Panico ai piani alti

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Lunedì mattina, iniziò come al solito: mia madre mi viene a svegliare, doccia veloce, e mando il "buongiorno" ad Elena.
La sera prima era andata a meraviglia e nella mia testa non riuscivo a far altro che pensare a quel bacio.
Dio se lei mi piaceva.
Quando mi rispose per poco non feci un salto di 20 centimetri. Al mio "buongiorno ❤" aveva risposto, "buongiorno ❤ ci si vede dopo, E"
Risi tra me e cominciai a cercare cosa mettere e alla fine optai per una maglia di lana melange grigia e dei jeans scuri. Mi pettinai velocemente e scesi a fare colazione. Lei mi analizza.
-com'è andata con Elena, Edward?-
Di tutta risposta sorrido. -mi piace tanto Elena, è così... Ah, non so nemmeno come descriverla, un pò ti somiglia-
Ridacchia. -ah bene, allora siamo a posto- fa sarcastica.
-e con il tuo amico?- le chiedo e diventa paonazza di colpo.
-bene- dice semplicemente.
-sei particolarmente carina- le dico.
Indossa una camicia rosa antico e una gonna magenta non troppo ampia, abbinata a dei sandali col tacco dello stesso colore rosa. Ha tirato indietro i capelli e ha il rossetto. Strano...
Mi guarda male. -... Lascia perdere- dice e mi scappa una risatina. Non per prenderla in giro ma perché non sono abituato a quei colori su di lei.
-non dico che ti sta male... anzi stai bene, attenta a non spaventare questo amico a meno che non dobbiate giocare al dottore- poi penso a quello che ho detto e lei pure mi guarda cercando di non ridere. -cancella quello che ho detto, stai bene e basta, ma ti preferisco con colori più freddi o col rosso-
-capito, me lo segnerò, muoviti che oggi devo arrivare prima-
-magari prendo la moto se tu devi andare-
Lei arriccia le labbra pensandoci, nel mentre prende su la cartellina rossa, le chiavi e la borsa del lavoro e quella normale.
-okay ma mandami un messaggio quando arrivi, stai attento, non farti male che oggi non è la giornata giusta...- dice non ancora del tutto convinta. -beh, io vado, chiudi, ti voglio bene- mi lascia un bacio sulla guancia.
-anche io...- rispondo prima che esca. Lei chiude la porta e io rimango solo a mangiare la mia colazione e a ripassare le ultime cose.
Sì, la decisione di venire a stare a Philadelfia era stata fantastica, meravigliosa... soprattutto ora che ero felice. Finisco di mangiare, poi rifletto sul vero motivo per cui volevo prendere la moto; perché voglio portare a casa Elena, anche se ho arte il pomeriggio. Sorrido entusiasta, metto le dovute protezioni, prendo lo zaino, esco di casa chiudendo la porta. L'aria è fresca di prima mattina e c'è il sole. Sembra una giornata perfetta e perfetta per andare in moto.
Monto, metto in moto e parto per le strade un poco trafficate.
Quando arrivo, sento gli occhi dei presenti su di me. Parcheggio tranquillamente, il più lontano possibile e prendo le mie cose. Su una panchina del campus è seduta Elena con lo zaino sulle ginocchia.
-ehi- le dico, passandole da dietro, senza provare a nemmeno a cercare di smettere di sorridere.
-ehi- mi fa. -strano che sei venuto con la moto- e le racconto della situazione bizzarra di quella mattina.
-evidentemente le piace- dice lei e quasi mi torno a mettere a ridere.
-impossibile, a lei non piacciono gli uomini, nemmeno le femmine, lei non esce e basta-
Mi guarda male. -può darsi che non uscisse perché eri piccolo, adesso hai 16 anni, se stai a casa per una sera non hai bisogno della baby-sitter- mi avvicino.
-e se invece la volessi, hai qualcuna da consigliarmi?- le chiedo mentre ormai siamo vicinissimi.
-magari passo a vedere che tu non faccia qualche disastro...- dice lei, facendo strusciare il suo naso contro il mio.
-allora cercherò di comportarmi bene- dico toccandole i capelli con i polpastrelli. Quando le nostre labbra si toccano, mi torna in mente la sera prima e cerco di restare serio. Quando sciolgo il bacio, sorridiamo.
Oggi è molto carina, sopra una canotta nera, indossa una camicia lilla a quadretti aperta e dei jeans grigi. Vicino ha anche la giacca e porta i capelli sciolti sulle spalle.
-stai bene oggi- le dico sincero. E lei sorride.
-anche tu- ma poi dalle spalle, ci passa a fianco Tessa.
-ciao piccioncini...- poi squadra la sorella. -potevi sprecarti Lena, non girare come una fattona, il signorino ha una reputazione da difendere-
Ridacchio. -no Tessa non ho nessunissima reputazione, o non del genere che pensi tu. L'unica reputazione che mi piace è quella de "il più veloce"-
-in tutto?- scherza e la guardo sconcertato, se ho davvero capito cosa intendeva.
-Tessa non essere volgare, grazie- le dice anche Elena.
Tessa al contrario di Elena, indossa un crock-top magenta con un jeans aderente a vita alta bianco, le Dottor Martin porpora e ha una fascia che le tiene i capelli in ordine.
-scusa sorellina, ero solo sarcastica-
-non sei divertente e puoi andare... comunque di che stavamo parlando?- mi chiede cercando di ignorare sua sorella che con la sua camminata da gatta se ne va.
-del tuo farmi da baby-sitter, quindi niente di che- poi guardo i ragazzi che stanno entrando. -andiamo? Ti accompagno in classe- lei sorride e annuisce.
Come se fosse una cosa quasi banale, andiamo mano nella mano, mentre parliamo di musica. Lasciamo le cose agli armadietti, poi la accompagno in casse e le lascio un bacio sulla guancia prima di andare verso la mia.

