My Eleventh Hour

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“E tu chi diavolo sei?"

La ragazza, se avesse avuto il tempo di pensarci, sarebbe stata sorpresa dal fatto di non aver detto nessuna parolaccia, in una circostanza come quella. D’altronde, non capitava tutti i giorni che una cabina blu sfasciasse la finestra della sua camera e gran parte del muro. La polvere stava ancora vorticando al riflesso della luce della cabina, quando un uomo ne uscì; era vestito in maniera elegante, e indossava un papillon assieme a un’espressione stravolta. Si pulì velocemente lo sporco del cartongesso dai pantaloni neri e si guardò intorno, come se fosse la camera della ragazzina ad essere strana, e non, per dire, il fatto che lui ci fosse piombato dentro. Rimase a guardare per alcuni secondi, senza che la sua non consenziente ospite staccasse il suo sguardo da lui. Il Dottore si fermò ad ispezionare i libri e fumetti sparpagliati un po’ ovunque e i poster colorati alle pareti, che riportavano stampe di vecchi film. Infine, si accorse del letto, ma soprattutto, della ragazza che vi era sopra e che gli aveva rivolto una domanda.

“Io sono il TARDIS! E questo è il Dottore.” Spiegò, indicando la cabina telefonica. Era tutta blu, con grandi vetrate bianche e una luce sulla parte superiore. L'uomo chiuse la porta dalla quale era uscito e lei non riuscì a scorgere il suo interno. Dopo aver chiuso la porta, tentò di barcollare in avanti nella stanza, ma a causa di quello che sembrava essere un giramento, cadde al suolo con un violento tonfo.

Certo, certo, era uno sconosciuto, ma era appena caduto rovinosamente al suolo, qualcuno doveva aiutarlo! Gli porse un braccio per farlo rialzare, con non poca fatica, e lo mise seduto sul letto. Sembrava stare abbastanza male. L'uomo sollevò la testa a fatica e la scosse, come a volersi concentrare di nuovo. “Io sono il Dottore!” proclamò, come se fosse la sua unica certezza. Il che era piuttosto ironico, considerato che poco prima aveva affermato una cosa totalmente diversa.

“Il Dottore? Ma… il tuo nome?”
“Dottore. Chiamami il Dottore.”
“Oh, capisco…” No, non capiva. Cosa diavolo stava succedendo? E i suoi genitori cosa avrebbero detto della parete sfondata, o dello sconosciuto? Come avrebbe potuto spiegare quello che era appena successo e avere una minima possibilità di essere creduta? Avrebbero pensato che fosse diventata pazza. Forse l'avrebbero rinchiusa da qualche parte.

Allora si concentrò sulla cabina, che stava emettendo un curioso bip ritmico. L'uomo con il cravattino parve cogliere la sua perplessità e si schiarì la voce un paio di volte, prima di parlare: “Quello è il TARDIS.” “TARDIS?” “Time And Relative Dimension In Space. È la mia macchina del tempo.”
“... Stai delirando.” Anna appariva seriamente preoccupata per quel pazzo. Dopo aver notato che saguinava da una ferita sul lato della fronte, prese un fazzoletto di stoffa pulito e cominciò a tamponarla, senza che il Dottore reagisse alla sua azione. Anzi, tirò un sospiro di sollievo e le strinse la mano che non stava tenendo il pezzo di stoffa, come a voler mostrare gratitudine senza essere in grado di esprimerlo a parole. Quando la giovane applicò un po’ troppa pressione sulla ferita, l'uomo d'istinto chiuse gli occhi e digrignò i denti, gemendo di dolore. “Scusa…” si lasciò uscire debolmente. Quando il sangue smise di colare sulla sua fronte e rimase come un puntino rosso nella parte più alta, l’uomo scansò la mano della ragazza e si alzò quasi troppo velocemente, ma riuscì a riprendere l’equilibrio, posizionandosi di fronte alla cabina, che continuava imperterrita nella sua emissione di suoni ad intermittenza. Tirò fuori da una tasca interna della sua giacca elegante uno strano oggetto oblungo. Era lungo circa una spanna, con degli “artigli” che andavano a estendersi sul finale della sua lunghezza, che sprigionava una lucetta verde, assieme ad un suono vibrante, bzzzz, quando il Dottore se ne serviva, apparentemente.

