3. 𝗽𝗮𝘀𝘁𝗮 𝗳𝗿𝗼𝗹𝗹𝗮 𝗲 𝗺𝗮𝗿𝘇𝗮𝗽𝗮𝗻𝗲 ( Jacob e Queenie/ Scamanders Brother )

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New York

«Tesoro! Ma quante volte devo dirtelo!! Devi pulirti le scarpe prima di entrare in negozio e... Oh... Buon Lewis, che pasticcio! C'è tantissimo fango! Dovrò ripulire tutto!» sbottò la biondina.

Queenie Goldstein, sempre impeccabile, capelli ben acconciati in eleganti onde e boccoli ben disposti. Mettevano in risalto il suo piccolo viso pallido e gli occhi chiari. Aveva accolto Jacob con le braccia appoggiate sui fianchi, gli occhi fuori dalle orbite e una smorfia di fastidio stampata sul viso.

Il tempo non era dei migliori; la tempesta sembrava ben lieta di abbattersi contro i vetri della loro piccola pasticceria. Jacob era corso di corsa dentro il negozietto, inciampando quasi sui suoi stessi piedi, mentre cercava di evitare che le spesse gocce di pioggia scrosciante gli ricadessero sull'unico abito buono che possedeva.

Tutti i passanti si erano voltati nella sua direzione quando le padelle, che teneva nascoste sotto lo smoking a mo' di protezione, tintinnavano in sincronia con la pioggia e lo scalpiccio delle suole delle sue scarpe. Avevano dimenticato per un attimo di stringere saldamente gli ombrelli che, uno dopo l'altro, vennero trascinati via dalla furia del vento.

Jacob non si era accorto di nulla, fino a quando non ne vide uno penzolare annoiato dal ramo di un albero. Per un attimo si era soffermato a guardarlo, pensando che gli sarebbe stato utile, ma subito dopo si ricordò del suo equilibro poco stabile, e riprese a correre da pasticciotto adorabile qual era, inciampando e strisciando, sotto la pioggia.

Non si sarebbe mai aspettato di trovare Queenie, la donna che aveva sposato da poco più di quattro mesi, l'amore della sua vita, l'unica strega che desiderava avere accanto per la quale avrebbe continuato a lottare, a pochi metri dalla soglia. Timidamente le aveva accennato un sorriso, e lei aveva risposto con un'occhiataccia truce, che lo stupì e non poco; un ghigno che non riteneva appartenere al suo animo gioviale.

Il suo sguardo lo fece arrossire, come se gli stesse facendo costituire un crimine, del quale neanche lui stesso era al corrente. Ma Queenie Goldstein era così - entrambe le sorelle Goldstein, a dir la verità - ricca di sorprese. Con lo stesso sorrisetto impacciato che lo faceva sentire un ebete, Jacob fece un passo verso di lei, sentendo l'ansia montare dinanzi al ticchettio nervoso delle sue dita sui suoi avambracci.

«Passato il mal di testa, amore?» le chiese, evitando di risponderle, scostandosi dal naso una folta ciocca di capelli neri.
Con un sorrisetto aprì le braccia grassocce, facendole un cenno impacciato con la testa di venire da lui. Nonostante non fosse dotato di poteri magici, avrebbe continuato a proteggerla da ogni male, come poteva. Queenie Goldstein inarcò un sopracciglio, le uscì una smorfia di fastidio, ma reagì appena, incapace di non accettare ogni abbraccio che lui le donava. Aveva un buon profumo, come sempre, forse leggermente acidulo, la pelle morbida e ovattata.

La biondina gli lanciò comunque l'ennesimo sguardo sprezzante, ancora decisamente arrabbiata con lui. Erano giorni che il suo umore cambiava repentinamente, spesso rimaneva alquanto colpito dalla rapidità con cui passava dal ridere al piangere e, in quel periodo, Jacob aveva imparato a non ribattere e a mettere una pietra alle discussioni. Dall'imbarazzo alla frustrazione, dal piacere all'odio. E a lui non piaceva vederla piangere.

