23. Benvenuti a... Diagon Alley!

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Se non fosse stato per Newt e Theseus, Jacob probabilmente si sarebbe già disperso. Quella gente con i turbanti non faceva altro che fissarlo ed erano stati in molti, dinanzi la sua eccentricità, a chiedergli se fosse un mago o meno. Un tizio aveva perfino cercato di vendergli una boccetta con uno strano liquido nero e viscoso al suo interno, e Lally lo aveva salvato giusto in tempo.
«Questo non è esattamente un posto da no-mag, stammi vicino! È meglio!» gli aveva fatto l'occhiolino la strega.
«Va bene...» si era limitato a risponderle lui, ancora alquanto confuso.

Così aveva deciso di aggrapparsi al braccio di sua moglie, perché lei potesse tenerlo d'occhio.
Certa che il pasticcere fosse al sicuro, Lally si era dileguata dal resto del gruppo, e si era aggregata a un piccolo gruppo di lettori, intenti a osservare la vetrina di una piccola libreria. La più fornita di tutta Diagon Alley.

Non era riuscita a resistere al fascino della cultura.

Quelle copertine in lino sembravano richiamare la sua attenzione, le filigrane in oro e argento la incantavano. Non si soffermò soltanto ad analizzarne le sembianze. Un libro non si giudicava dalla copertina. Voleva assolutamente cercare qualche informazione in più sulle maschere, magari avrebbe trovato un volume che ne narrasse le vicende. Qualche leggenda dimenticata, e degna di essere letta. Aveva trovato molte più risposte nei suoi amati libri, piuttosto che nella realtà grigia in cui viveva.

Uno di essi, in particolare, attirò la sua attenzione:
"Idilli"

E l'editore aveva fatto un ottimo lavoro, doveva ammetterlo, vista la bellezza di quel piccolo volume, dallo spessore di poco più di un centinaio di pagine.

Era stata attirata da una maschera dorata incisa su di esso.

Le maschere, ripetè.

Chissà, magari avrebbe potuto ricavarne dei dettagli costruttivi.

Rilesse l'autore e non riuscì a trattenere un gemito di fastidio.

Teocrito.

Era l'ennesimo libro di poesie. Fu tentata di rimetterlo al suo posto. E se invece potesse esserle utile? In fondo... avrebbe approfondito le proprie conoscenze.

Le maschere erano anche loro una leggenda, con il tempo avevano messo radici nel loro mondo. Era proprio lì che doveva scavare per conoscere il significato di quell'enigma, che necessitava essere risolto nel minor tempo possibile.

Erano o no un enigma e un mito allo stesso tempo?

Anche Tina aveva deciso di allontanarsi, dopo aver compreso come fosse organizzata la via. Newt le aveva spiegato esattamente dove si trovassero i negozi, e le aveva consigliato quali visitare.
Il quidditch, al momento, non le interessava. Il caso aveva la priorità.

Aveva fin da subito puntato gli occhi su un negozietto piuttosto grande, dalla cui vetrina era possibile scorgere delle cianfrusaglie magiche. Avrebbe sicuramente trovato qualcosa di utile per il viaggio, magari qualche oggetto per mascherare la loro posizione, o qualche strumento che le sarebbe potuto giovare per carpire informazioni e mascherare Achilles Tolliver.

Mentre Newt non osava allontanarsi neanche di mezzo centimetro dal resto del gruppo, quella parte che aveva deciso di rimanere ben compatta. Non aveva perso di vista Tina, soltanto quando era troppo lontana seguirla con lo sguardo, aveva smesso di osservarla.

Si era aggregato al pasticcere e al fratello, e aveva iniziato una piacevole discussione sulle creature magiche. Entrambi i fratelli non potevano fare altro che guardarsi le spalle a vicende, evitando così che l'altro potesse cacciarsi nei guai. A un certo punto, però, Theseus non era riuscito a evitare e mettere da parte il fervore del momento e, prendendo il suo compagno francese sotto braccio, lo aveva trascinato al locale di burrobirre più vicino, non volendo sprecare neanche un secondo di più di quella splendida giornata.

