4. 𝗖𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗶 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗮𝗴𝗶 ( Tina Goldstein )

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Tina's Pov

Le ore passavano scandite dal ticchettare regolare dell'orologio. Tina Goldstein non ne poteva più di quell'arnese, i tic tac decisi in sintonia con i passi di quegli uomini e donne, che pullulavano i corridoi dell'edificio - gli ultimi rimasti a fare le ore piccole - sembravano rimbalzare prima nelle pareti e poi nelle sue orecchie, ormai abituate alla monotonia di stare in ufficio.

Maghi e streghe di tutte le età, alcuni dei quali si confondevano benissimo nella folla di non magici, altri ancora orgogliosissimi del loro genere, talmente tanto  - nonostante le sollecitazioni continue di rimanere nascosti - da sfoggiare in pubblico vesti sgargianti e sciarpe con i colori delle loro case di appartenenza, e non smettevano di farsene vanto. Pian piano, secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, il vociare nei lunghi e intricati corridoi dell'edificio si stava trasformando in un sussurro sommesso e lei, finalmente, adesso poteva cercare di concentrarsi un po' meglio.

«Ci vediamo domani, John.»
Questa fu l'ultima frase che riuscì a sentire.

L'arnese babbano, lì da innumerevoli generazioni, segnava l'una di notte da più di un'ora, o forse due. Mentre lei era ancora rintanata nel suo ufficio, con la testa che le girava per via dell'aria viziata, china su un ammasso di pergamene sgualcite e ingiallite, cercando di scorgere tra le righe, e le lacrime che le pungolavano gli occhi, qualche informazione utile per decifrare il caso.

Si sentiva quasi prigioniera del suo lavoro, nonostante lo amasse particolarmente e avesse dato ogni briciolo di forza che possedeva, per essere accettata nuovamente nella squadra investigativa. La venticinquenne senza lavoro, quale era stata, le si sarebbe inchinata, sapendo che dinanzi alla sua sagoma sbiadita, prima o poi, si sarebbe ritrovata a capo di quella stessa squadra che l'aveva cacciata e screditata.

Nella pila di giornali accanto a sé, era già certa di non ricavare alcun dettaglio proficuo. Tina non era mai stata tanto ordinata come a lavoro, a differenza del suo appartamento, dove era costretta a cercare dappertutto anche il pigiama che raramente teneva sotto al cuscino. Era sempre stata sua sorella, Queenie, la dolce luce della sua vita, a prendersi cura di lei e del suo appartamento.

Sulla scrivania, infatti, i fascicoli dei casi erano disposti, seppur lontani dall'ordine che i suoi colleghi si aspettavano, secondo  una certa disposizione logica, magari per importanza, data di pubblicazione e luogo.
Un sistema tutto suo di classificare le cose.

Alcuni di essi sembravano collegati, anche se per contrappasso, da un filo invisibile che spesso gli altri non riuscivano a intravedere.
Nonostante li avesse consultati più volte, Tina aveva dato loro una rapida lettura e nuovamente aveva constatato che quei fogli di carta non affermavano nulla di interessante, nessuna notizia in più da trascrivere a quelle già sconcertanti su Gellert Grindelwald, delle quali, purtroppo, era al corrente da settimane.
Tutti ne erano a conoscenza, a dir la verità. Ma nessuno sembrava avere il coraggio di dire come esattamente stessero le cose.

Li avrebbe consultati con più calma, dopo aver magari riposato qualche ora, a mente più fresca. Con il tempo, aveva iniziato a dubitare anche di se stessa, dei suoi occhi, della sua stessa memoria. Eppure Grindelwald non era ancora stato capace di farle perdere il lume della ragione, a differenza di sua sorella Queenie, le parole non erano riuscite a ritagliarsi un percorso nella sua moralità.

Lei era stata ammaliata dalla sua verità.

