𝒞𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝐼𝐼 - 𝒹𝒶𝓁𝓁𝒶 𝓉𝓊𝒶 𝓅𝒶𝓇𝓉𝑒

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La mia testa
É il posto meno sicuro

Salmo

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Qualche minuto dopo, il ragazzo torna con la mia ordinazione tra le mani.
«Ecco qui, un bel croissant al cioccolato e latte macchiato con zucchero di canna.»

Approfitto di questa vicinanza per cogliere qualche dettaglio di lui. Ha le mani sottili, le dita affusolate e lunghe; sono ben curate, non ci sono calli o robe simili e neanche troppa peluria che fuoriesce dalle maniche della camicia che indossa.

Indubbiamente è più alto di me. Avremo almeno quindici centimetri di differenza. Non che sia difficile superarmi: arrivo a malapena al metro e sessanta io.

Da questa discreta distanza riesco persino a sentire la scia di odore che lascia: sa di fresco. Ma non saprei decifrare la componente principale della sua fragranza. Sicuramente deve essere qualcosa a base di erbe. Molto estivo.

«Grazie» mi affretto a dire non appena lascia sul mio tavolo la colazione.

«É un piacere mademoiselle» risponde lui in maniera galante prima di lasciarmi nuovamente sola.

Consumo in fretta il mio pasto, e non appena mi accorgo che mancano solo dieci minuti al mio appuntamento con la dottoressa Pepe, mi catapulto in cassa per pagare e lasciare il locale.

«Ci vediamo giovedì prossimo Ester» dice Francesco porgendomi lo scontrino.

«Sì, ci vediamo giovedì. Grazie. E buon lavoro» rispondo di fretta.

Infilo velocemente il portafoglio nella borsa a tracolla e mi dirigo verso l'uscita.
Non appena sollevo lo sguardo, il ragazzo nuovo si piazza davanti a me e, con un gesto decisamente troppo gentile, mi apre la porta per agevolarmi l'uscita.

Aggancio per qualche secondo i miei occhi nei suoi; assomigliano al colore del muschio. Il che si sposa perfettamente con i suoi capelli scuri.

«Buona giornata, Ester.»

Deve aver sentito Francesco nominare il mio nome. Astuto. Ma anche invadente.

Ricambio con un rapido sorriso e mi lascio alle spalle quella strana colazione. Adesso l'unica cosa a cui devo pensare sono le risposte giuste da dare alla dottoressa.

Citofono al n. 6 e dopo qualche secondo il cancello automatico si apre davanti a me. Salgo i tre scalini che portano all'atrio del palazzo, dopodiché prendo l'ascensore per raggiungere il terzo piano.

«Buon giorno cara, benvenuta.»

La voce dolce e pacata della signora Pepe mi accoglie non appena le porte si aprono. Mi aspetta sempre sulla soglia, anche dopo due anni che vengo regolarmente qui. Dice che è un buon modo di accogliere le persone e farle sentire a casa. Nonché un'ottima modalità per non creare troppo distacco tra medico e paziente.

Per quanto si sforzi, però, io non me lo dimentico chi è lei.

«Salve dottoressa» dico varcando l'ingresso.

«Non serve che ti ripeta che puoi chiamarmi Alessandra, vero?»

«Temo di no» rispondo facendo spallucce.

Non voglio mischiare la realtà medica con quella privata. Per quanto mi stia simpatica questa donna, e la trovi estremamente empatica e sensibile, resta comunque una strizzacervelli, di cui non avrei bisogno se la mia vita fosse stata meno complicata.

«Accomodati pure» dice chiudendo la porta del suo studio alle mie spalle.

«Come è andata la settimana?»!domanda poi prendendo posto davanti a me.

«Bene.»

«Vuoi argomentare questa risposta? C'è qualcosa in particolare che ti piacerebbe condividere con me?»

«Non ho più molto da dirle sa?! Credo che lei ormai sa tutto di me, e questi incontri diventano sempre più privi di contenuti. Mi spiace non avere altro da raccontare per riempire quest'ora insieme.»

La verità è che detesto parlare di me.
Non mi piace raccontare cosa mi succede e cosa no.
Non voglio condividere con una sconosciuta la mia vita. A me lei serviva solo per capire quale fosse il problema, la radice del mio malessere. Ma ora che l'ho scovata, non ho più bisogno di questi incontri.

«Ester, ti reputo una ragazza molto intelligente, perciò ti dirò quanto sto per dire: credo che tu sia a buon punto con la terapia, ma non basta. É passato troppo poco tempo dal tuo ultimo tentativo di... sai a cosa mi riferisco» schiarisce la voce e fa una breve pausa prima di riprendere a parlare.

«Assumi ancora psicofarmaci per tenere a bada il tuo umore e i tuoi attacchi di panico non sono del tutto scomparsi. Per quanto tu voglia sforzarti di convincere tutti quanti che stai bene io so che non è così. E voglio aiutarti.»

«Se voleva davvero aiutarmi non mi avrebbe mai costretta a prendere quelle maledette pillole. Mi ha resa dipendente da qualcosa da cui non sarei mai voluta dipendere.»

