24.2. Dolce-amaro ( Tina/ Kowalski )

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

«Merlino! Theseus! Mettiti una camicia addosso!» Lanciò un gridolino la bruna, quando intravide con la coda nell'occhio un ammasso di peli bruni e un fisico abbastanza tonico.

Si accorse dopo parecchi secondi che non indossava assolutamente nulla e non potè astenersi dallo sbraitare.

Fortunatamente si era limitata alla parte superiore.

Chiuse gli occhi e, per sicurezza, decise di coprirsi la visuale anche con le mani. Era entrata nella stanza che avrebbe dovuto condividere con lui e neanche dieci secondi dopo aveva capito che non ci avrebbe messo più piede dentro. Non sarebbe riuscita a sopportarlo.

«E buon Lewis! Lo sai... esistono delle cose chiamate tovaglie, le trovi in bagno!» Alzò la voce quando non lo sentì affrettarsi a correre nella stanza che gli aveva suggerito.

Fortunatamente non era sola, Newt era lì con lei, ma era come se non ci fosse. A differenza sua, lui era rimasto in silenzio, a sorridere nervosamente al pavimento.

«Ti dai una mossa?!»

Solo dopo l'ennesima incitazione, l'auror speciale si decise a brandire l'accappatoio e a stringerselo accuratamente alla vita, cercando di coprirsi alla bel meglio.
Sconsolata e con la mano ancora premuta contro la fronte, si lasciò cadere sul letto, che non avrebbe condiviso per nulla al mondo con quel mentecatto. Afferrò un cuscino e se lo strinse in tutta la sua lunghezza, fino a quando l'odore acido di sudore misto a talco le fece storcere il naso, e nauseata lo gettò di lato, alzandosi rapidamente dal letto.

Almeno Newt aveva un buon odore. Sapeva di... non sapeva esattamente di cosa odorasse, non si era concentrata troppo sul suo odore. Sapeva soltanto che aveva un buon odore.

Odorava di... pulito, di buono.

«Se ne è andato?»
«Credo di sì...»
Dinanzi a quel segnale di assenso, Tina si voltò di lato, ben felice di notare che non era l'unica a essere imbarazzata nella stanza.

«Ecco...» riprese il mago con un mezzo sorrisetto timido, incapace di sostenere a lungo il suo sguardo «avevo dimenticato di avvisarti...»
«Hm... ma davvero? Che cos'altro non mi hai detto di tuo fratello?»
Fece un passo avanti, incrociando le braccia al petto, scuotendo subito dopo la testa un po' più rassegnata.
«Lascia stare... non credo di volerlo sapere...»
Quando lo intravide ritornare, gli lanciò un'occhiataccia, seguendo con lo sguardo ogni singolo spostamento.
«Mi dispiace.»
Era ora! Borbottò fra sé e sé la ragazza, puntando gli occhi verso al cielo.
«Forse è il caso che dormi con mio fratello.»
«Lo penso anch'io...» proferì a denti stretti.

Non vedeva l'ora di sentirselo dire. Anche Theseus ci sperava a dir la verità, chissà magari il suo fratellino avrebbe potuto vivere una notte indimenticabile con la donna che aveva sempre amato. Bello quanto improbabile.

«Fortunatamente non ho visto quasi nulla...» aggiunse.

Era il "quasi" il problema.

«Fra mezz'ora si cena! Fatti trovare con tutti i vestiti addosso!»
Raggiunta la soglia, però, decise di tornare sui suoi passi. Si avvicinò all' auror speciale e, dopo essersi tesa sulle punte, gli sussurrò qualcosa all'orecchio.

Il modo in cui si allungava verso di lui, le mani sue sulle spalle per sorreggersi e le labbra sottili sotto al suo orecchio, era certo, gli avrebbe dato un po' fastidio se non avesse visto poco dopo Theseus sbiancare di colpo. Gli diede un leggero colpetto sulla guancia e gli sorrise falsamente.
«V-va bene, T-Tina.»

Tina dovette fare uno sforzo titanico per non ridergli in faccia, godendo del suo imbarazzo e della sua condizione di potere. Lo trapassò con lo sguardo il tempo sufficiente da farlo crollare.
E, senza dargli il tempo di aggiungere altro, si voltò, trascinando Newt con sé.

Adesso Newt, doveva ammetterlo, era tremendamente curioso. Quando furono abbastanza lontani, tentò di riprendere il discorso, un po' più gaio e rilassato.

«Che gli hai detto?»
Tina, nonostante il corridoio fosse in penombra e illuminato da una piccola lanterna su un mobiletto pericolosamente in bilico, notò comunque il leggero rossore sulle sue guance.
«Niente di che...» rimase nel vago.