Era come se la speranza, sempre l'ultima a morire, si manifestasse in modi inaspettati, come se la pregasse, insieme all'intuito, di continuare a spendere il tempo dinanzi a quei ritagli di giornale, come se non sapesse ancora che avrebbe potuto ancora ricavarci anche qualche "presunta" mossa di Grindelwald. In fondo, non era così importante dormire.

L'ufficio era avvolto da una leggera oscurità, smorzata da due lampade disposte a qualche metro di distanza l'una dall'altra. La meno luminosa si trovava sulla grande scrivania in legno, dove oltre alle scartoffie e i giornali vi erano, in bella vista, delle cornici con delle fotografie animate sulle persone alle quali teneva di più.

La foto davanti a lei, quella più vicina a un elegante boccetta in vetro per l'inchiostro e una piuma d'aquila, rappresentava due soggetti di bell'aspetto: una donna in un elegante vestito da sposa, semplicemente stupenda, i capelli arricciati in lievissimi boccoli biondi, un sorriso emozionato e dolcissimo sulle labbra, e un uomo grassoccio piuttosto esaltato. In evidenza le spalline elaborate e il corpetto semplice. Accanto alla biondina c'era Jacob, con gli occhi lucidi, sul punto di piangere per la gioia, lo sguardo trasognato, innamorato, con un occhiello fissato allo smoking nero e bianco.

Trattene una risatina.

Poi vi era il vero modello delle fotografie, Pickett, che faceva capolino sulla spalla di Jacob. Si arrampicava sulla sua testa con le lunghe e sottilissime zampe ramificate, aggrappandosi ai suoi capelli bruni per non scivolare. Sembrava un ramoscello, si sarebbe potuto confondere benissimo con il bouquet.

La coppia si voltava di tanto in tanto per scambiarsi un'occhiatina complice. Queenie, la sua cara sorellina, improvvisamente si avvicinava a lui per lasciargli un bacio a fior di labbra. Poi suo cognato arrossiva visibilmente, paonazzo, consapevole che quella sarebbe stata trasformata in una fotografia, un momento immortalato per la vita. Ritornava infine del suo normale colorito, e la scena continuava a ripetersi più e più volte.

Accanto alla foto, vi era un'altra cornice di legno, dove erano inserite altre due fotografie di lei e Queenie. La prima raffigurava loro da bambine, entrambe indossavano un vestito anche se di colore diverso, Tina del solito azzurrino e Queenie di un rosa candido.

Già da allora poteva scorgere le differenze, tremendamente diverse.

Sorridevano l'una all'altra e si stringevano la mano, complici. I capelli della biondina erano stati raccolti in un'elegante treccia non troppo lunga, e decorati da un fermaglio a forma di farfalla, mentre i suoi ricadevano sciolti sulle spalle e sulla schiena.

Lei alquanto magra, sua sorella piuttosto paffuta.

L'altra le raffigurava da adolescenti, completamente diverse da quando erano bambine.

Tina con almeno dieci centimetri di altezza in più rispetto alla sorella, i capelli scompigliati a caschetto, dei cerchietti nero-violacei sotto gli occhi per la stanchezza. Come da norma, indossava la divisa scolastica, dai colori rosso e blu mirtillo, accuratamente stirata e curata, e una spilla da prefetto luccicante, una bella P dorata in bella vista. Il medaglione stava al solito posto, sul cuore della ragazza.

Come al solito, stringeva sotto al braccio una pila di libri, e l'altra mano impugnava la bacchetta, la stessa da ventuno anni. Queenie, decisamente agli antipodi della sorella, capelli ordinatissimi, sorriso smagliante e pelle curata, divisa spiegazzata, sotto la quale si intravedeva una sottoveste rosa semi trasparente, abbracciava la sorella con affetto, e Tina ricambiava timidamente.