«Ebbene?»
«Cosa?»
«Come è andata?»

Lei gli poggiò le mani sulla testa per accarezzargli i capelli bruni non troppo lunghi, ricambiò il bacio precedente, posando appena le labbra sulla sua fronte bagnata dai capelli. Era ancora un po' infastidita dal comportamento del marito, ma la sua espressione si era rasserenata, non c'era nulla al mondo, secondo lei, che l'abbraccio di Jacob o di Tina potesse fare, se non alleviare almeno un pochino la tristezza.

«Abbastanza bene. E tu? Non mi hai ancora detto come sta la testa.»
«Un pochino sì, meglio» gli rispose mentendo, guardandolo appena, incapace di non lasciarsi sfuggire un sorriso.

Aveva dimenticato di rispondergli, troppo arrabbiata con lui, tante parole che avrebbe voluto urlargli contro. Ma quelle braccia tese nella sua direzione, che la invitavano a mantenere la calma e a rilassarsi, quel sorrisetto genuino che amava alla follia, le avevano fatto dimenticare la tempesta che si abbatteva nella sua mente. Aveva il cervello in fiamme, come se qualcuno avesse deciso di colpirla ripetutamente con una padella.

Qualcosa la stava deconcentrando. Un odore... sgradevole. Queenie aveva sempre amato molto la primavera, l'odore terroso unitosi a quello dell'erba tenera. New York, nonostante avesse i suoi grattacieli che si ergevano fieri verso il cielo, oscurandone la visione dell'azzurro, aveva pur sempre i suoi spazi verdi, che le sembrava di scorgere anche a miglia. Ma non era fango, sembrava...

Queenie a stenti trattenne un'espressione disgustata, sentiva lo stomaco muoversi e la bile risalire in gola. Non riusciva a distinguere chiaramente di cosa si trattasse. Prese a girare a passi lenti intorno al bancone, odorando l'aria, senza capire in effetti da dove potesse provenire.

... qualcos altro.

Solo quando si fermò a meno di mezzo metro da Jacob, capí da cosa, o meglio... da chi fosse generato quell'odore. Gli occhi le schizzarono fuori dalle orbite e le sopracciglia si contrassero, questa volta incrociò le braccia al petto e un'espressione gelida le si dipinse sul volto.

«Allora sei tu che puzzi così tanto! Buon... Lewis!» tuonò.
Lo spinse di lato, disgustata, trattenendo a stento un conato di vomito.
«Jacob, dovrò lavare anche te oltre che il negozio!» sbottò, dandogli una spallata alquanto vigorosa per la sua stazza.

Prese una sedia e si lasciò cadere su di essa, come se le gambe non riuscissero più a sorreggerla per la stanchezza.

«Scusa, ehm scusami tanto, a-amore.»
Il no-mag aveva capito ormai da tempo che forse c'era qualcosa che non andava in lei. Doveva aver avuto una brutta giornata, una delle tante in quell'ultimo mese.
«Scusami, davvero. Sono odiosa quando mi comporto così» sospirò la strega, dondolandosi nervosamente sulla sedia «è che... mi sento davvero stanca!»

Si trattava forse di qualche malattia che erano soliti prendere i maghi?

Jacob non avrebbe potuto dirlo, lui non lo sapeva.
Anche se Newt gli aveva detto, anni or sono, che raramente i maghi si ammalavano di quel genere di malattie, e che rispetto ai no-mag era raro che si ammalassero. Avevano... un sistema immunitario speciale, forse.

«Hai avuto una gionata pesante?» le chiese, posandole una mano sulla spalla. Delicato come una piuma, ecco com'era suo marito con lei.

«Oh ehm» balbettò «diciamo di sì, ecco.»

Più che pesante, imprecò fra sé e sé.