Ma Newt non demorse. Voltarono l'angolo e si fermarono, davanti alla porta della loro camera, quella adiacente a quella di Jacob e Queenie. Aguzzando un po' i sensi, a Tina parve sentire una lieve risatina provenire dal suo interno, ma non ci badò troppo. Ignorò anche il leggero rumore del legno che colpiva di tanto in tanto la parete.
«No, davvero. Sono curioso.» Cacciò fuori dalla tasca dei pantaloni del pigiama, che gli stava divinamente - secondo Tina - una massiccia chiave d'ottone, e attese che lei parlasse prima di far scoccare la serratura.
«Niente di cui preoc... non mi dirai che sei geloso...?» Inclinò la testa di lato, con fare canzonatorio.
«No, io...»

Quella domanda lo fece arrossire ulteriormente e, dinanzi alla sua timidezza, Tina scoppiò a ridere.
Newt era troppo imbarazzato per spingere la porta, così lo fece lei al posto suo.
E, dopo avergli dato il beneficio del dubbio, gli rispose, con lo stesso sorrisetto bonario stampato sulle labbra.
«Sto scherzando... comunque, davvero ci tieni a saperlo?» Non potè trattenere per sé un tocco di malizia.
Newt annuì, e le accennò un enorme sorriso mentre non poteva non perdersi nella luminosità dei suoi occhi.
«Ho visto uno spettacolo niente male, sai? È sbiancato di punto in bianco.... vorrei saperne il motivo...»

Così la prossima volta utilizzerò la tua stessa tecnica, non potè astenersi di pensare. Stava andando praticamente contro la sua indole gentile da tassorosso, assumendo i tratti più deplorevoli dei serpeverde che, nonostante la loro pessima reputazione, non poteva non ammirare almeno in parte. Leta era stata una serpeverde, anche se dal cuore di tasso.

«Se ti dicessi che l'ho minacciato, cosa faresti?» Si mordicchiò il labbro inferiore.
«Ti offrirei un altro hot-dog... solo che ne hai già mangiati due oggi... e tua sorella finirà per uccidermi, se continuo ad alimentare la tua dipendenza...»
«Non è una dipendenza...» borbottò lei fingendosi offesa «sono solo golosa...» si morse l'interno della guancia.
«Sai... dovresti minacciarlo di ucciderlo più spesso, magari potresti insegnarmi come si fa... il trucchetto dell'auror cattivo».

«Vorresti che ti insegnassi?» Scoppiò a ridere genuinamente, lasciando correre le mani sulle ginocchia.
«Sono un allievo molto diligente!» Gonfiò il petto, orgoglioso, facendo un passo verso di lei.
Tina ebbe un fremito.
Rimase per qualche istante a guardarlo da capo a piedi, incapace di emettere di tanto in tanto qualche risatina.
«Non ne dubito, ma non credo che saresti un allievo troppo bravo...»
Finse di dargli una spallata ma, invece di spingerlo, ne approfittò per poggiare la fronte su di essa.
Newt rimase impietrito. Le diede un leggero colpetto bonario, facendo goffamente ondeggiare il suo caschetto corvino, come faceva con le sue creature.
«P-perchè non sarei un bravo allievo? Imparo in fretta...»
Adesso Newt era certo di non avere più pensieri nella sua mente, qualunque cosa desiderasse pensare, qualsiasi parola intendesse pronunciare si perse in qualche angolino remoto.
«Non ne saresti in grado. Tu sei innocente.»

Odorava di buono, di pulito, lo sapeva. Ma non riusciva proprio a dare un nome all'essenza che le solleticava il naso. Lui odorava di... Newt. E Newt Scamander era troppo semplice e complicato allo stesso tempo, perchè potesse essere definito.

Non ricordavano neanche l'ultima volta che lo avevano fatto, entrambi forse troppo impegnati, troppo presi da altro per pensarci. Non sarebbe riuscito a stare senza di lei, Jacob kowalski ormai lo sapeva bene.

La lontananza dell'anno precedente, se da un lato lo aveva fatto sprofondare in una voragine di tristezza e disperazione, dalla quale era convinto di non essere più in grado di uscirne, non senza la solarità dell'amore della sua vita, dall'altro aveva compreso come tale distanza fosse stata "necessaria" per rimettere insieme i pezzi.

In quei quattro anni aveva capito che non poteva fare a meno della sua lontananza, come si sentisse vuoto, come avesse disperatamente bisogno di lei, come l'aria che respirava. Lo stesso valeva per sua moglie Queenie, ne era più che convinto. Aveva smesso di preoccuparsene. Con un sospiro, nascose il viso nell' incavo della sua spalla, tracciando con le labbra la tenera striscia di pelle sotto al suo orecchio. Queenie ridacchiò, voltando leggermente il viso per incrociare il suo sguardo assonnato, allungò la mano per avvolgerlo per i fianchi.

