7. 𝗔𝗻𝗻𝘂𝗻𝗰𝗶 𝗶𝗺𝗽𝗼𝗿𝘁𝗮𝗻𝘁𝗶 ( Albus e Minnie )

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𝓥𝓲𝓻𝓰𝔂'𝓼 𝓢𝓹𝓪𝓬𝓮
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Albus Silente osservò la cornice vuota di uno spoglio ritratto nel suo ufficio, dove raramente si ergeva la sagoma allegra di William Shakespeare, famoso per le sue abilità nel creare incantesimi sonori.

I babbani lo conoscevano solo parzialmente, a loro era noto solo il suo lato poetico, probabilmente una copertura per celarsi agli occhi dei babbani.

Come al solito William aveva abbandonato la sua postazione, per attaccare probabilmente discorso con qualche studente o qualche altro ritratto.
Albus lo odiava. Non tanto per le sue poesie o per il suo modo di essere, anzi aveva amato le sue poesie, ne aveva fatte anche uno stile di vita in certi aspetti. Prese le parole per farne tesoro. Lo odiava perchè aveva l'incredibile capacità di ricomparire proprio nei momenti migliori, quando necessitava di una buona compagnia.

Quando avrebbe ardentemente desiderato di affogare il suo dolore nel pensatoio.

Iniziava a parlare e parlare, fino a quando non lo convinceva a raggiungere qualche altro ritratto al secondo piano. E lì attaccava bottone nuovamente, con chi ancora riusciva a sopportarlo.

In vita doveva essere stato una persona sublime, lo sapeva. Da ritratto molto meno. Era consapevole che quella tela era solo una banale rappresentazione del grandioso e illustre William Shakespeare, una rappresentanza spoglia, parziale del suo vero "essere".

Il chiacchiericcio affettuoso dei colleghi riecheggiava in tutta la sala grande. Alcuni erano già pronti a sparire dal castello per una meritata vacanza, dopo ben nove mesi scolastici. Alcuni di loro si muovevano impacciati fra i tavoli, seguiti dalle loro valigie, desiderosi di scappare dai banchi. Fremevano dalla voglia di andarsene e, se non fosse stato il pavimento stranamente non lucidato con la cera quella mattina dagli elfi domestici, si sarebbero ritrovati a sbattere il naso contro la superficie marmorea e rocciosa, tutto a causa della loro frettolosità.

Come al solito Minerva non si mosse e, come lei, anche alcuni membri del corpus docenti, coloro che non lo lasciavano mai da solo. Albus si tenne a distanza, non perchè non li apprezzasse, non voleva assolutamente perdere del tempo prezioso in un'utopia di chiacchiericci e conversazioni, poco utili alla sua ricerca.

Gellert non aspettava altro.

Senza fare troppo rumore si mise a osservare Minerva da dietro una colonna. Gli aveva mandato un patronus per comunicargli che erano giunte delle notizie fondamentali sul suo conto.

Il felino d'argento aveva iniziato a volteggiare a mezz'aria, per poi planare lievemente sulla sua scrivania, sporgendosi verso di lui mentre si reggeva con le zampe posteriori.
Albus non aveva perso tempo a uscire dal suo ufficio, neanche le aveva dato il tempo di articolare quelle poche sillabe, poichè era già scomparso, inghiottito dai corridoi del castello.

Era il loro codice segreto.

Per quanto il ministero non si fidasse di lui, le notizie trovavano sempre un modo per giungere alla sue orecchie. Minerva, inoltre, stava iniziando ad assumere una posizione privilegiata e apprezzata, non tanto per il suo carisma, anzi non ci pensava due volte a mandare a quel paese qualcuno ( caratteristica che apprezzava particolarmente, che lo faceva sbellicare dalle risate ), ma per le sue abilità magiche. In poche parole, non aveva la minima difficoltà a trasfigurare un cagnolino in un mostro a tre teste.

Per quanto Albus fosse abile nella materia, Minerva restava imbattibile in quel campo della magia. Inoltre, le sue abilità da animagus erano sempre state molto utili al ministero e agli auror, per carpire informazioni o spiare le mosse di qualche mago oscuro.