“No, no, no…”

Adesso sì che il Dottore sembrava preoccupato oltre ogni limite. Non aveva forse abbastanza soldi per permettersi di riparare il suo muro? O la sua cabina del telefono? La parete le sembrava il problema più urgente, per Anna, comunque.
Il Dottore si mise a girovagare per la stanza, prendendo fuori dalla libreria qualche libro, sfogliandolo, per poi gettarlo a terra.
“Che c’è?” gli chiese, mentre uno dei suoi fumetti di Spider-Man veniva gettato con disprezzo sulla scrivania. In una situazione diversa, avrebbe provato a fermarlo, ma lui sembrava davvero troppo agitato, ed era pur sempre uno sconosciuto fin troppo strano: meglio non fare mosse avventate. Rimase seduta sul letto, attendendo una risposta.

“Non sarei mai dovuto atterrare qui. Non era previsto. Ci dev’essere una cosa strana, qui.”
“Oh, beh, se è solo una…” rispose con un velo di ironia nella voce, tuttavia il Dottore non ci fece caso e continuò ad esaminare tutto ciò su cui poteva mettere le mani in quelle quattro mura. Anna ne ebbe abbastanza: si alzò e si mise davanti a lui, impedendogli di aprire l’ennesimo cassetto. “Senti, non so chi tu sia, ma devi smetterla!” Il Dottore la scrutò come imbambolato per qualche secondo, poi sbatté il palmo della mano contro la sua fronte, segno che aveva appena realizzato qualcosa di ovvio. “Ma certo!” urlò: “Tu devi avere qualcosa che ha a che fare con me!” quindi le afferrò il viso e le puntò contro il suo strano cacciavite con la lucetta verde.

Anna vide il sorriso sparire gradualmente dal suo volto, fino a scomparire. Abbassò l’aggeggio e si fermò qualche secondo a osservare la sua espressione confusa. Anna continuava a non capire, ma adesso aveva anche un po’ di paura. Sembrava che il Dottore fosse preoccupato -o addirittura spaventato-, per qualcosa. “Che c’è?” gli chiese, con una punta di urgenza e nervosismo nella voce. “Nulla” fu la risposta che ottenne, ma il Dottore continuava a rimanere serio.
Lui quindi si allontanò ed entrò all’interno del TARDIS. Anna, spinta dalla curiosità verso quell'oggetto poco conosciuto, lo seguì timidamente, preoccupandosi del fatto se potesse seguirlo per guardare o meno.

Ma quando lui spalancò la porta della cabina, Anna finì di preoccuparsi di qualsiasi cosa e ci fu spazio solo per il suo stupore. All'interno era più grande. Lo spazio sembrava incontenibile, dentro la piccola cabina, eppure eccolo lì. Il design dell’interno appariva abbastanza retrò. Vi erano principalmente colori dorati, e quella che sembrava essere la principale attrazione della “stanza” era una console, elevata al centro e dalla quale partivano poi alcune scale e la struttura si espandeva, andando chissà dove. Luci azzurrine accompagnavano ogni gradino e si trovavano sotto il pavimento centrale di vetro, a forma di esagono. Alle pareti vi erano strani cerchi, forse decorativi, ma che davano al tutto un’aria ancora più maestosa. La console si collegava poi al soffitto, assieme ad alcuni tubi. Essa era un insieme confuso di leve e tasti, che le fecero girare la testa solo a vederli.

Il Dottore si avviò verso l’interfaccia della sua console e digitò il nome e il cognome della ragazza. Come faceva a conoscerli? Da lì, lesse qualcosa che Anna non riuscì a vedere, poichè appena il risultato della ricerca si caricò sullo schermo, il Dottore le diede una vigorosa spinta, lesse tutto nel giro di due secondi e spense lo schermo, per poi girarsi con un sorriso idiota verso la ragazza, che si stava rialzando da terra. “Ma che diavolo ti prende? E cos’è questo posto?” “Mi prende il fatto che non devi vedere ciò che faccio ed è il TARDIS, te l’ho già detto: stai più attenta. Ah, prima che tu esponga l’ovvio: è più grande all’interno. Ma non dovresti stupirti così tanto, sai? È una macchina del tempo, supera molto bene le leggi della fisica che forse avrai studiato a scuola.” Anna continuò a guardarsi intorno, sospettosa: “Ma non è possibile…" “Piacere, sono Impossibile!” Il Dottore le strinse una mano vigorosamente. “Oh, dai, non mi prendere in giro… per quello che ne so sei un pazzo maniaco.” Lui le concesse l’onore di un sorriso sincero.

“Sono stato definito un pazzo con una scatola.”