Stringeva il manico di un vecchio e logoro calderone in peltro, pagato solo quattro galeoni. Lo stesso calderone di seconda mano che avevano acquistato prima di iniziare il primo anno scolastico, che avrebbero usato entrambe. La superficie era alquanto incrostata di grasso e ali di moscerini, ed era decisamente arrivato al limite, ma... con grande sorpresa di entrambe, era riuscito a sopportare ben sette anni di scuola. Anche se, alla fine, Queenie era stata costretta a sostituirlo.

Tina aveva trovato un lavoro al ministero e, prima dell'inizio dell'anno, le aveva regalato un calderone di rame di seconda mano, quasi nuovo. Queenie era contentissima, era decisamente la migliore a preparare pozioni del suo corso, e questo l'avrebbe aiutata a ridurre i tempi di cottura e migliorato le sue pozioni. Le aveva pure regalato un piccolo gufo, decisamente in buona salute, dal manto maculato a chiazze nere e rosse, pagato circa dodici galeoni, durato meno di un anno, finito casualmente nelle fauci di un aquila reale. La biondina aveva pianto per settimane, non trovando il coraggio di dirlo alla sorella.

La bruna non aveva mai avuto un gufo personale, e quando era riuscita a guadagnare abbastanza per pagare l'affitto e le spese scolastiche per Queenie, non vedeva l'ora di concedere a Queenie un piccolo regalo, e si era innamorata a prima vista di quell'esemplare, tanto da non riuscire a distogliere più lo sguardo dalla vetrina di quel negozio.

Ne era entrata e subito dopo uscita con un enorme gabbia, sulla quale aveva fatto apparire un fiocco rosa candido, e il piccolo gufo di cui si era innamorata al suo interno. Ne era rimasta così contenta, e aveva deciso che Queenie avrebbe passato il Natale a casa per qualche settimana, e che sarebbe andata lei a riprenderla a Ilvermorny, tramite metro polvere. Era ancora una donna di diciotto anni, forse ancora immatura per gestire una sorella sedicenne, una casa, un lavoro e tutte quelle spese.

Tornata a casa, aveva preparato i biscotti allo zenzero e incantato le rane di cioccolato, che aveva realizzato con degli stampini sciogliendo il cioccolato, per simulare una cioccorana animata. Si era presa un giorno di pausa dagli allenamenti e il corso per auror, per preparare a Queenie una sorpresa con i fiocchi. Ed era stanca, non dormiva da giorni.

In un'altra cornice vi era una fotografia molto interessante. Erano in quattro questa volta: due maghi e due streghe.
Tina e Lally, vestite d'argento, eleganti e dai capelli acconciati, in prima fila e accanto a loro i fratelli Scamander. Theseus stringeva delicatamente il braccio della custode, e sorrideva al resto del gruppo. Newt, invece, aveva la mano di Tina poggiata sulla spalla. Ridevano, i calici delle burrobirre sollevati a brindare a Queenie e Jacob.
Il viso dei due fratelli era decorato da tante piccole e minuscole lentiggini ma, mentre quelle di Theseus erano più marcate e inferiori numericamente, quelle di Newt erano chiare e molte di più.

Tina si era chiesta quante fossero, ma non aveva avuto modo e tempo di contarle. In fondo, avevano passato pochissimo tempo insieme, in quei sei anni. Si chiedeva se avesse le lentiggini solo sul viso oppure anche sul resto del corpo, ne aveva intravisto sulle sue mani callose e piene di graffi e cicatrici qualcuna, ma decisamente una minoranza rispetto alle lentiggini sul suo viso.

Non voleva ammetterlo, ma quel suo sorriso, quello sguardo impacciato e timido, il modo in cui guardava le sue creature, quel modo un po' strambo di complimentarsi con lei le faceva venire una sensazione strana al petto, un senso di calore che partiva dallo stomaco e si irradiava in tutto il resto del corpo.

In quegli ultimi giorni, era certa che avrebbe dimenticato tutto, perfino la bacchetta a casa, a causa di tutti quegli impegni al MACUSA, ma non avrebbe dimenticato di rispondere alle lettere di Newt.

