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La mattina del primo giorno dell'ultimo anno del liceo arrivò e come era solita fare Mikoto, anche quell'anno svegliò il figlio minore, nonostante sapesse che non gli piaceva affatto essere trattato come un bambino.

Mikoto: "Sasuke, svegliati", gli disse accarezzandogli la testa.

Sasuke: "Mamma, per favore, non sono più un bambino" rispose il figlio spostandole la mano.

Mikoto: "Anche a diciotto anni resterai sempre il mio bambino" disse ridendo uscendo dopo dalla camera.

Sasuke sospirò roteando gli occhi. Sapeva bene che se avesse potuto, sua madre se ne sarebbe andata portando i figli con sé, ma loro erano la famiglia perfetta, o almeno così tutti li definivano. Perché sì, per la famiglia Uchiha era fondamentale sapere il pensiero altrui.

Dopo essersi vestito scese in cucina per fare colazione, dove trovò il fratello maggiore.

Itachi: "Buongiorno, fratellino".

Sasuke: "Giorno, Itachi".

Itachi: "Pomeriggio ti va di uscire con me e dei miei amici?".

Sasuke: "Non saprei, non ho molta voglia e i tuoi amici mi stanno sulle palle".

Itachi: "Dai, vieni, che farai qua a casa da solo? Anche se non ti piacciono ti divertirai un po' e starai in compagnia invece di fare l'asociale che a diciotto anni sta chiuso in casa e che ha una ragazza che nemmeno ama".

Sasuke: "Va bene, va bene, come preferisci" disse il minore per far finire il discorso più in fretta possibile, dal momento che non aveva né la voglia, né il tempo per discutere.

Dopo essersi lavato i denti ed essersi assicurato di essere impeccabile uscì di casa, dove c'era una macchina che lo aspettava per andare a scuola e riconobbe subito a chi appartenesse. Un suo amico, forse l'unico suo vero amico, di tanto in tanto decideva di accompagnarlo a scuola e non lo avvertiva mai, e sebbene la sua disorganizzazione infastidisse Sasuke, lui era l'unico a trattarlo come un normale adolescente senza troppi elogi.

La vita di Sasuke è sempre stata così, fin da quando era piccolo. Nessuno si è mai preoccupato veramente di come stesse, ma si sono preoccupati di come dovesse apparire agli occhi degli altri. Ogni giorno doveva assicurarsi di essere impeccabile, di non avere nulla fuori posto, di essere educato, ma non ingenuo; di essere gentile, ma di non farsi mettere i piedi in testa; di essere perfetto nello studio, nemmeno un'insufficienza, solo e soltanto voti massimi. Doveva essere migliore degli altri e non al pari.

Sasuke: "Sia mai che tu mi avverti se vieni, assolutamente".

Suigetsu: "Mi piace sorprenderti" disse ridendo.

Sasuke: "Sì certo, oppure ti sei semplicemente svegliato presto e non sapevi cosa fare e quindi hai deciso di venire per farmi vedere che ogni tanto mi pensi".

Suigetsu: "Come mi conosci bene e poi... Io a te penso sempre, idiota!"

Sasuke: "Se io sono l'idiota allora non oso immaginare tu cosa sia. E ora muoviti, che se faccio ritardo sarà solo colpa tua".

Una volta arrivati Sasuke uscì dalla macchina salutando Suigetsu e si avviò verso l'entrata della scuola.

"Oggi è l'ultimo primo giorno di scuola. Come ho fatto a sopravvivere per così tanto tempo in questo cazzo di inferno?" pensò.

Sentì un gruppetto ridere allegramente e capì subito a chi appartenessero le voci. Erano dei ragazzi del quarto anno.

Naruto Uzumaki. Biondo, occhi azzuri, ha sempre litigato con Sasuke, fin dal primo giorno; per i gusti del moro quel ragazzo era troppo chiassoso.

Kiba Inuzuka. Castano, aveva dei strani segni rossi sul viso, ma non sembrava importargli, si comportava da idiota insieme al biondino.

Sakura Haruno. Ragazza dai capelli rosa, occhi verdi e da Sasuke definita "noiosa" per qualche strano motivo.

Naruto: "Come volevasi dimostrare, è qua il più rompipalle della scuola".

Sakura: "Naruto, smettila, non ti ha detto nulla".

Sasuke: "Non ho bisogno che una come te mi difenda e di sicuro gli insulti di un imbecille non mi fanno né caldo né freddo".

Kiba: "Perché tu sei intelligente, vero?"

Sasuke: "Fino a prova contraria, sono l'unico studente dell'intero istituto a mantenere la media alta da quattro anni e quest'anno uscirò con il massimo".

Sakura: "Quando capirai che dei voti non determinano l'intelligenza di una persona, allora potrai definirti veramente intelligente. Fino ad allora sarai soltanto un immaturo che usa il suo essere bravo negli studi per far sentire gli altri inferiori. Io anche studio tanto per mantenere la mia media, ma non mi permetterei mai di dire a qualcuno che è stupido. Perché l'intelligenza, quella vera, si misura in altri modi".

Sasuke guardò la ragazza che lo aveva appena messo a tacere e se ne andò in classe senza dire una parola. Insomma, lei non sapeva nulla della sua vita, quindi cosa ne poteva sapere se fosse o meno un immaturo?

Arrivò in classe e si sedette nell'ultimo banco accanto alla finestra, uscendo dallo zaino quaderno e matite per prendere appunti. Era sicuro che anche se era solo il primo giorno, i professori avrebbero iniziato a spiegare.

Per molti potrà essere il così definito 'secchione', ma poco importava, lui non studiava per far un piacere agli altri o per sentirsi dire che era un genio, studiava perché tanto era l'unica cosa che riusciva a fare bene. Tutti si sono sempre aspettati molto da lui, dal ragazzo perfetto, già... Tutti chiedevano sempre di più, nessuno chiedeva come stesse, o meglio, lo chiedevano, ma per cortesia, appena si risponde con 'diciamo che potrebbe andare meglio' iniziavano a dire che quello che stava passando, qualunque fosse il motivo, non era un vero problema e nemmeno ascoltavano. Una società in cui tutti volevano, in cui tutti chiedevano e nessuno dava.

Pressione, stress, ansia. Mix di emozioni che Sasuke provava. Le sentiva, lo logoravano. Ma chi ci credeva? Tanto era solo un adolescente, che problemi mai poteva avere? Cosa indossare? A quale festa andare?

È molto meglio mentire dicendo che stai bene, piuttosto che stare il doppio male per persone a cui non frega nulla di te. Questo era ciò che il moro si ripeteva sempre, non diceva a nessuno di stare male perché ormai era diventata un'abitudine provare quelle emozioni, era diventato normale fare i conti la sera con delle lacrime che minacciavano di uscire e che lui cercava in tutti i modi possibili e inimmaginabili di ricacciarle dentro. Ci riusciva e ormai non piangeva da un bel po' di tempo; anche se stava morendo dentro continuava a pensare che fosse più facile sorridere mentendo piuttosto che spiegare il motivo per il quale stesse piangendo.

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Continua

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