Durante le due ore di lettere con il prof Thorton, di tema, faccio molta fatica  concentrarmi sulla traccia storica che ho sotto il naso.
Nel corridoio, avevo consegnato il saggio a prof White e ora ero più leggero in coscienza ma non in cuore.
Accompagnando Elena in classe, avevo il sapore delle sue labbra, era ancora impresso sulle mie. Come anche l'odore della sua pelle.
Ma se l'idea di Dean Gregory mi innervosiva, immaginamoci la sua conoscenza. Perché, da bravo genio, durante gli ultimi giorni mi ero scordato di quel "piccolo" dettaglio, cioè più che scordato, mi era decisamente passato di mente.
Lei però, a mia discolpa, non l'aveva mai nominato; ed io ero stato preso da lei, più che dal suo migliore amico.
Quando suona la fine della seconda ora, fuori dalla mia aula trovo lei. Le sorrido e lei mi racconta delle due ore appena passate.
Mentre giriamo per i corridoi, sentiamo qualcuno chiamarla: lui le corre in contro e l'abbraccia. -dove sei finita, ragazzina? Sei sparita tutto il weekend-
-ehi D- lo saluta lei. -ero fuori con lui- dice indicandomi. -conosci Edward Joans?-
Lui mi guarda. -non ho avuto ancora il piacere... Ciao Edward. Ti piace la Pennsylvania?-
Arriccio le labbra. -non molto, ma comincio a farmela andare a genio- scherzo.
Ridacchia. -allora tu e Elena, eh? Non è la prima volta che mi parla "del nuovo arrivato" ed è bello finalmente darti un volto-
Sorrido ridacchiando. Forte il tipo.
-Elena, è Elena... E ho un vago debole per lei- dichiaro senza guardarla.
-mi sembra giusto- dichiara.
-la smettete voi due? Mi sento il terzo incomodo- protesta Elena.
-tranquilla ragazzina, sei sempre la numero uno- dichiara lui. -vero?-
-sì, proprio- confermo.
-sono Dean, comunque, Dean Gregory-
E mi cade il mondo addosso.
Lo osservo, ha il viso lungo, la pelle chiara e i capelli molto corti. Ha occhi azzurri con screziature verdi. Ha il mio stesso fisico e la stessa altezza.
Sento il mio battito accelerato.
Mi somiglia, mi somiglia troppo. Sento un gran caldo, le gambe mi diventano molli.
-mi ricordi qualcuno... C'è qualche tuo parente che potei conoscere?-
Scuoto il capo. -no- dico con la voce che mi è diventata stranamente affaticata. -ora vado, vado- non ho nemmeno la forza di salutarli, che corro via;
Non piangere, non piangere, mi ripeto, di colpo, senza rendermi conto di quel che ho attorno. Mi tremano mani e ho una strana iperventilazione. Ho paura. Sento un fuoco in gola e allo stesso tempo non riesco a respirare.
Voglio la mia mamma, anzi, la pretendo.
Vado in segreteria. -ho-ho... Biso-bisogno di... Dididi uscire- dico, nemmeno più in grado di parlare.
Non piangere, non piangere, aspetta...