C'era però una caratteristica che non passava inosservata. Per quanto il suo animagus sarebbe potuto apparire un gatto soriano qualunque, non ne ricordava nessuno che indossasse un paio di occhiali. Intorno agli occhi del gatto soriano, infatti, era evidente il contorno di una montatura che, nonostante fosse abbastanza leggera, lasciava intravedere una traccia abbastanza evidente.

Ad Albus bastava osservare quel contorno che incorniciava i suoi allegri occhi azzurri, per capire che, dietro quelle sembianze da felino, si celasse la professoressa Minerva Mcgrannit.

Soltanto quando la maggior parte degli insegnanti aveva già liberato la sala dalla loro presenza, decise di accostarsi a lei. Seduta alla sua destra vi era una strega bassa e gracile, con un calice di succo di zucca tra le corte dita grassocce e dalla consistenza di un würstel. Con la bacchetta mescolava il contenuto del bicchiere, per evitare che i semi e la polpa di zucca si immagazzinassero sul fondo del calice di cristallo.

Con una mano si coprì la bocca, nello stesso istante in cui le scappò un sonoro sbadiglio e un rutto fragoroso. Albus la conosceva bene, al di là delle apparenze. Per quanto, infatti, apparisse gracilina, era resistente come un muro di mattoni cotti. Di tanto in tanto perdeva qualche pezzo, ma niente che la magia non potesse essere in grado di ripristinare, almeno parzialmente.

Aveva i capelli raccolti in una elegante coda bassa, non toppo corti, ingrigiti per via dall'età che avanzava.
Di tanto in tanto spuntava qualche ciocca rosa acceso, che dava colore a quei filamenti bianco argentei. Ai lati delle orecchie leggermente arrotondate, ricadevano le funi del cappello a punta, che era solita portare quando era in compagnia. Ci teneva così tanto al suo aspetto, che ne era quasi orgogliosa, gelosa del cappellino che le aveva regato Albus, tanto da aver fatto applicare delle corde magiche, per legarlo alla testa nelle giornate troppo ventose.

Albus, quando la vide, la ignorò. Non aveva paura che potesse divulgare qualche informazione della conversazione privata che si sarebbe tenuta di lì a poco. La professoressa Spring era sorda come una campana. E non ci vedeva molto bene da un occhio. Ma, nonostante queste sue mancanze, dimostrava ancora di avere l'aspetto di una donna splendida, di rara bellezza.

Profondi solchi le attraversavano il viso, marcandole ulteriormente gli zigomi e rendendo la pelle non più elastica e tonica come un tempo. Rughe e verruche che non la abbruttivano, anzi, la rendevano ancora piú bella. In evidenza la dolcezza e la gentilezza che da sempre erano state parte di lei. Era proprio questo che la rendeva speciale.

Per quanto la sua materia non fosse la migliore da frequentare, erano molti gli studenti che amavano passare i pomeriggi in biblioteca a studiare quella materia, babbanologia, approfittando della sua loquacità per saltare le altre lezioni.
Un corso di studi facoltativo che sembrava essere un ottimo passatempo per gli studenti.

Tutti pendevano dalle sue labbra.

La professoressa Spring ripeteva spesso quanto i babbani fossero straordinari, e quanto i maghi e le streghe avrebbero potuto imparare da loro. Ed era proprio per questo che dovevano essere protetti, tenuti all'oscuro della loro esistenza.

Su ciò Minerva e Albus erano pienamente d'accordo. Per quanto, infatti, lo statuto nazionale di segretezza avesse i suoi limiti e imposizioni, aveva anche i suoi buoni propositi. Aveva funzionato per oltre tre secoli, anche se parzialmente. Era grazie allo statuto se ancora non era scoppiata una guerra tra maghi e non magici.

Miranda Spring si alzò a fatica dalla sedia, sulla quale erano disposti in un'alta pila dei cuscini imbottiti, si aggrappò con le mani al tavolo, le nocche le divennero bianche per lo sforzo. Non si accorse nemmeno di aver rovesciato con il gomito un'intera fiala di vino rosso, proprio sugli abiti della giovane insegnante seduta accanto a lei.
Minerva sbottò silenziosamente un'imprecazione velata, non perché apprezzasse che quel liquido le stesse tingendo l'abito, ma per la consapevolezza che la strega, qualunque cosa avrebbe potuto dirle, non l'avrebbe sentita.
La aiutò ad alzarsi, sorreggendola per la schiena con le lunghe braccia.