Ma Theseus ormai lo sapeva, sapeva che, come al solito, avrebbero parlato di Grindelwald e del loro lavoro. Era difficile osare pensare che avrebbero potuto rilassarsi e svuotare la mente, non potevano... non ancora. Avrebbero dovuto sacrificare una parte di sé per quel mondo che ignorava del tutto la loro esistenza.

Faceva male, per Theseus, sapere di aver perfino sacrificato un pezzo della sua anima, l'amore della sua vita. Una parte essenziale della sua esistenza, che sapeva non sarebbe mai più tornata.

Cercava di rifugiarsi nei sogni ma, per quanto cercasse di perdersi in quella dolce prospettiva, la realtà veniva sempre a galla, come un macigno da portare sulle spalle. Sembrava rincorrerlo, la realtà, alla quale desiderava tanto porre delle domande. Ma Theseus non sapeva ancora che, se avesse continuato a scavare a fondo i suoi errori, ne sarebbe stato distrutto.

Bunty, impeccabile come sempre, sembrava finalmente fiduciosa delle sue capacità. Aveva deciso, contro il malcontento e il buon senso di tutti, di addentrarsi a Notturn Alley, pronta a spaccare le ossa a tutti coloro che provavano anche solo a sfiorarla.

Era venuta a conoscenza di un venditore ambulante che era solito commercializzare illegalmente creature magiche in quella fascia oraria e, nonostante non fosse un'auror come Tina, e quindi non così abile come lei a difendersi, aveva i suoi piccoli trucchetti nella manica. Era un'occasione per starle lontana, almeno per qualche ora non l'avrebbe vista.

Bunty non la odiava, soltanto... non riusciva a capirla, non del tutto. Non riusciva ancora a comprendere come Newt potesse essersi innamorato di una donna che, era certa, non provare il medesimo amore e interesse verso quelle creature fantastiche.

Non come lei, almeno.

Il resto del gruppo era ormai lontano, e i vicoli bui, per un attimo, le fecero serrare le labbra. Aveva avuto una pessima idea... avrebbe potuto dimostrare di essere all'altezza, nonostante fosse una comunissima assistente.

Il sole stava ormai tramontando dietro le mura della via, gradualmente il cielo andava tingendosi di rosa e oro, lasciando il posto, con il suo giocare a nascondino, alla luna e le stelle.
Newt, nonostante avesse da anni imparato come ogni paese e stato avesse il proprio tramonto, non riusciva mai a rimanere indifferente. Aveva visto il tramonto calare due volte quel giorno, e mai si sarebbe stancato di puntare gli occhi su quell'ellisse un po' sbarazzina che, a volte, sembrava sparire improvvisamente.

Il rumore della pancia di Jacob lo riportò alla realtà, scostò l'attenzione dalle mure, non troppo alte, degli edifici intorno a loro, dal cielo imbrunito decorato da qualche leggero cumulo e gli accennò un sorrisetto imbarazzato. Evidentemente gli spuntini che avevano portato loro i camerieri sul treno non erano giovati a molto, considerando che era letteralmente l'unico rumore, oltre al vento che scuoteva le piante sempreverdi nei vasi, che era possibile udire.

Una fortuna prendere il treno, avevano ripetuto Theseus e Tina, ben consapevoli che sarebbe stato molto più facile rintracciare spostamenti tramite metropolvere e passaporte. Dovevano essere il più discreti possibili, e già sul treno avevano rischiato di dare troppo nell'occhio con quel duello.

Quando, per l'ennesima volta, Queenie si lasciò scappare un piccolo gemito di fastidio, il pasticcere rallentò ulteriormente il passo, incrociando il suo sguardo per assicurarsi che lei e il piccolo stessero bene.
«Amore, che cosa c'è che non va? Ti senti male?»
Newt non riuscì a non trattenere un tenero sorriso quando lo vide sgranare gli occhi. Gli diede una pacca sulla spalla e Queenie, non riuscendo a contenersi dal leggergli la mente, rise a sua volta, dimenticando per qualche attimo la domanda.
«Sto bene, amore. Sono solo un po' stanca... sai com'è... un po' di nausea e mal di testa, ma sto bene! Siamo tutti insieme, come ai vecchi tempi!»