Se solo gliele avesse mandate...

Era un sentimento che aveva cercato sempre di reprimere. Lei era un auror, non poteva innamorarsi o provare dei sentimenti per un'altra persona, non se voleva metterla in pericolo. Sapeva, aveva sempre saputo dei rischi del mestiere, ma non aveva considerato la tristezza dietro a questa scelta, e sapeva che sarebbe stato difficile, ma non le importava, lei amava essere un auror.

Alzava la testa dal foglio solo quando, allungando la mano, non riusciva a trovare nel piattino, accanto a lei, i biscotti che Queenie le aveva preparato. Non ricordava l'ultima volta che aveva mangiato un pasto decente, andava avanti con i biscotti che le preparava Queenie, e gli hot-dog del chioschetto nella strada di fronte.

«Se non fosse per me, dimenticheresti pure di mangiare!» le aveva detto un giorno, spuntando con un enorme vassoio di panini farciti.
«Sono tutti tuoi!» aveva annunciato la biondina soddisfatta, dopo che Tina aveva afferrato un panino e lo aveva divorato, dimenticandosi di aver maneggiato l'inchiostro che, impacciatamente, si era rovesciata sulla sua mano.

Ma Tina ogni tanto si concedeva qualche pausa, usciva dal MACUSA di nascosto dalla sorella, attraversava la strada e ordinava qualche hot-dog. Poteva già sentire la sua voce rimproverarla, non glielo avrebbe mai e poi mai perdonato.
«Sei seria?! Ancora Hot-dog?! Ti fanno male, Teenie!!»
E come al solito sbuffava, infastidita, non riuscendo a rispondere al suo rimprovero bonario.

Come minimo, per tutti quegli straordinari che era certa il MACUSA registrasse -dato che non c'era mago adesso che penetrasse il MACUSA illegalmente- avrebbe preso almeno due settimane di ferie.
Non vedeva l'ora di tornare a casa e dormire nel suo bel letto caldo, avvolta nel suo morbido pigiama celeste.

Erano tutti monitorati, controllati, ma per quanto ancora il MACUSA sarebbe riuscita a imporsi sui suoi dipendenti?

Un'altra grana a cui badare.

Temeva che ciò avrebbe favorito Grindelwald, se fosse riuscito a penetrare al MACUSA come in passato, sarebbero stati tutti in pericolo, Grindelwald li avrebbe controllati, monitorati, minacciati.

Ancora di più.

E questo rendeva ancora più disperata la ricerca, sapere almeno i piani di Grindelwald, capire come muoversi, come fermare quella sua temibile causa, prima che potesse diventare una vera e propria guerra.
Anche se Tina era convinta che la guerra magica fosse già iniziata da anni, lo combattevano da più di dieci anni, ormai.

Prese l'articolo su Theseus Scamander, che aveva ricevuto quella mattina, e un morbido sorriso le accarezzò le labbra.

Il titolo in caratteri neri giganti recitava:
"Eroe di guerra, proclamato auror speciale, il ministero organizza una festa in suo onore".

C'era da aspettarselo, conoscendo le sue doti magiche.
Osservò lo sguardo serio del mago, orgoglioso, forte e determinato.
Capelli ben pettinati, la solita cravattina viola a pois viola e rossa, il completo marrone e la bacchetta all'altezza del cuore.

Erano molto simili, in fondo

Poi la sua attenzione si posò altrove, quando un foglio di giornale scivolò sulle sue gambe. Era impilato in un altro mucchio di fogli di giornale. Tina lo prese fra le mani, non ricordava di averlo letto, in effetti doveva essere sfuggito in mezzo a quella pila di cinquanta centimetri. E subito impallidì, dopo aver letto la prima riga.

Black Newspaper.

Tanti sottotitoli incomprensibili, pubblicità di pozioni pericolose, oggetti maledetti sequestrati dal ministero. Doveva essere un giornale proibito dal MACUSA e quindi doveva essere stato sequestrato.

