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Sedute al solito tavolo della mensa, io ed Erika stavamo chiacchierando animatamente. Lei aveva cominciato a frequentare noi del Branco e la nostra scuola da un paio di settimane, eppure mi pareva di conoscerla da sempre.

Spesso mi capitava di ammirare persone e caratteri in silenzio, estraniarmi dalle conversazioni e ritrovarmi a dubitare. Con lei non succedeva mai, dimenticavo ogni tecnicismo. Mi sentivo viva, piΓΉ umana del solito.
I nostri discorsi, in quel momento, riguardavano la mostra d'arte che si sarebbe svolta nella scuola.

Una grande iniziativa era stata indetta dal professor Vane: un uomo arzillo e amante del suo lavoro, dalle abitudini un po' particolari.
Sarebbe stata data agli studenti piΓΉ promettenti la possibilitΓ  di esporre, per i lunghi corridoi della scuola, i loro disegni.

Erika era molto nervosa, ed eccitata, dalla prospettiva. Avevo avuto modo di vedere i suoi disegni e potevo tranquillamente affermare che avesse un grande talento.
Β«Quindi parteciperai?Β» Le chiesi, le labbra tese in un sorriso, contagiata dal suo ottimismo.

AbbassΓ² lo sguardo e posΓ² le braccia sul proprio grembo, mogia. Si morse il labbro inferiore. Β«Non so se sono abbastanza bravaΒ» borbottΓ² stancamente Β«E poi... credi che mi farebbero partecipare? Sono appena arrivataΒ». Si mordicchiΓ² ansiosamente il labbro.

Scossi la testa, colta da una totale incredulitΓ . Scostai dei ciuffi ramati, che mi erano finiti sul viso. Β«Ma sei pazza?Β» Esclamai, retorica Β«I tuoi disegni sono meravigliosi! Il professore ti lascerΓ  sicuramente partecipareΒ».

Anche sulle sue labbra rosa sbocciΓ² un sorriso. Β«E' un uomo buffoΒ» ammise, trovandomi in accordo.

«Già!» convenni «Di sicuro non gli importa molto delle regole». Nella foga mi ero sporta verso di lei, così, rizzai nuovamente la schiena, tornando a sedermi composta.

Β«Pensi che Nate accetterebbe, se gli chiedessi di venire?Β» mormorΓ², spostando un ciuffo corto dietro l'orecchio. I suoi capelli si erano ormai ripresi dall'esperienza nel bosco.
Avevo scoperto che preferiva lisciarli, per non dare l'impressione di avere disordine in testa.
Le guance le si colorarono di una lieve spruzzata di porpora.

Nate non abitava a Sylva, perciΓ² era costretto a frequentare un altro istituto. Ma, ovviamente, non avrebbe negato a se stesso la possibilitΓ  di rivedere Erika.
Β«Certo che accetterebbe!Β». improvvisamente, alla conversazione si erano aggiunte anche le altre, in un coro di voci insinuanti.

Al termine del pranzo mi alzai. Con forte rammarico salutai le ragazze e mi diressi verso la lezione successiva, che era proprio quella di arte.

Giunta nell'aula, posai a terra lo zaino e mi sedetti. Presi a picchiettare le dita sul duro legno del banco, rivestito in plastica, in un ritmo inesistente, attendendo, come tutti, l'arrivo del professore, che non tardΓ² a presentarsi.
Con un gioioso sorriso, perennemente stampato sul volto rotondo, conduceva le sue animate e singolari lezioni, rada barba a coprirgli le guance, capelli segnati da piccoli scorci di bianco.

Battendo le mani, attirΓ² la nostra attenzione. Il vocio pian piano andΓ² scemando: Β«Come sapete domani si terrΓ  la mostra d'arte, mi aspetto la totale...Β».

Non mi prodigai molto nell'ascoltare le raccomandazioni dell'uomo. Il mio principale desiderio non era, certo, quello di vandalizzare brutalmente la scuola.
I pensieri riguardanti Sebastian si affollarono, come al solito, nella mia mente. Con l'arrivo di Erika il nostro, giΓ  precario, equilibrio aveva subito una lieve destabilizzazione.

Lui appariva diffidente e, anche se quella era una delle principali componenti del suo carattere, non credevo lo fosse su basi inesistenti. CiΓ² mi turbava.

La fiducia che riponevo in lui mi portava spesso a mettere in dubbio chiunque altro. Ma con Erika avevo provato una, quasi istantanea, intesa. In lei vedevo giΓ  una possibile alleata, un'amica fidata.

Decisi di esprimergli il mio scetticismo al termine delle lezioni, conscia che mi avrebbe ascoltato. Noi eravamo una squadra e, in una squadra, ogni voce ha impatto sulle comuni decisioni.

Ai cancelli, perΓ², non lo trovai.

Da sedici anni la nostra amicizia perdurava. Mai, neanche nelle circostanze piΓΉ estreme, Sebastian aveva mancato un incontro da noi prefissato.