«Ho vomitato due volte, una nel caffè del presidente. Tina ha dovuto ripulire tutto e convincerlo che non ho preso il vaiolo di drago, ma una semplice influenza babbana. Dice che ero diventata pallida come un lenzuolo!» divenne colorita per l'imbarazzo.

«Uhm, mi dispiace tanto, non avrei mai dovuto lasciarti il negozio per andare a quella riunione!» sussultò.

Stava cercando di mostrarsi tranquillo, nonostante fosse più che preoccupato per le sue condizioni.

Voleva dimostrarle di poter stare tranquilla, ma come poteva, visto che neanche lui riusciva a mantenere la calma? Poteva certamente immaginare la frustrazione, l'imbarazzo, sua cognata Tina cercare di arrancare qualche scusa. Non era mai stata brava a mentire, Tina, la strega bruna era sempre stata uno specchio d'acqua e, considerate le centinaia di lettere che lo supplicavano di aggiornarlo continuamente sui cambiamenti della sorella, sembrava preoccupata molto più di lui.
Jacob sembrava riuscire a rimanere calmo, molto più della sorella di sua moglie, che diveniva inutilmente energica.

«Non preoccuparti, adesso ci sono io. Ne vuoi parlare?»

In quel momento Queenie infranse quel giuramento che aveva fatto all'amore della sua vita: evitare di leggergli la mente.
Ma lei non era mai stata in grado di non farlo.
Era ben consapevole che non sarebbe riuscita a rispettare neanche un voto infrangibile, lei... portatrice di curiositas, probabilmente si sarebbe fatta uccidere, pur di carpire un segreto.

E, in un battito di ciglia, superò le sue difese e gli lesse la mente.
Era così confuso, ma i sentimenti che era riuscita a intravedere, la dolcezza e la tenerezza, il proprio volto al centro del suo mondo.... Le ricordò di nuovo di essere stata troppo dura con lui. Allungò le braccia, per stringergli le mani sulle ginocchia.

«Oh! Che dolce che sei!»

Sul suo viso pallido, e stranamente scavato, apparve un sorriso a trentadue denti, si alzò dalla sedia e lo abbracciò con entrambe le braccia.
Aveva appena penetrato la sua mente per qualche secondo, non aveva avuto modo di cogliere ogni suoi pensiero, ma solo la sfumatura delle sue genuine emozioni. Quella fu l'ennesima conferma di aver sposato la persona giusta. Non che lei avesse bisogno di conferme, sapeva che era la persona giusta dal primo momento che aveva varcato l'appartamento della sorella: il 6 dicembre del 1926.

«Anch'io ti amo tanto, tesoro.» gli sussurrò all'orecchio, divertita per il suo repentino cambio di colore.
Si staccò dall'abbraccio del marito qualche instante dopo, molto più rasserenata, incapace di smettere di sorridergli e di ridere senza alcun motivo.

«Non parliamone più.» Decise «Del fango. Anzi, credo che tu ti sia meritato una cena con i fiocchi stasera!» esclamò euforica, battendo le mani.

Jacob le accennò un sorriso, la mutevolezza della moglie, a volte, lo preoccupava, ma stranamente non questa volta.
«Beh, tesoro, sei sempre tu quella ai fornelli» si lasciò sfuggire una risatina divertita.
«E poi non ti senti molto bene, forse è il caso che cucini io questa volta, insomma... il cibo è fantastico come lo cucini tu... con la magia, ma mi piacerebbe ogni tanto farti assaggiare del buon cibo babbano!» disse Jacob, facendole una carezza.
Queenie sospirò.
«E sia!» acconsentì «Ma se mandi nuovamente a fuoco la cucina, ti faccio lavare i piatti per un mese!» esclamò lei, alzando un sopracciglio.
Jacob annuí con un cenno del capo, ben consapevole che sua moglie Queenie parlava sul serio.
«Va bene, va bene!» sospirò.