"Veleno di basilisco in boccetta, prezzo più che conveniente! Disponibile per qualsiasi tipo di utilizzo. Venditore disponibile alla seconda curva della strada... dietro le siepi..."

Sarebbe dovuto essere sequestrato, riflettè.
Perché non ne era così stupita?

Voltò pagina.

E si sentì male.

Un'immagine a colori ritraeva una giovane donna dai capelli rossi, inginocchiata su un pavimento di pietra. Forse una piazza, pensò l'auror. Un gruppo di figure incappucciate la stringevano per le braccia per impedirle di muoversi. Tina scorse terrore nel suo viso, e quasi sentiva le parole che implorava a quel gruppo di maghi misteriosi. Chi non sarebbe stata terrorizzata in quella circostanza?

Gli occhi, c'era qualcosa in quegli occhi che la faceva fremere. Ardore, coraggio...

«Vi prego, no!!»

... tremore.

Poi un lampo di luce verde partì dalla punta di una delle bacchette di quel circolo di maghi, colpendola improvvisamente al petto. Si aprì uno squarcio nella veste della strega. La poverina sbattè le palpebre, poi stramazzò a terra, priva di vita. Una sequenza di immagini che le faceva raggelare il sangue, pronta a ripartire nuovamente in un ciclo di luttuoso terrore.

«Merci Lewis!! Merci Lewis!!»

Tina lanciò un urlo terrorizzata, scagliò via il giornale, lontano dalla sua vista. Represse a stenti un conato di vomito, e iniziò a camminare nervosamente in cerchio nel suo ufficio, un po' per distrarsi e calmare almeno un pochino il battito irregolare, un po' per riflettere.

Non riusciva però a smettere di guardare quel diario delle ombre ancora aperto sulla scrivania. Si cinse gli occhi con entrambe le mani e respirò profondamente. Quello non era un giornale, non poteva essere un giornale.

Le gambe le tremavano, che cos'era tutto quello? Che cosa significava? Non riusciva a crederci. Come mai il MACUSA non aveva ancora fatto nulla? Chi era quella donna? Era morta, ne era sicura, non era una messa in scena. Nella sua mente, adesso, si accavallano domande su domande, esclamazioni, affermazioni, dubbi.

La porta si aprí di scatto, con un tonfo.

Tina trasalí.

Impugnò velocemente la bacchetta e la puntò contro la figura che aveva appena varcato la soglia.

Era un pugno di nervi, e per poco non scagliò un incantesimo dalla bacchetta. Quando la luce della lampada all'angolo della stanza illuminò il viso del ragazzo, Tina la abbassò delicatamente e la inserì nella tasca del cappotto che ancora indossava, riconoscendo colui che aveva fatto irruzione.

Era piuttosto basso, bruno, dalla pelle chiara con chiazze bianche sul viso e sugli avambracci scoperti. Anche lui aveva impugnato la bacchetta, quando Tina gli puntò contro la propria. Il capo auror fece cenno al ragazzo di avvicinarsi e cercò di mascherare il terrore e la preoccupazione dei minuti precedenti. Poteva avere circa vent'anni, e un grande entusiasmo stampato negli occhi.

«Ancora qui, capo? Spero che le paghino gli straordinari.» le sorrise cordialmente.
La sua altezza era paragonabile a un adolescente di quattordici anni, alto appena un metro e sessanta, di corporatura esile e gracile. Il più sottovalutato dal MACUSA, ma non da Tina.

«Già, lo spero...» sbottò lei a denti stretti, non infastidita per l'affermazione del suo dipendente.

Era ben consapevole che il MACUSA si guardava due volte le spalle prima di pagare i propri dipendenti, poi gli accennò un sorriso. Sospirò, con il cuore che ancora le batteva in gola.
«Siediti pure, Lysander.» gli disse, indicando una sedia accanto a lei.
Il ragazzo annuí e si affrettò a ubbidire all'ordine, occupando la sedia libera dietro la scrivania, accanto a lei, dopo che Tina prese il suo posto.