Con il morale a terra, sistemandomi la spallina dello zaino, proseguii sola il cammino. Imboccai il viale. Ero ormai praticamente arrivata, ma non ancora pronta a declamare vittoria, quando una strana sensazione mi pervase.

Avvertii, sulla nuca, la pressione di uno sguardo, silenzioso e strisciante, di qualcuno che si muoveva fra le ombre.
Appena sulla mia visuale si stabilì il familiare edificio dalle mura esterne rossicce che era casa mia, intrapresi una corsa estenuante. Ultimamente, mi ritrovavo spesso in simili situazioni.

Spalancai la porta, il fiatone a mozzarmi il respiro. Mi si presentΓ² alla vista mia madre, facendo capolino dalla cucina. Portai una mano al petto, stropicciando con le dita la maglia nera. Sussultai.
Β«Tutto ok?Β» DomandΓ² lei esitante, notando il mio turbamento.

Β«Ho litigato con SebΒ» mi limitai a rispondere con quella che non era propriamente una menzogna, quanto una mezza veritΓ .

Β«Oh, tesoro!Β» Si profuse lei, con dolcezza. Soffici ciocche castane erano sparpagliate sulla sua fronte bianca, sfuggite alla morbida treccia che aveva sulla spalla. Β«Mi dispiace, oggi avevo anche preparato il suo piatto preferito. Che hai combinato?Β».

Sporsi leggermente il labbro inferiore, ingoiando un respiro pesante in un'espressione offesa. Sentivo la pressione del portone dietro la schiena. Β«Mamma!Β» rimproverai Β«Dovresti supportarmi, sono io tua figlia!Β».

Lei sbuffò «Sopportarti, vorrai dire» borbottò. Notando il mio disappunto, poi, si impegnò in uno sguardo scocciato. «Va bene, va bene!» fece vaga «Mangiamo, così mi racconti tutto» stirando con i palmi le pieghe della maglietta fucsia.

Passai l'ora successiva tentando di spiegarle il motivo del litigio tra me e Sebastian, impresa ardua dato che io stessa non riuscivo a individuarne la fonte. Β«E se tu non c'entrassi?Β» mi interruppe lei, all'improvviso, sfoggiando la parte seria della sua anima che, sebbene rara da individuare, piccola, minuscola, era presente.

Β«Che intendi?Β» borbottai, incerta. CiΓ² che aveva detto aveva stuzzicato una qualche reazione, fra i meandri dei miei pensieri, che non riuscivo bene a inquadrare.

Β«PensaciΒ» si limitΓ² a ribattere mia madre, criptica, annuendo vaga e spostandosi verso il lavello. Non riusciva mai a stare ferma per piΓΉ di venti minuti.
Annuii, terminando di svuotare il piatto.
Mi diressi nella mia stanza. Il ricordo mi colse, disarmata, nell'osservare il bianco soffitto della mia camera, sdraiata sul morbido materasso, assieme alla nausea verso me stessa.

Nella data di quel giorno ricorreva un evento che aveva segnato, per gli anni a venire, la vita di Sebastian. Conseguentemente, anche la mia, che ne era l'intreccio.

Non indugiando oltre, abbandonai casa mia in fretta. Scorsi, a malapena, mia madre osservarmi sorridente dalla persiana socchiusa della cucina.
Giunta alla casa del ragazzo, spalancai la porta con forza. Mi trovai davanti lui ed Eleonor, intenti in una conversazione dai toni gravi.

Fu l'anziana donna a rivolgersi a me «Rose, cara» sorrise «Sono felice di vederti». Passò lo sguardo tra le nostre due figure. I suoi occhi azzurri mi ricordavano sempre il mare, arguti e scintillanti, oppure quelli di Silente. «Ora vi lascio soli» aggiunse. Uscì, a passo incredibilmente svelto, per una donna della sua età.

Avvertendo la porta chiudersi alle mie spalle mi rivolsi a Sebastian che, guardandomi sorpreso, sorrise. Β«Mi dispiaceΒ» mormorai.
Scosse la testa, bonario Β«Non Γ¨ colpa tua, RoΒ» affermΓ² gentilmente.

Stringendomi nelle spalle, lanciai uno sguardo al parquet. «No» sbuffai debolmente «Non dire così, arrabbiati! Ho dimenticato l'anniversario della morte dei tuoi genitori, non di cambiare l'acqua ai pesci».

Sospirò, posandomi una mano calda e confortante sulla spalla. Sentii le sue dita premere sulla scapola, calde. «Questi giorni sono successe tante cose» mi ricordò «non è colpa tua, piuttosto...». Proseguì: «Visto che ormai sei qui, vieni con me al cimitero?».

Β«CertoΒ». Per lui sarei passata per l'inferno, avrei dato fuoco al paradiso e avrei sradicato cittΓ .

Lui era la mia forza. La forza che io avrei sfruttato per impedire che ciΓ² che era giΓ  accaduto, ciΓ² che aveva mutato i colori della sua vita nelle tonalitΓ  piΓΉ tetre non accadesse piΓΉ.
Non condividevo solo le sue gioie, ma anche il suo astio, rivolto a coloro che avevano compiuto un atto indicibile.

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