«Grazie, Minerva, cara. Ci vediamo domani.» Le disse riconoscente, con voce calma e tranquilla.

«Va bene!!» le urlò la Mcgranitt sospirando, abbracciandola lievemente, nel tentativo di farsi sentire.
Miranda annuì, comprendendo forse più l'abbraccio che le parole che le aveva urlato in risposta.
Piano piano si incamminò verso l'ingresso, accelerando il passo di colpo, un comportamento che avrebbe sicuramente stupito chiunque, considerando la sua età ultracentenaria, non avendo neanche bisogno di un bastone o di una superficie su cui appoggiarsi per stare dritta.
Minerva stessa inconsapevolmente si era lasciata scappare un ghigno, e aveva inclinato la testa di lato senza accorgersene.

Una sola frase tuonava nella sua mente, ricca di sciagure: adesso cade.

Solo quando gli ultimi studenti rimasti abbandonarono la sala grande per dirigersi nei loro dormitori, Minerva si rivolse ad Albus da lontano, mentre lui si osservava pensieroso la punta delle scarpe, come se avesse schiacciato un vermicolo. Aveva finto di non notare la sua presenza per tutto il tempo, speranzosa che fosse lui a fare il primo passo, ma lui non si era mosso di mezzo metro.

E, finalmente, dopo l'ennesimo colpetto di tosse, l'attenzione dal mago passò immediatamente dalla punta delle sue scarpe - un'analisi decisamente interessante - alla strega. Gli si parò improvvisamente davanti con un balzo energico, e lui trasalì appena, accennandole un sorrisetto.

La guardò tirar fuori dalla tasca un mazzo di lettere, e la mano sottile tesa nella sua direzione, che invitava il destinatario a prenderne possesso. Ignorando la finta ilarità nel suo sguardo, inizialmente Albus sperò di coglierne il senso, limitandosi a fissare le buste esterne, che si era parzialmente colorata di rosa per via del vino, che le era caduto addosso. Ma subito dopo si vide costretto a prenderle in mano, riluttante.

Il sigillo in ceralacca, che avrebbe dovuto chiuderne i lembi, era stato spezzato.

«Sono arrivate oggi.» Si affrettò a spiegare la collega «Provengono dal ministero. Le ho già lette io al posto tuo. So che il ministero non è la tua priorità... e che probabilmente le avresti gettate nel camino. Fra le fiamme... senza nemmeno leggerle!!» sbottò.
Albus annuì, non perché fosse concorde con lei, - avrebbe fatto a meno di leggerle, visto che lo aveva già fatto lei per lui - ma per evitare che Minnie potesse irritarsi. Non lo avrebbe mai ammesso a nessuno, ma aveva un po' timore della sua determinazione.

Si affrettò così a consultare il primo rescritto, ricco di sventure.
Perché lo aveva convocato, se le aveva già lette lei le lettere? Ripetè nervosamente fra sé e sé. Fortunatamente Minnie aveva ignorato il borbottio, e aveva roteato - come sempre - gli occhi al cielo, rassegnata.
Rimase piuttosto deluso. Forse si era aspettato una lettera di convocazione, una minaccia.

Niente di tutto questo.

Il foglio di pergamena nella busta illustrava una locandina funebre. Elisabeth Lee, che sorrideva allegramente nell'immagine, voleva essere ricordata per ciò che era stata. Una ragazza solare, il cui volto si confondeva tra i capelli rossi e ribelli. Due gocce brillanti, che adesso non erano più in grado di denunciare la realtà che riteneva iniqua.

Albus lo sapeva.

L'avrebbero infangata.

Ormai lo sapeva bene.

Aveva avuto ben sette anni di tempo per conoscerla, per sapere quanto era davvero abile. Nonostante avesse padroneggiato regalmente la sua materia, difesa contro le arti oscure. Questo era stato del tutto insufficiente dinanzi a morte certa, era stata, piuttosto, la sua sentenza.

«I funerali sono domani. Non puoi non andarci.» Sussurrò Minerva, guardandolo con gli occhi lucidi, per poi riabbassare lo sguardo subito dopo.

Povera cara!

«Non ho mai detto il contrario.» Replicò freddamente Albus, senza voltarsi a guardarla.