«Ecco, io sono qui, perchè ehm.»
«Hai dimenticato qualcosa.» gli accennò un sorriso che la sapeva lunga.

Non ebbe neanche bisogno di aspettare per conoscere la risposta, insomma... lo conosceva così bene!
«Ehm già, sì... ecco...» arrossì violentemente Lysander, abbassando lo sguardo.

Tina non riuscì a trattenere una risatina divertita, senza tuttavia riuscire smettere di essere preoccupata.

Quella notizia... chi avrebbe potuto togliersela dalla testa?

«Beh, Lysander, mi sembrava strano, in effetti, che non fossi tornato prima.» ammise ridacchiando.

Il mago divenne ancora più rosso ed impacciato, temendo di aver fatto l'ennesima cattiva figura davanti al suo capo.

«Non preoccuparti, non ti licenzio certamente per aver dimenticato qualcosa in ufficio nuovamente.» lo incoraggiò con un sorriso
«Piuttosto, ti licenzio se continui a chiamarmi capo, Buon Lewis! Sai che non sopporto i convenevoli! Chiamami Tina, Goldstein, Esther, per nome e cognome, chiamami Teen o Teenie, porcospino, ma ti prego, ti supplico non chiamarmi capo, mi metti a disagio!» sospirò «E non preoccuparti per le tue dimenticanze, abbiamo così tante grane che potrei dimenticare la bacchetta a casa!» chiuse gli occhi.

Non sapeva se mostrargli il giornale, se fidarsi di lui, ma sarebbe stata accusata di favoreggiamento e complotto se non lo avesse fatto. E sentiva che ciò che esso mostrava era un avvertimento, rivolto a lei, al ministero e a tutti coloro che cercavano di porre fine a quel conflitto.

E lui, come membro della sua squadra, aveva il diritto di sapere.
Poteva fidarsi di lui, lo sapeva.

Era stanca, assonnata, aveva bisogno di farsi una doccia calda, non si lavava da giorni, se non con un qualche incantesimo. Sentiva i capelli letteralmente appiccicati alla testa, la fronte zuppa e le mani bagnate di sudore.

«O-ok...!»

Lysander la guardò negli occhi e capì che qualcosa non andava, Tina non era la stessa persona energica di sempre, sul suo viso coglieva una sfumatura di profonda preoccupazione. Così si affrettò a chiederle cosa la turbasse tanto.

Era un po' troppo... silenziosa. Non che Tina fosse una donna di tante parole...

«C'è qualcosa che non va, capo? Ehm, Tina.» si corresse.

L'auror a questo punto si sentí colta in flagrante, tolse le mani dalla tasca, che ancora tremavano, e scosse la testa. Un ciuffo di capelli le volò davanti al viso, coprendole parzialmente l'epicanto.
«Devo farti vedere una cosa, io credo, credo che riguarda noi, ecco noi auror, noi maghi e streghe della resistenza.» afferrò il giornale goffamente, e per poco non rovesciò la boccetta di inchiostro sulla pila di documenti.

Con una velata imprecazione per la sua goffaggine, lo passò al mago e aggiunse con la stessa voce tremante: «Buon Lewis, io non so che pensare!»
Una lacrima cadde sul suo viso.

Lysander non appena lesse l'articolo, spalancò gli occhi, e quasi i bulbi oculari non gli schizzarono fuori. Le sue labbra si spiegarono in una smorfia, fra il disgusto e la preoccupazione e si coprì gli occhi.

«Merlino!! Io la conosco!!» Sussultò «È Elisabeth Lee, è è un A-auror. Merlino, non posso crederci che sia morta!»
«Lee? La talpa del ministero britannico?»
«Proprio lei» Confermò deciso.