Fece l'occhiolino a Newt, prima di poggiarci sulla spalla del pasticcere e donargli un bacio a fior di labbra.
Jacob si limitò ad annuire. Le accarezzò le spalle con il polpastrelli, e respirò profondamente, non del tutto convinto. Non riusciva a non preoccuparsi per lei... per loro.
«Se vuoi... possiamo fermarci un attimo...» balbettò lui, continuando a guardarsi intorno alla ricerca di un tavolo o di un muretto sul quale potessero sedersi.

«Io... non voglio che smettiate di divertirvi per me.» Sussurrò la biondina, un po' intristita, accelerando appena il passo per invogliarli a proseguire il cammino.
Non avrebbero avuto altre occasioni per farlo.
«Tu sei più importante, Queenie.» Ruppe finalmente il silenzio Newt, senza tuttavia smettere di guardare il piccolo gruppetto di studenti rimasti a fare compere prima della partenza.

Queenie non potè astenersi e non riuscì a placare la sua mente che, dinanzi a quella genuina manifestazione d'affetto, concepì un pensiero con un lieve pizzico di malizia.
«Perchè porto in grembo tuo nipote.» Ridacchiò birichina, tingendosi di rosa sulle guance.
Dinanzi a quella domanda, Jacob dovette contenere una risata fragorosa. I due coniugi si guardarono appena negli occhi e si diedero una leggera spallata a vicenda, complici.

«Non credo che ti abbia sentita, amore.» Indicò Newt che era tutto concentrato a osservare un marmocchio piuttosto alto, pel di carota con le lentiggini, di circa sedici o diciassette anni, probabilmente memore di quando lui stesso andava ad Hogwarts da ragazzo. Distolse l'attenzione quando il giovane aprì la bocca euforico, per salutare la ragazzetta pallida che gli era passata vicino, seguita da un ragazzo di circa venti centimetri più basso di lui.

«Ciao, Fil!» Le sorrise il diciassettenne, colorandosi sulle guance.
La piccola corvonero lo guardò dapprima in cagnesco, poi gli accennò un sorriso tirato.
«Ciao, Weasley.» E, senza dargli il tempo di risponderle, gli voltò le spalle, seguita dal fratello che faticava a starle dietro per la sua rapidità.
Si era offerto di portarle i libri scolastici al posto suo, e lei non se lo era fatto ripetere più volte.

Fil gli aveva proposto di duplicare quelli della libreria, anziché pagarli. Per un momento Lysander era rimasto colpito della sua perspicacia, ma l'aveva subito dopo rimproverata, ricordandole che non era esattamente un metodo "legale" per appropriarsi del materiale scolastico.
Forse aveva dimenticato che suo fratello era un auror. Faceva di tutto per aiutarlo, rubacchiando di nascosto dalle dispense della scuola, o raccogliendo dell'aconito per suo fratello.

Non aveva paura di essere espulsa, suo fratello e la sua "malattia" ne avevano bisogno. Non poteva solo immaginare quanto gli facesse male trasformarsi, non soltanto fisicamente. Era pallido come i suoi capelli, il che la preoccupava molto.
La trasformazione era vicina, sarebbe potuta avvenire di lì a qualche giorno. E lei non poteva rischiare di farlo nuovamente crollare.

Era sempre stata piuttosto minuta e silenziosa, e aveva scoperto di avere un'ottima padronanza degli incantesimi di disillusione che, almeno, fino a quel momento erano stati in grado di far passare le sue gesta inosservate. Ne raccoglieva solo una piccola parte, qualche foglia, giusto un tantino da tenere nella propria scorta, sotto l'asse rotta del pavimento nel suo dormitorio, che lei tutte le sere controllava e fissava per sicurezza. Quando era certa che quel piccolo nascondiglio segreto non poteva più contenere il frutto del suo misfatto, inviava via gufo il contenuto al fratello, che non faceva altro che ripetere quanto non fosse tollerato il furto ad Hogwarts.