«Stai bene?» Non potè astenersi dal chiedergli, giocherellando con la mano libera con le ciocche sparse dei suoi capelli. Nei suoi riccioli bruni era facile scorgere le ciocche bionde e i boccoli disordinati, che si intrecciavano con la sua chioma.
Jacob non era bravo con le parole, in tutta risposta le afferrò delicatamente il viso per il mento e le diede un bacio a fior di labbra. Era un po' come Newt, ma molto più sfacciato.

«Divinamente!» Sospirò allietato, poggiando la fronte sulla sua e continuando a baciarla ancora e ancora.

Tremava e chissà per quale assurda ragione non riusciva a smettere di farlo.
La biondina ridacchiò e prima che lui potesse baciarla, lo anticipò.

«Quanto sei carino quando tremi! Ti amo anch'io!» Gli sussurrò magistralmente, continuando a giocherellare con i suoi capelli.
«Io di più.» Se la strinse contro al petto.

«Non credi che sia stato un ottimo modo per passare il tempo?» Gli chiese maliziosa, facendogli l'occhiolino.
«Già...» respirò profondamente lui, pelle contro pelle.
Tracciò con gli occhi la curva evidente del suo bacino, intravedendo dei lievi bozzi spostarsi da una parte all'altra del suo addorme.
«Si sta muov-?»

«Vorrei solo che le cose andassero diversamente!»
Per qualche istante calò il silenzio, rotto soltanto dal respiro agitato della strega.
«Queenie?»

Da quando aspettava un bambino, faceva una gran fatica a rilassarsi, come se il mondo avesse appena deciso di notarla e avesse deciso di donarle altri pensieri da smistare.
Ritrasse appena la mano quando percepì le lacrime calde e silenziose della moglie bagnargli le dita.
Non ricordava di averle detto qualcosa di sbagliato. Le aveva detto che la amava e... le aveva sussurrato tante di quelle cose che avrebbe fatto arrossire chiunque.

Quella volta non sembravano essere state gli ormoni i responsabili di quel repentino cambio di umore. Vi era di più, lo poteva percepire a pelle, nonostante fosse un essere non dotato di poteri magici.

«Hey, Queenie, amore...» le diede un bacio sulla mascella, sperando che quel gesto genuino non le intensificasse i singhiozzi che di tanto in tanto gli martellavano il petto.
Perchè anche per lui valeva lo stesso, vedere Queenie piangere per una ragione a lui sconosciuta, faceva piangere anche lui.

Queenie rimase in silenzio, allontanò appena il viso del marito dal suo collo, per nascondere il proprio contro al cuscino.
«Sto bene...» ispirò con il naso.
«Non venirmi a dire che sono gli ormoni, perchè non ti credo!» La anticipò lui, accarezzandole la schiena e coprendola con il lenzuolo.
Forse si sentiva in imbarazzo per il suo corpo... a volte Queenie ci scherzava un po' su, ma Jacob era riuscito comunque a scorgere quella piccola sfumatura di insicurezza.
«Ho visto piangere decine di volte, quando...» arrossì appena «quando facciamo l'amore. E so distinguere bene un pianto dall'altro, quindi... ti prego, dimmi che cosa c'è che ti turba! Se il problema sono io...»
«No! Non sei tu. Come potresti anche solo pensarlo?» Spalancò gli occhi.
Jacob sospirò sollevato, non era lui il responsabile della sua tristezza, allora.
«È... per il bambino?» Azzardò.

Capì di aver fatto centro, quando la vide mordersi il labbro inferiore e asciugarsi le guance con il palmo della mano. La intravide stringersi protettivamente quel rigonfiamento un po' ribelle, come se cercasse di isolarlo e proteggerlo dalle emozioni che la stavano attraversando.

Jacob riusciva quasi a vederlo, il viso del frutto del loro amore. I capelli biondi o bruni incorniciarli il visetto dalle fattezze di loro due. Il sorriso di Queenie e il proprio entusiasmo. Il sesso non gli interessava. Non era come quei capi di famiglia che ripudiavano le mogli, se non davano alla luce l'erede della loro casa. A lui non importava se il cognome Kowalski potesse disperdersi nella storia.

A lui bastava Queenie, e avrebbe continuato ad amarla anche se non gli avrebbe concesso la gioia di diventare padre.

«Sei così dolce.»

