quantomeno che stiano scarseggiando.»
La testa di Douglas ciondolò da un lato e l'espressione si ammorbidì. In qualche modo quella teoria sembrò catturare la sua attenzione – e Joseph doveva sfruttare il momento: «Se usassimo questa necessità a nostro favore?»
«Spiegati.»
Il cuore gli balzò in gola. Non avrebbe mai immaginato che una simile richiesta, nonché quella desiderata, potesse metterlo così in soggezione, eppure ne rimase quasi schiacciato. Nuovamente, passandosi la lingua sul labbro inferiore, riprese: «Muovendoci in gruppo, come Clan, rischiamo di essere troppo individuabili, di farli fuggire: è già successo. Ma stavolta non possiamo permettercelo, c'è il nostro onore in ballo. Quindi perché non entrare in seno al loro branco? Perché non assecondare i loro bisogni e poi pugnalarli dritti al cuore?» Nel pronunciare quelle parole, ne fu certo, la sua smorfia doveva aver preso una piega soddisfatta. Sentiva l'eccitazione pizzicargli le guance e, nel non udire risposta, credette veramente di aver convinto l'Alpha.
Dopotutto si trattava di un piano semplice, seppur terribilmente pericoloso, ma era anche quello che ai suoi occhi sembrava essere il più attuabile. Un'azione un po' vigliacca, forse, ma in guerra tutto era concesso, soprattutto se ne andava della nomea e del potere di un'intera famiglia: dei Menalcan.

«Fammi capire...» Douglas alzò un angolo della bocca, in segno di scherno: «Tu vorresti mandare uno di questi idioti tra le braccia del nemico?» Con la mano aperta, il vecchio indicò il capannello di licantropi riuniti all'inizio del corridoio, tutti zitti e sviliti, ben lontani dall'apparire degni di un simile compito – e in effetti, guardandoli, il ragazzo non poté evitarsi di pensare che fidarsi di uno solo di loro sarebbe risultato complicato anche per lui; l'unico che avrebbe escluso dal deludente gruppo alle sue spalle era Kyle, il compagno più fedele e preparato che avesse mai avuto, ma anche se stesso.

Già, se stesso.
Un'idea ancor più folle di quella appena suggerita al padre gli baluginò nella mente.
Di chi altro avrebbe potuto fidarsi tanto ciecamente? Chi gli avrebbe dato la certezza di agire per il branco fino all'ultimo? Di chi, l'Alpha, non avrebbe dubitato?

«No» affermò con convinzione a quel punto: «non loro. Io
«Tu, il mio erede, il sangue del mio sangue?»
Joseph annuì per la seconda volta, sempre più deciso, anche se sapeva bene che alle sue spalle Kyle era pronto a mettersi in mezzo e impedirgli di buttarsi a braccia aperte tra le fauci dei nemici.
«Sono passati anni dall'ultima volta che ho affrontato una di quelle canaglie, non mi riconosceranno. Inoltre sono tra i Lupi più promettenti che hai qui in mezzo, o sbaglio? E se dovesse succedermi qualcosa ci saranno Gabe e Leah a portare avanti la tua stirpe.»

Mordendosi la lingua, il ragazzo tentò di sorreggere ancora lo sguardo del padre, di mostrargli quanto realmente credesse in quella pazzia, ma più tempo passava, più si rendeva conto di essere stato un po' troppo frettoloso. Era davvero sicuro che sacrificarsi per il Clan fosse la scelta migliore?

Douglas piegò il capo dall'altro lato. Era palese che stesse soppesando le parole del figlio, che se le stesse passando sulla lingua come un succulento pezzo di carne. Nel suo sguardo vi era un bagliore diverso, ora. Il cacciatore in lui sembrava essersi risvegliato, lasciando assopire la bestia inferocita e pronta all'inseguimento.

«Bene, allora. Sarai tu a portarmi la testa di Arwen Calhum... perché come hai detto non sei il mio unico erede, ma se avrai successo sarai un passo più vicino al mio trono.» E così dicendo, emettendo un ultimo ringhio, il capobranco tornò sui propri passi, lanciando uno sguardo stizzito lì dove una piccola e solitaria chiazza di sangue era sfuggita alle pulizie, testimoniando lo smacco subìto.

Perfetto, pensò Joseph: con una sola proposta era riuscito a calmare il proprio Alpha, farsi notare ai suoi occhi, racimolare un briciolo di libertà e... condannarsi.

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