Era tremendamente arrabbiato con lei, non poteva non ricordarle tutte le volte di mantenere una condotta lodevole, nonostante le sue buone intenzioni. Non era quello il modo giusto di aiutarlo, non se voleva lei stessa smascherare la sua vera natura, che lui cercava disperatamente di nascondere agli altri maghi.

Solo Tina e sua sorella conoscevano quella parte di sé, e forse... anche Silente. Lui sapeva sempre tutto, ma non diceva niente a nessuno.

Un po' si era sentita in colpa per avergli affidato i suoi libri, così, con la stessa furia, li aveva ripresi ed era corsa nuovamente via, senza rallentare di qualche chilometro orario la sua corsa. Aveva le gambe corte e dei piedini così piccoli, paragonabili agli zoccoli eterei dei Thestral in movimento. Ridacchiò, sembrava zampettare, quasi i piedi non sfioravano il pavimento.

Si era, però, soffermato a salutare quel ragazzetto che aveva avuto modo di conoscere parzialmente ai tempi della scuola, anche se per pochi anni.
Era stato quel Bilius Weasley a salvare sua sorella da una probabile espulsione, facendo finta di niente quando l'aveva sorpresa a rubare.

Era un po' più grande di lui, quel ragazzetto, rosso come le tende del suo dormitorio, magro come le sbarre del suo letto a baldacchino, tuttavia con una golosità incontenibile.

Era sempre un piacere rivederlo ogni anno, ogni volta che lo incrociava, Bilius lo salutava con saltello e con una tale energia che lo costringeva a mantenere le distanze.
Sua sorella, però, non riusciva proprio a sopportarlo. Tendeva infatti a cambiare corridoio, pur di non incrociarlo, e preferiva perfino arrivare in ritardo o in anticipo alle lezioni. Era così interessato a lei che le aveva pure confidato la password della sala comune dei Grifondoro, nel caso in cui fosse stato necessario rifugiarsi in un porto sicuro.

Tre mesi di lontananza erano stati sufficienti a farle capire come fosse particolarmente difficile stare lontana da chi amava, quanto quella sensazione di calore sulle guance volesse ardentemente essere risvegliata. Purtroppo il cuore di sua sorella apparteneva a qualcun altro, eppure gli sarebbe tanto piaciuto vedere quel ragazzetto, che molte volte aveva pescato nelle cucine, nella sua vita.

A volte non poteva dimenticare il suo visetto smunto ricoperto di olio di pollo. Dinanzi a quel facchino ricoperto da pietanze di ogni tipo, non era mai riuscito a punirlo, a fare il suo lavoro da prefetto, memore di tutte le strillettere che i suoi genitori gli aveva mandato.

Quel marmocchio, ormai, era diventato un giovane uomo e, a giudicare dall'enorme sacchetto di cioccorane che stringeva calorosamente al petto, non aveva minimamente perso il suo appetito.
Intravide la sorella, Amelia, con la solita chioma folta e sbarazzina, quel ricciolo ribelle che sempre le ricadeva sulla fronte. Era stata lei, anni or sono, a tentare di temperare il carattere energico e allegro del fratello e a metterlo in guarda degli innumerevoli pericoli del castello. Lei aveva questa incredibile capacità di difendersi a colpi di ciabatta.

Riuscì a raggiungerla un po' affaticato, con il solito sorrisetto stampato sulle labbra.
«Allora, piccola Fil, come si comporta quel Weasley?» Trattenne una risatina beffarda.
La quindicenne si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati, come un cane a cui avessero pestato la coda. Quel nome era vietato in sua presenza.

«Weasley? Bilius?»
«Sì.» Non riuscì, questa volta, ad astenersi dal ridere.
«Beh... ecco, gli elfi domestici continuano a cucinare soprattutto per lui... è razionalmente inspiegabile come una persona possa mangiare così tanto in così poco tempo!»
«Gioca a Quidditch, no? Insomma... deve pur sempre recuperare le energie...» le ricordò lui, continuando a studiare la sua sagoma ormai lontana.
«Io non riuscirei a mangiare la metà di ciò che ingerisce lui...»
«Ma tu sei tre volte più mingherlina di lui...»
«Sì, ma... dove lo trova tutto lo spazio?» Si grattò l'orecchio.
«Hm... non saprei.» Le diede una leggera spallata.
«Forse ha i vermi... sai, con gli animali può succedere...»
«Filemina!» La rimbeccò esasperato lui, prendendosi il viso fra le mani.