Non era mai stato bravi con tutti quegli arnesi magici, quei... com'era che si chiamavano?
Forse anche sua cognata, che non brillava certamente per le sue doti culinarie, avrebbe fatto molto meglio nella cucina della moglie, nonostante fosse un pasticcere coi fiocchi! Si ricordò improvvisamente di lei, l'ultima volta che l'aveva vista era... parecchi giorni prima, in effetti, e non sembrava molto rilassata a giudicare dalla furia con cui era entrata nel locale.

«Tina? Sono due settimane che non mangiamo tutti insieme!»

Non che si aspettasse una risposta diversa da quella che le stava appena per dire sua moglie.

Lei si era accigliata per un attimo, e gli aveva accennato dopo una scrollata di spalle un sorrisetto, che diceva: lo sai come vanno le cose.
«Lei è davvero troppo impegnata al MACUSA, quasi non esce più dal suo ufficio. Ha fatto un grande sforzo per riaccompagnarmi qui oggi. Temeva che mi sentissi nuovamente male.» gli spiegò, interrompendolo, sapendo già che lui ne era a conoscenza.
«Grindelwald...» tremò.

Pronunciare quel nome faceva male.

«Lo so, amore. Ma... non credo che ci costi qualcosa aspettarla qui, non credi? Insomma, le farebbe bene staccare un po' la spina!»

Anche a te farebbe bene, amore, pensò, certo che lei lo aveva sentito.

Queenie lo guardò. In quel momento avrebbe tanto voluto abbracciarlo, ancora più forte. Jacob sapeva quanto la sorella fosse importante per lei, e non perdeva occasione per invitarla. Non voleva che il loro legame potesse spezzarsi, specialmente ora che si erano sposati. Un legame fortissimo che non si era infranto neanche dopo la sua presa di posizione con Gellert Grindelwald. Si era pentita amaramente della scelta. Queenie credeva, anzi era convinta, che adesso Tina faticava a fidarsi di lei e che, certe volte, la evitasse volontariamente. Non le comunicava più dettagli sui suoi casi ed eventuali notizie su Grindelwald.

E con ragione.

Era stata una vera strega, letteralmente. Per parecchie settimane si era ripetuta tante volte che lei non era meritevole del suo perdono, o del suo amore. E aveva fatto di tutto per farsi perdonare, per ritornare a essere la sorella che sua sorella meritava di avere. Tornò al dunque, troppo presa dal fervore e dalle emozioni, aveva quasi dimenticato le ordinazioni.

«Ah caro, comunque abbiamo del lavoro da fare, il MACUSA ha ordinato un centinaio di occamy, una cinquantina di mooncalf e tre dozzine di purvincoli glassati al cioccolato con caramello per domattina presto.»
Jacob strabuzzò gli occhi, ed ebbe un fremito. Quasi il cuore minacciò di fermarsi nel petto.
«Come?» sgranò gli occhi e si accarezzò il setto nasale «È, è tanta tanta tanta roba!» appariva decisamente più che preoccupato.
«E tre o quattro decine di erumpent grandi...» proseguì cauta lei, accennandogli un mezzo sorrisetto tirato.
Anche lei non vedeva l'ora di chiudere gli occhi.
«Perfetto.»
«Ma non preoccuparti, caro, ho già preparato la panna e tre ciotole di impasto! Lo sai che noi due siamo una potenza in cucina, quando lavoriamo insieme.»

A quel punto Jacob si voltò verso di lei. Gli animaletti esposti dietro il vetro della vetrina, erano un esempio di ciò che erano capaci di fare insieme. Bellissimi, invitanti e soprattutto buonissimi.

Da quando Queenie si era aggiunta in cucina, l'esposizione era decisamente migliorata. Un tocco di femminilità non guastava in quel negozietto, e i clienti erano rimasti più che soddisfatti, tanto che amavano entrare più e più volte, anche solo per dare un occhiata o per lasciare un salutino alla signora Kowalski. Solitamente ne uscivano con un sacchetto pieno zeppo di dolci fragranti fra le mani. Il suo sorriso attirava la gente, scaldava loro il cuore. L'aroma di vaniglia si accompagnava bene al marzapane e alla pasta frolla delle creature, e agli occhi rassicuranti di Queenie Goldstein Kowalski.