Sì devo aspettare.
-hai un permesso?- mi chiede senza nemmeno guardarmi.
-no-
-sei maggiorenne?- continua a chiedermi mentre gioca a "solitario" sul computer fisso.
-no- dico. -devo uscire- e non mi rendo nemmeno conto di essere caduto di culo sul pavimento. Finalmente lei mi guarda.
-chiama un genitore, mi basta un permesso orale- con le mani tremanti le passo il cellulare. Lei chiama. -scusi il disturbo, sono la segretaria dell'Istituto... Sì, per suo figlio... No, non sta bene... Okay glielo passo- mi torna a passare il cellulare.
~Edward!~
E le lacrime mi rigano il viso. -ma-ma-mamma... Po-posso venire da te?- chiedo
Calmati, calmati, calmati, calmati!
~sì, ti vengo a prendere, resisti 10 minuti amore, arrivo~
Passo di nuovo il cellulare alla tipa e confabulano. Mi appoggio al muro, in posizione fetale, con le mani sulle orecchie.
Non piangere, non qui, non ora, aspetta... Ti prego aspetta. E continuo a ripeterlo, sordo, dondolandomi e cercando di contare il battito del mio cuore. Mi sembra tutto nero e fa un caldo tremendo, mi gira la testa...
La gente mi parla, mi chiamano, mi vogliono... io-io, non so più niente. Ma continuo a dondolarmi cercando di sentire il cuore rallentare. Ma poi le lacrime mi rigano il volto ed è difficile...
-Edward!- sento urlare ad un certo punto e alzo la testa. È la mia mamma.
Mi viene a fianco. -ora andiamo via piccolino- mi dice e le metto un braccio sulle spalle, come avessi 5 anni e mi aspettassi che mi prendesse in spalla. Annuì forte, forte, più volte, come se fosse stato un bisogno, non ce la facevo. Mi sento debole, confuso, in preda ad un pianto che non voglio sfogare ma che ormai esce da solo.
Un ragazzo, non so chi, la aiuta e quando sono in macchina vedo la moto già attaccata dietro.
Lei sale. -tranquillo piccolo, va tutto bene- mi dice e quelle sue parole cariche d'affetto, mi toccano così tanto che è la goccia che mi fa scoppiare. Scoppio a piangere, con le mani nei capelli.
No, non è reale, lui non esiste! Penso.
-perché!- urlo stringendo l'attaccatura dei capelli.
-Edward!- mia madre, in pratica, sta guidando con una mano sola, mentre cerca di farmi calmare. Ma lei non può capire.
-no, non voglio!- urlo prendendomi per il collo.
Continuo a piangere e urlare, ad avere caldo e non respirare regolarmente per tutto il tragitto. I brividi mi percorrevano la schiena e mi sentivo tremare nelle orecchie i denti. Riesco solo a pensare che non può essere possibile, non è possibile.
Quando parcheggia, la vedo sparire e vado in crisi.
-NO!- urlo ancora. -no!- sbavo e quasi non mi rendo conto dello sportelli che si apre.
Mi sento sollevare e torno a vedere mia madre...