Il resto del gruppo sembrava alquanto tranquillo, come se la giornata stesse finalmente assumendo la giusta piega.
Queenie e Jacob erano avvinghiati l'uno all'altra, scambiandosi battutine sul mago lentigginoso alla loro destra.

«Newt?» Lo richiamò sulla terra la biondina.
«Come?» Scosse la testa, cercando di mettersi a fuoco sulla sua voce.
Queenie ridacchiò e, in tutta risposta, gli fece l'occhiolino, e lui si colorò di nuovo sulle guance.
Si riprese molto velocemente, soprattutto quando intravide la figura slanciata di una certa auror americana avvicinarsi lentamente ai due fratelli, a qualche metro da loro.

Aprì leggermente la bocca, senza rendersene contro, e Jacob, che aveva notato quel classico comportamento, gli diede una pacca affettuosa e ridacchiò.
Dovette combattere l'istinto di precipitarsi incontro a lei, prendere parte alla discussione, invece rimase lì, a guardarla a debita distanza.

«Com'è che voi due non riuscite mai ad andare d'accordo?»
Sentire la sua voce gli fece colorare le guance. Lei non sapeva che lui la stava osservando, molto attentamente.
«Due caratteri forti!» Rise lievemente lei, allungando la mano per accarezzare la testolina della ragazzina.
Fil sbuffò, non che quel gesto le desse fastidio, quel giorno tre persone l'avevano scambiata per una bambina.

«Già!» Mormorò la giovane recluta.
Ridacchiò quando intravide della mostarda sul suo labbro superiore, una traccia ben visibile del suo presunto crimine. Tina gli aveva detto che sua sorella non era una vera e propria fan degli hot-dog e che, se l'avesse sorpresa a gustarne uno, l'avrebbe sicuramente diseredata come sorella maggiore.

«Hai svaligiato un negozio, capo?» Criptico si portò l'indice sul labbro, e la guardò insistentemente, cercando di non attirare l'attenzione della legilimens. Tina inizialmente non capì, e avrebbe continuato a non capire se non fosse stato per la metamorfomagus, che la mise al corrente.
«Ha della mostarda sul labbro!» Le sussurrò.
«Oh.» Si affrettò a ripulirsi con la manica «Grazie.»
«Spero non abbia lasciato una traccia che la incrimini...»
«Ah Ah... molto divertente...» Roteò gli occhi al cielo la ragazzina.
«Uffa... avevo dimenticato che sei così cinica...» le diede una spallata, che per poco non la fece cadere a terra.
Filemina si rimise in equilibro e cacciò fuori la lingua, un po' infastidita.
«La smetti di prendermi in giro? Perchè non potevo avere lei come sorella?»
«Guarda che Tina è molto complicat-»
Tina in tutta risposta gli diede una spallata, questa volta facendolo ruzzolare sui suoi stessi piedi. Lysander non riuscì a evitare l'impatto con il pavimento roccioso, e a trattenere un piccolo gemito di sorpresa.

Fil spalancò la bocca alquanto colpita e si lasciò scappare un sorrisetto di scherno.
«Dicevi?» Le diede il cinque, continuando a ridacchiare insieme alla giovane studentessa, che finalmente assunse un bel po' di colore.
«A mio fratello non poteva capitare capo migliore.»

E, senza che Tina potesse fare nulla per opporsi, si ritrovò senza fiato nei polmoni, e due braccine corte stringerla energicamente al petto. Divenne pallida come i suoi capelli, non sapendo se ricambiare o meno l'abbraccio. Piegò leggermente il gomito per sfiorarle la guancia con il pollice, incapace di muoversi. Non avrebbe mai immaginato che quella minuta ragazzina potesse essere così vigorosa.