“Ti prego, sii onesto. Chi sei?” “Sono un Time Lord, un Signore del Tempo. Vengo da Gallifrey, un pianeta che sicuramente, senza offesa, non conosci e viaggio nel tempo, di solito accompagnato da chiunque sia abbastanza gentile da seguirmi.” Anna aprì la bocca per commentare, ma venne interrotta. “Sì, dico gentile, ma si potrebbe anche dire folle, stupido, privo di qualsiasi senso di autoconservazione”

Quando quell’ultima parola uscì dalla sua bocca, il Dottore parve spegnersi. sembrava intento a osservare il pavimento vitreo sotto di lui, come se si fosse dimenticato della ragazza che gli stava proprio di fronte. Forse quel luccichio nei suoi occhi era il preavviso per l’arrivo di possibili lacrime. “Hey… Tutto bene?” Tutto quello che stava provando al momento passò in un istante: “Io? Benissimo! Uhm… Sì, dicevo, chiunque mi accompagni.” “E sono umani, quelli che ti accompagnano?” Per Anna, la risposta non era affatto scontata. A questo punto, si sarebbe davvero aspettata di tutto.
“Yes, baby, umani come te. Bello, eh?” Anna attese che una qualche reazione si scaturisse dentro di lei, si girò nuovamente, guardandosi intorno, poi bisbigliò: “...tutto questo non può essere reale” Il Dottore, allora, prontamente, le si mise di nuovo di fronte.

“Toccami, se vuoi, sono reale!”

“Non voglio toccarti!”

“Dai, Anna!”

“Passo!”

Il Dottore sospirò di fronte all’ostinazione della ragazzina. Poi si scrocchiò le dita e si mise di nuovo ad armeggiare con i vari pulsanti della console. Anna la osservò, notando che in qualche modo vi erano anche incorporati un grammofono, una specie di telefono e qualche altro oggetto che non riuscì a distinguere. “Che fai, Dottore?” “Attendo un tuo gentile riscontro.” “In merito a cosa?” Le schioccò le dita di fronte alla faccia due volte, tanto inaspettatamente da farla sussultare. “Sveglia, ti sto chiedendo di viaggiare con me!” “Con la tua macchina del tempo?” “Ovvio.” “Ma…” “È una macchina del tempo. Hai mai visto qualche film a  riguardo? Ti porterò a casa facendo in modo che nessuno si accorga che sei stata via.” “Viaggiare con te? Ma dove?” L’uomo si distolse dalla console del TARDIS e si avvicinò con uno scatto, tanto che Anna dovette fare un paio di passi indietro. Quindi il Dottore prese le sue mani nelle sue, con una delicatezza che non si sarebbe mai aspettata da un uomo che appariva così impulsivo ed esuberante. Quel contatto la fece arrossire di parecchio: non ci era abituata.

“Dove vuoi. Qualunque luogo tu possa pensare o desiderare.” “Ma prima, sullo schermo, cosa hai letto su di me? Ho visto che hai scritto il mio nome.” Si fece serio. “Se devo essere onesto, non lo so. Non l’ho capito. Ma se verrai con me, potremo scoprirlo, assieme a tante altre realtà meravigliose dell’Universo."

Pronunciò l’ultima frase con tanta speranza. Appariva quasi come un bambino che sogna ancora di conquistare il mondo. “Io…” “Ti porterò a casa al sicuro, quando lo vorrai.”

Perché sembrava così tanto una buona idea fidarsi di lui, in quel momento? Forse perché Anna avrebbe sempre voluto correre via e scappare lontano da casa. Forse perché aveva sempre amato le avventure, anche se solo tra le pagine dei suoi libri e le scene dei suoi film preferiti. Forse perché quell’uomo appariva così genuino. Forse perché l’aveva guardata con tanta ammirazione, anche se non la conosceva affatto. Forse perché per la prima volta qualcuno la stava considerando con una tale importanza, che lei stessa non associava alla sua persona.
Forse perché un’occasione così non si presenta mai.

“Va bene. Verrò con te.”

Lo vide letteralmente saltare in aria, quasi come se avesse appena vinto alla lotteria. Dopo qualche piroetta, la sollevò e la strinse in un abbraccio, che la resero due volte più rossa di prima. “Yuh-uhhh, GE-RO-NI-MO!” Dopo di che, la lasciò ricadere a terra, con un sorriso incredulo sul volto. Il Dottore si precipitò a smanettare sulla console.

“Allora… dove andiamo?”





il prodotto della mia recente ossessione per Doctor Who xD

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