«Beh, ci conviene iniziare oppure non finiremo mai, tesoro.» le sussurrò Jacob, dopo essersi lavato accuratamente le mani nel lavandino seminascosto nello stanzino sul retro.

Non era troppo grande, ma era alquanto confortevole.

Queenie annuí, un po' esausta per la lunga giornata trascorsa.
«D'accordo. Ma ci conviene dare una ripulita prima.»

Controllò che nessuno li stesse osservando, cacciò dalla tasca dell'abito rosa pesca, che le aveva regalato la sorella per il suo compleanno, la bacchetta. A differenza di quella di Tina che rifletteva la sua semplicità e praticità, quella di Queenie era un piccolo gioiello. Si era innamorata a prima vista di quella bacchetta, e non aveva potuto fare a meno per giorni di ammirare quella conchiglia riccamente decorata da una leggera filigrana argentea, e la decorazione dorata che delimitava l'impugnatura. Era elegante, perfetta come lei, il nero lucido della bacchetta la rendeva ancora più slanciata e sobria. Quella bacchetta l'aveva scelta, non poteva non aver scelto strega migliore.

Ricordava ancora la bambina di undici anni che era stata. In effetti, non troppo diversa dalla Queenie del presente.

«Tergeo» dalla bacchetta si levò un leggero venticello, come un aspirapolvere.

Il fango sparí del tutto pochi secondi dopo, sia dal pavimento che dalla divisa di Jacob, inghiottito dalla punta della bacchetta. Il babbano non faceva altro, quando adoperava la sua bacchetta, di guardarla incantato.

Quanto avrebbe voluto essere un mago! Un desiderio che nessuno avrebbe potuto realizzare.
La magia non gli faceva paura, a differenza della maggior parte dei babbani, ed era più che tollerante nei confronti del genere magico.
«Beh, amore. Mettiamoci all'opera!»

Newt's Pov

Newt cercava di pensare, di riflettere su dove il fratello lo stesse portando. Aveva fatto una serie di ipotesi e proposte, e sempre la sua risposta era stata la stessa: «prova di nuovo

Iniziava decisamente a infastidirsi, e il fango sulle strade non aiutava. Il vento e la grandine avevano reso l'atmosfera insopportabile.

Aveva letto sulla gazzetta del profeta che Londra non era l'unica città che era stata colpita dal brutto tempo. Su New York si erano abbattuti fulmini cosí violenti che gli auror dovevano pensare pure a spegnere gli innumerevoli incendi che i pompieri non riuscivano a domare. Altro lavoro da fare.

Adesso, doveva cercare di non scivolare. Ben due volte suo fratello lo aveva trattenuto per il braccio, evitando cosí una spiacevole caduta. Per quanto Theseus fosse animato di buon umore, Newt faceva fatica a tenere il passo, a stargli dietro. Sembrava avere dei pattini al posto delle scarpe, ed era più sudato che zuppo di pioggia.

«Dovresti risponderle, a Tina intendo.» gli disse Theseus, interrompendo improvvisamente il silenzio.
«Ti ha inviato una lettera, è stata cosí gentile da inviarti del dittamo per le tue creature. I soli ingredienti costano tantissimo di questi tempi!»
Lo trascinò sotto a un portico in modern style, la zona più lussuosa della città, per evitare di evocare un ombrello agli occhi dei babbani. Newt annuí, senza guardarlo negli occhi.

«Le invierò in gufo quando torniamo a casa.» gli rispose «Tina...» abbassò la voce, «è troppo impegnata al MACUSA
A quel punto Theseus sorrise divertito, e scrollò le spalle con noncuranza.
«Ci ho già pensato io.» disse semplicemente.