Si era un po' perso a riflettere, che non si era neanche accorto che sua moglie aveva captato i suoi pensieri. Stava cercando delle soluzioni, delle domande da porle, come porle per non intensificarle il pianto. Forse aveva un po' paura che quel loro sogno nel cassetto non avrebbe potuto avverarsi, perchè forse troppo felice ed effimero per quel mondo grigio. Come se Grindelwald avrebbe potuto spazzarla via di nuovo. Se quel mago si fosse avvicinato a Queenie e a suo figlio, o sua figlia, si sarebbe fatto uccidere senza indugio, pur di difenderli.

Nessuno avrebbe potuto anche solo pensare di sfiorarli, neanche con la punta del mignolo. Avrebbe fatto di tutto per quelle due splendide creature.

«Ho un po' paura.» Ammise «Grindelwald ci ha già separati una volta, e non riesco a pensare che potrebbe riprovarci.» Nascose il volto sotto il mento del marito, bagnandogli il petto con le ultime lacrime rimaste.
«E c'è dell'altro.» Comprese lui, accarezzandole dolcemente i capelli.

«Sì. Sono preoccupata per mia sorella. Insomma, noi abbiamo tutto! Siamo insieme, siamo quasi stati creati per stare insieme, mentre Tina...»
Tremava, poteva sentirlo.
«Tua sorella sa quello che fa, ne abbiamo già discusso tante volte. Amore, lei non vuole che tu sia preoccupata per lei. Lo ha ripetuto tante di quelle volte. Ha il coltello dalla parte del manico...»
«Ma è così sbagliato, Jacob! Non hai idea di come lei guardi lui e lui guardi lei... non possono neanche toccarsi! Mi sento... così egoista! Perchè io poso permettermi di amare e lei no?»

Vi era stato un tempo, tremendamente lungo, in cui stava dimenticando l'amore che nutriva verso di lui. Quella sadica chioma platinata era stata capace di congelare il suo cuore e di renderlo duro come la roccia.
«Non dimenticarlo. Ricordalo. Con il tempo capirai...»

Se non lo avesse conosciuto, probabilmente non avrebbe neanche compreso a fondo il significato oscuro di quelle parole che, erano tutto tranne che un conforto.
Volevano dire "non dimenticare che cosa ti ha fatto".

E Queenie lo aveva capito soltanto in seguito, lui non le aveva fatto nulla. Aveva soltanto cercato di proteggerla dai pregiudizi, preferendo starle alla larga pur di non farla cacciare dal genere magico.

Gellert Grindelwald aveva amato mettere fin da subito il dito nella piaga. Fortunatamente non si era rassegnata e quell'amore non era divenuto infelice come gli altri. Valeva la pena lottare per un amore che bastava a se stesso, sufficientemente potente per affrontare le insidie. Loro erano lì, avvolti tra le lenzuola di seta, i loro corpi intrecciati tra loro.

«Anche Tina ha il diritto di essere felice, e lei non lo è!» Trattenne a stento un singhiozzo.
Jacob di contro non riuscì a trattenere una risatina, nonostante fosse più che consapevole che non era il momento più adatto per farlo.

Si mise a sedere e la trascinò verso di sé, la testa della moglie poggiata sulla sua pancia rotondetta, che lei amava di tanto in tanto di adoperare A mo' di cuscino. Proprio non riusciva a smettere di ridacchiare.
«Certo che è divertente...» le scostò i capelli da dietro la nuca.
«È incredibile come non riuscite a pensare mai a voi stesse, ma sempre l'una all'altra.»
«Io lo so... finirà per mettersi nei guai! Tu non la conosci come la conosco io! Lei se sceglie di portare avanti un ideale o un caso, ci va a fondo!» Gli cullò il bacino con le gambe.
«Lo so, ma è adulta, tesoro. È forte abbastanza da affrontare la questione, anche da sola. Ma, come sai, le non sarà mai sola! Ha noi, tesoro.» Le socchiuse le palpebre, invitandola a rilassarsi.
Ma Queenie riaprì gli occhi subito dopo, scuotendo nervosamente la testa.

«Ma non è questo...» sbottò, infastidita, corrucciandosi «lascia perdere! Non potresti capire!»
Rotolò un po' goffamente di lato, avvolgendosi il lenzuolo e la coperta intorno al corpo, voltando la testa di lato per non guardarlo direttamente negli occhi.
«Queenie...»
«Sì, lo so. Che dovrei stare tranquilla, che sono incinta e che fa male al bambino e... bla bla bla... ma che cosa c'è di male? Mi preoccupo per mi sorella, la mia migliore amica!»
«Niente! Ma non puoi continuarti a struggerti per lei! E poi... te l'ho detto, faremo capire loro che cosa provano l'uno per l'altra. Va bene?»

«Sì?»