Profumava di pesca e cannella, un odore più delicato e meno pungente rispetto a suo fratello. Con un sorrisetto e un'espressione beffarda stampata sul volto, Lysander si alzò lentamente dal pavimento e si ripulì i pantaloni neri e la camicia bianca dalla polvere.

Se solo lei e Queenie avessero avuto un fratello maggiore che le avesse protette, grande abbastanza da tirarle fuori da quell'orfanotrofio, dove erano state costrette a vivere per molti anni. Probabilmente si sarebbero risparmiate molte insicurezze e traumi, quei ricordi spiacevoli che, spesso, era costretta a scrivere su un pezzo di carta per accantonarli e metterli da parte.

Si sentiva in sintonia con quella ragazzina che aveva avuto, come lei, la s-fortuna di conoscere almeno la madre, anche se forse era troppo piccola per ricordarla. Lei li ricordava entrambi con rammarico, e di loro non poteva che avere soltanto ricordi felici, secondo il punto di vista della piccola sé, la Tina bambina.

E ancora... aveva paura di dimenticarli.

Lei era un po' come Queenie, protetta da una persona non eccessivamente più grande di lei. Vedeva in suo fratello l'eroina che non era mai stata in grado di essere per sua sorella, nonostante Queenie si ostinasse a ripetere il contrario.

«Hai un bel fratello rompiscatole!» Si voltò verso la sua recluta e gli fece l'occhiolino.
«E puzza abbastanza, lo sa? Perchè i maschi non si lavano mai i piedi?» Incrociò i suoi occhi bruni.
«Non ne ho idea.» Scrollò le spalle l'auror, ridacchiando, e aggiunse subito dopo «Suvvia... dai un po' di tregua a tuo fratello! Ogni tanto è bene fingere di essere meno intelligenti di loro...» le fece l'occhiolino.
«Hey!»

Le due continuarono a ridere di gusto, mentre Lysander rosso in volto non poteva far altro che sorridere imbarazzato di tanto in tanto. Ancora si chiedeva come quelle due potessero andare così tremendamente d'accordo.
«Mi chiedo perchè non lo ha ancora licenziato...»
«È il mio migliore dipendente, anche se ha ancora molto da imparare su come si impugna la bacchetta...» inarcò un sopracciglio e fece un passo avanti, verso di lui, tendendogli la mano perchè lui la stringesse.
«Tuo fratello è un bravo ragazzo e ti vuole un mondo di bene.»
I due auror si scambiarono una rapida occhiata e si sorrisero a vicenda.
«Grazie, capo.» Le sussurrò a fior di labbra.

Una folata di vento gelida li mise al corrente dell'orario, quando penetrò nei loro soprabiti. Lysander allungò la mano verso il taschino del cappotto in peltro grigio e ne estrasse un piccolo orologio da taschino, grande quanto il palmo della mano della sorella.
Quando lesse l'ora dalle lancette anch'esse semplici e non troppo elaborate, sgranò gli occhi e si lasciò scappare un'esclamazione.

«Merci Lewis! Sono le nove passate! Abbiamo preso tutto il materiale scolastico, Filly?»
La pallida streghetta annuì distrattamente. Avevano trascorso quelle poche ore a cercare un volume che avevano sempre avuto sotto la punta de naso, e non avevano avuto neanche l'occasione di assaggiare almeno un calice di schiumosa burrobirra.

Si era particolarmente arrabbiata quando una strega l'aveva scambiata per una bambina e, nonostante suo fratello stesso avesse ribadito più volte la sua età, lei se ne era andata con un sorrisetto sornione sulle labbra. Una strega dalla bacchetta troppo corta. Veniva sempre vista come una specie di fenomeno da baraccone, degna di ogni singola forma di ammirazione e scherno.

Suo fratello le aveva spiegato che esistevano tante ragazzine con le sue caratteristiche fisiche, eppure non aveva mai incontrata nessuna ad Hogwarts o in America. Da piccola non le dava fastidio essere un po' speciale, amava confondersi fra i colori della vegetazione e mettere in luce i suoi curiosi occhietti ambrati. Ad Hogwarts, purtroppo, si era dovuta ricredere.
Con almeno cinque centimetri in meno d'altezza rispetto alle altre più basse, sembrava la mascotte di tutta la sua casa. Era praticamente impossibile non notare le sue iridi quasi trasparenti.