Udendo questa risposta, il magizoologo si bloccò di colpo e, di conseguenza, Theseus fece lo stesso, cercando di trattenere un ghigno.
«Cosa?!» quasi urlò, divenne rosso acceso.
«Era lí da due settimane! Ho pensato fosse carino inviarle almeno una risposta! Non preoccuparti, non mi sognerei minimamente di spacciarmi per te! Insomma, non credo che ne sarei capace dopotutto!» sbottò.
«Tu sei tu!» Ridacchiò.

Newt abbassò lo sguardo, un po' imbarazzato per averlo accusato ingiustamente.
«Hm, scusami Theseus.»
«Nessun problema...» sospirò il fratello maggiore continuando a camminare.

Era abituato alle sue supposizioni.

«Le ho semplicemente detto che lo avrei riferito a te, e che eri davvero troppo impegnato con le creature magiche. Roba da nulla.» Gli sorrise, «e poi sai che le fa molto piacere ricevere le tue lettere.»

Newt sospirò, «ero troppo impegnato a scegliere quale creatura mettere in libertà.» ammise. Una lacrima gli scese sul viso, non voleva minimamente pensare a quando quel giorno sarebbe arrivato. Gli mancava giá tantissimo Frank.

«Sa delle tue difficoltà con il ministero, e ti ha inviato anche venti galeoni, non sono molti, ma è sempre più di qualcosa.» Gli diede il sacchetto di tela fra le mani.

Tina gli aveva inviato dei galeoni, stava cercando di aiutarlo e alleggerirlo con le creature magiche. Stava cercando di aiutarlo. Ora doveva solo trovare le parole giuste per dimostrarle il suo immenso riconoscimento.

Improvvisamente Theseus si bloccò di colpo, e Newt quasi cadde, andando a sbattere il naso contro la sua spalla.

«Siamo arrivati.» annunciò l'auror, soddisfatto di aver fatto più di un chilometro a piedi. Newt guardò il muro stuccato confuso, pensò che potesse trattarsi una delle tante stranezze del fratello.

Nulla di speciale.

«Bellissima festa! Avevo davvero voglia di fare un picnic.»
«Per il naso di Merlino, un po' di pazienza!» sbottò.

Afferrò la bacchetta e la puntò sul muro roccioso.

Repentinamente, esso si trasfigurò in un elegante palazzo bianco di marmo, spuntarono delle cornici, non un'entrata, che ben presto mutarono in colonne slanciate e alte con un capitello in stile corinzio. Sul fusto della colonna era possibile trovare delle scanalature d'argento puro. Newt passò le dita fra di esse, e con suo grande stupore sentí un tiepido venticello riscaldargli la mano.

«È qui dietro.» spiegò.
Con altro colpo di bacchetta, le due colonne si allontanarono le une dalle altre ruotando su se stesse, sollevandosi a mezz'aria per mostrare un accesso sontuoso. Sull'arco levitava un'insegna illuminata a neon, probabilmente alimentata dalla magia.

«Magic place.» di un bianco acceso.
«Non vorremmo restare qui tutto il giorno, no?»

Newt che era rimasto a guardare quel panorama, implorando che non fosse troppo per i suoi gusti, seguì il fratello, facendo attenzione a non urtare i piccoli elfi domestici, che li accoglievano con un sorriso sgargiante e un'aria tutt'altro che sottomessa. Indossavano un abito elegante nero, che solitamente era riservato ai loro padroni maghi.

«Forse non è cosí male dopotutto, se riservano questo trattamento agli elfi domestici.» pensò Newt.

Superato l'ingresso, il muro si richiuse dietro di loro, celandoli agli occhi dei babbani.

Angolo autrice
🌈🌈capitolo poco più lungo delle 2000 parole
Non ci credo, siamo arrivati a circa 60 letture!
In questi giorni ho un po' più di tempo, e quindi probabilmente posterò altri due o tre capitoli ravvicinati. Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, anche perchè mi sono divertita molto a scriverlo. Accetto scleri e teorie🌈🤫
Buona lettura 🥰🥰

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