«Insomma... quei due capiranno, meglio prima che poi. Non credi? E io credo di aver trovato un piccolo trucchetto per spingere il nostro mago a fare colpo su una certa auror bruna, dai piedi "incredibilmente sottili"...» scoppiò a ridere, quando intravide gli occhi della moglie spalancarsi di colpo.

«Ma tu dovrai darmi un piccolo aiutino...» le piantò un bacio sulla fronte, stacciando le lentamente un percorso fino al mento e nuovamente sulle labbra.
«Ammetto che è la stessa tecnica che ho utilizzato per conquistare il tuo cuore...»
«Davvero?»

A quel punto la legilimens dimenticò perfino il motivo della sua tristezza. Lo scrutò attentamente, soffermandosi ad accarezzare con la vista ogni singolo ricciolo sudato che gli ricadeva sulla fronte.

«Anche noi babbani abbiamo i nostri trucchetti!» Le fece l'occhiolino, il cuore gli si strinse di gioia quando intravide le labbra incurvarsi in un sorrisetto e la solita risatina furbetta che conosceva bene.
Come poteva non amare anche solo il suo sorriso?
«Questa è la cosa più bella che tu mi abbia detto oggi!»

E, con uno sforzo non indifferente, rotolò impacciatamente su di lui, atterrandolo con il suo peso sul materasso, che scricchiolò dinanzi a quel repentino cambio di equilibrio.

«Posso schiacciarti?»

Quasi ci sperava.
Non riusciva a smettere di ridere, accarezzandogli la fossetta sotto al labbro inferiore, che tremolò appena.
«Sai che non posso dirti di no!». Le passò un braccio dietro le spalle e la schiena non coperta dai capelli, stringendola contro di sé.

Poteva percepire il proprio rigonfiamento contro la pancia voluminosa del marito, e anche lì non potè lasciarsi scappare una risatina.

«Come è possibile? Che uno come me possa ver sposato una bambola come te? E anche vera, per giunta! E poi, vederti con questo pancino...mi fa impazzire!»

«Anche io amo le tue forme!» ridacchiò lei, sfiorandogli il naso con il proprio.

Gli accarezzò l'addome, permettendogli di spostare il loro peso in una posizione più comoda per entrambi.

«Sì, solo che qui dentro... non c'è niente...»
«Se ci fosse stato qualcuno mi sarei preoccupata... avrei dubitato della tua fedeltà...» finse di essere seria, per poi scoppiare nuovamente a ridere «ma io non potrei mai dubitare di ciò, non ne saresti capace.»
Rimasero immobili, a ridacchiare e a prendersi in giro l'un l'altra.

«Allora... che cosa stavamo facendo?»

Tina ne era certa.

Altri due giorni senza chiudere occhio e il suo molliccio si sarebbe trasformato in un letto a baldacchino.

Se non fosse stato per la pseudo cena ad attenderli, che lei e Newt stavano valutando se rifiutare o meno, probabilmente sarebbe già dispersa chissà in quale idillica visione che il suo inconscio le avrebbe donato.

«Non ci posso credere!» Esclamò eccitata, quasi prendendo la rincorsa e gettandosi di getto sul letto.

Le coperte si incresparono con il suo peso. Newt rimase un po' colpito all'inizio, Tina aveva magicamente ritrovato l'energia. Ed eccola lì, padrona anche della sua metà di letto, a fare l'angelo di neve... o meglio... l'angelo sulle coperte.
Si grattò il naso e le accennò un mezzo sorriso, avvicinandosi lentamente a lei e sedendosi sul borso del letto.

«Converrai con me che questa è una delle camere migliori! Vedo che la camera è di suo gradimento, signoria Goldstein.»
«Hm... un sogno...» mugugnò estasiata, lanciando disordinatamente le scarpe in aria.

Una di esse per poco non gli colpì la spalla, tanto che Newt dovette piegarsi di lato per evitarla.
«Scusa.» Ridacchiò, scorgendo la sua aria un po' attonita.
Non gli diede il tempo di rispondere, perchè Tina Goldstein, il capo del dipartimento auror americano, iniziò a rotolarsi con i vestiti dello stesso giorno.

Nuovamente quella ragazza non riuscì a non strappargli un sorriso.

«Non vedo il motivo per cui dovrei alzarmi...» ridacchiò, allungando la mano per afferrare la propria bacchetta sul comodino, dandosi una spinta con i piedi.
Con le stesse sbarre, e facendo nuovamente leva, la strega si rimise seduta, controvoglia, allungando la mano per toccargli i capelli.

«Non pensavo che le piacesse tanto poltrire.»