Mentre Lysander le faceva cenno di seguirli, perchè potessero ricongiungersi con il resto del gruppo, lei rimase a debita distanza, tenendosi lievemente il mento.
Un altro anno ad Hogwarts. Non poteva certamente dire di essere felice o meno. Sapeva che sarebbe stata accolta da Margaret e Sophie con gioia, eppure... avrebbe dovuto anche fare i conti con quegli scarafaggi dei suoi compagni, coloro che non facevano altro che tormentarla.
Sentì il cuore battere prepotentemente nel petto.

Aveva visto per la prima volta Margaret seduta sul muretto dell'enorme cortile circolare del castello. Sola soletta, mentre tentava di ripulirsi la pelle scura dalla farina. Ricordava soprattutto i suoi denti bianchissimi che le sorridevano, nonostante fosse evidente la sua leggera tristezza. Si erano guardate, osservate per parecchi minuti, infine Filemina aveva deciso di avvicinarsi a lei e aiutarla a togliere il bianco rimasto dai folti capelli rossi.

«Vorrei essere come te...» si erano dette contemporaneamente.
Margaret scura come la notte e Filemina bianca e candita come la neve sciolta.
Da quel giorno, attraversavano i corridoi piegate a metà per le troppe risate, facendo spesso tardi alle lezioni.

Era stato un regalo, una sorpresa inaspettata, finalmente qualcuno con cui condividere la stessa difficoltà del momento.

Anche Sophie si era unita a loro in un giorno casuale. In un pomeriggio qualsiasi si era precipitata dietro di loro una ragazzina, incapace di smettere di saltellare. Dovevano averle messo della tarantallegra nel succo di zucca. Si era nascosta sotto ai loro mantelli invernali, aggrappandosi alle loro gambe e facendole quasi ruzzolare a terra. Fortunatamente Margaret era abbastanza forte da sorreggere entrambe. Stava scappando dalla loro stessa minaccia.

Quello era stato un pomeriggio indimenticabile, non soltanto perchè era stato il giorno in cui sarebbero iniziate le loro folli avventure. Era stato praticamente impossibile dimenticare la punizione che era loro toccata per aver difeso una totale sconosciuta. Quel giorno non sapevano ancora che tutte e tre sarebbero divenute inseparabili.

Si era più volte chiesta perchè anche Sophie fosse stata presa di mira. Insomma... sembrava una ragazza normalissima!
Capelli mori e ricci, occhi verdi e occhiali dalle lenti un po' troppo spesse, e forse un po' troppo alta per essere una sedicenne ancora in crescita.

«Vedrai che ti divertirai, cara.»
Sollevò solo lo sguardo e si accorse di essere giunta a destinazione, vicino al muretto dove Queenie, Jacob e Newt si erano accomodati. Aveva dimenticato che sapesse leggere la mente delle persone!
«Sì?»
«Sì. Ci sono passata anche io, non ero esattamente la benvoluta a scuola, nonostante il mio aspetto. A nessuno piace avere accanto una legilimens capace di leggerti la mente. E poi... tu sei la leader del trio delle meraviglie, no?» Le sorrise, scostandole la solita ciocca ribelle dalla fronte.

Filemina la osservò attentamente, sembrava un po' troppo pallida. Di tanto in tanto si portava la mano alla tempia per massaggiarsi la fronte, cercando di non evidenziare troppo il terribile mal di testa che le pungeva il cranio.

Poteva solo sospettare che cosa significasse riuscire a leggere anche i ricordi degli altri, e il dolore di coloro che amava. Era un dono ma anche una maledizione, sarebbe stata contenta di vivere senza questa sua vitale parte di sé, pur di sentirsi un po' più "normale" e comune. Riuscire a combattere e allontanare quei giudizi a priori che gli altri tendevano a cucirle addosso, limitandosi a valutare solo la leggerezza della sua bellezza e del suo aspetto.