Lysander si alzò di scatto dalla scrivania, e si avvicinò alla finestra per prendere una boccata d'aria e schiarirsi le idee. Poi Lysander fece una cosa assurda, prese la bacchetta e gliela puntò contro, quando fece per alzarsi dalla scrivania.

«Cosa, cosa stai facendo?»

Tina era immobile, non riusciva a sfoderare la bacchetta, con la paura che Lysander, per quanto snello e piccolo ma anche molto molto veloce, la schiantasse. Lo fissava terrorizzata, altro non poteva fare, neppure distogliere gli occhi dalla punta della sua bacchetta, con il timore che potesse partire un incantesimo da un momento all'altro.

«Dove ha trovato quel giornale?? Dove?!!» urlò.

Non c'era praticamente quasi nessuno al MACUSA, e raramente avrebbero potuto sentirlo.

«A al Bling Pig, era era su un tavolo, i- io l l'ho rubato a un mago» balbettò lei.

Lysander continuava a guardarla scettico, infine si decise ad abbassare la bacchetta, come se avesse finalmente capito che davanti a lui ci fosse la vera Tina.

«Scusami tanto, Tina. Dovevo accertarmi che fossi veramente tu. Solo tu rubi i giornali, gli altri li pagano, tu li trovi e... e te li tieni.»

Era un dettaglio che aveva imparato a non trascurare nel corso delle numerose indagini che avevano fatto insieme.

Tina respirò profondamente e si lasciò cadere sulla sedia.

Tutto per evitare che qualcuno si spacciasse per qualcuno della squadra.

«Sì, ti ti capisco.» sospirò rilassandosi.

Perchè era così agitato, si chiese. Lysander era sempre stato molto timido e decisamente lontano dall'essere impulsivo. E se...

«Tu sai qualcosa su quel giornale, oppure non avresti reagito così.» dichiarò improvvisamente, rompendo il silenzio.

A quelle parole il ragazzetto deglutì.

«Che cosa sai, Lysander...?» ritrovò quella sua sicurezza, la sua era più un'affermazione.

Il ragazzo annuì e si affrettò a risponderle.
«Questo non è il genere di giornale che si lascia in giro. Qualcuno voleva farglielo avere. Il MACUSA sospettava, da anni, che Grindelwald comunicasse con i propri seguaci utilizzando un mezzo sconosciuto. Erano convinti che fosse un giornale, qualcosa di poco valore, che costasse pochi zellini. Ma non è mai stato trovato.»

Era intelligente, lo sapeva.

Eppure quell'opzione le sembrava così aliena! Era prevedibile che Grindelwald utilizzasse mezzi stranamente "legali" per comunicare con i suoi seguaci sparsi per il resto del mondo... ma farle avere il giornale di persona?

Nessun giornale del genere sarebbe stato volontariamente tenuto in bella vista, soprattutto se il loro obiettivo era mantenere l'anonimato.

A meno che... no, nessuno voleva farglielo avere come avvertimento. Chi sarebbe stato tanto folle da avvicinarsi a loro e rubare la fonte della loro organizzazione? Era una minaccia, senza dubbio alcuno.

Tina scosse la testa.

«Chi voleva farmelo avere? Perchè?» riflettè a voce alta, mentre gli occhi le vagavano quasi fuori dalle orbite.

Che domanda stupida! E anche quella sbagliata!

«Non ne ho idea, Goldstein. Ma credo che questo sia un avvertimento.»

Ecco, adesso torni a chiamarmi per cognome...

Se non fosse stato per la criticità del momento, probabilmente le sarebbe scappato un sorriso.

Il cuore di Tina balzò nel petto, riprese a battere ancora più veloce ed incessante di prima e quel pensiero, che le era balenato in mente qualche minuto prima, irruppe ancora più deciso e convinto.

«È una minaccia!» dichiarò lei con un sussulto «È per forza una minaccia! L'impaginazione, la mancanza di una fonte, non sono dettagli trascurabili in un giornale!»

Che cos'altro sarebbe potuta essere?