[Emma…]
Non ci credevo quasi, un attacco di panico in piena regola. Meno male che aveva detto che la scuola cominciava a piacergli.
Sto camminando avanti e indietro davanti all'ambulatorio, da almeno 10 minuti e avevo chiamato Daniel. Lui diceva che era stata la scelta giusta spostarsi, soprattutto perché adesso poteva farsi una vera vita e una vera reputazione. Ma non era mai successo una cosa del genere, e se la mettevamo così preferivo di gran lunga i richiami del preside Vaharan. Mi sentivo malissimo, soprattutto perché sembrava sempre che non avessi tempo: il mio capo ufficio era stato comprensivo ma entro mezzogiorno dovevo rientrare. E mi sarei portata dietro Edward. Sarò una madre orribile ma non così disgraziata.
Sento la porta aprirsi e il medico, un certo dottor Roy, mi fa un sorriso incoraggiante poi mi fa entrare. -sta bene, ma per precauzioni gli prescriverò delle gocce per l'ansia-
Edward è semi disteso su un materassino di pelle beige. Aveva ancora l'aria terrorizzata, quasi come quando da bambino, sentendo litigare me e mia madre, scoppiava in lacrime. In quei momenti avrei voluto piangere anche io.
E che si chiudesse in se stesso escludendomi non mi piaceva per niente.
C'erano altri ragazzi in quella sala. Parlavano, alcuni sembravano star tacendo delle terapie, altri erano intenti a parlare con dei medici.
-Edward, vuoi che andiamo?- annuisce e il medico mi aiuta.
Erano le 10.20, quando riuscì a farlo uscire dall'ospedale. Salendo in auto, lo vedo stringersi le ginocchia con lo sguardo vuoto e il viso tirato, pallido e umido di sudore. Mi faceva venire il magone. -Edward...- tentai. Ma lui non ci fece nemmeno caso. -amore non potrai fare così in eterno-
Sembrava proprio che mi ignorasse. L'ultima volta che aveva fatto così, era stato quando gli avevo vietato la moto dopo che aveva tolto il gesso. Altro momento orribile. Ma quello non era un capriccio, era una crisi... Ma per cosa poi non riuscivo ad arrivarci. Mi sembrava che tutto il suo percorso fino a quel momento fosse stato positivo; la squadra di atletica, l'arte che amava, degli amici, addirittura gli piaceva una ragazza... Non riuscivo ad arrivare a cosa potesse averlo scatenato in quel modo.
-Edward ti avviso che non stiamo andando a casa, ma in ufficio da me- mi guarda. -non ti lascio solo nello stato in cui sei, te lo scordi-
Lui abbassa lo sguardo. -Edward, stai giocando al gioco del silenzio? Perché sai che vinco io...- dico e fa un mezzo sorriso. -facciamo un gioco diverso invece, giochiamo a "sto pensando a", comincia tu-
Ci pensa un secondo: -sto pensando a una cosa di 3 colori, che cambia...-
-semaforo- dico e sorride. -sto pensando a una ragazza, una modella con occhi chiari, americana, di 28 anni-
-Fiamma- dice e annuisco. -sto pensando a un oggetto grigio, che si scalda e svita, con un manico-
-caffettiera- e ride. -sto pensando a una persona importante, molto giovane, a cui voglio molto bene, che è tanto speciale-
-io- dice. -sto pensando e ho pensato ad una cosa che non sai. Ad una persona che abita qui, che ti ha fatto tanto male. E sto pensando ad un ragazzo che mi somiglia ma che non è del tutto come me. Hai capito di chi sto parlando e di cui non volevo parlare?-
Annuisco. -Dorian e suo figlio, il tuo fratellastro-

Aleee-ohoh... Ho finito sto capitolo, alleluja, sto per gridare al miracolo 😀... Vi piace?
Outfit time:

Edward dresses

Emma dresses

Elena

Dean Gregory...
Domanda: che pensate di Dean? Che ruolo pensate che abbia??

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