Non era la sua sorella Goldstein preferita, forse perchè molto più simile alla maggiore, eppure non poteva non ammirare anche lei, la sua dolcezza e allegria.
Queenie le accennò un sorriso, e scosse appena la testa per cancellare quel brivido di freddo che l'aveva attraversata.

Che cosa le stava succedendo esattamente?

«Sei carina, dolce e... Oh, uhm»
Questa volta non riuscì a mascherare la fitta di dolore che la attraversò, strinse i denti mentre abbandonava la testa fra le ginocchia. Jacob immediatamente balzò in piedi, così come la sorella, che si abbassò, inginocchiandosi alla sua altezza.
«Queenie, cos'hai?»

Ignorò Kama e Theseus, che erano stati così egoisti da non offrire la burrobirra a nessuno, e la puzza di bruciato che emanava la camicia di Bunty. Probabilmente l'uovo che aveva rubato ai profanatori di creature magiche doveva essersi schiuso. A giudicare dalle bruciature, un gallese verde, riflettè il magizoologo.

Dove lo teneva il drago? Nella sua tasca, forse? Fortunatamente Tina era troppo concentrata sulla sorella per accorgersene.

«Che hai combinato?» Le sussurrò gravemente Newt «Ti avevo pregato di lasciar perdere, non potevi almeno inviarmi un patronus?»
«Non ne ho avuto il tempo.» Sorrise Bunty, un po' indispettita di essere stata rimproverata dal suo mentore.
«Dove lo troviamo adesso lo spazio per un cucciolo di drago?»
«È una lei.» Lo corresse la magizoologa «E poi, non mi sembra che non ci sia spazio nella tua valigia, no?»

Ancora peggio, sbottò Newt. Le femmine di drago tendevano a essere molto più selvagge e combattive.

La custode delle chiavi di Ilvermorny, invece, si era affrettata ad affiancarli, passando loro un bicchiere d'acqua, che aveva magicamente evocato perchè lo passassero alla legilimens, che lo prese fra le mani un po' tremolante.
«Forse è meglio se andiamo direttamente al paiolo. Si sta facendo tardi e credo che abbia bisogno di riposarsi.» Si voltò verso Theseus che annuì lievemente con la testa.

Tina imprecò. Se solo le avesse dato ascolto prima di partire! Glielo aveva ripetuto continuamente! Queenie non avrebbe certo potuto sopportare dei viaggi così lunghi e soprattutto fare parte di una missione così pericolosa. Ma lei, nonostante le sue proteste, era voluta venire con loro.
Con un gesto meticoloso della mano, circondò la sorella con una bolla, isolandola così dal mondo esterno.

Era così difficile riuscire a distinguere i propri pensiero da quelli degli altri. La testa le pulsava violentemente e quasi le sembrò di sentire il battito cardiaco all'altezza dell'addome.
Queenie respirò profondamente, accarezzandosi il ventre nel tentativo di rilassarsi e far scorrere l'ansia via dal suo corpo.

Anche gli allegri chiacchiericci dei ragazzi in lontananza, i soliti ritardatari, le davano tremendamente fastidio. Adesso, preferiva notevolmente stare da sola e in solitudine.
Tina era addirittura più preoccupata di lei, cercava continuamente di cogliere qualsiasi segnale di disagio o di sollievo.
«Queenie?»

Anche le voci le sentiva ovattate, le mani che le sudavano copiosamente, tanti pallini danzanti dinanzi agli occhi.
Probabilmente sarebbe svenuta, non lì ma di lì a poco.
«Merci Lewis, rispondimi!» Le prese il mento, obbligandola a incontrare il suo sguardo, in ansia e in preda al terrore.

«Sto bene.»

Tina non le credette, nonostante avesse ripreso un po' più di colore e avesse intravisto la sua mente placarsi gradualmente, non ne era del tutto certa. Per niente.
«Io... voglio una spiegazione, Queenie.»
Non sembrava una domanda, ma una richiesta. Adesso c'erano solo loro due, protette dal resto del mondo.
«È solo che... è così difficile riuscire a controllare ciò che pensano gli altri, ora che... aspetto un bambino.»

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