In tutta risposta lei gli diede una spallata, cercando di riappropriarsi per dispetto dell'intero materasso, come punizione.
«Mi sa che qualcuno stanotte dormirà sul pavimento...»
«Ah sì? Non la facevo così...» prese tempo, cercando di provocarla.
«Come?» Inarcò un sopracciglio lei, accennando un mezzo sorriso.
«Gentile...»
«Hm... ti sei salvato... non le conviene avermi come nemica, signor Scamander...»

«Ah, non ne dubito!» Sollevò le mani in segno di resa, ridacchiando «Sempre se non ti va di tornare a dormire con mio fratello...»
«Cercherò di chiudere un occhio!» Acconsentì lei, continuando a mettere in disordine le coperte.

«Comunque, signor Scamander. Le dispiacerebbe farmi da guida? Dovrei andare al ministero, per i Paciock, e non essendo mai stata a Londra, credo che potrei perdermi...»

«Hm... perchè non ci vai con Theseus?» Un mezzo sorrisetto furbetto gli apparve ai margini delle labbra.
Tina finse di affogarsi, si portò la mano all'altezza della trachea cercando di contenere la tosse.
E Newt, di conseguenza, non potè deriderla bonariamente, scoppiando nuovamente a ridere.
«D'accordo... va bene, va bene!»

Se non fosse stato per la gravità della situazione, probabilmente Newt e Tina avrebbero continuato a ridere all'infinito. Quella ragazza bruna lo incantava e incuriosiva allo stesso tempo. Ogni minuto che trascorreva con lei, gli pareva di riuscire a conoscere e interpretare un pezzo, seppur minuto, della sua anima. E lui moriva dalla voglia di conoscere la ragazza che gli era entrata dentro.

Rimasero a guardarsi dritti negli occhi, Tina con lo sguardo gli fece cenno di sdraiarsi accanto a lei, spostandosi appena di lato per lasciargli lo spazio sufficiente.

Sembrava una chissà quale confessione, che nessuno, a parte loro due, avrebbe dovuto conoscere.

«Sono un po' preoccupata, Newt.»
Ecc0 che riprendeva a chiamarlo con il suo nome da battesimo. Non sembrava solo un po' preoccupata, a giudicare dai sospiri e dal tono che emetteva.
«Grindelwald non si era mai spinto oltre. Rapire dei bambini... non oso neanche immaginare come si sentano sole quelle creature!»

Intravide i suoi occhi inumidirsi, e provò una fitta al petto. Anche lui ci aveva riflettuto abbastanza e pensava lo stesso.
«Grindelwald vuole arrivare ai genitori attraverso i loro figli. Non so come reagirebbero, sapendo che l'unica soluzione per riavere i loro figli sia unirsi alla causa, sbagliata.»

«Io sono d'accordo con te... ma credo che ci sia una soluzione per limitare i rapimenti, no?»

Quanto avrebbe voluto vedere quegli occhi bagnarsi in altre circostanze!

Tina sospirò e scosse appena la testa, forse un po' rassegnata.
«Io... non lo so, Newt.» Ammise «Le cose non vanno affatto bene al ministero e non riesco a venirne a capo! Ho provato di tutto! Ho cercato informazioni fra gli infiltrati, ma niente! Non si sa nulla delle maschere o di Grindelwald! Lui non lascia avvicinare nessuno, solo pochi membri fidati!»

Cosa avrebbe potuto dirle per farla stare meglio?
Per incoraggiarla?

Sapeva che stava facendo il massimo delle sue possibilità, ma era anche consapevole che per Tina non era mai abbastanza.

Era esausta, forse non solo per la stanchezza. Lo aveva notato fin da subito, dai suoi occhi, che non erano animati dalla stessa luce di cui si era innamorato. Tina era diversa, era cambiata.sembrava un po' più triste e schiva del solito, come quando l'aveva conosciuta. Era come se si fosse nuovamente chiusa a riccio e non si rendesse neanche conto che gli altri lo avessero più che notato. Cercava di stemperare la tensione con qualche battutina, qualche risatina. Eppure, Newt poteva cogliere quella nota amara nelle sue parole.

«Io... sono certo che riusciremo a trovare una soluzione! Sei bravissima nel tuo lavoro, Tina. Meriti quel posto! Non devi dubitare del contrario solo perchè la soluzione sembra anni luce di distanza! Ci vuole solo tempo...»

«È proprio questo il punto, Newt. Noi non abbiamo tempo! Sono passate settimane. Sai che dopo una settimana le speranze di trovare una persona scomparsa si riducono a zero. E poi... sono dei bambini! Se non dovessi riuscire a risolvere il caso... non è solo un fallimento. È... è un tradimento, verso me stessa... Io...»

Newt non le diede il tempo di proseguire la frase, allungò la mano per sfiorarle le labbra con la punta dell'indice, e le accennò un dolce sorriso.