«In effetti, non ho mai visto un giornale cosí, ehm spoglio.» ammise il ragazzo abbassando lo sguardo.

Sua sorella, la piccola Filemina, gli aveva spiegato come doveva essere impaginata una pagina di giornale, come il giornalista e la gazzetta era solita impostare il lavoro. E quello era tutto, tranne che un giornale.

«Dovremmo farlo analizzare. » continuò lui, serio.
«Ma Grindelwald non aggredisce solo i babbani...? Lui non-» si bloccò di colpo, un'illuminazione.

«Lewis...»

«Cosa?» inarcò un sopracciglio esterrefatto dalla sua reazione.
«Non direttamente, le minacce! Sta ripulendo il genere magico dalle minacce! Minacce come noi, che ancora lottano per mantenere lo statuto internazionale di segretezza!»

Eppure c'era qualcosa di strano. Chi era quel mago al quale aveva rubato quelle pagine mortali? Era uno di loro? Era un cacciatore di taglie? Bramava la stessa cosa che loro desideravano?

Qual era la domanda giusta da porgersi? Quale degna di risposta?

Prese carta e penna e scarabocchiò l'enigma senza soluzione distrattamente. Doveva agire per punti, dare priorità a ciò che riteneva vitale.

Lanciando un'ultima occhiata al foglio, a quei grafemi traballanti e altalenanti, si rese conto che non sarebbe riuscita a svolgere da sola le indagini. Sembrava un caso qualsiasi, all'apparenza troppo semplice, eppure vi era qualcosa di ambiguo.

Ripensò a quel giorno, al mago vestito di nero sul tavolo logoro della taverna magica. Era gracile, spalle curve. Per un momento aveva pensato di avere davanti l'ennesimo ragazzetto trasgressivo, con un bicchiere di Wishy incendiario fra le dita. Era rimasto in silenzio tutto il tempo, con il giornale ben spiegato sul tavolo impolverato. Era stata l'unica ad accorgersene, agli altri maghi non sembrava importare molto.

A dir la verità erano tutti intenti a fissarla, a trucidarla con lo sguardo. Stranamente si tenevano stretta la bacchetta alla bisaccia, e le mani lontane dalle merci illegali che sotto bando commercializzavano.

Ne riconobbe circa una decina che, nonostante il trascorrere del tempo, non erano cambiati affatto.
Erano più brutti, doveva ammetterlo. Era alquanto peggiorati, stavano meglio dietro le sbarre dove lei li aveva indirizzati.

Cercò di ricordare dei dettagli, delle sfumature che avrebbero potuto aiutarla a ricostruire l'identità di quell'uomo senza volto.

Se solo avesse avuto il coraggio di strappargli quella maschera dal volto.

La giovane recluta, per tutto il tempo della sua analisi, rimase in silenzio, con i suoi occhi verdi puntati sulla donna che tanto ammirava. La sentiva sospirare di tanto in tanto e anche lui non potè, a un certo punto, lasciarsi sfuggire un sonoro sospiro.

Fu in quel silenzio fatto di sospiri che Lysander, finalmente, ebbe un'illuminazione. Realizzò, comprese una parte di quella realtà a cui sarebbero andati incontro.

Non ci si limitava più alle supposizioni, adesso.

«Sono seguaci. Estremisti. Che cosa facciamo, capo?»

Come lei, anche lui comprese.
Forse aveva ragione. Qualcuno voleva avvertirla, oppure la stava minacciando.

Iniziò a guardarsi continuamente intorno come se si sentisse osservato da qualcuno o qualcosa.
I due si fissarono e annuirono contemporaneamente.

Essere mascherati voleva dire rendere noto il loro genere... voleva dire... guerra... ormai nota a tutti che sarebbe divenuta inevitabile.

Dopo secondi che parvero interminabili, Tina ebbe il coraggio di rompere il silenzio, divenuto insopportabile.
«Richiamare la squadra e avvertire il presidente.»

Non un battito di ciglia.

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