Accantonò il pensiero della giovane venticinquenne non più in carriera, non poteva permettersi di indugiare. Mise la locandina in tasca, cercando di ignorare il freddo glaciale che gli riservava Minerva. Aveva ragione, lui non era mai stato tanto insensibile in vita sua.
«Io... ci penserò. Minnie.»

Continuò ad analizzare le altre lettere. Solo notizie su notizie che già aveva avuto modo di conoscere in anticipo, considerando la sua amicizia con uno degli editori della gazzetta del profeta. Afferrò l'unica lettera che era certo potesse interessargli veramente.
Il sigillo non era ancora stato rimosso. Forse Minerva si era dimenticata di aprirla al posto suo.

«È sigillata. Solo tu puoi aprirla.» Gli disse, notando la sua fronte corrucciata.

Albus come al solito prese a studiarla, stavolta non riuscendo a capire da chi gli fosse stata inviata.
Non credeva che fosse maledetta perchè, se avessero veramente voluto, avrebbero scelto qualsiasi altro modo per ucciderlo. Ne avrebbero trovati addirittura di peggiori, e più geniali di una lettera spedita per posta.
L'unica cosa che sperava era che non fosse di Gellert quella lettera. A quel punto non avrebbe più saputo come agire.

Era certo che non sarebbe stata una lettera d'amore.

Sospirò. Non poteva indugiare, così delicatamente prese i margini della busta e ne ruppe il sigillo in ceralacca, dove si ergeva in caratteri dorati il logo del MACUSA.

Lui non conosceva bene il Macusa.

Lesse le prime righe, e si accorse immediatamente del tono informale e distaccata. Doveva trattarsi d una corrispondenza importantissima. Non era certamente Gellert o una delle sue marionette del congresso. Gellert era sempre stato insolente con lui; continuava a chiamarlo, nonostante ormai il distacco emotivo, con il suo nomignolo preferito.
Un nomignolo che lo faceva impazzire.

Egregi saluti, professor Silente.
Le scrivo in merito agli ultimi avvenimenti che si stanno abbattendo un po' da ogni parte del mondo.
Le scrivo non per invitarla a prendere una posizione, so già da che parte sta, nonostante le dicerie, ma perché è l'unico mago ancora in grado di incutere paura e fronteggiare Gellert Grindelwald, e dimostra di possedere ancora abbastanza fama e rispetto da parte del nostro dipartimento.
Le invio un biglietto di partecipazione alla riunione internazionale che si terrà giorno 10 luglio alle ore 9 del mattino, in punto.
Ha abbastanza tempo per organizzare i suoi impegni. Spero possa essere presente.
Le auguro una buona giornata

P.E.G.
MACUSA

Dopo averla letta più di una volta, Albus passò la lettera a Minerva che, quando la lesse a sua volta, iniziò a scuotere il capo contrariata.
«Io non andrei se fossi in te, Albus. Troppo criptica.»
Albus accennò un sorriso. In effetti, aveva ragione.

Ma quale altra alternativa aveva?

«Credo che sia una riunione fondamentale. E poi ho l'impressione di conoscere già il mittente. Dal tono, immagino.»
«Albus!» lo apostrofò contrariata.
«Non credo di poter mancare, Minerva.»
La donna sbuffò.
«E tu verrai con me.» Concluse Albus, serio.

Minerva inizialmente pensò che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto poi, notando la sua espressione ferma, si rabbuiò.

«Come?!» chiese scioccata.
«Tu verrai con me!» Ripetè il mago «Non è un invito, ma un ordine, Minnie!»
La strega sbottò nuovamente e, per rendere ancora più evidente la sua disapprovazione, poggiò le mani sui fianchi.

Perchè doveva essere così... Albus?

«Merlino! Albus... hai questa incredibile capacità di metterti nei guai! Come faccio a dirti di no?» Piagnucolò.

Albus a questo punto si addolcì, e si lasciò scappare un sorriso. Il primo dopo parecchi giorni ombrosi.
«Sapevo che avrei sempre potuto contare su di te!»

Minerva annuì. Altro non poteva fare.
Ovviamente... sospirò fra sé e sé. Doveva cercare di essere meno buona e imparare a dire di no.

«Ma solo questa volta. Se sparisci, non ti verrò a cercare. Sia chiaro.» Inarcò un sopracciglio.
«Uhm... Seh... dici sempre così, Minnie.»

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