«A volte le cose possono sfuggire dal nostro controllo e non sempre tutto dipende da noi, e anche se così fosse, bisogna accettare che non sempre è colpa nostra. Che ci son delle circostanze in cui non possiamo farci proprio nulla, dove tutto sembra perduto. Ma non è così, Tina. C'è sempre un modo per ritrovare la luce.»

Quando le si avvicinò, a Tina mancò quasi il respiro, e perse un battito quando sentì le sue labbra sfiorarle la guancia. Quanto amava sentirlo così vicino e ne aveva disperatamente bisogno. Ma il cuore le si stringeva allo stesso tempo, e la rendeva incapace di rimanere nella stessa stanza per più di dieci minuti di seguito.

Era sbagliato, anche se, come diceva Newt, non era del tutto colpa sua.

Lo stava tradendo, o meglio stava tradendo il proprio cuore e pertanto anche Newt, nonostante loro due non fossero praticamente nulla. Purtroppo quel magizoologo non poteva conoscere i suoi pensieri.

Newt, d'altro canto, non riusciva a smettere di pensare alla morbidezza della sua pelle, alla sua guancia vellutata. Chissà come sarebbero state le sue lab-... no. Non era il caso di pensarci, non era il momento adatto.

«Grazie, Newt.»

Il silenzio rotto solo dai loro respiri irregolari, ad eccezione dei colpi di scopa contro le pareti del corridoio. Erano anni che non faceva un salto al Paiolo magico, eppure continuava a ricordare la delicatezza, paragonabile a quella di una poltrona, della cameriera.

Lanciava di tanto in tanto un'occhiata agli affreschi e ai quadri, non così banali come apparivano a prima vista, appesi alle pareti, alle spalle della ragazza. Un bel contrasto con la superficie marmorea e pallida.

Uno di essi raffigurava un paesaggio idilliaco, un picnic sul lago. Due giovani, probabilmente diciassettenni, sdraiati su una scoperta a quadretti rossa e bianca, entrambi con un capello spiovente di paglia. La fitta vegetazione rendeva quasi illusori i dettagli, gli abiti mascherati dalle foglie di acacia.

Quella donna, dai capelli bruni, era sicuramente Tina, nella sua immaginazione non poteva essere altrimenti. Con la testa sulle sue ginocchia, mentre lui la guardava dall'altro, mentre le accarezzava i capelli sparsi sulle spalle.

L'altro era un po' troppo distante perchè potesse analizzarlo accuratamente. Poteva scorgere soltanto le onde burrascose del mare, in movimento. Era come se il quadro potesse inghiottirlo, riusciva quasi a sentire la spuma biancastra inondargli i piedi nudi.

Anche in questo caso, erano passati anni da quando aveva deciso di fare una passeggiata lungomare, sempre in totale solitudine, con le sue creature.

«Vado a farmi una doccia.»

La sua voce lo colse di sorpresa, e quasi non si rese conto che si fosse già precipitata verso la sua valigia un po' troppo piccola per contenere tutti quegli indumenti, e che avesse già preso l'occorrente.
A lei bastava un incantesimo estensivo irriconoscibile.

Cercò di non sbirciare al suo interno, si promise di non guardare le cose da donna che le appartenevano. Non che gli importasse. Tina era sempre stata molto pudica, e non avrebbe trovato nulla di promettente. Non che gli importasse. Inoltre non ne aveva il tempo sufficiente. Tina aveva già avvolto i proprio indumenti fra la tovaglia, anch'essa celeste come il pigiama, e con il volto appena arrossato era fuggita in bagno.

Era ritornata sui suoi passi qualche istante dopo, con il volto velato da una lieve minaccia.
«Guai che sbirci!»
«Non lo farò...»
«Lo so!»
Ed era ritornata in bagno, richiudendosi la porta alle spalle, con una nota di soddisfazione e un ghigno stampato sulle labbra dinanzi alla sua espressione stupita.

Così, Newt si mise bello comodo, con una nuova amara consapevolezza. Quasi gli pareva di poter ancora sentire il suo odore di menta. Anche dall'altra stanza poteva percepire l'acqua ticchettare sul metallo del telefono della doccia. Anche lui desiderava rinfrescarsi, ma non ne aveva troppa voglia, forse era solo stanco o troppo rilassato.

Anche Tina aveva questo effetto soporifero su di lui, la sua voce lo tranquillizzava. Ma non poteva sapere, non ancora, che lo stesso valesse per lei.

Come poteva saperlo?

Di tanto in tanto si accertava che stesse bene, senza tuttavia avvicinarsi troppo alla porta. Le parve quasi si sentirla canticchiare. I capelli che le ricadevano, seppur corti, sul collo e sulle spalle, le ciglia inumidite. L'acqua che le accarezzava il corpo.