Adesso il mio tono è duro e sentenzioso. Dice che vuole aiutarmi ma la verità è che mi ha creato solo un nuovo problema. Un altro da aggiungere alla lista infinita.

«Credi davvero che non ti servano?»

Cerco di analizzare meglio il suo volto, la sua espressione. Voglio capire dove è la trappola nascosta dietro la sua domanda.

«Sa già come la penso.»

«Voglio che sia tu a dirmelo. Guardami.»

Sollevo lo sguardo dalla scrivania e aggancio i miei occhi ai suoi. Sono profondi, intensi, potresti quasi perderti qui dentro. Sono di un verde muschio che ricorda il colore dei boschi.

Sostengo lo sguardo con il suo, senza vacillare. 

«Credi davvero di poter stare bene anche senza medicine?» domanda ancora una volta.

Sembra seria, quasi come se si aspettasse una riposta sincera da parte mia. Come se non conoscesse già i miei pensieri a riguardo. Come se fosse importante che sia io a dirlo.

E se non fossi davvero pronta?

Se le medicine mi servissero davvero a farmi stare bene?

Se fossi convinta che sia tutto ok solo come conseguenza alle pastiglie che prendo?

Forse se mi toglie quelle va via anche il benessere.

Improvvisamente dubito delle mie stesse convinzioni.

«Non lo so. É lei il medico, non io.»

«Ester, io sono dalla tua parte. Non sono una tua nemica, voglio solo aiutarti a stare meglio.»

Le sue parole caute mi convincono che quanto dice sia vero e che la cosa migliore è aspettare che sia lei a ritenermi pronta a lasciare gli psicofarmaci.

«Spero solo che arrivi in fretta quel giorno» dico, mentre una lacrima incontrollata riga il mio volto deluso.

«Arriverà presto, credimi.»

Passo la successiva ora a raccontare alla dottoressa Pepe i dettagli della mia settimana. Tra alti e bassi, devo dire che gli ultimi sette giorni non sono stati poi così male. Lei si sforza di appuntare ogni dettaglio che reputa rilevante sul suo quaderno. E io non posso fare a meno di essere curiosa di sapere tutto ciò che ha scritto di me in questi anni.

«Un giorno mi farà leggere tutto il mio fascicolo?» domando seria, ma con tono ironico.

«Un giorno, perché no» risponde lei.

Finita la nostra seduta mi accompagna all'uscita e mi saluta con una carezza sulla spalla, augurandomi buona settima.

«Ci vediamo giovedì prossimo, fai la brava.»

«A giovedì.»

Per scendere decido di non aspettare l'ascensore. Una volta finiti questi colloqui sento sempre l'estremo bisogno di aria. É come se i miei polmoni venissero privati di ossigeno per quell'ora lì dentro. Così mi affretto a raggiungere il portone principale correndo giù per le scale.

«Finalmente» boccheggio una volta in strada.

Faccio dei grandi respiri profondi, godendomi il sole penetrante che mi scalda da lontano.

«Va tutto bene?» Una voce sopraggiunge alle mie spalle d'improvviso, e mi costringe a irrigidirmi.

Mi volto di scatto, e... «Ester?!» Domanda sorpreso il ragazzo. É il nuovo cameriere del bar di fronte.

«In persona» commento scocciata.

«Che ci fai qui?» domanda un po' confuso.

«Vengo a farmi sistemare le rotelle fuori posto» dico indicando il nome dello studio nella lista del citofono.

Lui sorride, sembra quasi divertito dalla mia finta ironia.

«E io che pensavo che mi stessi seguendo o complottando un altro incontro prima di giovedì prossimo...»

Sbarro gli occhi difronte alla sua allusione.

«Dovrebbe farmi ridere?» domando perplessa.

«No, ma ci speravo. Mi piace il tuo sorriso.»

«Ma se non mi hai mai visto farlo» controbatto indispettita.

«Sì, una volta sì.»

«E quando è stato?» Chiedo curiosa.

«Te lo dirò, un giorno. Ma ora devo tornare a lavoro altrimenti rischio il posto già alla prima settimana. Ci vediamo presto, Ester.»

Prima di congedarsi fa un breve inchino in cenno di saluto, e la cosa mi fa sorridere. Ma da che epoca viene questo? É uscito da un fumetto o cosa?

«Ciao» é tutto ciò che dico.

Senza ricambiare il suo entusiasmo, ovviamente.

•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•

Eccoci qui con il secondo capitolo!

Non voglio dire molto riguardo l'incontro con la dottoressa Pepe, preferisco che lo facciate voi.

Del secondo incontro con Emanuele invece che ve ne pare? Lui è un po' strano, vero? Io personalmente lo adoro però!

Se la mia storia ti piace e sei curiosa/o di scoprire come andranno avanti le cose, allora lascia una ⭐️
e prosegui la tua lettura.

Io intanto ti ringrazio del supporto e spero di vederti nel prossimo capitolo!

Baci ❤️

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