Come si era aspettato, ben presto la vide rientrare in camera, avvolta nel solito pigiama a fantasie.

E senza ciabatte.

Era stata alquanto veloce, o forse si era perso un po' a fantasticare, ma non aveva avuto abbastanza tempo per farlo bene. Con lei non si era mai permesso di andare oltre, non riusciva a farlo. Tina non era una ragazza qualunque.

«Newt, non è che potresti...?»

Non le diede neanche il tempo di concludere la frase che il magizoologo la investì con una raffica di aria calda, mentre lei era costretta a chiudere gli occhi, colta un po' di sorpresa.
Se solo si fosse vista allo specchio... sembra il zouwu dopo avergli fatto il bagno! Il caschetto gonfio le rimpiccioliva di molto il viso delicato e principesco. Ribelli come il suo carattere.

Ma a lui piaceva comunque, se non addirittura di più. Se solo gli avesse dato il permesso di occuparsene!
«Grazie!» Ridacchiò, quando intravide il suo mezzo sorrisetto e gli occhi puntati sulla sua matassa di capelli, iniziando a lasciarseli con le mani.
«Ti donano...»
«Non ne dubito.» Continuò a ridacchiare lei.

Non poteva neanche fare a meno di osservare i suoi piedi nudi poggiarsi delicatamente sul pavimento freddo. Rabbrividì per lei. Erano incredibilmente sottili, la pianta e le dita delle giuste proporzioni.
Erano un po' arrossati, le pelle un po' screpolata, probabilmente già da tempo. Ma lei non si era mai lamentata a riguardo. Aguzzando un po' lo sguardo, intravide dello smalto... rosa! Sulle unghie...

Un mezzo sorrisetto gli accarezzò le labbra. Dinanzi a quella bizzarria, vi era spiegazione, che aveva un nome: Queenie. Non era da Tina lo smalto alle unghie. Le sue unghie, anche quelle delle mani, erano sempre state naturali, non smaltate, ma abbastanza curate.

E lui le preferiva così. Non troppo lunghe e neanche troppo corte.

E poi... Tina odiava il rosa.
Se non conoscesse Queenie, non avrebbe pensato che, probabilmente, l'aveva obbligata.

«Non hai freddo? A piedi scalzi?»
Su una cosa lui era certo, Tina Goldstein odiava le pantofole. Non l'aveva mai vista indossarne un paio in tutti quegli anni in cui la conosceva. Si sedette accanto a lui, incrociando le gambe e scoprendone appena una parte.
«Hm... ci si fa l'abitudine! Non vedevo l'ora di camminare scalza, sai... dopo tutte le ore trascorse a camminare!»
«Anche io non vedevo l'ora di rilassarmi un po', ma credo che tu sia più stanca di me... insomma, dopo quel duello mozzafiato di oggi pomeriggio e la piccola sosta a Diagon Alley...»
«Sì.» Ridacchiò «Ma è stato divertente!»

«Sai...» cambiò dopo un po' argomento lei «mi piacerebbe farli crescere, i capelli. Come quando ero ragazza.»
Newt non riuscì a nascondere la curiosità, le accennò un sorriso e inclinò appena la testa di lato.
Non lo avrebbe mai pensato. Tina aveva sempre avuto i capelli a caschetto, erano un suo simbolo caratteristico.
«Avevi i capelli lunghi? Davvero?» Spalancò gli occhi.
«Sì, ecco... non così lunghi. Fino alle spalle.» Gli accennò un sorriso timido.

Avrebbe tanto volto vederla, da ragazzina. Era convinto che le sarebbe piaciuta lo stesso, nonostante le differenze.
«Penso che ti starebbero bene.»
Tu saresti bene con tutto, pensò.

«Com'eri da ragazza?»
«Non troppo diversa. Stesso carattere, e con circa venti centimetri in meno!»
«E scommetto sempre con quella tua dipendenza da hot-dog...» ridacchiò.
Tina sospirò, incapace di fingere di essere arrabbiata con lui. Come avrebbe potuto esserlo?
Incrociò le braccia al petto e inclinò la testa di lato.
«Non è una dipendenza! E sì, anche allora ne ero ghiotta!»
«Non so come tu faccia, davvero! Al solo pensiero mi vengono i brividi!»

E non era tutto dire.

Afferrò una foglia di lattuga dalla ciotola che aveva ordinato e innocentemente se la mise in bocca, iniziando a masticarla silenziosamente.
«Vuoi favorire?» La canzonò, notando il suo sopracciglio alzato.
«No, grazie. Te la cedo volentieri... la tua lattughina. E... buon Lewis! Non è neanche condita!»
E Newt non potè astenersi dal ridacchiare.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro